Secondo natura e contro natura - Il problema delle unioni omosessuali in un recente documento della Chiesa

 

Secondo natura e contro natura

Il problema delle unioni omosessuali

in un recente documento della Chiesa

 Dio benedice la sessualità umana

                                                                                                       Maschio e femmina li creò

                                                                                                               Gen 1,27

La Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della fede[1] è un documento sostanzialmente pastorale, che però mette in gioco, ribadisce e chiarisce verità di fede concernenti la volontà di Dio nei confronti della sessualità umana e quindi la concezione cristiana dell’uomo con particolare riferimento alla dignità della sessualità così come risulta dal piano divino protologico-genesiaco, redentivo-salvifico ed escatologico-glorifico.

Sulla base di questi presupposti dottrinali, il documento impartisce istruzioni circa la condotta che il sacerdote deve tenere nei riguardi di coppie di divorziati risposati od omosessuali che dovessero chiedere di essere benedette. Al fine di ovviare a questa richiesta, che potrebbe essere basata su di un equivoco o non avere una retta intenzione o supporre un concetto errato di benedizione, la Dichiarazione tratta a lungo in forma dottrinale del sacramentale della benedizione con un’ampiezza mai in precedenza verificatasi nel Magistero della Chiesa.

Essa mette in luce una importante nozione biblica, un contenuto della rivelazione cristiana, una pratica antichissima, in uso, seppur difettoso, anche presso altre religioni, una pratica ancor oggi diffusissima, la cui origine, essenza, efficacia e scopo fino ad ora non erano mai stati presi in sufficiente considerazione da parte della teologia sacramentaria e dalla liturgia.

La Dichiarazione spiega che la benedizione, così come risulta dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, nella costante prassi della Chiesa, è un atto di culto divino e nel contempo di carità fraterna, col quale il sacerdote o il ministro o il superiore in forza di una grazia o di un potere che gli sono concessi da Dio,  comunica al benedicendo una grazia speciale illuminante, consolante, santificante, purificante e corroborante, la cui efficacia non dipende dall’opera operata (ex opere operato), cioè dall’energia soprannaturale intrinseca al gesto compiuto, che in tal caso è un sacramento, ma dipende dalla fede, dalla retta intenzione e dalla buona volontà del soggetto ricevente ed operante in grazia (ex opere operantis). Quanto al benedicente, egli compie un gesto accompagnato da parole che comunica al benedicendo una grazia atta ad aumentare quella che già si possiede.

La benedizione, per la Scrittura, è anzitutto un atto proprio di Dio. Infatti la benedizione divina è un beneficio divino, è un dono o una grazia, cose che solo Dio può fare. Per la Bibbia, esser benedetto da Dio è una cosa molto concreta: generar figli, acquistare ricchezze, salute, fama, gloria, potere, benessere, felicità.

E la benedizione impartita dal sacerdote, dal profeta, dal padre o dall’uomo di Dio ha effetti simili, benché ovviamente di portata inferiore. Così corrispettivamente il contrario della benedizione, ossia la maledizione cagiona miseria, castighi, patimenti e sventure. Così Cristo in Mt 25 benedice gli eletti e maledice i reprobi.

Non deve quindi trarci in inganno la derivazione etimologica della parola bene-dire, «dire del bene», «dire bene di qualcuno», che ha in greco l’equivalente eu-loghìa. Il benedire divino non è un semplice parlare, dichiarare o augurare, non è il semplice pronunciare una formula verbale, sebbene la Parola di Dio è già realtà sostanziale, è entità, azione o fatto concreti e non semplice segno di un concetto, come per la nostra parola.

Infatti l’etimologia ebraica di benedizione, berakà, è berèk, che è il ginocchio. Che c’entra il ginocchio? Perché, chi desidera essere benedetto deve inginocchiarsi davanti al benedicente per ricevere la benedizione, così come ci si inginocchia davanti a Dio, giacchè il benedicente, col benedire, compie un gesto divino, è ministro del benedire divino, poiché per la Scrittura il benedire è un fare, un donare, un produrre, il concedere una grazia o una forza o una virtù o una facoltà o un potere, è l’elargire un dono prezioso, un creare, che spetta solo a Dio o innanzitutto a Dio. Per questo il celebrante, al termine di certe Messe solenni, dice: «inchinatevi per la benedizione».

La Scrittura prevede poi una benedizione discendente e una benedizione ascendente: quella discendente è la benedizione in senso forte, originario, produttivo, che proviene da Dio e che Dio dona o direttamente o per mezzo di suoi ministri.

La benedizione ascendente è il rendimento di grazie, l’«eucaristia», è propriamente euloghìa, parola con la quale diciamo del Signore ogni bene e Lo lodiamo per tutti i benefìci, per tutte le benedizioni e le grazie ricevuti. Quid retribuam Domino pro omnibus quae tribuit mihi? Calicem salutarem accipiam et nomen Domini invocabo, come dice il celebrante nella Messa.

Dio ci benedice con i fatti, perché è il nostro Creatore. E noi non possiamo benedirlo altro che con le nostre povere parole, perché che cosa possiamo noi aggiungere all’essere divino? Ecco perchè la Bibbia, che ha tanto il senso dell’essere, dà alla benedizione un significato così concreto.

Ad ogni modo, la benedizione ha una forza soprannaturale inferiore a quella del sacramento, e per questo viene chiamata «sacramentale» e non sacramento, perchè mentre il sacramento risuscita l’anima dalla morte del peccato mortale, la benedizione suppone il benedicendo già in grazia, per cui essa si limita a rafforzargli quella grazia che già possiede e tale aumento è tanto maggiore, quanto maggiore è il fervore spirituale di colui che viene benedetto.

Per questo è chiaro che chi chiedesse una benedizione in stato di peccato mortale, senza volontà di pentirsi e di riparare e di correggersi, ma quasi a ricevere approvazione e protezione per la sua cattiva condotta, non solo non riceverebbe alcuna benedizione, ma sarebbe maledetto da Dio, il che non è cosa assolutamente consigliabile.

Per questo dev’essere somma cura del ministro della benedizione, come raccomanda il documento di Fernandez, verificare e vagliare con la massima attenzione qual è la situazione spirituale, quali sono le idee, le intenzioni, gli intendimenti, i desideri o i propositi di una coppia irregolare che eventualmente chiedesse di essere benedetta, per non prestarsi ad avallare con una benedizione inopportuna ed inefficace, la loro eventuale convinzione che possa essere benedetta una condotta peccaminosa, che essi non hanno intenzione di abbandonare o correggere.  Se il ministro sospetta che ci sua questo equivoco, farà bene, come ordina la Dichiarazione, a chiarire che egli benedice l’aspetto di onestà della loro unione e che la benedizione, per essere efficace, suppone in loro la volontà di correggersi dal loro peccato.

Una benedizione avente una funzione promotrice

e purificatrice ad un tempo

Una cosa molto interessante della Dichiarazione è il fatto di mettere in rapporto la benedizione col valore della sessualità umana, in sostanza: come, perché, a quali condizioni e per quale scopo benedire l’esercizio del sesso e, quindi, per concomitanza, qual è l’importanza che il sesso ha nella vita umana e ai fini della salvezza e della glorificazione escatologica dell’uomo.

Certo, da sempre la Chiesa ha benedetto le nozze. Ma che cosa fare nei confronti di quelle unioni o coppie che essa chiama «irregolari», se esse vengono a chiedere di essere benedette? La Dichiarazione spiega che cosa s’intende per unioni irregolari: sono quelle che si costituiscono al di fuori o contro l’unione indissolubile e sacramentale fra un uomo e una donna come espressione del loro amore eterno e in vista della procreazione e della educazione della prole.

Come sappiamo tutti, questa unione la Chiesa la chiama «matrimonio». Per conseguenza, come chiarisce il Card. Fernandez, l’unione dei divorziati risposati e degli omosessuali non può essere chiamata matrimonio. La potremo chiamare, come vien chiamata dallo Stato, «unione civile».

