I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno - Terza Parte (3/5)

 I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno

Terza Parte (3/5) 

 I Papi combattenti

Fino al Concilio Vaticano II il modello del Papa era quello di Cristo maestro che, denunciando e condannando l’errore, dissipa le tenebre del mondo, sconfigge il mondo e i nemici della Chiesa. Era il Papa combattente, signore e vincitore.  San Giovanni XXIII ha creato una svolta nel modello di Papa. Il Papa resta sempre ovviamente Vicario di Cristo; tuttavia l’accento adesso è posto non più su Cristo maestro e glorioso trionfatore degli eretici, ma sull’imitazione di Cristo sofferente per la salvezza del mondo: Cristo crocifisso.

Con San Paolo i Papi del post-concilio possono dire di non conoscere altro che Cristo crocifisso (I Cor 2,2). Sono Papi crocifissi. Senza rinunciare alla condanna dell’errore, essi propongono, con la loro stessa sofferenza per le umiliazioni e le opposizioni ricevute  il mistero salvifico di Cristo sofferente e risorto. Ecco la preminenza della testimonianza liturgica su quella magisteriale. La Sacrosanctum Concilium del Vaticano II s’ispira questo principio. E lo stesso Ratzinger non era affatto insensibile a questo principio. Per questo è tanto più inspiegabile la sua ripugnanza all’idea del sacrificio espiatorio da lui espressa per la verità solo al di fuori del periodo che passò come Sommo pontefice.

Così, dopo il dramma della Rivoluzione Francese e l’impresa napoleonica, i Papi ritennero bene mantenere il loro atteggiamento di condanna del populismo russoiano, del liberalismo cartesiano, del naturalismo massonico, dell’illuminismo anticristiano e del panteismo hegeliano. Quest’ultimo era lo svolgimento estremo dell’io cartesiano passato attraverso Fichte e Schelling. In Hegel l’io finisce per identificarsi con Dio.

Chi però intuì come nell’idealismo hegeliano sia vanificata la forza della realtà materiale nella vita umana a favore di una spiritualità che giustifica l’oppressione dell’uomo sull’uomo, fu Karl Marx, il quale, pur accettando la dialettica hegeliana, come fattore del divenire e della storia, sostituisce come principio del reale il materiale all’ideale, per cui non è la materia che dipende dall’idea ma è l’idea che dipende dalla materia.

Non c’è un Dio al di sopra dell’uomo, perché nulla è al di sopra dell’uomo: l’uomo è Dio per l’uomo. Come per Hegel, l’al di là dev’essere portato nell’al di qua, così per Marx occorre negare il Dio dell’al di là per affermare l’uomo nell’al di qua.   Se Hegel pareggia l’uomo con Dio, Marx nega Dio in nome dell’uomo. E come il negativo hegeliano produce il positivo, così per Marx l’oppresso mediante la rivoluzione si libera dell’oppressore. L’uomo alienato da sé nella società capitalistica, riconduce sé a sè con la rivoluzione e libera sè e l’intera umanità.

Il Beato Pio IX

Il magistero del Beato Pio IX risplende soprattutto per l’indizione del Concilio Vaticano I, che è una resa dei conti con tutte le correnti velenose del sec.XIX e nel contempo una splendida sintesi dei princìpi della ragione naturale e dell’apologetica necessaria per l’introduzione alla fede e alla difesa della fede, oltre che per la famosa proclamazione del dogma dell’infallibilità del ministero petrino nell’esercizio delle sue funzioni e dell’Immacolata nel 1854.

Nell’enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846 il Beato Pio IX colpì sia la massoneria che il neonato comunismo con le seguenti parole:

«Conoscete ancora, Venerabili Fratelli, altre mostruosità di errori ed altre frodi, con cui i figli del secolo acerbamente impugnano la divina autorità e le leggi della Chiesa, per conculcare insieme i diritti della potestà civile e di quella sacra. A questo mirano inique macchinazioni contro questa Romana Cattedra del Beatissimo Pietro, nella quale Cristo pose l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa. A questo mirano altresì quelle sette segrete che occultamente sorsero dalle tenebre per corrompere gli ordini civili e religiosi, e che dai Romani Pontefici Nostri Predecessori più volte furono condannate con lettere apostoliche [Clemens XII, Const. In eminenti; Benedict. XIV, Const. Providas; Pius VII, Const. Ecclesiam a Jesu; Leo XII, Const. Quo graviora] che Noi, con la pienezza della Nostra Potestà Apostolica, confermiamo e ordiniamo che siano diligentissimamente osservate.

Questo vogliono le scaltrissime società Bibliche mentre, rinnovando le vecchie arti degli eretici, senza badare a spese non si peritano di spargere fra gli uomini anche più rozzi i libri delle divine Scritture, volgarizzati contro le santissime regole della Chiesa e sovente corrotti con perverse spiegazioni, affinché, abbandonate la divina tradizione, la dottrina dei Padri e l’autorità della Chiesa cattolica, tutti interpretino la parola del Signore secondo il loro privato giudizio e, guastandone il senso, cadano in errori gravissimi.

