In preparazione del Giubileo 2025 - Terza Parte (3/3)

 

In preparazione del Giubileo 2025

Terza Parte (3/3)

Siccome il Concilio di Nicea costituisce l’inizio del cammino fatto dalla Chiesa per chiarire il mistero della identità di Cristo, cammino che è proseguito con il Concilio di Efeso e si è concluso con il Concilio di Calcedonia, ho pensato di presentare ai Lettori anche gli insegnamenti di P. Tomas relativi a questi altri due Concili.

Papa Onorio fu eretico?

A complemento di Calcedonia, aggiungo una grave questione che si pose nel VII secolo, in occasione della discussione circa le due volontà di Cristo. Infatti se Cristo ha due nature, una umana e l’altra divina, è logico pensare che abbia due volontà: una umana e l’altra divina.

Senonché a quel periodo a Costantinopoli l’Imperatore simpatizzava per il monofisismo, per il quale Cristo è Dio, ma l’umanità è solo apparente. Al monofisismo corrispondeva il monotelismo, per il quale era la volontà umana di Cristo ad essere apparente, e in questa occasione avvenne la disavventura di Papa Onorio, il quale fu circonvenuto da Sergio, Patriarca di Costantinopoli, fautore del monotelismo.

Papa Onorio assunse una posizione che fu condannata dal Concilio Costantinopolitano III del 680, ma nel 682 Papa San Leone II lo scagionò dalla accusa di eresia, pur rimproverandone la condotta pastorale, infatti San Leone II dette di questo Concilio una interpretazione autorevole, che chiuse il caso a favore di Onorio.

Presento qui una breve esposizione del caso fatta dal Servo di Dio Padre Tomas Tyn, che non è stato uno storico della Chiesa, tuttavia con grande lucidità ci presenta come sono andate le cose.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 aprile 2024

 

Testo originale: Dattiloscritto di P.Tomas Tyn, OP

 

STORIA DEI CONCILI DI NICEA, DI EFESO E DI CALCEDONIA

 

Da: Fulbert Cayré, Patrologia e storia della teologia; trad. di T. Pellizzari, Roma, Desclée e Ci., 1936, Vol.I e II 

Collocazione nella Biblioteca del Convento di Bologna: BQ0099.C2936 in sala: Basil.

 

I numeri si riferiscono alle pagine della suddetta opera.

L’Autore riproduce passi del Cayré selezionandoli secondo un suo personale criterio.

 

 

Concilio di CALCEDONIA

 12

 A.       

La parola οὐσία (essentia), presa in senso stretto, designa l’essenza specifica, astratta, d’un essere qualunque. La si distingue perciò da φύσις (natura), che designa la natura individuale del soggetto. Quest’ultima parola tuttavia, la si riduce assai spesso come vedremo al senso di οὐσία. A proposito dell’umanità del Cristo, che è una realtà individuale e creata, i Padri parleranno piuttosto di natura, 13 mentre che, nel problema trinitario, adoperavano di preferenza il termine οὐσία, essenza o sostanza.

 

B.       

La parola φύσις (natura) ha un significato molto più complesso.

1.               Il suo primo senso naturale e diretto è quello di natura individuale concreta; è l’essenza realizzata negli esseri, nei quali esseri la si considera come principio delle operazioni.

2.               Pur tuttavia assai di frequente φύσις si ravvicina molto ad οὐσία: 

a.                Quando si parla di Dio, la cui natura è essenzialmente una. Anche nello studio della Trinità ... codeste due parole eran prese l’una per l’altra, si usavano cioè senza annettervi distinzione di significato, quantunque si adoperasse più volentieri il vocabolo οὐσία.

b.               Quando il termine φύσις designa la totalità degli individui della specie, piuttosto che questo o quell’individuo in particolare. In tal caso però φύσις non può assolutamente confondersi con οὐσία, che designa l’essenza o la specie come tale.

3.               Inoltre, φύσις prende anche qualche volta il senso di persona. Questi modi di esprimersi derivano e della imprecisione dell’idea di persona in molti Padri e dal punto di vista concreto sotto il quale essi Padri ... considerano la persona. Ma bisogna tenere presente che codesto senso si attribuisce a φύσις soltanto in materia cristologica, giammai nel campo della teologia trinitaria. Dopo le controversie ariane, la distin­zione in Dio delle persone o ipostasi era ormai un punto chiaramente definito e stabilito.