La questione che oggi è sorta nella Chiesa è la seguente: può una coppia di questo genere essere benedetta? La risposta è sì, ma a ben precise condizioni, che qui vengono illustrate e con la fondamentale precisazione che il documento non intende in nessun modo legittimare adulterio o sodomia, ma al contrario offre, proprio con una speciale benedizione, l’aiuto per evitare questi peccati o rimediare ad essi ove fossero commessi.

Questo documento costituisce così una novità e un avanzamento della pastorale della Chiesa, ma, come afferma più volte il Card. Fernandez, sul solco della tradizione dell’immutato ed immutabile insegnamento della Chiesa concernente l’etica sessuale fondata sul Sesto Comandamento del Decalogo, che è legge divina. In particolare, fin dalle origini la Chiesa, facendo eco all’insegnamento biblico e alla voce stessa della coscienza morale naturale, ha sempre condannato il peccato di sodomia[2].

Col documento del DDF la Chiesa compie una svolta storica nella pastorale  nei confronti delle  coppie irregolari: non più il rifiuto di benedirle, ma il consenso alla benedizione, tuttavia a ben precise condizioni, illustrate e spiegate dalla Dichiarazione. La sua novità va nel senso di una cura più evangelica delle piaghe della natura umana maschile e femminile, non certo totalmente corrotta, ma certo indebolita dalle conseguenze del peccato originale e dei peccati personali di ognuno di noi, con tendenze innate contrarie alle vere esigenze e finalità della natura umana, tendenze che spingono a peccare in modo così forte, che a volte la volontà cede alla violenza della passione senza una piena deliberazione, quasi costretta, facendo, come dice San Paolo, quel male che non vorrebbe fare e che, se fosse libera, e non così attratta dal peccato, certo non farebbe. Certo in queste condizioni la colpa diminuisce; invece la colpa è piena, quando il volere agisce in piena libertà, essendo il peccato un atto volontario.

Queste spinte, che costituiscono la cosiddetta «concupiscenza», sono  così influenti e condizionanti, da apparire una seconda natura, tanto che è faticoso distinguere, nell’attuale stato di natura decaduta, che cosa è naturale e che cosa è innaturale, che cosa è secondo natura e che cosa è contro natura, che cosa è normale e che cosa è anormale, che cosa è sano e che cosa è malato, quali sono le tendenze buone e quelle cattive, quali sono le azioni buone e quali le cattive, qual è il modello o l’ideale o la regola da seguire e qual è invece la finalità falsa e ingannevole, qual è la legge da osservare e la falsa legge da evitare.

È evidente che per rispondere a queste domande occorre un giusto concetto della natura umana, occorre una definizione esatta, sicura e precisa, oggettiva e determinata della natura umana, sapere che cosa è l’uomo, quali le condizioni della sua esistenza, qual è il fine e il senso del suo essere e vivere, nonché quali i doveri e i diritti, quali le azioni da compiere e secondo quali leggi per poter raggiunger il fine della sua esistenza.

Nel solco del Magistero tradizionale della Chiesa

Per interpretare e comprendere nel suo giusto senso questo Documento e per non vedere nella sua novità una contraddizione col costante insegnamento della Chiesa in materia di sessualità, occorre leggerlo alla luce del precedente Magistero, espresso, per esempio, nella Dichiarazione della CDF del 1975 «Persona humana».

In esso si ricorda che

 

«la Rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in rilievo esigenze autentiche dell’umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l’esistenza di leggi immutabili inscritte negli elementi costituivi della natura umana e che si manifestano identiche in tutti gli esseri dotati di ragione. Inoltre la Chiesa conserva incessantemente e trasmette senza errore le verità dell’ordine morale e interpreta autenticamente non soltanto la legge positiva rivelata, ma anche i princìpi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana» (n.4).

Dunque le regole dell’agire morale si desumono dalle finalità della natura umana conosciuta nei suoi caratteri essenziali e, per quanto riguarda l’etica sessuale, si desumono dalla natura e dalle finalità naturali della dualità maschio-femmina.

Un insegnamento importante del Magistero pontificio a questo riguardo ci è dato da San Giovanni Paolo II nelle Udienze generali che fece dal 1979 al 1982 sulla condizione dell’uomo e della donna nel piano originario della creazione e nella prospettiva escatologica della futura resurrezione gloriosa[3]. In esse il Papa chiarisce il valore antropologico e spirituale della sessualità umana, illustrando come Dio abbia voluto la coppia uomo-donna nel piano protologico al fine di fondare la socialità umana e la procreazione nel matrimonio e affinchè nella condizione escatologica «i due siano una sola carne» (Gen 2,25). Nella vita presente rimane il matrimonio, ma nella vita futura il matrimonio non sarà più necessario perchè sarà cessata la riproduzione della specie e resterà invece l’unione dei due.

Il peccato di sodomia è contro la natura animale dell’uomo

Il retto agire morale è l’agire in conformità alle esigenze e tendenze della natura animale-razionale dell’uomo. Peccato è agire contro il sano interesse di queste esigenze e i fini di queste tendenze. La sessualità appartiene al piano animale della natura umana, anche se è vero che essa influenza anche il piano superiore della ragione e dello spirito. Per questo, esiste un modo maschile e un modo femminile di pensare, di ragionare, di sentire, di volere e di amare.

Il peccato è contro la natura umana e la sua legge in due modi o a due livelli. Siccome l’uomo è un animale ragionevole, il contro natura può essere o contro la razionalità o contro l’animalità. O per una razionalità deviata o per un’animalità deviata. I peccati contro ragione offendono certo ciò che è specificamente umano in noi, la ragione, ma possono lasciano intatto il normale funzionamento della animalità. Per esempio, la superbia o la doppiezza o l’ingiustizia o l’empietà possono trovarsi in un soggetto casto, sobrio e temperante.

Invece i peccati che riguardano la sessualità, se non contrastano con la specificità della natura umana in quanto razionale, possono però essere contrari, oltre che alla ragione, anche alla natura animale dell’uomo, che è la sua natura nel senso radicale e basilare, dato che costituisce l’elemento generico, mentre la ragione dà la differenza specifica.   

La severità con la quale San Paolo condanna la sodomia (Rm 1,24-26) non ha perduto il suo valore, se noi prendiamo in considerazione l’atto compiuto con piena avvertenza e deliberato consenso. Tuttavia la psicologia moderna ha scoperto come l’inclinazione omosessuale può avere una base neurovegetativa, per la quale l’inclinazione diventa per il soggetto pressoché irresistibile ed avere quindi tutta l’apparenza di una tendenza naturale. Ciò non impedisce al soggetto di riconoscere la peccaminosità dell’atto ed impiegare tutta la buona volontà per evitarlo. Il soggetto, per quanto si sforzi, non riesce a frenare l’impulso. Qui allora occorre tener presente il principio nemo ad impossibilia tenetur.

Ciò non significa affatto essere esenti da qualunque responsabilità, perché è chiaro che allo stato di veglia e salvo i casi di totale perdita della ragione, al soggetto resta sempre una dose di libero arbitrio, che lo impegna quanto meno alla lotta ed alla resistenza, anche se capita che la volontà ceda alla violenza della passione, come se subisse violenza, benchè essa per natura resti libera. Ebbene, la colpa resterà, però minore che se la volontà fosse stata totalmente libera; essa resterà libera in quella misura in cui la volontà ha esercitato la sua libertà.

Per chiarire il grado di colpevolezza dei peccati sessuali e specificamente quello di sodomia, è utile allora a questo punto ricordare la differenza fra questi, tradizionalmente chiamati «carnali», legati alle passioni sensibili, per obbiettivi sensibili, dove la passione è mossa dalla volontà e i cosiddetti «peccati spirituali», indirizzati ad obbiettivi spirituali, dove la volontà deve correggere le sue cattive tendenze ed essa volontà non agisce sulle passioni, ma su se stessa.

Qui la colpa è maggiore, perché la volontà non è scusata o attenuata dalla violenza della passione (per esempio l’attrattiva omosessuale), ma ciò che vuole lo vuole in piena libertà, benchè pressata dall’inclinazione cattiva della volontà (per esempio la tendenza alla superbia).