Gregorio XVI di santa memoria, al quale seppure con minori meriti siamo succeduti, emulando gli esempi dei suoi Predecessori, con sua lettera apostolica riprovò tali società [Greg. XVI, Litt. Encycl. Inter praecipuas machinationes], e Noi parimenti le vogliamo condannate. Altrettanto diciamo di quel sistema che ripugna allo stesso lume della ragione naturale, che è l’indifferenza della Religione, con il quale costoro, tolta ogni distinzione fra virtù e vizio, fra verità ed errore, fra onestà e turpitudine, insegnano che qualsivoglia religione sia ugualmente buona per conseguire la salute eterna, come se fra la giustizia e le passioni, fra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial potesse mai essere accordo o comunanza.

Mira al medesimo fine la turpe cospirazione contro il sacro celibato dei Chierici, fomentata, oh che dolore!, anche da alcuni uomini di Chiesa, miseramente dimentichi della propria dignità, e cedevoli agli allettamenti della voluttà. A questo tende altresì la perversa istituzione di ammaestrare nelle discipline filosofiche, con le quali si corrompe l’incauta gioventù, propinandole il fiele del drago nel calice di Babilonia.

A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti di agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore.

Che diremo infine, per tralasciare molte altre cose a Voi notissime, del terribile contagio di tanti volumi e libercoli che volano da ogni parte ed insegnano a peccare, artificiosamente composti, pieni di fallacia, con immensa spesa disseminati per ogni luogo a divulgare pestifere dottrine, a depravare le menti e gli animi degli incauti con gravissimo detrimento della Religione? Da questa colluvie di errori e da questa sfrenata licenza di pensiero, di parole e di scritture, avviene poi che si peggiorino i costumi, che sia dispregiata la santissima Religione di Cristo e vituperata la maestà del culto divino, che sia travagliata la potestà di questa Sede Apostolica, combattuta e ridotta in turpe schiavitù l’autorità della Chiesa, conculcati i diritti dei Vescovi, violata la santità del matrimonio, scosso il governo d’ogni autorità, oltre tanti altri danni della società cristiana e civile, che insieme con Voi, Venerabili Fratelli, siamo costretti a lamentare».

Pio IX è il primo Papa che si rifiuta di impiegare le truppe pontificie per alleanze militari contro altre nazioni cristiane o non cristiane, ma unicamente per la difesa dello Stato pontificio. È il primo segnale di quella che sarà la rinuncia al potere temporale che si verificherà con i patti lateranensi del 1929.

Cristo, benchè fosse re d’Israele, fu soggetto al dominio romano e consentì a che la comunità degli apostoli amministrasse i beni necessari al suo sostentamento, ma non previde affatto che Pietro e i suoi successori fossero capi di Stato.  La diocesi di Roma, come qualunque altra diocesi del mondo, ha diritto al possesso di quei beni che sono necessari al suo sostentamento e al soccorso dei poveri, ma che il suo Vescovo debba essere capo di Stato è un’idea che è venuta in mente ai Papi accortisi di dover amministrare immensi territori donati lungo i secoli dai fedeli.

Ma quando a un certo punto l’Italia nel sec. XIX sentì la giusta esigenza di costituirsi ad entità statale, i Papi dopo lunghi decenni di esitazioni compresero con Pio XI nel 1929 che tutto sommato era meglio rinunciare al potere temporale conservando un piccolo territorio necessario al suo dignitoso sostentamento. Che poi nell’attività patriottica italiana si nascondesse lo zampino della massoneria, questo è anche vero, ma nessuno può negare la legittimità delle esigenze dei patrioti italiani.

La formazione dello Stato della Chiesa era sorta con l’elevazione del cristianesimo a religione di Stato fatta da Costantino, per cui al Papa cominciarono ad affluire donativi territoriali che si susseguirono nei secoli, fino a che lo Stato della Chiesa assunse le sue massime proporzioni nel sec. XVII, dopodiché le potenze circostanti influenzate dai nazionalismi e dalla massoneria, cominciarono a sgretolarlo fino alla sua totale dissoluzione nel 1870 con la costituzione dell’unità d’Italia sotto il regno di casa Savoia.

È logico che ogni diocesi, comunità religiosa o associazione laicale possegga i suoi beni, ma non è per nulla di diritto divino che il Vescovo di Roma o di qualunque altra città sia capo di Stato. Senonchè Pio IX, come tutti i Papi successivi fino a Pio XI ritennero in buona fede di avere questo diritto in base al fatto che si trattava di territori donati alla Chiesa dai fedeli nel corso dei secoli passati. Va bene, ma chi avrebbe impedito ai Papi di cedere ad altri questi beni mano a mano che affluivano, riservandosi lo stretto necessario? Un motivo che giustificava Lutero nella sua protesta era appunto l’attaccamento al potere temporale che si era manifestato nei Papi del Rinascimento da Innocenzo VIII, ad Alessandro VI, a Giulio II e Leone X.

