La
conversione a Cristo
Ai confini del mondo si diffonde
la loro parola
Sal 19,5
Significato
religioso del vocabolo
La parola
«conversione» e il verbo annesso «convertirsi» sono molto frequenti nella
predicazione cattolica. Assai meno usata è la parola «convertire», anzi
potremmo dire che spesso non è vista di buon occhio. Tutti, almeno a parole,
conoscono il dovere di convertirsi; ma è disapprovata da alcuni la volontà di
convertire gli altri o di stimolare gli altri alla conversione, benché la cosa
sia formalmente comandata dal Vangelo, soprattutto se si tratta di esortare gli
altri a convertirsi al cattolicesimo.
I termini greci metànoia, metanoèo usati
del Nuovo Testamento significano due cose: cambiare
pensiero e pentirsi, ossia un
mutamento del pensiero e del volere dal peccato alla giustizia, dall’errore
alla verità. L’invito evangelico fatto al prossimo di convertirsi è un invito
al pentimento dei propri peccati e allo abbandono dei propri errori per
ottenere il perdono divino, per giungere alla pienezza della verità posseduta
dalla sola Chiesa cattolica.
La Vulgata
rende i termini greci col latino paenitere
e più raramente con convertere. Nella
traduzione italiana scompare quasi del tutto il pentirsi e prevale nettamente
il convertirsi. La conseguenza di queste diverse traduzioni è il rischio di
perdere di vista il nesso fra conversione e penitenza, che, per quanto simili,
non sono la stessa cosa: la penitenza è funzionale alla conversione. Ci si
pente della vita passata, insoddisfacente o sbagliata, perché si è scoperto il
valore di un’altra vita, quella vera o quanto meno migliore, alla quale si
decide di convertirsi.
Il testo greco e latino nell’accentuare il
pentimento, rischiano di lasciare in ombra la conversione; viceversa, la
traduzione italiana con «conversione» rischia di mettere in ombra il
pentimento. Ma ciò vuol dire solo che
pentimento e conversione sono inscindibili. Esortare alla conversione vuol dire
esortare al pentimento e viceversa.
Che cosa è
propriamente la conversione?
Il Vangelo comanda certamente di convertirsi,
ma anche di lavorare o di adoperarsi per convertire gli altri e per ottenere
che gli altri si convertano a Cristo. Ma che cosa intende esattamente il
Vangelo con le parole conversione, convertire, convertirsi? Convertire comporta
un complemento oggetto più un dativo : convertire qualcuno a qualcosa. Convertirsi
è un riflessivo: convertire se stesso. Non si tratta di un semplice qualunque
cambiamento di idee o di convinzioni religiose, come sarebbe la conversione da
una fede religiosa ad un’altra, ma si tratta della conversione a Cristo, al
Vangelo, alla giustizia, alla Chiesa.
Si tratta di un profondo mutamento interiore,
che poi sfocia nella condotta esterna, mutamento concernente l’orientamento di fondo
della propria vita o la concezione stessa del fine ultimo della propria
esistenza, e di conseguenza del codice etico che da quel mutamento discende,
per cui il soggetto, il convertito, muta abitudini, frequentazioni, attività, relazioni
sociali, amicizie, interessi, prospettive, speranze, per conformare tutto alla sua
nuova visione dell’esistenza e della vita.
Per la Scrittura non è propriamente
conversione quella che avviene col passaggio dal vero al falso, dalla fede
all’incredulità, dal bene al male, dalla virtù al vizio, dalla grazia al peccato,
o dal meglio al peggio. Questo mutamento, per la Scrittura è piuttosto tradimento
o apostasia o infedeltà. Quella che Lutero ha chiama la sua «scoperta del
Vangelo» non è stata certamente una conversione, ma è stata una ribellione. La
conversione, quindi, non è dal cristianesimo al paganesimo o all’idolatria o
all’eresia, ma è l’inverso. Così la conversione dei popoli per la quale opera
Chiesa cattolica, è ovviamente la conversione alla Chiesa cattolica.
Convertire a Cristo vuol dire fare in modo,
con la predicazione e la testimonianza, assistiti dallo Spirito Santo e
fornendo prove persuasive di credibilità, con mezzi limpidi e onesti,
discernimento, carità, umiltà, coraggio perseveranza e pazienza, che il
non-cattolico volentieri, liberamente e responsabilmente abbandoni le
precedenti idee o abitudini sbagliate o peccaminose, per abbracciare, con
sincerità e spirito di penitenza, la verità e la morale del Vangelo, col fermo
proposito di metterla in pratica anche a costo della vita nella comunione con
la Chiesa cattolica.