Qui dunque la colpa è maggiore non solo perchè l’atto è più libero, e quindi più volontario – ricordiamoci che il peccato è atto del volere -, ma anche perchè l’oggetto o materia del peccato è più grave: il rispetto del sesso, nel caso del peccato sessuale; l’onore di Dio, nel caso dei peccati spirituali. Ora, è peggio offendere Dio che il proprio sesso.  

La radice filosofica del genderismo

Il grave problema di determinare ciò che in morale è bene e ciò che è male, per distinguere il normale dall’anormale, il peccato dalla buona azione, è dato dal fatto che dovendo essere la natura umana il punto di riferimento per la fondazione dell’etica e la conoscenza della legge morale, oggi spesso non si ammette o non si riconosce l’esistenza della natura umana nel senso di natura determinata dalla volontà divina con una propria essenza specifica, immutabile ed universale, maschile e femminile, uguale e identica in tutti gli individui, regolata dalla legge morale stabilita da Dio in questo senso.

Siamo sotto l’influsso dell’antropologia di Rahner[4], per il quale la natura umana o è un materiale informe che attende di essere formato o determinato dalla persona, ognuno con la sua libera scelta, oppure è l’essenza dell’uomo in se stessa indeterminata ed infinitamente determinabile da ciascuno secondo la sua scelta, insofferente della finitezza, ma portata a superare ogni limite.

Quindi, per Rahner, la natura umana non è qualcosa di già dato, a noi presupposto, precedente il nostro agire, con leggi proprie oggettive, fisse ed universali e rispetto alle quali tutto il nostro compito sarebbe semplicemente quello di metterle in pratica, ma è effetto del nostro stesso agire creativo, della nostra libera iniziativa, per cui sta a ciascuno di noi fissare e determinare la sua propria essenza, continuamente mutevole, come meglio preferisce, essenza diversa l’una dall’altra per ciascuno di noi a seconda di ciò che egli decide di essere.

Le radici metafisiche di questa concezione della persona umana sono in Rahner la sua concezione dell’essere, per la quale egli non distingue il pensare dall’essere e l’essere dal pensiero, ma identifica alla maniera del monismo parmenideo ed hegeliano essere e pensiero. Ora, siccome tale identificazione avviene solo in Dio, Essere sussistente che coincide col suo pensare[5], mentre invece l’essere umano è distinto dal suo pensare e il suo pensare è distinto dall’essere come oggetto del suo pensiero, ne viene che per Rahner l’essere e il pensare umano coincidono con l’essere e pensare divino e si ha il panteismo.

Dice infatti Rahner:

 

«l’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza (“soggettività”, “conoscenza”) dell’essere di ogni ente»[6].

Da questa visione dell’essere segue che uomo e Dio non sono distinti come due persone, ma essendo l’essere uno solo ed assoluto come identità di essere e pensiero, quindi come Dio, uomo e Dio sono, come in Hegel, i due termini del divenire di Dio secondo la trascendenza dell’uomo che diviene Dio e l’immanenza di Dio che diviene uomo.

Per questo, per Rahner, l’Incarnazione del Verbo, ossia il Dio-uomo, come per Hegel, non è effetto di una libera volontà o scelta divina, ma è l’essenza stessa di Dio. Per questo, per lui, l’uomo non è uomo se non diventa Dio e Dio non è Dio se non diventa uomo. Ma ciò, come ha fatto notare Joseph Ratzinger[7], comporta una omologazione della libertà umana alla libertà divina:

 

«Fondamentalement Rahner a très largement repris le concept de liberté propre à la philosohie idéaliste – un concept de liberté qu’en réalité ne convient qu’à l’Esprit absolu - à Dieu – et nullement à l’homme».

Da questa concezione della libertà Rahner ricava il concetto di natura umana come soggettività che liberamente plasma e crea la propria essenza. Per Rahner non esiste una natura umana specifica, definibile, immutabile, determinata, uguale per tutti, base quindi di diritti e doveri universali, soggetto di valori assoluti, non negoziabili e di una fraternità universale, ma ogni persona determina come vuole la sua essenza singola e concreta.

Per Rahner l’animalità resta estrinseca alla persona e non entra affatto nella sua definizione, che per lui è spirito autocosciente, alla maniera di Cartesio, salvo poi a risolvere il soggetto nella sua storicità empirica, senza che esso possegga nulla che trascenda il tempo e la storia, semplice risultato dell’evoluzione biologica, alla maniera di Darwin e di Teilhard de Chardin[8]. Dunque sintesi di materialismo e idealismo.  

Da qui la conseguenza che la differenza sessuale non contribuisce affatto alla determinazione di una personalità maschile e femminile, ma l’esser maschio e femmina è cosa del tutto estranea all’essere della persona umana, confondendo così l’uomo con l’angelo, giacchè è chiaro che l’angelo non è sessuato.  Ecco che allora il sesso perde qualunque riferimento all’agire morale e quindi la libertà data a ciascuno di manipolare il proprio sesso a proprio piacimento. Da qui la legalizzazione dell’omosessualità.

Da questa concezione della natura umana, dunque, non è difficile dedurre l’etica genderista che non considera la sessualità umana come un dato naturale, un’entità voluta, creata e determinata una volta per tutte da Dio nella sua identità e dualità maschio e femmina, orientata ad un proprio specifico fine naturale immutabile e regolata da apposite leggi morali naturali aventi la funzione di rendere possibile, col loro adempimento, la realizzazione o raggiungimento dei fini naturali.

Purtroppo i genderisti e i modernisti si fanno forti di queste idee di Rahner per promuovere una legalizzazione della sodomia, che non è riconosciuta più come peccato contro natura, ma, come dice Padre James Martin, come semplice «diverso orientamento sessuale».

La Dichiarazione ribadisce la condanna della sodomia

La Dichiarazione ribadisce invece in vari modi la proibizione e la condanna dei rapporti omosessuali, sebbene lo faccia in modo velato, allusivo, sottinteso ed implicito, forse per un eccessivo riguardo, che nuoce però alla chiarezza. I chiari segni di tale condanna sono i seguenti:

1.Il ripetuto riferimento alla morale tradizionale (Presentazione, nn. 3, 4).

2. La ripetuta precisazione che l’unione omosessuale non va confusa col matrimonio, evidente allusione al fatto che essa manca dell’onestà del matrimonio (nn. 4, 5, 6, 11, 30, 31, 36).

3. Si ribadisce la proibizione dei rapporti sessuali extraconiugali (n.11).

4. Si insiste sulla necessità che la coppia faccia un cammino di penitenza e di conversione, rinunciando al peccato (n.10, 22, 27, 31, 32, 34).

5. Si precisa che la benedizione non è liturgico-rituale, ma informale-spontanea, il che fa intendere che non può essere formalizzata per l’assenza di sufficiente dignità morale (nn. 24, 33, 36, 40).

6. L‘unione è definita come «irregolare», a significare che è carente rispetto all’osservanza delle regole morali, canoniche giuridiche (nn. 26, 31, 38).

7. Si proibisce la benedizione in concomitanza con la celebrazione del rito civile, a significare che la Chiesa non riconosce alcuna legittimità o legalità al rapporto omosessuale (n. 39).

8. La sodomia non è affatto legittimata (nn.10, 11, 31, 34, 40).

La benedizione valorizza l’aspetto onesto dell’unione

Ci si chiede, però: allora perché la benedizione? Che cosa benedire? Dov’è nell’unione il buono da benedire? Evidentemente nell’unione non è da ravvisare solamente l’aspetto sodomitico, ma occorre considerare che, essendo un’unione di due persone, può esistere un elemento di onestà (nn.28,31) dato dal fattore spirituale che può essere alimentato dalla carità e quindi voluto da Dio o gradito a Dio. È questo l’aspetto atto ad essere benedetto, mentre la benedizione può proporsi come fine anche quello di aiutare i due nel faticoso ma doveroso cammino di progressiva liberazione dal peccato.