 

C.       

L’ipostasi, ὑπόστασις. Allorché si tratta d’ipostasi, la questione di parola si complica di una certa imprecisione di pensiero e l’una e l’altro, idest parola e pensiero, dipendono dal punto di vista che domina la speculazione orientale su tali argomenti.

1.     La persona è nella speculazione orientale ordinariamente considera­ta sotto il suo aspetto più concreto: essa è, come s’esprimono con ARISTOTELE gli SCOLASTICI, la prima sostanza: l’essere stesso che possiede tutti gli attributi della natura completa, ragionevole e autonoma.

Un tal 14 essere è come ben si vede più che un accidente: è una sostanza, ha una natura completa: è in un cotal senso una natura. Ogni persona è φύσις. Così il punto di vista concreto, da cui riguardan le cose delle quali ragioniamo induce logicamente i Padri Greci a mettere in rilievo tutto quel che ravvicina la persona alla natura, piuttosto che a distinguerla dalla medesima. Il termine ipostasi, ὑπόστασις, che originalmente significa sostanza, risponde bene a questa concezione realistica della persona.

2.     Dal momento che ogni ipostasi è physis, dovremo dedurne che dunque anche ogni physis sia un’ipostasi? LEONZIO DI BIZANZIO spiegò nel secolo VI che ogni physis non è hypostasis, ma che ogni physis ha un’ipostasi. Soltanto l’accidente è ἀνυπόστατος: ma tra l’anhypostatos e la hypostasis c’è posto per un termine medio: l’ἐνυπόστατος, o sostanza puramente individuale, che non ha esistenza propria, ma esiste in virtù di un’ipostasi o in un’ipostasi estranea. Queste distinzioni suppongono la nozione d’ipostasi astratta, ossia di quella sussistenza che è l’elemento formale e costitutivo della persona, idest l’esistenza in sè e di per sè (si potrebbe anche dire l’inseità) della natura completa.

 

15

 D.       

La parola πρώσοπον. In sede di teologia trinitaria, codesta parola è, dopo il IV secolo, sinonimo d’ipostasi o di persona. Anche in cristologia cotal parola significa sì, persona, ma con certe sfumature che bisogna ben precisare.

1.     Per gli alessandrini (San Cirillo e sua scuola), che insistono in materia cristologica sul concetto di persona sino al punto di rannodarvi 16 quello di natura (nei loro scritti ὑπόστασις  e φύσις possono tradursi con la formula persona sostanziale), prosopon è il più delle volte un sinonimo d’ipostasi e dentro certi limiti anche di φύσις. Questa parola non ha mai in San Cirillo il senso largo di personalità o di persona morale.

2.     Per gli antiocheni che hanno una tendenza diofisita assai accentuata, poichè essi insistono prima di tutto sul concetto di natura sino al punto di ridurre ad essa il concetto d’ipostasi (traduciamo qui φύσις e ὑπόστασις colla formula natura sostanziale), il vocabolo prosopon si contrappone a ipostasi e designa la persona che possiede la natura. D’altra parte questo concetto di persona più o meno legato al concetto di natura risulta assai debole ad Antiochia. Tuttavia i cattolici insistono nell’attribuire alla persona una vera realtà; ma i nestoriani concepiscono detta persona come puramente morale e accidentale. Il termine prosopon significa dunque per questi ultimi “personalità” nel senso lato, piuttosto che persona fisica: anzi, la parola prosopon non ha, forse, altro significato che di personalità nella formula prosopon fisico di Nestorio. A ogni modo, tale ne è il senso nella formula prosopon d’unione così cara all’eresiarca di Costantinopoli.