Il modello pastorale dei Papi che seguirono il Concilio di Trento fu ovviamente la figura di pastore che usciva da questo Concilio. Tra queste figure risplende quella di San Pio V, autore della riforma del rito della Messa rimasto in vigore fino al 1969, anno dell’avvio del nuovo rito uscito dalla riforma promossa dal Concilio Vaticano II.

Quanto al concilio Vaticano I guidato dal Beato Pio IX, esso finalmente risolve una volta per tutte il tormentato rapporto fede-ragione che angosciava l’Europa da tre secoli a partire dalla riforma luterana definendo dogmaticamente la funzione della ragione e della fede e il loro reciproco rapporto.

Periodo particolarmente significativo, nel contempo, dell’azione dei Papi nei confronti della modernità è quello che affronta il problema della massoneria, la principale forza intellettuale emergente nel sec. XVIII. L’allarme contro la massoneria viene lanciato dal Papato pochi anni dopo il primo sorgere della Massoneria a Londra. Inizia Papa Clemente XII con la Costituzione apostolica In eminenti del 24 aprile 1738. Sarebbero seguìti altri interventi di Benedetto XIV del 1751, di Pio VII del 15 settembre 1821, di Leone XII del 15 marzo 1825, di Pio VIII del 21 maggio 1829, di Gregorio XVI del 1839, del Beato Pio IX più volte, fino all’enciclica di Leone XIII Humanum genus del 20 aprile 1884, specificamente dedicata alla massoneria, alla quale possiamo aggiungere, tra altri interventi, l’enciclica Inimica vis dell’8 dicembre 1892. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 nel condannare le associazioni che complottano contro la Chiesa, nomina espressamente al can.2335 la massoneria. Invece il nuovo Codice del 1983 parla genericamente di «associazioni che complottano contro la Chiesa» al can.1374, ma è chiaro che include in esse la massoneria.

Che cosa è infatti il complottare se non l’agire segretamente e proditoriamente in forma organizzata ricorrendo alla frode al fine di danneggiare qualcuno? E che cosa fa la massoneria contro la Chiesa se non questo? E che cosa fa programmaticamente e sistematicamente la massoneria, se non adoperarsi con mezzi politici, giuridici, istituzionali, propagandistici, dottrinali ed economici per impedire alla Chiesa il perseguimento dei suoi fini, per diffamare e toglierle la sua ragion d’essere, i suoi mezzi di azione e di sussistenza e quindi possibilmente la sua stessa esistenza fisica? Il proclamato rispetto del diritto alla libertà religiosa è solo una finzione, se poi di fatto si nega alla Chiesa il diritto e il dovere di essere la comunità di salvezza di tutta l’umanità.

L’ultimo intervento del Magistero della Chiesa è la Dichiarazione sulle associazioni massoniche della Congregazione per la Dottrina della Fede del 26 novembre 1983 la quale dichiara che

«i princìpi delle associazioni massoniche sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa Comunione».

Questa Dichiarazione non va naturalmente intesa nel senso che nelle dottrine massoniche non vi sia nulla che possa costituire un punto d’incontro per un dialogo e una collaborazione fra cattolici e massoni. Il giudizio complessivamente negativo dato dalla Chiesa su di un corpo di dottrine, qual è il caso della massoneria, non esclude la presenza in questo corpo di qualche elemento utilizzabile da chi ama la verità e il bene. Al cattolico non è lecito essere massone, ma non è per nulla proibito trovarsi accanto a un massone per un sia pur breve tratto  di  strada nella ricerca della verità e del bene. Se Papa Francesco ha ottenuto consensi dalla massoneria per aver citato nell’enciclica Fratelli tutti i princìpi della libertà, uguaglianza e fraternità, non staremo certamente a dire che il Papa si è compromesso con la massoneria.

Leone XIII

Il magistero di Leone XIII è ricchissimo, e traboccante di alta sapienza e acuto senso pastorale, considerando anche la lunga durata del suo pontificato. Esso abbraccia la cristologia, la costituzione della Chiesa in rapporto allo Stato, il tema della libertà cristiana, i doni dello Spirito Santo, la condanna della massoneria, la devozione del Santo Rosario, la dottrina della redenzione, l’elogio e la raccomandazione di San Tommaso d’Aquino come modello di teologo, l’etica sociale della Chiesa, il metodo dell’esegesi biblica.

