Una interpretazione modernista della Fiducia supplicans

 

Una interpretazione modernista della Fiducia supplicans

Ancora una volta tentano il colpo

Le edizioni San Paolo hanno pubblicato il testo della dichiarazione Fiducia supplicans con una introduzione di Don Giuliano Zanchi. Purtroppo con questo intervento siamo davanti all’ennesimo tentativo dei modernisti di utilizzare a loro favore gli insegnamenti della Chiesa.

Ho già spiegato a lungo sul mio blog come in realtà dev’essere interpretato il documento del Card. Fernandez, il quale, a differenza delle interpretazioni di modernisti e filolefevriani, i primi esultanti, i secondi sdegnati, non può essere assolutamente inteso nel senso di dare il minimo spazio di legittimità al peccato di adulterio e di sodomia, come se la dottrina della Chiesa avesse cambiato su questi punti fondamentali della morale. Vediamo brevemente in che cosa consiste questa interpretazione.

Secondo Zanchi la pastoralità della Chiesa non consiste nel

«momento applicativo e il risvolto funzionale di una essenza del cristianesimo pensata a monte dalla vita reale; “pastorale”, al contrario, è la qualifica che si conferisce alle forme dello stare insieme nella Chiesa in quanto luogo del darsi stesso della vita cristiana, il suo realizzarsi in atto» (p.9).

Ora dove è detto che il semplice realizzarsi di fatto della pastoralità della Chiesa nella vita presente delle suddette forme su questa terra, con tutte le sue miserie, sia la totalità dell’essere della Chiesa? La Chiesa non ha forse al di là della pastoralità una dimensione mistica, escatologica, paradigmatica, trascendente ed eterna di santità nella Chiesa celeste? È vero che egli ammette che il credente nella Chiesa «pone la propria condizione di vita nella luce del Vangelo di Gesù» (p.9).

Sembra però che per lui la Chiesa sia una realtà essenzialmente pastorale, dove la pastoralità non è data dalla messa in pratica o dall’applicazione di regole, doveri, norme, comandamenti o leggi inderogabili, universali, immutabili ed uguali per tutti, alle quali tutti sono assolutamente tenuti, dovendo rispondere della loro condotta a Dio che li ha istituiti.

Ma il tratto pastorale della Chiesa sarebbe «la qualifica che si conferisce alle forme dello stare insieme nella Chiesa in quanto luogo del darsi stesso della vita cristiana, il suo realizzarsi in atto».

In tale visione a monte della pastorale, ossia come presupposto teoretico della pastorale, non c’è una verità dottrinale di ragione e di fede, custodita dal Magistero della Chiesa, verità della quale la pastorale sia il risvolto funzionale, ossia abbia la funzione di metterla in pratica.

Sembra allora che non ci sia nella Chiesa la conoscenza di una realtà somma e suprema, Dio stesso creatore e legislatore della condotta umana, sommo bene e fine ultimo di tutto l’agire umano, Dio che rivela in Cristo all’uomo la sua volontà, i suoi comandamenti, i suoi precetti e le sue leggi, trasmessi dal Magistero della Chiesa, affinchè l’uomo, col soccorso della grazia e illuminato dalla fede, conoscendoli e mettendoli in pratica, possa raggiungere la sua felicità, conseguire la perfezione morale, la salvezza, la vita eterna e la visione beatifica in cielo.

Sempre in questa linea la vita cristiana non è la messa in pratica di un modello di bontà o di santità o un ideale morale di assoluta perfezione propostoci da Cristo col suo esempio e il suo insegnamento, col fatto di aver perfettamente Egli stesso per primo realizzato con l’Incarnazione nella sua persona questo ideale eterno, giacchè Egli stesso è il Verbo, il Logos, il Pensiero, il Progetto, la Parola, l’Idea del Padre, il «Disegno del Padre», come dice il Card. Biffi.

In questa visuale la pastorale non è l’«applicazione di una essenza del cristianesimo» nella sua finalità salvifica, conosciuta nella dogmatica e nelle leggi morali che da essa discendono, conosciute nella teologia morale, realtà teologica «pensata a monte della vita reale», ossia come criterio, guida, principio operativo, come programma e modello di azione, come norma assoluti dell’agire, come valore non negoziabile, come intrinsece bonum, come imperativo categorico, come volontà divina.

Invece dobbiamo dire che la vita cristiana è applicazione della legge divina universale nei singoli casi della vita. E’ un errore respingere questa prospettiva dell’etica cristiana per adagiarsi nella semplice concretezza delle varie «forme del vivere assieme» e del loro «realizzarsi in atto».

Falsi presupposti ecclesiologici ed etici

Sembra di individuare qui un influsso della concezione rahneriana[1] della condotta morale come creazione di una legge personale adatta al singolo io e come concretizzazione nelle situazioni della vita di una legge morale che nella sua universalità sarebbe un’astrazione incapace di far presa da sola sul reale senza questa aggiunta esistenziale proveniente dalla libera iniziativa del soggetto, il quale, come singola persona, plasmerebbe l’indeterminata natura umana dandole concretezza e vanificando così il carattere universale della natura umana e della legge naturale.