 

38

            SAN CIRILLO D’ALESSANDRIA. L’errore dei nestoriani stava proprio qui. Distinguendo soverchiamente l’uomo e Dio, non ammettendo tra l’uomo e Dio che un’unione morale e relativa, i nestoriani scindevano il Cristo. Non essendo l’umanità, secondo Nestorio, unita al Verbo che per un tenue legame, codesta umanità assumeva, per i nestoriani, un’autonomia che la elevava a dignità di persona. Ecco perché Cirillo proclama, nettamente e fortemente, contro di essi, che fra l’umanità e la divinità, c’è qualche cosa di ben più profondo d’un semplice ravvicinamento o d’una semplice connessione (συνάφεια), ma c’è una vera e sostanziale unione (ἕνωσις). E per sempre meglio specificare il realismo di siffatta unione, Cirillo la chiama unione nella ipostasi (secundum hypostasim, καθ᾿ὑπόστασις), non già perché egli supponga una ipostasi nuova, ma perché l’unione in parola si compie nella preesistente ipostasi del Verbo. Con una formula meno felice Cirillo chiama pure codesta unione unio secundum “naturam” (ἕνωσις κατά φύσιν oppure ἕνωσις φύσική), non perché ne sia risultata una nuova natura (natura - persona, φύσις), ma perchè l’umanità fu misteriosamente posseduta dal Verbo incarnato, in cui esiste un’unica φύσις (natura autonoma), quella di Dio. L’umanità del Salvatore, benché in sè e di per sè completissima, non è una φύσις nel senso stretto del vocabolo, il qual vocabolo importa, secondo Cirillo, l’autonomia, l’esistere da parte sua, per se, e quindi il carattere personale. Ecco perché il vescovo d’Alessandria ama spesso parlare dell’unica’ “natura” (μία φύσις) del Cristo. 

 

56

            EUTICHE (378-dopo454).

            Eutiche, nato circa il 378 e appena trentenne (408) archimandrita d’un gran convento di 300 monaci a Costantinopoli, era stato dopo il concilio di Efeso un deciso avversario dei nestoriani. Essendo nel 441 a Bizanzio pervenuto al potere l’eunuco Crisafio, figlioccio di Eutiche, quest’ultimo diventò onnipossente ed usò tutta la sua influenza con estrema vigoria contro tutto quel che fosse sospetto di nestorianismo. Disgraziatamente però Eutiche era un ingegno ottuso, manchevole d’ogni acutezza e d’ogni snellezza e, quel che è peggio, sprovvisto di soda cultura teologica. San Leone ebbe a giudicarlo imprudens et nimis imperitus (Ep.XXVIII, c.1). Eutiche se 57 la prese con le fornule cirilliane senza capirle, attenendosi alla lettera ed accusando d’eretico chiunque non ammettesse il medesimo letteralismo. Ci furono delle proteste. Il patriarca d’Antiochia lo denunziò all’imperatore nel 448, ma invano. Nel novembre però dello stesso anno il vescovo EUSEBIO di Dorilea avanzò un vero e proprio atto d’accusa contro Eutiche presentando codesto atto al vescovo di Costantinopoli, Flaviano, non che a sinodo permanente (una specie di consiglio di vescovi che sedeva in permanenza a Costantinopoli). Eutiche fu invitato a comparire. Ma il vecchio monaco (aveva ormai 70 anni) non si fece vivo che alla terza intimazione. Il categorico interrogatorio che egli subì può ridursi a due domande:

  1. Gesù Cristo era della medesima nostra sostanza? Eutiche rispose di no.
  2. C’erano in Gesù Cristo due nature? Risposta: Ce n’erano due prima dell’incarnazione, ma è dopo ce ne fu una sola.

Eutiche sostenne che tale era la dottrina dei Padri e rifiutò di condannarla. Fu scomunicato, deposto, interdetto: sentenza, codesta, forse troppo severa trattandosi di un vecchio il cui torto maggiore era l’ignoranza e la cocciutaggine: sentenza però che si spiega benissimo dato il timore che tali idee si diffondessero e contaminassero il patrimonio della fede, tanto più che il condannato ne aveva fatto e ne faceva aperta propaganda.

 

58

            SAN LEONE MAGNO (440 - sale al soglio pontificio 461).