Molto importante la sua enciclica sulla massoneria del 1884 Humanum genus, nella quale la massoneria viene definita nei termini più severi. Dice Leone:

«ai tempi nostri i partigiani della società malvagia, ispirati e aiutati da quella società che largamente diffusa e fortemente congegnata piglia il nome di società massonica, pare che tutti cospirino insieme e tentino le ultime prove. Imperocchè, senza più dissimulare i loro disegni, insorgono con estrema audacia contro la sovranità di Dio; lavorano pubblicamente e a viso aperto a rovina della Santa Chiesa, con proponimento di spogliare affatto, se fosse possibile, i popoli cristiani dei benefizi recati al mondo da Gesù Cristo Nostro Salvatore. …

Imperocché dalle non dubbie prove che abbiamo testé ricordate apparisce, supremo intendimento dei framassoni esser questo: distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale qual fu creato dal cristianesimo e pigliando forme e norme dal naturalismo, rifarlo a loro senno di pianta. …

Ora fondamentale principio dei naturalisti come il nome stesso lo dice è la sovranità e il magistero assoluto dell’umana natura e dell’umana ragione.  Quindi dei doveri verso Iddio o poco si curano o mal ne sentono. Negano affatto la divina rivelazione; non ammettono dogmi, non verità superiori all’intelligenza umana, non maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’ufficio da credere in coscienza. E poiché è privilegio singolare e unicamente proprio della Chiesa il possedere nella sua pienezza e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l’autorità del magistero e i mezzi soprannaturali dell’eterna salute, somma contro di lei è la rabbia e l’accanimento dei nemici. …

Con aprir le porte a persone di qualsiasi religione si ottiene il vantaggio di persuadere col fatto il grande errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti: via opportunissima ad annientare le religioni tutte e segnatamente la cattolica, che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre. …

Fatto sta che la setta lascia agli iniziati libertà grande di sostenere circa Dio le tesi che vogliono, affermandone o negandone l’esistenza; e gli audaci negatori vi hanno accesso non meno facile di quelli che, a guida dei panteisti, ammettono Iddio ma ne travisano il concetto; ciò che in sostanza riesce a ritenere della divina natura non so quale assurdo simulacro, distruggendone la realtà».

Questo fosco quadro fatto dal Papa, dove nulla si salva, riflette indubbiamente una situazione reale molto grave, soprattutto a quei tempi. Considerando tuttavia i princìpi massonici come sono esposti nelle famose Costituzioni di Anderson del 1723, come vedremo più avanti, è possibile notare anche aspetti positivi che di per sé consentono un dialogo, secondo la linea avviata dal Concilio Vaticano II.

San Pio X

Papa combattente fu anche San Pio X con la famosa enciclica Pascendi contro il modernismo, vasto tentativo di ammodernamento del pensiero cattolico alla luce del pensiero moderno, assunto purtroppo acriticamente, non cioè grazie a un vaglio fatto alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa, ma sotto l’influsso degli stessi errori della modernità, in particolare il fenomenismo kantiano, l’immanentismo protestante, la critica biblica razionalista, il sentimentalismo schleiermacheriano, la gnoseologia del subconscio sensista.

Pio X raccomanda la dottrina di San Tommaso nel motu proprio Doctoris Angelici del 29 giugno 1914. Il 27 luglio dello stesso anno approva le XXIV Tesi tomiste preparate dal Padre Guido Mattiussi, SJ come tesi fondamentali della dottrina di S.Tommaso alle quali far riferimento da parte dei docenti cattolici che intendono rendere ossequio alle direttive pontificie e del diritto canonico che prescrivono di basare il proprio insegnamento sui princìpi, il metodo e le tesi principali della dottrina dell’Aquinate.

Benedetto XV

Papa Benedetto XV si distingue per la promozione della teologia spirituale e i manuali scolastici di teologia per la formazione dei sacerdoti e per la guida delle anime. Anch’egli fu promotore degli studi tomistici come fattori di progresso teologico e mezzi per la confutazione degli errori. Egli pure promosse il retto metodo dell’interpretazione della Scrittura. Approvò il nuovo Codice di diritto canonico. Il can,1366, §2 ordina che i docenti devono «attenersi santamente al metodo, alla dottrina e ai princìpi» di San Tommaso».

Deplorò con sommo sdegno lo scoppio della prima guerra mondiale chiamandola un’inutile strage. Come a dire che non riconobbe in entrambe le parti in conflitto alcun motivo ragionevole per aver mosso guerra all’avversario. Egli pertanto non appoggiò nessuno dei due contendenti, ma condannò la scelta di entrambi, leggendo in essa certamente una volontà di sopraffazione e dominio sull’altro.

Quali furono le cause della guerra? Probabilmente l’eclisse dell’idea dell’Europa sostituita dall’emergere individualistico dei singoli Stati europei, ognuno assetato di affermare se stesso possibilmente sugli altri. Una vergogna per tutti, dopo 15 secoli di esistenza dell’Europa cristiana. Erano i frutti della diffusione dell’individualismo liberale e modernista, nel quale si dissolveva il falso universalismo illuministico e massonico.