La conversione è un passaggio dell’anima dal
peccato alla giustizia. Equivale al processo della giustificazione. Un’opera di
tale momento richiede certo il concorso delle energie umane nel promotore come
nell’agente della conversione, ma nella sua grandezza questa opera non può che
essere l’effetto della misericordia divina.
La conversione è un fenomeno molto complesso
e misterioso, che varia da individuo a individuo, benché il Vangelo offra uno
schema paradigmatico, qual è quello del figliol prodigo. È soprattutto un fatto
interiore, nel quale l’anima ha un dialogo con Dio o con la propria coscienza,
dialogo che può protrarsi a lungo, a volte drammatico e lacerante, per il
dovere che a volte s’impone, di abbandonare relazioni o vizi inveterati e ai
quali si è affezionati.
Convertirsi, per il Vangelo, è un vero e proprio
dovere (Mt 3,2; 4,17; Mc 1,15), è un ordine dato a tutti dagli apostoli al
seguito di Cristo e per conseguenza è un dovere ingiunto dal convertito agli
altri di convertirsi (At 20,21). Può convertire chi a sua volta è convertito,
come Pietro dopo il pentimento: «Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli» (Lc 22,32).
L’ordine di convertirsi è implicito nel
comando che Cristo fa agli apostoli di seguirlo (Mc 1,17; Lc 18,23). Ebbene,
sull’esempio di Cristo ogni cristiano può ordinare agli altri di seguirlo, cioè
di convertirsi, così come una buona guida di montagna ordina all’inesperto
turista di seguirlo in una difficile camminata per non precipitare nel burrone.
La dottrina
del Magistero della Chiesa
Per incentivare, organizzare ed incoraggiare
tale attività fondamentale di ogni credente in Cristo, soprattutto se pastore o
predicatore, Papa Gregorio XV nel 1622 istituì la Sacra Congregazione De Propaganda Fide, in conformità al
rilancio dell’attività missionaria promossa dal Concilio di Trento, come
rimedio all’indebolimento e falsificazione di detta attività causati dal
luteranesimo. Il titolo della Congregazione allude al dovere di ciascuno di diffondere la fede, il che è come dire
il dovere di convertire i non-credenti e i peccatori. Lo stesso principio verrà
ribadito dal Concilio Vaticano II nel decreto Ad Gentes (n. 5).
L’istituto voluto da Papa Gregorio ottenne
poco nel ricondurre i luterani al cattolicesimo; dette invece ottimi risultati allargando i confini
geografici della Chiesa a nuovi immensi territori,
come la Cina, il Viet Nam, il Giappone e le Americhe, soprattutto per opera dei
missionari domenicani, gesuiti e francescani, che sigillando in molti casi col martirio
la testimonianza del Vangelo, aumentarono meravigliosamente il numero dei
cattolici.
Nel 1967 S.Paolo VI, in ottemperanza alle direttive
del Concilio Vaticano II, sostituì il precedente organismo istituito da
Gregorio XV con la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. L’accento, come
appare da un confronto fra i titoli delle due Congregazioni, non era posto
tanto sulla diffusione della fede, quanto piuttosto sul semplice annuncio del Vangelo.
L’impressione che si poteva trarre da tale
denominazione era che, mentre il missionario in precedenza doveva curare a che
l’evangelizzato, dopo aver raggiunto la fede («propaganda fide») mettesse in
pratica la fede, adesso sembra che il missionario abbia esaurito il suo compito
nel semplice annuncio del Vangelo, lasciando al destinatario del messaggio la
libertà di credere o non credere e quindi tanto più di mettere o non mettere in
pratica la fede. Col nuovo organismo creato da Paolo VI si ha dunque l’impressione
che l’attività missionaria sia rimasta dimezzata.
Alcuni purtroppo hanno interpretato in tal
modo la volontà del Papa, il cui nome «Paolo» già da solo avrebbe dovuto far
mettere in dubbio l’esattezza della comoda interpretazione da scansafatiche.