… papa Leone voleva innanzitutto formule semplici e che non si parlasse intorno a problemi insolubili. Il caso di Eutiche doveva perciò dispiacergli di primo acchito. Chiese informazioni a Flaviano. Essendo stato il concilio convocato dall’Imperatore, Leone l’accettò, ma si diè cura di definir la fede cattolica in una Instructio dogmatica, molto ampia, diretta a Flaviano, consegnandola insieme ad altre lettere ai suoi legati in partenza per Efeso. Codesta instructio nota col nome di Tomo a Flaviano è “un documento dogmatico di prim’ordine, benché l’afflato teologico vi risulti molto più debole che nelle opere di San Cirillo e benché la speculazione propriamente detta non vi appaia … Tutto il dottrinale pontificio si riassume nella formula che finì per prevalere: una sola persona e due nature: il Cristo è una persona in due nature.

 

            DIOSCORO patriarca d’ALESSANDRIA sin dal 444, colui che aveva dalla corte l’ordine di presiedere il nuovo concilio di Efeso (449), si presentava ad esso come difensore della fede e delle formule di San Cirillo, ma era innanzi tutto preoccupato dall’idea d’umiliare, ancora una 59 volta, quella cattedra di Costantinopoli che dal 381 pretendeva di esser superiore alla cattedra alessandrina in Oriente. Coll’appoggio delle truppe cesaree e d’una banda di monaci fanatici armati di manganelli, Dioscoro impose le sue volontà ad un’assemblea di 135 vescovi addirittura terrorizzati. Senza far conto alcuno delle istruzioni pontificie, Dioscoro riabilitò 1’8 agosto Eutiche e il 22 depose parecchi vescovi: Eusebio di Dorilea, Teodoreto, Iba, Domno di Antiochia e specialmente Flaviano che morì dopo tre giorni a causa delle percosse ricevute. Ai legati non rimase altro scampo che la fuga recando seco le lettere d’appello delle vittime di quell’assemblea che papa Leone (Ep.95) qualificò del titolo di BRINGANTAGGIO DI EFESO (“latrocinium ephesinum”), titolo che i secoli sanzionarono. Le decisioni di tal concilio, per inique che fossero, furono approvate e mantenute in vigore da TEODOSIO II sino alla sua morte (450).

 

62

            MONOFISISMO. Il monofisismo puro è quello che pigliando alla lettera la parola physis (natura), insegna che nel Cristo c’è veramente unità di natura nella stretta accezione dei vocaboli, mentre il monofisismo mitigato tempera assai codesto insegnamento, almeno nei termini se non proprio nella sostanza, arrivando a ciò del resto per vie traverse, assai più politiche che non teologiche. La forma radicale del monofisismo è anche chiamata eutichianismo per quanto sia ben difficile conoscere il genuino pensiero d’Eutiche. Il monofisismo ci si presenta sotto 4 forme principali e sotto parecchie forme secondarie, più o meno derivate da quelle.

            Le forme principali sono quattro: la prima riguarda l’umanità, la seconda la divinità e la terza e la quarta si riferiscono all’unione di codesti due elementi in Gesù.

a.                Alcuni monofisiti insegnavano l'assorbimento dell’umanità da parte della divinità che sola sussiste come la goccia di miele viene assorbita dall'acqua del mare che la discioglie. Codesti eretici dovevano logicamente attribuire i dolori di Gesù alla natura divina, dovevano cioè essere teopaschiti assoluti perchè tal vocabolo è spesso adoperato per indicare in senso largo tutti i monofisiti a causa della formula qui crucifixus est pro nobis aggiunta al Trisagio[1].

b.               Altri insegnarono lo svanimento del Verbo nell'umanità, secondo la frase di San Paolo: Exinavit semetipsum, che traduce ἐκένοσεν ἑαυτόν dell'originale: è la dottrina detta della Kenosi. Tali teorie furono attribuite a Eutiche ed anche a certi apollinaristi.