Alla fine della guerra, per colmo delle sventure della sventurata Europa, avveniva la Rivoluzione russa ad opera del partito comunista, il movimento di massa che era riuscito, ancora più della Chiesa cattolica, lacerata dal modernismo, a raccogliere attorno alle vaste forze popolari contro il dispotismo zarista russo, in nome tuttavia non di un’autentica democrazia, ma dell’umanesimo ateo e materialista di Marx e di Lenin.

Si può forse restare stupiti del fatto che, traendo le conseguenze di questo giudizio negativo generale sulla guerra, dovremmo dedurre che il Papa non abbia approvato la guerra mossa dall’Italia all’Austria al fine di sottrarre al dominio dell’Austria i territori che l’Italia giudicava italiani alcuni territori occupati dagli Austriaci.

Pio XI

Papa combattente fu Pio XI, vissuto in un’Europa agitata da forze ancor più dirompenti di quelle che avevano scatenato la prima guerra mondiale e avrebbero preparato un’altra ancora peggiore, come aveva profetizzato la Madonna a Fatima proprio nel 1917, ancor prima dello scoppio della Rivoluzione russa. Questa nuova guerra sarebbe stata il frutto di un ulteriore avanzamento dell’orgoglio umano nato dal cogito cartesiano e dal soggettivismo luterano  nell’empio tentativo di strappare a Dio il fuoco divino per sostituirsi a Dio nel dar senso, gusto e potere alla propria vita: la libido e l’istinto di morte di Freud, la volontà di essere e l’essere-per-la-morte di Heidegger, la volontà di potenza di Nietzsche e la volontà che vuole se stessa di Hegel.

Importante documento di Pio XI è l’enciclica Studiorum ducem del 29 giugno 1923, con la quale presenta San Tommaso come guida negli studi teologici nominandolo Doctor Communis Ecclesiae.

Pio XI abbatté il mostro nazista con l’enciclica Mit brennender Sorge e il mostro comunista con l’enciclica Divini Redemptoris del 1937, ma seppe trattare col fascismo per ottenere la conciliazione fra lo Stato Italiano e la Chiesa nel 1929 e un concordato nel 1933 col regime nazista.

Pio XII

Pio XII iniziò il suo servizio petrino in coincidenza con l’inizio della seconda guerra mondiale, scatenata dalla volontà di potenza della Germania nazista, dove si raccolsero i potentissimi veleni che da tre secoli a partire da Lutero si erano andati via via accumulando col sorgere e lo sviluppo dell’idealismo tedesco.

Quale giudizio ha dato Pio XII sulla guerra? Poteva approvare l’alleanza dell’Italia con la Germania? Poteva approvare l’invasione dell’Europa da parte della Germania e i folli propositi di Hitler? Certo che no. Non c’era bisogno che lo dicesse. Si limitò a condannare la guerra in blocco mostrando quindi di dar torto ad ambo le parti in lotta.

Nel pieno della guerra pubblicò la stupenda enciclica Mystici corporis: una sublime lezione di convivenza umana nella pace e nella giustizia. Poteva usare parole più forti per condannare lo scatenamento dell’odio e le vie dell’amore e della pace? Dobbiamo pensare che abbia agito con prudenza. Ancora, nel 1947, la Mediator Dei poteva lanciare un messaggio più opportuno per indicare all’Europa distrutta la via della ricostruzione nel vero culto di Dio?

Sapeva che cosa i nazisti stavano facendo contro gli Ebrei soprattutto a partire dalla fine degli anni’30? Fin dal 1933 Edith Stein aveva informato Pio XI di che cosa  si stava preparando, ma non fu creduta. Le reali spaventose ed incredibili dimensioni della strage apocalittica si seppero solo dopo la fine della guerra.

Papa combattente fu Pio XII con l’enciclica Humani Generis del 1950, la quale colpisce tutti i principali errori del suo tempo sia in campo filosofico che in campo teologico, come la relativizzazione dei dogmi, l’esistenzialismo, il materialismo, l’immanentismo, l’idealismo, la riduzione della grazia alla natura, la negazione del peccato originale. Da ricordare, inoltre la scomunica comminata nel 1949 per coloro che aderiscono al partito comunista.

Splendida perla del pontificato di Pio XII fu la proclamazione del dogma dell’Assunta, apoteosi della femminilità, il cui valore sublime Pio XII non si stancò mai di esaltare propugnando per tutta la durata del suo pontificato a molte riprese, dal 1939 al 1958 la pari dignità di persona e di natura tra uomo e donna e la mutua complementarità tra uomo e donna, dottrina che mai nessun Papa aveva fino ad allora insegnato lasciando fino ad allora in circolazione la tesi antichissima della superiorità dell’uomo sulla donna.