Ma così succede che invece di essere la legge universale a decidere ciò che è bene e ciò che è male per ognuno in tutti i casi, questa responsabilità se l’assume ogni singolo soggetto per il caso proprio, sicchè succede che ciò che è bene per l’uno sarà male per l’altro.

La facoltà decisionale dei diversi individui si sostituisce all’universalità ed all’autorità della legge, per cui una scelta omosessuale diventa altrettanto normale e legittima di quella eterosessuale apparendo soltanto come un orientamento sessuale diverso.

Ma secondo la suddetta visione, che sto criticando, l’essenza del cristianesimo, della Chiesa e della vita cristiana si esauriscono nella «pastorale», cioè nell’azione, il che lascia intendere una ontologia volontarista e prassista, che identifica l’essere e il vero con l’agire e il volere, e quindi con la libertà, come quella di Fichte e di Nietzsche.

Chiediamoci allora: ma, per essere cristiani non bisogna forse cominciare col chiedersi qual è l’essenza del cristianesimo interrogando che cosa dice Cristo, consultando un Catechismo, ascoltando il Papa o leggendo un trattato di teologia dogmatica?

Nella visione, che sto criticando, il cristianesimo non è verità divina da contemplare, come risulta dalle stesse parole di Cristo nel c.17 di Giovanni, ma è azione da praticare, è libera volontà di attuare. Che ne è allora dell’osservanza delle leggi divine? Dei divini comandamenti? Sono forse cose che nascono da se stesse e fini a se stesse? La carità non è forse pratica della verità e via verso la verità? Possibile che tutta la Chiesa si risolva nella pastorale? La Chiesa è anche sposa di Cristo, protesa verso lo Sposo, un cammino verso lo Sposo. La Chiesa, più che Marta, è Maria ai piedi di Cristo in ascolto della sua parola, pregustatrice dell’unione celeste con lo Sposo.

L’interpretazione errata del sottofondo etico ed ecclesiologico della Dichiarazione è evidentemente difforme dai suoi veri intenti, dove si ribadisce il permanere dell’etica cristiana tradizionale, l’illiceità dei rapporti sessuali extramatrimoniali e si afferma che la benedizione ha lo scopo di aiutare la coppia in un cammino di penitenza, di conversione e di liberazione dai peccati.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 febbraio 2024

 

 

 

L’interpretazione errata del sottofondo etico ed ecclesiologico della Dichiarazione è evidentemente difforme dai suoi veri intenti, dove si ribadisce il permanere dell’etica cristiana tradizionale, l’illiceità dei rapporti sessuali extramatrimoniali e si afferma che la benedizione ha lo scopo di aiutare la coppia in un cammino di penitenza, di conversione e di liberazione dai peccati.

Immagine da Internet

 

 



[1] Cf Tomas Tyn, Saggio sill’etica esistenziale formale di Karl Rahner, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2012.

5 commenti:

  1. Alla luce delle derive attuali e degli errori del cardinale Gerhard Müller, nella sua critica alla dichiarazione Fiducia supplicans, la decisione nel 2017 di Papa Francesco di rimuoverlo dalla prefettura del Dicastero della Fede sembra essere stata guidata dalla divina Provvidenza. ¡Sono stati salvati bene grazie al Papa!
    Vedere: https://www.firstthings.com/web-exclusives/2024/02/does-fiducia-supplicans-affirm-heresy

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    1. Caro Dino,
      possiamo supporre che se Müller fosse rimasto Prefetto del DDF, non sarebbe caduto in quell’errore, in quanto partecipe del dono petrino dell’infallibilità.
      Mentre anche un cardinale o un vescovo, se non è in comunione col Papa, può sbagliare anche nella fede.

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  2. Caro Anonimo,
    ho già spiegato con chiarezza che il peccato suppone un soggetto di per sé buono, così come la malattia presuppone il malato, il quale in quanto tale mantiene una dose di salute.
    Similmente l’esistenza stessa di una relazione peccaminosa presuppone due soggetti umani in relazione tra loro, in quanto creature di Dio.
    Il suo grave errore è quello di sostanzializzare il peccato, alla maniera dei manichei, ignorando con una grave cecità il valore di creature dei soggetti che lo compiono e quindi disprezzando Dio, il loro Creatore.
    È chiaro, come ha ripetuto più volte Papa Francesco e come dichiarato dal Card. Fernandez, che si benedice l’aspetto positivo della relazione, mentre si condanna il peccato.
    Infine, si renda conto dell’orribile offesa che rivolge verso il Santo Padre, offesa che la pone sotto la minaccia dei divini castighi.
    Le ho risposto per misericordia, ma la cosa più giusta che avrei dovuto fare era di eliminare il suo sfogo, privo di ogni buon senso e di carità.

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  3. Andrea Tornielli: Fiducia supplicans, benedizioni non liturgiche e quella distinzione di Ratzinger. https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2024-02/fiducia-supplicans-andrea-tornielli-benedizioni-non-liturgiche.html

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    1. Caro Anonimo, la ringrazio per l'invio di questo articolo di Torniello, il quale si trova in linea con le cose che ho già detto io.

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