Bisogna dire, allora, che coloro che leggono nella Dichiarazione una legittimazione o liberalizzazione dei rapporti omosessuali o del concubinaggio, o un vergognoso e scandaloso cedimento al lassismo e al soggettivismo, un abbandono dell’aspetto ascetico della condotta cristiana o una blasfema benedizione o coonestazione del peccato o sono persone che strumentalizzano per i loro fini biasimevoli l’insegnamento della Chiesa o restano in una posizione arretrata, attaccati a una norma di condotta nei confronti degli omosessuali e dei divorziati risposati, che non corrisponde più a ciò che oggi Dio ci chiede per mezzo della Santa Madre Chiesa.

In queste posizioni dissonanti per opposti motivi da una vera comunione con la Chiesa, ritroviamo ancora una volta l’esasperante conflitto fra indietristi e modernisti, che affligge la Chiesa trascinandosi ormai da sessant’anni per una stolta polemica attorno al Concilio Vaticano II, il cui significato non hanno capito nè gli uni né gli altri.

I modernisti credono che il Magistero della Chiesa non insegni nulla di stabile o fisso o determinato, ma che i suoi insegnamenti mutino o cambino o evolvano continuamente nel corso della storia. I filolefevriani vogliono mantenere ciò che va abbandonato o superato, perché non distinguono nella dottrina e nella prassi della Chiesa ciò che non può mutare da ciò che può e deve mutare. Non capiscono che la Chiesa è ferma nei princìpi, ma non può fermarsi nel cammino e nel progresso verso il regno di Dio.

Osservazioni critiche

Il documento è evidentemente animato dall’intento di non usare un linguaggio che possa suonare benchè minimamente offensivo nei confronti delle coppie irregolari. Tuttavia in questo intento indubbiamente lodevole viene a mostrare eccessivi riguardi, che finiscono per mantenere un linguaggio così vago e sfumato da rischiare di generare l’equivoco e di far sospettare una qualche legittimazione del peccato, il che in realtà ovviamente non è, ma lo si può capire solo indirettamente dal linguaggio allusivo e velato, fatto di sottintesi e significati impliciti e mantenendosi troppo sulle generali, quando invece, a mio giudizio, sarebbe stato meglio chiamare i peccati col loro nome spiegando soprattutto il perchè sono peccati con un’argomentazione rigorosa e ben fondata.

Per esempio, non sarebbe stato male riprendere il termine «sodomia» per indicare la pratica omosessuale, chiaramente indicata dall’episodio narrato in Gen 19,1-11, dove gli abitanti di Sodoma chiedono a Lot di poter fornicare con alcuni uomini che stavano in sua compagnia. È quindi del tutto falsa l’interpretazione oggi in circolazione, evidentemente funzionale al genderismo, secondo la quale Sodoma sarebbe stata castigata non per i peccati di sodomia, ma per non aver accolto gli stranieri. Non c’è quindi nessun motivo per abbandonare il termine «sodomia», col quale la teologia morale da sempre designa questo peccato.

Occorre inoltre tornare a spiegare perché e in che senso S.Paolo lo chiama «contro natura», come ho fatto io un questo articolo. Non è questo il problema. Se vogliamo attuare una pastorale efficace nei confronti degli omosessuali, la strada non è quella del muoversi sull’equivoco, nel nascondere quello che dev’essere messo in luce, del dire e non dire, dello scusare quello che non può essere scusato, del minimizzare, nel lasciar intendere che possa essere lecito ciò che non si afferma essere proibito.

Tutti questi giochi, questi sotterfugi, queste attenuazioni, queste simulazioni e queste dissimulazioni non sono onestà, non sono carità, non sono prudenza, non sono misericordia. Non è, questo, il linguaggio di Cristo, di S.Paolo, di S.Giovanni, della Santa Madre Chiesa, di tutti i Santi. Se è vero che Cristo è il medico delle anime, il buon medico dice con chiarezza, benché con tutti i riguardi, qual è la malattia del suo paziente. Non ha senso sentirsi offesi perché il medico che fa la diagnosi della nostra malattia.

E non si può confondere la malattia con la salute dicendo che il sodomita è semplicemente una persona «diversa», tanto più che mentre a certe malattie del corpo non c’è rimedio, al peccato c’è sempre rimedio, se noi siamo pronti a riconoscere il peccato e ci assumiamo le nostre responsabilità.

Allora il vero problema non è il tranquillizzare il peccatore e lasciarlo peccare liberamente con l’assicurazione che non gli succederà niente perché «Dio è buono», ma è aiutarlo con tanta carità e pazienza a liberarsi dal peccato, accompagnando la comprensione con la responsabilizzazione. Comprensione per la sua fragilità, responsabilizzazione esortandolo a far buon uso della sua volontà, confidando nel soccorso della grazia – ecco la funzione dl benedizione - col ricordandogli le conseguenze della disobbedienza. Questo è il vero metodo del Vangelo che salva i peccatori.

È di questa chiarezza evangelica in questo delicato campo dell’etica sessuale ciò di cui oggi c’è estrema mancanza e ciò ha per effetto la mancanza di convinzione che sodomia ed adulterio siano veramente peccati. Se aggiungiamo poi teorie morali come quelle di Rahner negatrici della natura umana e della legge naturale, comprendiamo l’estremo smarrimento morale, del quale oggi soffriamo. Io ho cercato di colmare queste lacune pur apprezzando le qualità del documento che per il suo tono pastorale profuma veramente di Vangelo, come ha detto il teologo Alberto Maggi ed è molto apprezzabile per l’esposizione della dottrina biblica della benedizione.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 24 dicembre 2023

La Dichiarazione spiega che la benedizione, così come risulta dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, nella costante prassi della Chiesa, è un atto di culto divino e nel contempo di carità fraterna, la cui efficacia non dipende dall’opera operata (ex opere operato), cioè dall’energia soprannaturale intrinseca al gesto compiuto, che in tal caso è un sacramento, ma dipende dalla fede, dalla retta intenzione e dalla buona volontà del soggetto ricevente ed operante in grazia (ex opere operantis).

Una cosa molto interessante della Dichiarazione è il fatto di mettere in rapporto la benedizione col valore della sessualità umana

Le regole dell’agire morale si desumono dalle finalità della natura umana conosciuta nei suoi caratteri essenziali e, per quanto riguarda l’etica sessuale, si desumono dalla natura e dalle finalità naturali della dualità maschio-femmina.

La Dichiarazione ribadisce in vari modi la proibizione e la condanna dei rapporti omosessuali, sebbene lo faccia in modo velato, allusivo, sottinteso ed implicito, forse per un eccessivo riguardo, che nuoce però alla chiarezza.

Ci si chiede: allora perché la benedizione? Che cosa benedire? Dov’è nell’unione il buono da benedire? Evidentemente nell’unione non è da ravvisare solamente l’aspetto sodomitico, ma occorre considerare che, essendo un’unione di due persone, può esistere un elemento di onestà (nn.28,31) dato dal fattore spirituale che può essere alimentato dalla carità e quindi voluto da Dio o gradito a Dio. È questo l’aspetto atto ad essere benedetto, mentre la benedizione può proporsi come fine anche quello di aiutare i due nel faticoso ma doveroso cammino di progressiva liberazione dal peccato.

 
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[2] Gen 4,10;13, 13; 19, 1-11 ; Es 22,25s; Lev. 18, 22-26; Deut 23, 18-19; 29,22; I Re 14,24; 15,12; 22,47; II Re 23,7; Ger 23,14; Ez 16,48ss; Lam 4,6; Rm 1,24-26; I Tim 1, 9-10; I Cor 6, 9; II Pt 2, 6ss; Gd 7.

[3] Ho raccolto questi insegnamenti nel mio libro La coppia consacrata, Edizioni VivereIn, Monopoli (BA) 2008.

[4] Vedi il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009; cf il mio articolo L’ANTROPOLOGIA DI KARL RAHNER, Sacra Doctrina, 1, 1991, pp.28-55; pubblicato anche negli Atti del IX Congresso Tomistico Internazionale, vol.III, Antropologia tomista, a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, 1991, pp.382-400.