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 giugno 2023

Pio IX è il primo Papa che si rifiuta di impiegare le truppe pontificie per alleanze militari contro altre nazioni cristiane o non cristiane, ma unicamente per la difesa dello Stato pontificio. È il primo segnale di quella che sarà la rinuncia al potere temporale che si verificherà con i patti lateranensi del 1929.

Quanto al concilio Vaticano I, guidato dal Beato Pio IX, esso finalmente risolve una volta per tutte il tormentato rapporto fede-ragione che angosciava l’Europa da tre secoli, a partire dalla riforma luterana, definendo dogmaticamente la funzione della ragione e della fede e il loro reciproco rapporto.

 Splendida perla del pontificato di Pio XII fu la proclamazione del dogma dell’Assunta, apoteosi della femminilità, il cui valore sublime Pio XII non si stancò mai di esaltare propugnando per tutta la durata del suo pontificato a molte riprese, dal 1939 al 1958 la pari dignità di persona e di natura tra uomo e donna e la mutua complementarità tra uomo e donna, dottrina che mai nessun Papa aveva fino ad allora insegnato lasciando fino ad allora in circolazione la tesi antichissima della superiorità dell’uomo sulla donna. 

Immagini da Internet: Pio IX e Pio XII

12 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    quanto lei dice di papa Benedetto XVI all'inizio di questa terza parte del suo articolo è estremamente interessante e suggestivo e, infatti, rivela le difficoltà che Ratzinger ha dovuto affrontare per comprendere la svolta pastorale (anche pastorale liturgica) data dal Concilio Vaticano II. Tale malinteso si manifestava già nei testi di Ratzinger subito dopo il Concilio (dai suoi tempi come Vescovo di Münich), malinteso che si può riassumere nella sua infelice espressione (da teologo privato, prima di diventare Papa) di "riforma della riforma", espressione che non ripeté più una volta salito al soglio pontificio. La sua incomprensione della svolta pastorale conciliare ha avuto il suo vertice nel motu proprio Summorum Pontificum.

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    1. Caro padre Cavalcoli,
      sono propenso a concordare pienamente con la sua analisi delle difficoltà di Ratzinger a comprendere la svolta pastorale del Concilio Vaticano II o, come dici lei, il progresso nella continuità. L'unica cosa che aggiungerei è una piccola sfumatura: sul fatto che la Liturgia non mi sembra essere considerata un aspetto separato, o un compartimento stagno, ma piuttosto che la Liturgia è alla radice del problema (penso infatti che lei stesso abbia affermato in qualche occasione che il primo e primordiale impulso riformatore del Vaticano II sia stato proprio la Liturgia). Se la liturgia è la "fons et culmen", di tutta la vita cristiana, e della vita della Chiesa, il problema non è solo una questione di "cerimonie" o "riti", vecchi o nuovi, ma piuttosto una "nuova" visione della Chiesa, di una migliore conoscenza della Chiesa e della vita cristiana, che, forse, Ratzinger (come teologo privato) non è riuscito a sistematizzare compiutamente in una teologia per Ratzinger proprio convincente.
      Mi piacciono molto le sue riflessioni.

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    2. Caro padre Cavalcoli, e signor Silvano,
      se mi permetti un piccolo contributo al dialogo:
      La chiarissima formulazione teorica del principio "riforma nella continuità", o "continuità nella riforma", da un lato, e, dall'altro, le misure di disciplina liturgica ordinate da Benedetto XVI, mi sembrano indicare, da un lato, l'altissima teologia di papa Ratzinger e, dall'altro, come dice padre Cavalcoli, il suo personale attaccamento al vetus ordo.
      Dal momento che siamo d'accordo sui concetti, e le parole possono aiutarci o impedirci di farlo, mi sembra che un modo utile di usare le parole sarebbe il seguente:
      Nel principio insegnato da Benedetto, "riforma nella continuità", l'idea di "riforma" si contrappone a quella di "rottura", ma non all'idea di "discontinuità". In altro modo: "continuità" e "discontinuità" sono complementari, perché ci sia una vera "riforma". In altre parole: la riforma nella continuità, rifiutando la rottura, non rifiuta, ma ha bisogno di qualche discontinuità, perché sia ​​riforma.