Ciò che però poteva favorire questa interpretazione erano i due documenti Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e
Dignitatis humanae, sulla libertà
religiosa, il primo che sembrava ridurre
tutto il rapporto con i non-cattolici al semplice «dialogo», il secondo che
dava l’impressione che i non-cattolici, che già possedevano secondo coscienza
concetti cristiani oggettivamente sbagliati, non devono essere disturbati nella
loro convinzione, perché anche così essi si salvano. Da questa lettura
sbagliata dei due documenti è sorta oggi in alcuni la convinzione che i
cattolici non devono operare per convincere i non-cattolici a farsi
cattolici, ma devono lasciarli nelle
loro idee, perché si salvano lo stesso.
Bisogna dire allora con chiarezza che la mente
di S.Paolo VI nel istituire la nuova Congregazione non è stata affatto quella di
smentire la volontà di Cristo risorto –
ci mancherebbe! –, espressa nelle famose solenni parole pronunciate al
congedarsi dagli apostoli: «fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a
osservare tutte quante le cose che vi ho comandate» (Mt 28, 19-20).
Difatti l’Ad
Gentes ribadisce chiaramente il dovere della Chiesa di convertire i popoli
a Cristo (n.5), e dimostra il nesso fra evangelizzazione e conversione: quella
è finalizzata a questa. Dice il Concilio:
«Dovunque
Dio apre una porta della parola per parlare del mistero di Cristo, a tutti gli
uomini con franchezza e con fermezza deve essere annunziato il Dio vivo e Colui
che Egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo, affinchè i non cristiani,
a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, credendo si convertano liberamente al
Signore e sinceramente aderiscano a Lui, che, essendo “la via, la verità e la vita”
(Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi infinitamente le
supera» (n.13).
Perché, allora – uno potrebbe chiedersi –
mutare l’istituto glorioso di Gregorio XV? Perché – sono cose ormai note –
nella sua messa in pratica si erano verificati difetti derivanti da un certo
colonialismo, da spirito di competizione fra missionari e da una mancanza di
rispetto per le culture locali. Ma il dovere di convertire non fu affatto messo
in discussione, come appare sin dalle prime righe del decreto conciliare Ad Gentes, al quale la riforma paolina
si ispira, laddove viene citato S.Agostino, il quale ricorda come gli apostoli
«predicarono la parola di verità e generarono
le Chiese». Che vuol dire «generarono» se non che convertirono i popoli?
Evangelizzazione
e conversione
Non basta
evangelizzare, ma occorre convertire, cioè non basta far conoscere il Vangelo, ma
bisogna aver cura con generosità, fatica e spirito di sacrificio, che l’evangelizzato
sia convinto di ciò che ha sentito e metta in pratica ciò ha imparato. Il
missionario non è un semplice maestro di scuola, al quale basta aver fatto lezione;
ma deve verificare che il discepolo abbia ben
capito e sia certo della verità di
ciò che ha imparato; dev’essere un educatore
e padre, che si preoccupa che il figlio
metta in pratica ciò che ha imparato
a scuola. E se poi proprio il figlio non ne vuol sapere, pazienza, «scuota la
polvere dai suoi piedi» (Mt 10,14). Ma intanto faccia quello che può.
Così pure bisogna certamente iniziare l’opera
missionaria con una testimonianza di
solidarietà umana, per rendersi credibili e suscitare attenzione e fiducia. Ma
occorre anzitutto saper cogliere e mettere in luce i bisogni spirituali, morali
e religiosi degli evangelizzandi, in modo che l’anima sia nutrita insieme col corpo.
Il missionario deve saper attirare le coscienze come uomo di Dio e non come benefattore sociale, se già c’è chi si
occupa di queste cose.
Convertire vuol dire allontanare un peccatore
dal pericolo di perdizione e instradarlo sulla via della salvezza. Occorre
allora mostrare all’ascoltatore di che cosa deve pentirsi. Ed occorre
mostrargli la bellezza dell’ideale evangelico, del quale non avrà da pentirsi.
Occorre invogliare il peccatore a lasciare il peccato e ad incamminarsi sulla
via del Vangelo. Occorre istillargli odio per il peccato ed amore per le virtù
evangeliche. Occorre guidarlo e stimolarlo sulla via della conversione. Occorre
mostrargli gli errori nei quali è caduto e il modo di liberarsene. Occorre
sostenerlo nel suo sforzo per far morire l’uomo vecchio e far nascere l’uomo
nuovo. Occorre illuminare, assistere, incitare, confortare, consolare, accompagnare,
correggere, sostenere la speranza, pazientare, saper attendere i frutti.