[5] Cf S.Tommaso, Sum.Theol., I, q.14.

[6] Uditori della parola, Edizioni Borla, Roma 1977,  p.66. Vedi la critica di Fabro a questa tesi di Rahner in La svolta antropologica di Karl Rahner, Edizioni Rusconi, Milano 1974.

[7] In Les principes de la théologie catholique, Téqui, Paris 1982, pp.187-188.

[8] Vedi Il problema dell’ominizzazione, Morcelliana, Brescia 1969.

52 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    È interessante e opportuno che, quando si dimostra che la Dichiarazione Fiducia supplicans è in linea con il precedente Magistero pontificio, si punti innanzitutto alla dichiarazione Persona Umana, del 1975, durante il pontificato di San Paolo VI.
    Ebbene, riflettendo sull'insolita reazione dei Vescovi e delle Conferenze Episcopali nei confronti dei Fiducia supplicans, mi chiedo:
    In che misura, in questi ultimi cinque decenni, la fedeltà dei Vescovi e delle Conferenze Episcopali al Magistero pontificio più recente o contemporaneo è stata universale, oppure, senza ulteriori indugi, è stata una fedeltà vera?...
    I Vescovi hanno visto negli ultimi decenni nel Magistero contemporaneo un vero sviluppo dogmatico della fede?
    Penso che non siano domande vuote.
    Faccio semplicemente un esempio, che ritengo sintomatico: né Papa Benedetto XVI né Papa Francesco hanno ricordato, nemmeno una volta (mi sembra) la cosiddetta Catechesi sulla Teologia del Corpo, di San Giovanni Paolo II: 128 discorsi tra il 1979 e il 1984.
    Benedetto XVI e Francesco hanno considerato questa enorme opera didattica del Santo Pontefice un semplice parere teologico personale di Wojtyla?
    Non è necessario sottolineare il rapporto che questa catechesi ha con l’attuale controversa questione riguardante la benedizione delle coppie irregolari.
    Allora..., se questo è successo con Benedetto XVI e con Francesco..., cosa possiamo pensare dell'intero Collegio episcopale, o di una parte importante di esso?
    Il documento che citi è del 1975, cioè solo 4 anni dopo la fondazione della FSSPX da parte di Mons. Lefebvre. Non bisogna dimenticare che Lefebvre era stato fino a pochi anni fa, fino a Giovanni XXIII, il delegato della Santa Sede per tutta l'Africa francofona. Ebbene, si tenga presente, appunto, che le reazioni più scandalose a Fiducia supplicans sono arrivate da alcune Conferenze Episcopali di quelle regioni.
    La mia modesta ipotesi è che la presunta “fedeltà al Magistero” di molti Vescovi negli ultimi decenni non sia stata una vera “fedeltà al Magistero contemporaneo”.

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    1. Caro Ross,
      credo anch’io che effettivamente Fernandez avrebbe fatto bene a citare il documento del 1975, dove si parla del peccato di sodomia.
      Per quanto riguarda l’insegnamento di San Giovanni Paolo II sull’etica sessuale, io sono molto meravigliato che non abbia avuto eco nel magistero di Benedetto XVI e del Papa attuale.
      Mi spiego questo fatto, benchè questi due Papi abbiano lavorato per il progresso della teologia nella linea del Concilio, col fatto probabile che hanno preferito restare nella posizione tradizionale, la quale criteria l’etica sessuale soltanto in riferimento alla vita presente.
      La mancata recezione dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II non dà alla proposta etica del documento di Fernandez quella forza di persuasione, che sarebbe venuta prospettando l’ideale escatologico, e per conseguenza non offre quella forza morale che sarebbe necessaria per una vera vittoria sulla sodomia.
      Per quanto riguarda la reazione dei vescovi, la cosa è così complessa che mi astengo da dare una valutazione.
      L’unica cosa che mi sembra emergere da questa circostanza è che in Africa c’è una tendenza tradizionalista.

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    2. Mi sembra di capire che critiche importanti al documento siano arrivate anche dal cardinale Muller, non certo un tradizionalista.

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    3. Caro Anonimo,
      riguardo alla sua considerazione che il cardinale Müller non può essere definito un "tradizionalista", le suggerisco di informarsi sul significato con cui lei usa il termine "tradizionalista", e sarebbe opportuno anche che lo mettesse in relazione con il significato del termine "indietrista", utilizzato dal Santo Padre.

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    4. Caro padre Giovanni,
      li ringrazio per la sua risposta, sono d'accordo con lei, e li capisco anche riguardo alla complessità che ci troviamo ad affrontare cercando di indagare le ragioni della reazione di alcuni vescovi alla Dichiarazione Fiducia Supplicans.
      Riguardo al rifiuto di Benedetto XVI e Francesco I di prendere come riferimento in materia di etica sessuale la famosa Teologia del Corpo delle Catechesi di San Giovanni Paolo, voglio correggere le mie parole che potrebbero essere interpretate in modo non cattolico.
      Non è in alcun modo accettabile che il Vicario di Cristo (nel caso presente, Benedetto e Francesco) non conosca il valore dogmatico o dottrinale di quelle Catechesi di San Giovanni Paolo. Ma quello che sarebbe potuto succedere, come lei sottolinea, è che entrambi i pontefici abbiano fatto un’opzione pastorale, senza tenere conto di quei precedenti dottrinali.
      Per il resto è anche possibile che siano stati trascurati, temporaneamente dimenticati.

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    5. Il termine tradizionalista ha un significato e dei connotati ben precisi e il cardinal Muller non appartiene per niente a questo movimento. Tanto meno può essere tacciato di indietrismo (bruttissimo termine che ha il solo scopo di screditare un avversario). Comunque se ha degli argomenti per controbattere al porporato sono ben accolti. Saluti.

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    6. Caro Anónimo,
      il termine “tradizionalista” in ambito cattolico indica la sana (e perfino necessaria) inclinazione a preservare il sacro deposito della Tradizione. In questo senso si tratta di sano tradizionalismo. A cui si aggiunge il sano progressismo, che è la sana (e anche necessaria) inclinazione al compito di rinnovamento permanente nella Chiesa, fino alla fine dei tempi.
      Tuttavia, il termine “tradizionalismo” è strumentalizzato dagli ambienti filo-lefebvriani o indietristi, che, basandosi su un falso concetto di tradizione, che non sa distinguere tra l’immutabile e il mutevole nella Chiesa, sono rimasti attaccati ai costumi e usi del passato, che devono essere superati.
      È in questo senso, esatto, che il Santo Padre usa il termine “indietrismo” per riferirsi a quel malsano attaccamento al passato. Se un termine come indietrismo viene utilizzato in maniera così insistente dal Vicario di Cristo, spetta ai fedeli cattolici comprendere il significato corretto dell’insegnamento del Successore di Pietro, e in nessun caso attribuirgli intenzioni che non corrispondono alla sua funzione docente (anche se il Papa non può essere esente da errori in campo pastorale, e anche da peccati in questo campo).
      A parte il Papa, al quale non si può imputare alcun errore dogmatico o dottrinale, tutti gli altri nella Chiesa, dai cardinali ai semplici fedeli, possono commettere errori dogmatici e dottrinali.
      Se un Cardinale, nel caso specifico di quanto stabilito dalla Fiducia supplicans, non riesce a cogliere i progressi avvenuti nella pastorale della Chiesa nei confronti delle coppie irregolari, e rimane attaccato a una prassi del passato, e addirittura lo proclama pubblicamente, rispondendo e rifiutando in questo senso all'insegnamento pastorale della Sede Apostolica, allora, a questo punto specifico, è opportuno definire quel cardinale un “indietrista” e non un “tradizionalista” (nome che sarebbe troppo grande per lui).

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    7. Caro Ross,
      concordo con le sue considerazioni.