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    3. Caro Silvano,
      il suo intervento mi spinge a riflettere su qual è stato il progressismo di Ratzinger. Come ormai la cosa è nota e io ne ho parlato più volte nei miei articoli, ai tempi del Concilio egli fu uno stretto collaboratore di Rahner ed assieme dettero un contributo positivo soprattutto alla Costituzione Lumen Gentium e Dei Verbum.
      Senonché, finito il Concilio, Ratzinger si accorse che Rahner aveva una impostazione modernista, che egli voleva spacciare per rinnovamento conciliare.
      Ratzinger, cioè si accorse che le basi della teologia di Rahner non erano veramente cattoliche, ma si ispiravano ad Hegel e a Heidegger.
      Ratzinger, invece, era profondamente radicato nella teologia dei Santi Padri, per cui, finito il Concilio, Ratzinger prese le distanze da Rahner.
      Per quanto riguarda la Liturgia, Ratzinger era indubbiamente attaccato alla Liturgia preconciliare. Nello stesso tempo non ha potuto fare a meno, soprattutto da Papa, ad appoggiare il novus ordo. Però tutti sappiamo come egli abbia emanato il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum, che di fatto favorì un rafforzamento della tendenza lefevriana.
      Nello stesso tempo Papa Benedetto fu abile nel trattare con i lefevriani.
      Quale bilancio trarre da queste mie considerazioni? Che forse Benedetto non riuscì mai del tutto a conciliare il progresso con la continuità, nonostante che egli abbia proclamato con forza la necessità di un progresso nella continuità, tanto che io ho trovato motivo in questo spunto di scrivere addirittura un libro.

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    4. Caro Silvano,
      ho letto con molto interesse il suo giudizio circa l’atteggiamento di Ratzinger nei confronti del Concilio, sia come teologo e sia come Papa.
      Avrei piacere che lei mi chiarisse che cosa ha inteso dire con l’espressione: “piuttosto una "nuova" visione della Chiesa, di una migliore conoscenza della Chiesa e della vita cristiana, che, forse, Ratzinger (come teologo privato) non è riuscito a sistematizzare compiutamente in una teologia per Ratzinger proprio convincente”.

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    6. Caro Ross,
      la formula di Benedetto “progresso nella continuità” mi pare estremamente felice nella sua forte sinteticità e quindi molto utile per ritrarre in una formula brevissima la situazione di grande complessità che vede il confronto-scontro nella Chiesa tra lefevriani e modernisti.
      La formula mi sembra molto utile per ottenere una sintesi degli elementi positivi presenti negli uni e negli altri.
      La sostanza della problematica che si nasconde sotto questa formula è la necessità di conciliare il progresso dottrinale e morale promosso dal Concilio con la perennità tradizionale della dottrina della Chiesa.
      Introdurre la categoria della discontinuità può senz’altro avere un qualche valore, ma non mi sembra necessario e potrebbe anche distrarre dall’essenziale, che è contenuto già sufficientemente nella suddetta formula.
      Ad ogni modo, io non sono contrario ad usare questa categoria, nel senso che il Concilio ha effettivamente creato una certa discontinuità nei confronti di elementi precedenti, che essa ha abbandonato.
      Naturalmente si è trattato di elementi contingenti, che non fanno parte dell’essenza della Chiesa, che è rappresentata dalla categoria della continuità, ovverosia della perennità della dottrina e dell’immutabilità della morale.
      Un esempio che possiamo fare di questa discontinuità è stato il passaggio dal rito antico al rito nuovo.

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    7. Caro padre Cavalcoli,
      mi onori del suo interesse per i miei modesti apprezzamenti. Non sono un teologo, quindi sottopongo le mie opinioni alla sua dotta comprensione teologica.
      Non ho ancora letto le ultime due parti di questo articolo, quindi forse di ciò di cui mi occupo qui, l'hai già trattato lì. In ogni caso, mi limito a precisare quanto ho cercato di esprimere nel mio commento precedente. Lo dico molto brevemente:
      Una cosa è l'insegnamento di fede proposto dalla Chiesa, e un'altra è la sistematizzazione teologica. La prima è infallibile nel caso del Magistero pontificio, la seconda è di libera opinione (ovviamente nelle materie in cui il Magistero lascia liberi i teologi per il loro ufficio).
      Non ho dubbi che mentre Joseph Ratzinger era nell'esercizio del servizio petrino, l'insegnamento della fede sulla Chiesa (la dottrina della fede e del dogma) era più chiaro di qualsiasi uomo al mondo, proprio perché Dio gli ha concesso il carisma dell'infallibilità per questo. E questo vale per qualsiasi Romano Pontefice.
      Tuttavia, come uomo, come teologo privato, anche il Papa può optare per l'uno o l'altro sistema teologico per una comprensione razionale dell'insegnamento della fede (teologia = intellectus fidei).
      E nella sua personale sistematizzazione teologica, o, più semplicemente, nel suo personale modo di "intendere la fede", può optare per alcuni argomenti di carattere opinabile. E in questo il Papa non è infallibile. È infallibile quando insegna la fede, ma non quando si esprime con un certo argomento teologico (questo sarebbe solo pastorale, fallibile). Ad esempio, è chiaro che Papa Francesco sa meglio di chiunque altro che Cristo ha istituito il Sacramento dell'Ordine affinché sia ​​esercitato dagli uomini. Tuttavia, il suo modo di argomentare (con argomentazioni teologiche di convenienza) a sostegno di questo dato di fede, sono discutibili (per esempio, come si è ripetutamente espresso usando l'argomentazione del principio gerarchico e del principio materno nella Chiesa). Capisco che tali argomenti del Papa siano discutibili.
      A questo proposito, mi sembra chiaro che il Concilio Vaticano II ha assunto un grande sviluppo teologico sulla Chiesa, e il Concilio ha fatto proprio il lavoro ecclesiologico di molti decenni. Pertanto, il Concilio esprime una visione "nuova" della Chiesa (nuova nel senso dell'evoluzione omogenea del dogma). Ora, in questo "nuovo" insegnamento conciliare sulla Chiesa, cos'è che, nei documenti conciliari, appartiene all'insegnamento della fede, e cosa invece c'è solo a livello di argomentazione teologica?
      Passadisti come Pagliarani, De Mattei, Ureta, si sono scandalizzati di recente, perché il cardinale Arthur Roche, difendendo il Novus Ordo Missae, ha più volte affermato che «nel Concilio e nella nuova liturgia si esprime una nuova teologia sulla Chiesa».
      Penso che Roche abbia ragione. E che Pagliarani, De Mattei e Ureta (e tanti altri) non sanno distinguere tra insegnamento della fede e teologia (credo sia successa la stessa cosa a Lefebvre).
      Ora, se la liturgia è "fons et culmen totius vitae ecclesiae", allora mi sembra che una cosa sia accettare fiduciosamente il Novus Ordo Missae; e altra cosa è, al contrario, rimanere attaccati al Vetus Ordo, che presuppone una non ricezione (a livello di intellectus fidei) della "nuova" visione della Chiesa insegnata dal Concilio.