63

c.                La forma classica del monofisismo è quella che ammette, in Gesù, la mischianza della divinità e dell'umanità, mischianza la cui risultanza è un composto divino-umano, una natura teandrica: nel Cristo cioè non esiste che una sola essenza, che una sua proprietà. Il più noto sostenitore di tal sistema è SERGIO IL DRAMMATICO, combattuto da SEVERO DI ANTIOCHIA nel VI secolo.

d.               La forma poi più sottile del monofisismo puro è quella che insegna la composizione in un tutto naturale, senza cioè mischianza, dell’umanità e della divinità, come due sostanze incomplete, l’anima il corpo, si uniscono per formar uomo, sostanza nuova completa con questa differenza però che nell'incarnazione il composto teandrico suppone che i due elementi sono e rimangono completi. Cotal dottrina, derivata dall’apollinarismo, fu per lungo tempo attribuita non senza parvenza di ragionevolezza ai principali corifei del monofisismo mitigato e specialmente ai severiani…

64

            IL MONOFISISMO A COSTANTINOPOLI. ... nel 482, Zenone, per vedere di riconciliarsi soprattutto gli avversari di Calcedonia, pubblicò un sedicente editto d'unione (ἑνωτικών, Enoticon), nel senso 65 della Contro-Enciclica di Basilisco (usurpatore predecessore di Zenone, protettore del monofisismo). “In codesto Enotico si anatematizzano Nestorio ed Eutiche e si afferma la umanità e la divinità di Gesù Cristo, ma si evita di usar la parola uno e la formula due nature: vi è poi un disgraziato inciso che condanna “chiunque abbia optato diversamente sia a Calcedonia che altrove”. In tal maniera lo stesso Concilio di Calcedonia veniva indirettamente ad essere colpito di condanna dall’Enotico, in cui del resto si dichiarava che la regola di fede consisteva unicamente nel simbolo niceno con le aggiunte apportatevi dal Concilio di Costantinopoli, nei dodici anatematismi di San Cirillo e nelle decisioni di Efeso”. Come ognun vede l’Enotico non conteneva nulla di espressamente eterodosso, ma rappresentava un vero e proprio abbandono di Calcedonia, abbandono pericolosissimo in quella tensione degli spiriti, tanto più che ad aggravarlo concorreva un'allusione perfidamente tendenziosa.

 

81

            LEONZIO DI NISANZIO (+542). Ai nestoriani Leonzio faceva notare che è bensì vero che il Verbo τέλειος (perfetto) ha preso una umanità completa, τελέια: ma che, se questi due elementi sono completi e perfetti considerati in se stessi, non sono poi considerati riguardo il Verbo incarnato, di cui costituiscono gli elementi che come parti incomplete alla stessa guisa del corpo e dell'anima riguardo all'uomo. Non c’è dunque in Cristo che una sola persona. L'umanità di Gesù, benché completa, non è l'ipostasi, ma soltanto una natura enipostasiata.

            Leonzio però ebbe specialmente di mira il monofisismo. L’ἐνυπόστατον respinge il concerto della natura-essenza specifica (astratta) che i severiani, a dispetto delle loro dichiarazioni, sembrano aver avuto piuttosto di mira come principio immediato delle proprietà umane riconosciute a Gesù. Se l’umanità di Cristo è detta enipostasiata, si afferma con ciò il suo carattere ben concreto e individuale: la si deve, a rigore di termini, chiamare natura, physis, e nulla ci vieta di considerarla, anche nella unione, indipendentemente dalla sua natura divina. Leonzio non rifugge dal dir, con i monofisiti, ex duobus naturis, il che si può intendere sia della formazione di Cristo mediante l'unione delle due nature, e sia dello stato di Cristo realmente formato che risulta composto “di due nature”, che cioè “sussiste in due nature” (in duabus naturis): la quale ultima formula calcedonese non deve essere esclusa dalla precedente, meno limpida sì, ma pure ortodossa. Invece la forma μία φύσις, che potrebbe a rigore spiegarsi nel senso di μία ὑπόστασις è molto insidiosa ed impropria; e Leonzio la tollera a malincuore.