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    8. Prima di tutto grazie ad entrambi per le risposte.
      Mi sembra di capire che siamo giunti alla conclusione di poter dire con certezza che il Car. Muller non è un tradizionalista, cioè un Lefreviano. Rimane il secondo punto, siccome io non sono esperto di Teologia e Sacramentaria e siccome il citato Card Muller non ha l'infallibilità, potete gentilmente spiegarmi dov'è l'errore nel suo ragionamento e in quello di tutti i vescovi e sacerdoti che stanno rigettando il documento della CdF ? (Non ditemi che sono solo quelli Africani perchè la lista inizia a diventare lunga) Come scritto sopra qualsiasi contributo è ben accetto.

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    9. Caro Ross,
      faccio fatica capire per quale motivo l’importante insegnamento di S. Giovanni Paolo II non si ritrovi nei Papi seguenti. Eppure sarebbe di grande vantaggio per far capire la dignità della sessualità umana e il valore dell’unione fra uomo e donna, la quale, mentre dal punto di vista protologico è necessaria alla completezza della natura umana, in rapporto alla futura resurrezione sarà puramente affettiva, non più procreativa. Questa dottrina fa capire da una parte che la sodomia è contro natura e dall’altra che l’unione uomo-donna ha un valore spirituale, indipendentemente dalla procreazione. Ciò consente da una parte di avvertire gli omosessuali che la loro pratica è peccaminosa, e dall’altra di riconoscere la validità dell’aspetto spirituale della loro unione. Da qui la possibilità e l’utilità che sia benedetta sotto questa luce, anche al fine della liberazione dal loro peccato.

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    10. Caro Ross,
      concordo con le sue considerazioni.

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    11. Caro anonimo,
      una manciata di chiarimenti:
      1. Non potete dire che sono d'accordo con voi su qualcosa a cui non ho fatto riferimento, perché nella nostra conversazione non ho mai fatto riferimento al cardinale Müller come tradizionalista o meno. Ti ho semplicemente suggerito di rivedere il tuo concetto di tradizionalismo.
      2. Lei sembra associare il termine tradizionalista a quello lefebvriano. Però vi ho già detto che nella Chiesa c’è un sano tradizionalismo, così come nella Chiesa c’è un sano progressismo. Non parlo dei lefebvriani, che sono fuori dalla Chiesa. In ogni caso, all'interno della Chiesa, si può parlare di “filo-lefebvriani”, cioè di quei cattolici che condividono alcune idee con gli scismatici lefebvriani.
      3. Riguardo alla domanda che mi pone, non sono in grado di rispondere perché non conosco i termini con cui si è espresso il cardinale Müller, né lei li ha indicati o indicato una fonte al riguardo.

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    12. Caro anonimo,
      suppongo che il padre Giovanni Cavalcoli sarebbe d'accordo con quanto gli ho appena espresso.

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    13. Caro Anonimo,
      quello che mi stupisce nel Card. Müller è come egli possa sospettare che la FS favorisca e non piuttosto scoraggi la pratica della sodomia. È evidente il significato e lo scopo della benedizione: rafforzare le energie sane della coppia e favorire quel processo di penitenza e di conversione che deve condurre a un graduale abbandono di una pratica, che merita più di essere compassionata che oggetto di sdegno.

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    14. Caro Anonimo,
      l’errore si dice in poche parole: si tratta di un gravissimo equivoco, di un errore d’interpretazione e cioè si crede che la benedizione abbia per oggetto il peccato, quasicchè il peccato non sia più peccato, e non piuttosto le persone create da Dio con una dignità infinita, dotare di doni e talenti da Lui elargiti, chiamate alla conversione e alla penitenza in vista dell’eterna salvezza. La benedizione ha il preciso scopo di sostenerli in questo cammino e di aiutarli a vincere il peccato, con specifico riferimento al peccato di sodomia.

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  2. Mi pare che lei intrepreti questo documento come scritto da una persona che la pensa come lei (padre Cavalcoli), ma animato dall’intento di non usare un linguaggio che possa suonare benchè minimamente offensivo nei confronti delle coppie irregolari.

    Temo invece che:

    questo documento sia scritto da una persona che la pensa come le coppie irregolari, ma animato dall'intento di non usare un linguaggio che possa suonare benché minimamente offensivo nei confronti di quelli che la pensano come lei (padre Cavalcoli).

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    1. Caro Anonimo,
      il semplice sospetto che il Card. Fernandez favorisca la sodomia è un sospetto calunnioso e temerario.

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  3. Caro Padre,
    sono perfettamente d’accordo con quanto ha scritto, ma non capisco come mai promulgare questo documento proprio in questi tempi; tempi nei quali qualsiasi esternazione del papa viene strumentalizzata, soprattutto dai modernisti devo dire, per fare credere che il Santo Padre abbia cambiato la dottrina di sempre della Chiesa, cosa impossibile. Infatti, a seguito del documento, i soliti giornali hanno cominciato a strumentalizzarne il contenuto facendo passare il messaggio che il Papa abbia legalizzato la benedizione alle coppie omosessuali tout court. Ha ragione Lei quando dice che manca una esplicita condanna della sodomia, che sarebbe stata quanto mai opportuna, ma penso che anche se ci fosse stata sarebbe stata omessa dai soliti giornali per fare comunque passare il falso messaggio. Non vorrei che questo documento, fatto con le migliori intenzioni, certo, non abbia alla fine dei conti peggiorato la situazione. Non vorrei che fosse come le “perle ai porci” di Mt (7,6).

    Giuseppe

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    1. Caro Giuseppe,
      comprendo la sua perplessità circa l’opportunità di pubblicare un documento del genere, di non facile comprensione e che si presta all’equivoco.
      Eppure il documento è ispirato ad un alto senso della misericordia e si può comprendere come venga frainteso da quella corrente rigorista, che assomiglia alla setta dei farisei dell’epoca di Cristo.
      Quello che bisogna fare adesso è mettere ogni impegno nel far capire che il documento non approva in nessun modo la sodomia e a tale scopo occorre esplicitare quella condanna di questo peccato, che, per la verità, sembra piuttosto implicita, e questo è il difetto del documento.

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    2. Mi domando perché non applicare anche alla corrente rigorista l'alto senso della misericordia del documento, evitando di offenderli scrivendo che assomigliano alla setta dei farisei dell’epoca di Cristo.

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    3. Caro Anonimo,
      purtroppo il paragone viene spontaneo, perchè come i farisei si scandalizzavano per i gesti di misericordia di Cristo, così gli attuali censori della Dichiarazione fraintendono l’atteggiamento di misericordia della Dichiarazione verso le coppie irregolari, credendo che essa voglia legittimare il peccato.

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    4. Anche il fraintendimento della Dichiarazione a certe persone viene spontaneo, anche la sodomia viene spontanea all'interno delle coppie omosessuali, la spontaneità non mi pare una giustificazione per non applicare l'alto senso della misericordia del documento, altrimenti lo sarebbe anche negli altri casi.

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    5. Caro Anonimo,
      sono d’accordo che, come bisogna avere misericordia per le coppie irregolari, così dobbiamo essere comprensivi nei confronti di coloro che faticano a comprendere la Dichiarazione.
      Questo tono di comprensione si nota anche nella Nota del DDF, del 4 gennaio scorso, nella quale il Card. Fernandez dice che in certi casi il vescovo può rinunciare ad applicare per il momento la FS, se si nota che l’ambiente non è preparato a comprenderla.
      Tuttavia non è ammissibile che ci sia chi accusa il Santo Padre di eresia, perché qui si dimostra di non essere in comunione con la Chiesa.

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  4. Reverendo padre Cavalcoli,
    innanzitutto la ringrazio per questo suo scritto che aiuta a chiarire meglio alcuni aspetti del documento preso in esame.
    Ne sono venuto a conoscenza tramite i canali social e ho voluto approfondire leggendo il testo del DDF perché mi riguarda in prima persona essendo io persona omosessuale che convive col proprio compagno da quasi 10 anni.
    I commenti letti nei citati canali social cozzano abbondantemente con il senso del documento che, dopo la lettura, mi è sembrato di cogliere. Ho colto, infatti, in quei commenti uno stracciarsi le vesti che però a me sembra alquanto ingiustificato o, quanto meno, esagerato nei confronti del testo e del suo reale contenuto.
    Il testo che lei, reverendo padre, ha qui pubblicato ha chiarito invece molte questioni sospese, più altre che mi aiutano a contestualizzare la situazione attuale dell'attuale posizione della Chiesa e del pontefice regnante.