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    8. Caro padre Giovanni,
      accetto pienamente i suoi termini.
      Il mio contributo che il principio di "continuità nella riforma" insegna implicitamente che ogni "riforma" implica una certa "discontinuità", cerca di essere un semplice aiuto per coloro che ostinatamente non comprendono che per la "continuità" dell'immutabile è necessaria la "discontinuità" di quello che è contingente.
      Sono d'accordo con lei che il principio di Benedetto XVI "continuità nella riforma" è brillantemente chiaro; tuttavia, non possiamo chiedere a un principio teologico o dottrinale il potere di convertire un passatista, che vuole la continuità del totum sine riforma.
      È probabile che lei abbia già spiegato tutto questo in quel libro che citi, ma, come li ho già detto, in Argentina è impossibile importare i suoi libri. Qualche giorno fa mi sono lamentato di non poter accedere all'offerta della "Biblioteca Cavalcoli" fatta da Giovanni Zenone (potrei pagare il doppio del prezzo offerto!), ma purtroppo mi è impossibile farlo dall'Argentina.

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    9. Caro Silvano,
      uno dei grandi temi del Concilio è stato quello di approfondire il concetto di Chiesa. Fu San Paolo VI a dare al Concilio questo indirizzo.
      In tal modo possiamo dire che il Concilio ci ha presentato un nuovo volto della Chiesa, che naturalmente non intacca la sua immutabile essenza.
      Questa operazione del Concilio ha profondamente turbato i passatisti, i quali parlano allarmati di una “nuova Chiesa”, dando a questo aggettivo “nuovo” un senso negativo. Ciò testimonia della loro incapacità di apprezzare la novità in senso positivo, che ci viene presentata dal Concilio.
      In che consiste, brevemente, questo nuovo volto della Chiesa? Una Chiesa più misericordiosa, più intesa come “Popolo di Dio”, più attenta a quanto di buono c’è nella modernità, più docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, più desiderosa di illuminare il mondo moderno, più aperta al dialogo con le culture e le altre religioni, più desiderosa di raggiungere la riconciliazione con i fratelli separati, fautrice di una Liturgia che sia più aperta alla partecipazione da parte dei laici, uomini e donne, la proposta della figura di Maria come modello della Chiesa.
      Detto questo, potrei ricordare le importanti parole che Benedetto XVI disse ai lefevriani, e cioè che è lecito discutere alcuni punti della parte pastorale del Concilio, ma che devono accogliere le dottrine nuove del Concilio.

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    10. Caro Ross,
      concordo senz’altro con quanto lei dice.
      Ho telefonato a Zenone riguardo al suo desiderio di acquistare un mio libro. Mi ha detto che effettivamente la spedizione è molto costosa. Ad ogni modo, le chiede di scrivergli alla sua mail: giovanni.zenone@hotmail.com, così vi mettete d’accordo. Può eventualmente vedere se i libri sono disponibile come ebook, ciò faciliterebbe l’invio.

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    11. Caro padre Giovanni,
      li ringrazio per la sua cortese diligenza nel chiamare il sig. Zenone e per avermi fornito il suo indirizzo email.
      Sono passate due settimane da quando gli ho scritto, ma purtroppo non ho ricevuto risposta da lui.
      Comunque, grazie ancora per il disturbo che li sei preso.

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