 

318

            IL MONOTELISMO. Le iniziative di Giustiniano, lungi dal mettere fine alle opposizioni monofisite, avevano condotto ad una organizzazione sempre più salda e completa delle Chiese Giacobite in Siria ed in Egitto. Codeste cristianità si andavano facendo anzi così ostili a Bisanzio che regnando ERACLIO (610-641), allorché l’impero tremò sotto la minaccia dei Persiani e, dopo il 634, sotto quella degli Arabi, si poté temere che esse stringessero alleanza con i nemici. Per prevenir questo guaio il patriarca SERGIO (610-638), uomo di Stato più che di Chiesa, tentò di riamicarle all'impero presentando loro il cattolicesimo sotto una forma attenuata, una specie di mezzo termine tra il monofisismo eretico e il duofisismo cattolico: ecco qui monotelismo, dottrina che afferma un'unica volontà (o attività) in Nostro Signore Gesù Cristo. Laboriose e perseveranti manovre d'approccio, condotte dal 620 al 630 e coronate, nel 631, dalla promozione alla sede patriarcale di Antiochia 319 di Ciro devotissimo alle idee di SERGIO, approdarono finalmente, nel 633, ad una unione di tutto l'Egitto, unione che consistè nell'accettare dall'una e dall'altra parte un formulario di 9 anatematismi. Gli Armeni seguirono codesto esempio l'anno di poi (634).

            Ma sin dal 633 alcuni cattolici perspicaci protestavano contro le concessioni di Sergio e così venivano a riaprirsi sul terreno cristologico altre e nuove controversie le quali durarono un cinquantennio, fino cioè al VI Concilio del 680-681.

 

320

            CONTENUTI DOTTRINALI DEL MONOTELISMO.

 

            a)         Non sembra che i monoteliti basassero l’“operazione teandrica” di cui parlavano su una natura mista risultato di una mescolanza del divino e dell’umano (monofisismo rigido). Ma parecchi la intendevano nel senso che nel Cristo non c’era che un solo principio attivo, dinamico: il Verbo e la natura divina: l'umanità era più o meno inerte, senza vita propria, simile ad un semplice strumento, simile agli organi corporei che attingono tutta la loro energia dall'anima: le facoltà naturali di Gesù, incapaci di agire, erano come inesistenti, dato che pur rimanessero in re. Si chiamò, cotal dottrina, monenergismo, una specie di succedaneo del monofisismo. Non è impossibile che SERGIO stesso abbia dapprima adottata questa maniera di vedere; tuttavia la cosa non è certa a causa dell’imprecisione del vocabolo ἐνέργεια, che talvolta significa energia, principio attivo dell'operazione, e tal’altra assume piuttosto il senso d’ἐνεργεῖν, l'operazione in atto. A ogni modo, Sergio rinunciò ben presto, almeno apparentemente, a codesta formula per adottare un'altra anche più equivoca e perciò più favorevole ai suoi disegni.

            b)        E’ il termine volontà, θέλημα, la parola che risponde meglio all'esposto della questione che sin dal 634 il patriarca Sergio fece nella lettera al Papa Onorio. … 321

In quella lettera che codifica il monotelismo propriamente detto Sergio narra a modo suo l'origine della controversia, riassume la disputa con SOFRONIO e si sforza di guadagnare il Pontefice alla sua nuova tattica: il silenzio sulle due formule incriminate. Basterà dire: “Un solo e medesimo Figlio di Dio, Nostro Signore Gesù Cristo, opera le azioni divine e le azioni umane”. Quanto all'espressione “una energia”, che pur si trova nei Padri, bisogna evitarla, perché turba e stupisce: quanto poi alla formula “due energie”, essa è di nuovo conio, scandalizza e riesce pericolosa, perché lascia intendere che in Gesù esistessero due volontà contrarie, mentre invece la sua umanità perfettamente mossa (κινομένη), azionata e retta dal Verbo, si era appropriato il volere divino, la divina volontà del Verbo stesso (θέλημα θεῖον). Sergio infine dichiara ad Onorio che egli, pur essendo partigiano del silenzio, ha inviato all'Imperatore la lettera di Mennas a Papa Vigilio contenente la testimonianza dei Padri sull'unica energia e sull’unica volontà del Cristo.

 322

             LA CONDANNA.