    Per non tirarla per le lunghe e per esprimere meglio il mio pensiero, porto qui la mia esperienza di persona chiamata in causa dal documento del DDF. Ho già scritto che convivo con un compagno da quasi dieci anni. Qui aggiungo che sono giunto a quella relazione dopo un cammino fortemente travagliato tanto dal punto di vista di fede (ero frate di un antico Ordine religioso), quanto, soprattutto, dal punto di vista umano. Dal punto di vista della fede, ho attraversato fasi di profondo rifiuto dopo essere uscito dall'Ordine e aver maturato piena consapevolezza del mio orientamento omoaffettivo. Con l'inizio della mia relazione però, ho progressivamente riscoperto la necessità di rivolgermi a Dio, scelto di tornare a partecipare alla messa domenicale (pur astenendomi dal ricevere i sacramenti) e, paradossalmente, deciso di recitare quotidianamente il rosario. Quest'ultima preghiera, mi era sempre stata sgradita, ma negli anni mi è diventata preziosa e necessaria.
    Il mio compagno è una persona buona e, pur definendosi non credente, conserva senza saperlo dei germi di speranza che silenziosamente cerco di aiutare a coltivare. Siamo cresciuti e stiamo crescendo insieme, ciascuno nel proprio cammino, ma scopro in questa relazione aspetti positivi, pur nella consapevolezza di quanto insegnato dal Magistero della Chiesa. La mia, quindi, non vuole essere una giustificazione delle mie scelte, né tanto meno un'autoassoluzione. Piuttosto vuole segnalare che il contenuto del documento in esame è palese ai miei occhi: la possibilità di una eventuale richiesta di benedizione a me e al mio compagno, non sarebbe da interpretare come una benedizione della relazione in sé, ma andrebbe a sostenere quanto di buono e onesto in questa relazione c'è.
    Anzi, vedendo come la Grazia mi sta misteriosamente guidando in questi anni, la mia speranza è che in futuro, una eventuale richiesta di benedizione da parte del mio padre spirituale, potrebbe addirittura stimolare nel mio compagno uno spontaneo avvicinamento alla fede. Lui, infatti, conserva l'immagine di una Chiesa fin troppo poco incline ad accoglierlo a causa di alcuni opuscoli trovati in una chiesa e che si esprimevano nei riguardi delle persone omosessuali con toni talmente drastici e, direi quasi apocalittici, da suscitare un rifiuto totale di quanto connesso alla vita di fede e alla Chiesa. Si tratta di episodi lontanissimi nel tempo, ma talmente forti da restare vivi in lui ancora oggi. Eppure, qualcosa si muove in lui.
    E' questa quindi l'ottica in cui leggo il documento e le sue parole, reverendo padre, confermano di averlo rettamente interpretato. Come nella mia relazione, immagino, tante altre si trovino in situazioni simili e allora, può essere ancora giustificabile una condanna tout court come alcuni vorrebbero tuttora? O, non è meglio, come si sta facendo, al netto delle ambiguità che lei segnala, cercare di cogliere quanto di buono può esserci?

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    1. Caro Anastasis,
      noto che Lei ha compreso perfettamente il significato e il valore della Fiducia supplicans, così come esso appare chiaro dall’interpretazione che ne ho data, la quale da una parte scoraggia i genderisti dallo sfruttarla a proprio vantaggio, ma dall’altra è un appello ai rigoristi a saper apprezzare l’aspetto positivo delle unioni omosessuali, senza per questo legittimare il peccato. Il fatto di essere eterosessuali od omosessuali non costituisce una discriminante morale tra gli uni e gli altri,
      Gli omosessuali non costituiscono una classe di persone a parte, come fossero dispensate dal dovere di redimersi dal peccato o al contrario fossero dei maledetti in continuo stato di peccato, irredimibili e candidati all’inferno, perché invece la dinamica e il cammino di salvezza sono sostanzialmente gli stessi per tutti: tutti cadiamo inevitabilmente e periodicamente nel peccato per tutto il corso della vita presente; tutti dobbiamo con la penitenza cancellare i peccati che sempre di nuovo commettiamo; tutti possediamo delle buone inclinazioni e dei talenti da far fruttare; tutti siamo redenti dal sangue di Cristo e possiamo e dobbiamo valercene per la nostra salvezza; tutti fin da adesso possiamo pregustare nella grazia la futura resurrezione gloriosa dell’unione dell’uomo con la donna.

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  5. Queste coppie considerano la loro situazione peccaminosa oppure no. Nel secondo caso, ovviamente, la considereranno legittima e legittimabile e vedranno la benedizione come una legittimazione, e da quanto dice l'autore, la benedizione non dovrebbe essere data loro, affinché non diventi una maledizione.

    Nel primo caso o si pentono di quel peccato oppure no. Se non si pentono, allora la benedizione non dovrebbe essere data loro, perché sarebbe benedetta l’impenitenza. Se si penti, allora ciò di cui hai bisogno non è la benedizione, ma il sacramento della Riconciliazione.

    Se qualcuno dice: “So che sono in una situazione di peccato e voglio uscirne, ma vedo che in questo momento non ho la forza per farlo, quindi chiedo la benedizione di Dio che mi dia la forza necessaria”.

    Quel “non ho la forza per farlo” significa in realtà “non voglio farlo”. Perché non si tratta di muovere un tronco, ma di muovere la propria volontà, per cui basta volere, come dice sant'Agostino, perché volere è proprio il movimento proprio della volontà. Quindi se la nostra volontà non si muove è perché non vogliamo. Senza dubbio, abbiamo bisogno della grazia di Dio per poter volere e volere, ma assumendo la grazia di Dio, possiamo volere e siamo responsabili se non vogliamo.

    E la grazia di Dio non arriva solo attraverso la benedizione. Al contrario, l'autore parte dal presupposto che occorre essere in grazia di Dio affinché la benedizione sia efficace.

    Pertanto manca il pentimento e quindi non può esserci alcuna benedizione, a causa di ciò che dice l'autore del “blog”.

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    1. Caro Massimo,
      è possibile che certe coppie di omosessuali vedano la benedizione come legittimazione del loro peccato, che con ciò stesso non sarebbe più peccato, giacchè non si può benedire il peccato. Se così dovesse capitare, è chiaro che il ministro della benedizione, prima di benedire una coppia, dovrà verificare se essa è vittima di questo equivoco, per cui, se la coppia dovesse rifiutarsi di accettare il chiarimento del ministro, è chiaro che egli è tenuto a negare la benedizione, perché in tal caso non esisterebbe una vera fiducia supplicans, ma una vana furbizia e un tentare Dio.

      La benedizione può aggiungersi benissimo alla confessione.

      La nostra condotta morale di quaggiù, con una natura ferita dalle conseguenze del peccato originale, ma che pur ha conservato un debole libero arbitrio, certamente è effetto della nostra libera volontà, ma occorre tener conto del fatto che l’inclinazione al peccato è molto forte, per cui, anche con tutta la buona volontà e persino col soccorso della grazia, capita che la violenza della passione, per esempio della lussuria, sia nel caso dell’omosessualità come dell’eterosessualità, sia talmente forte e coercitiva, che io finisco, come dice S.Paolo (Rm 7,14-24) per fare quel male, che, se fossi libero dalla concupiscenza, non farei.
      Il principio nemo ad impossibilia tenetur certo non dev’essere una scusa per sentirsi liberi di peccare; eppure esso vale in quei casi, nei quali, pur volendo farei il bene, non ce la facciamo per mancanza di forze, per cui è vero che l’atto, in quanto volontario, è colpevole, ma dovrebbe essere altrettanto chiaro che, avendo tale atto una dose di rifiuto impotente per la forza maggiore della passione, la colpa diminuisce tanto più quanto è maggiore la violenza della passione. Da qui le cosiddette attenuanti, delle quali occorre tener conto nel giudicare per non colpevolizzare chi non è colpevole, ma semplicemente fragile, e per non incrudelire laddove occorre avere pietà.