Non si può convertire uno alla fede come se
si trattasse di un obbiettivo semplicemente umano. Possiamo certo proporci di
convertire un amico, ma dobbiamo ricordarci quanto è misterioso il processo
della conversione, quanto misteriosi sono i suoi princìpi, i fattori
determinanti, i suoi tempi, il suo dinamismo, perché qui c’è la congiunzione di
due misteri: il mistero dell’azione della grazia e il mistero delle scelte del
cuore di ciascuno di noi.
È vero che Gesù ci fa «pescatori di uomini»
(Mt 4,19), per cui la cosa sembrerebbe molto semplice. Ma il pescatore, qui,
agisce mosso dallo Spirito Santo e non per calcoli e con metodi semplicemente
umani. Ed anche il pesce abbocca perché mosso dallo Spirito Santo. E se lo
Spirito non soffia, c’è poco da fare.
Dio concede a pochi Santi il dono di operare
conversioni, come per esempio a S.Paolo, a S.Bonifacio, a S.Cirillo e S.Medodio, a S.Francesco, a S.Domenico, a S.Caterna da Siena, S.Vincenzo Ferrer, a S.Ignazio di Loyola, a
Matteo Ricci, a S.Francesco Saverio, a S.Francesco di Sales, a S.Giosafat, a
S.Paolo Miki, al Beato Marco d’Aviano, a S.Pio da Pietrelcina, a S.Giovanni
Paolo II.
Famosa è rimasta l’immagine di un cagnolino
con una fiaccola accesa tra i denti, che corre per il mondo incendiandolo col
fuoco dello Spirito, immagine simbolica che la madre di S.Domenico, incinta di lui
vide in sogno. Un Beato Charles de Foucauld sognò per tutta la vita di
convertire qualche musulmano, ma non ci riuscì. Martirizzato dai musulmani, 30
anni dopo la sua morte sorse l’istituto dei Piccoli Fratelli di Charles de
Foucauld.
La conversione può essere stimolata od occasionata
da eventi o incontri esterni, come S.Ambrogio per S.Agostino, S.Teresa d’Avila
per Edith Stein, Padre Radente per il Beato Bartolo Longo, un miracolo di
Lourdes per Alexis Carrel, Léon Bloy per Jacques et Raissa Maritain; ma più
spesso sorge da esperienze interiori, come è successo a S.Paolo o al
Card.Newman.
La conversione ha tanti gradi e tante forme e
non è sempre autentica: esistono mezze conversioni, conversioni finte, di
convenienza, interessate, simoniache trafficate, carpite, effetti di quello che
spregiativamente il Papa chiama «proselitismo», che dice imbonimento, clericalismo,
illusione, inganno, mezzi disonesti, fini commerciali o terreni, plagio.
Il vero convertire vuol dire salvare, essere «luce
del mondo e sale della terra» (Mt 5,13), «illuminare coloro che sono nelle tenebre
e nell’ombra della morte» (Lc 1,79). Ma per convertire gli altri non è sempre
necessaria un’azione missionaria, più spesso basta la semplice testimonianza
silenziosa ma sincera, come per esempio quella degli eremiti o di certe persone
semplici del popolo, anche giovani o fanciulli, per mezzo delle quali lo
Spirito Santo agisce anche se non se ne accorgono.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 9 febbraio 2020
Gentile Padre Cavalcoli,grazie per questo splendido articolo, ma ora le chiedo un chiarimento. Lessi una volta che Madre Teresa di Calcutta, a un poveretto che lei aveva raccolto sporco e morente e che le chiedeva se ci sarebbe stata salvezza per lui che era un indù di bassa casta, rispose: "Basta che tu sia un buon indù". Ho interpretato questa risposta come un invito a osservare la legge naturale, dato che in quelle condizioni sarebbe stato difficile parlare di Cristo a un pover'uomo probabilmente analfabeta. Lei che ne pensa? La ringrazio e la saluto con molta cordialità.
RispondiEliminaCara Carla, le parole di Madre Teresa sono evidentemente da interpretare nel senso che quel poveretto era tenuto ad accogliere quanto di buono c'è nell'induismo, in base alla legge naturale. In questi caso, come ha insegnato il Beato Pio IX, il soggetto, supposto in buona fede, riceve la grazia della salvezza, perchè la salvezza non è legata solo ai sacramenti.
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