             La riposta di Onorio fu quella di un uomo male informato e anche, perchè non dirlo?, poco chiaroveggente. In una prima lettera (certamente del 634) egli dichiara di approvare che si rinunci alle formule una o due operazioni e che s’insista sull’unità di persona da cui derivano le due categorie d’azioni, aggiungendo: “Noi confessiamo un’unica volontà del S.N.Gesù Cristo, perchè secondo ogni evidenza la divinità ha preso la nostra natura, ma non già il peccato che in essa natura si trova”. Quest'ultime parole dimostrano che il papa prevenuto da Sergio tiene ad escludere un'opposizione umana alla volontà divina ed è evidentemente in tal senso che egli approva senza alcuna riserva le proposizioni del patriarca.

… (La seconda lettera di Onorio a Sergio, del 635, afferma) daccapo la necessità d'evitare le formule incriminate, ma dichiarando anche esplicitamente di riconoscere l'operazione specifica di ciascuna delle due nature. Nonostante ciò il pontefice respinge la formula delle “due energie” dipintagli dall'astuto Sergio, così pericolosa.

 

323

            … Papa Onorio, con quel suo atteggiamento presta, sia pur non volendolo e pur rimanendo nella piena ortodossia … armi ed argomenti all’eresia. Ecco come si spiegano, almeno parzialmente, le severità del Concilio del 680.

… quando vennero lette nella XIII sessione le epistole di Onorio a Sergio, il Concilio condannò anche quel pontefice in questi termini: “Noi siamo d’avviso di dover bandire dalla santa 324 Chiesa di Dio e di anatematizzare non solo costoro (cioè gli eretici Sergio, Ciro ecc.), ma con essi ugualmente Onorio, già papa dell'antica Roma, perchè noi abbiamo trovato nelle lettere da lui inviate a Sergio che egli seguì in tutto l’opinione del detto Sergio e che sanzionò gli empi insegnamenti del patriarca medesimo (MANSI, Conc. XI, col.556).

 359

            S.GIOVANNI DAMASCENO. IL DOTTORE DELL'INCARNAZIONE.

 

Le conclusioni di S.Giovanni sono le seguenti:

 

a.               adorazione dovuta all'umanità di Gesù Cristo, considerata non già separatamente dal Verbo, ma unita al Verbo ipostaticamente;

b.               filiazione divina di Gesù, dato che il nome di Figlio designa una relazione della Persona: filiazione che, si badi, esclude in Gesù la relazione di servo rispetto al Padre;

c.               communicatio idiomatum di cui il nostro espone le regole e giustifica l'uso;

d.               competenetrazione reciproca delle nature unite, περιχώρεσις, divinizzazione (θείωσις) dell’umanità per opera della divinità, divinizzazione che importa non già una trasformazione sostanziale dell’umanità, ma una comunicazione nel massimo grado possibile dei doni, dei privilegi, della potenza d'azione e d’operazione della divinità: si tratta insomma di una partecipazione all’energia divina;

e.               assenza 360 d'ogni ignoranza in Gesù: il progredire della sua sapienza fu semplicemente apparente. La perfezione stessa dell'umanità esclude parimenti tutto ciò che, nelle passioni umane e nelle umane sofferenze, è incompatibile con detta perfezione: nessuna dunque passione malvagia in Gesù; ma subordinazione assoluta della parte inferiore alla volontà: impossibilità per il corpo, d’altronde passibile, d’esser tocco dalla sofferenza fino al punto di subire una corruzione contraria alla sua dignità;

f.                finalmente, dualità di operazioni e di volontà.

 

Testo originale: Dattiloscritto di P. Tomas Tyn

Riveduto da P. Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 25 marzo 2010

 


 
 
 
 
 
 
Immagine da Internet:
Quarto Concilio Ecumenico di Calcedonia del 451, Vasilij Ivanovič Surikov, olio su tela, 1876 
 
 
 
 
 
 
 
 

[1] Il Trisagio è la trina ripetizione della parola “santo” pronunciata dagli angeli nell’Apocalisse e che si ritrova nella liturgia della Messa, quindi praticamente è un riferimento alla SS.Trinità. L’aggiunta della “crocifissione”, veniva quindi a sottintendere che il Figlio come tale era stato crocifisso, trascurando il fatto che invece la crocifissione non riguarda la divinità di Cristo ma la sua umanità.

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