      Ma la coppia può benissimo presentarsi al sacerdote essendo già in grazia.

      È chiaro che i richiedenti la benedizione devono essere pentiti dei loro peccati, compreso quello di sodomia.

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  6. Ma inoltre FS non stabilisce in alcun modo che se non c'è la volontà di convertirsi e c'è il desiderio di legittimare la propria situazione, la benedizione non verrà data. Nel contesto di FS, la frase “non rivendicano la legittimità del proprio status” è un mero “flatus vocis”. Ciò si vede perché è stabilito che tali “benedizioni” non saranno regolamentate o ritualizzate in alcun modo. Se il sacerdote, quindi, constata la mancanza di provviste adeguate e dà anche la “benedizione”, non succede assolutamente nulla. In realtà, FS lascia ormai i sacerdoti esenti dall'autorità del Vescovo (e quindi della Chiesa intera).
    Inoltre lo stesso autore lascia la questione, per quanto dice FS, in una mera “raccomandazione” al sacerdote di verificare attentamente se le persone hanno le opportune disposizioni. Per cosa? In modo che in ogni caso, se sospettate (vedi) che non li abbiano, date comunque la benedizione, avvertendo però che sarà efficace solo se verranno corretti!
    Si pensava che avrebbe detto che in quel caso il sacerdote non può dare la benedizione, perché l'autore ha già detto che in quei casi invece della benedizione c'è una maledizione. Non si tratta solo del fatto che la benedizione non è efficace se non hanno la volontà di correggersi. Così come lo presenta l'autore, il sacerdote conferma che non c'è volontà di cambiare e dà la stessa “benedizione”, che in realtà dà una maledizione.
    Perché non deve essere solo il sospetto di non voler cambiare, perché nessuna coppia chiede una benedizione per potersi sciogliere. In questi casi è chiara la volontà di rimanere nel peccato.

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    1. Caro Massimo,
      1. FS prescrive invece chiaramente il dovere di curare la penitenza e la conversione, per cui è ovvio che la benedizione vale solo a queste condizioni. Per questo il ministro fa bene, prima di dare la benedizione, a verificare se questa volontà esiste, per evitare l’equivoco che la benedizione supponga la legittimazione o tolleranza del peccato di sodomia.
      Il fatto che la benedizione sia spontanea e liberamente formulata dal ministro caso per caso e non fissata o ritualizzata sta proprio a significare che il ministro benedice un’unione che, diversamente da quella matrimoniale intrinsecamente ed oggettivamente santa, presenta un lato buono e un lato cattivo. Da qui la necessità di benedire il lato buono escludendo quello cattivo, cosa che può fare una formula di benedizione che faccia le dovute distinzioni e precisazioni, adatte al caso concreto.

      È ovvio che la benedizione vale ed è efficace solo se nei due c’è volontà di penitenza e conversione. FS lo dice chiaramente. E comunque il ministro, se sospetta che i due non abbiano le idee chiare, dovrà prima verificare se riconoscono che la sodomia è peccato e intendono lottare contro il peccato. Diversamente è chiaro ch è tenuto a rifiutare la benedizione, mancando le dovute disposizioni.

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  7. “Pastorale e dogma s’intrecciano in modo indissolubile: è la verità di Colui che è a un tempo “Logos” e “pastore”, come ha profondamente compreso la primitiva arte cristiana che raffigurava il Logos come pastore e nel pastore scorgeva il Verbo eterno, che è per l’uomo la vera indicazione della via.”

    (Joseph Ratzinger, Opera Omnia)

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    1. Questo per sottolineare quante volte troppo si usa (e probabilmente abusa) della sottolineatura "pastorale".

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    2. Caro Anonimo, condivido quanto da lei riportato (Ratzinger).

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    3. Caro Anonimo, questo è vero e succede. Infatti capita che si faccia passare come «esigenza pastorale» una corruzione o falsificazione della dottrina. È lo stile proprio dei modernisti, ma nei filolefevriani succede anche il contrario: ci si irrigidisce su certe prassi superate come se fossero dogmi della fede.

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  8. «Nel solco del Magistero tradizionale della Chiesa», come anche «Amoris laetitia», padre Cavalcoli, quando permette la santa comunione agli adulteri impenitenti?

    Non li vergogni di citare quel cosiddetto teologo Maggi, che non condanna l'omosessualità come qualcosa di oggettivamente disordinato?

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    1. Cara Paulina,
      è vero che nella FS si sente il profumo del Vangelo, anche se certo non come piacerebbe a Maggi, ma in quanto si nota uno sforzo di cogliere anche in queste coppie quanto di buono ci può essere, da potenziare precisamente in vista di una graduale opera di liberazione dal peccato di sodomia. Chi di noi non ha da lottare per tutta la vita contro cattive tendenze, sempre risorgenti, conseguenti al peccato originale? Devono farlo solo gli omosessuali? E non è sufficiente condurre questa lotta senza quartiere al peccato, sempre ritornante e sempre tolto dalla penitenza, per andare in paradiso? Dio non ci si chiede altro. L’impeccabilità non è una dote di questa vita, fossimo santi come S.Paolo o S.Giovanni o S.Guseppe, ma del paradiso.

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  9. Cattolici Omo e Bisessuali
    RIFLESSIONE DI PADRE ALBERTO MAGGI

    Nella trasmissione RAI Uno Mattina, il conduttore ha chiesto a padre Alberto Maggi se la Chiesa condanna l'omosessualità e questo è quanto ha risposto l'intervistato:
    "La dottrina della Chiesa è in evoluzione, non è qualcosa di stabilito per sempre. Attualmente la posizione della Chiesa sulla questione è molto severa, spietata e perfino disumana, perché provoca sofferenza. Ma dobbiamo avere speranza perché la Chiesa cambia la dottrina. Ciò che cinquant’anni fa era considerato peccato oggi non lo è più. E quindi, in questa evoluzione e ponendo sempre al primo posto il bene dell'uomo, quello che oggi sembra essere un male, domani potrebbe non esserlo.
    La differenza morbosa e paranoica che il Magistero fa tra "essere omosessuale" e "commettere atti omosessuali" è come dire a una pianta: puoi crescere ma non fiorire. Come si fa a dire a una persona che non può esprimere il suo affetto e la sua sessualità? Questo è davvero contro natura!

    Nessun commento... Si è visto che il peccato non è più peccato. Alla fine la Chiesa aveva torto, i teologi moderni ci stanno svegliando...

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    1. Cara Paulina,
      è evidente il gravissimo errore di Padre Maggi: il considerare secondo natura ciò che è contro natura, come ho spiegato con chiarezza nel mio articolo.

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  10. Personalmente come sacerdote e pastore “in cura d’anime” premetto che in obbedienza alle indicazioni pastorali del magistero della Chiesa, accolgo il recente documento, “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni del Dicastero per la Dottrina della Fede, 18.12.2023, del 15.03.2021 anche se permangono in me alcune perplessità riguardo ai contenuti. Mi spiego. In sintesi, la benedizione delle coppie cosiddette irregolari: l’unione delle coppie conviventi, le coppie dei divorziati risposati e degli omosessuali chiaramente non possono essere equiparate al matrimonio sacramentale, e di conseguenza non possono ricevere la benedizione, ma la benedizione si riferisce a ciò che di buono ed onesto c’è in queste relazioni. L’argomentazione di fondo è che con queste benedizioni, si intende benedire il bene, cioè tutti quei valori che possono essere presenti nella coppia e non la loro relazione in quanto tale che per la Chiesa rimane irregolare. Infatti al n.31 della Dichiarazione si legge: “In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni”.
    La Chiesa quindi oggi, permette la benedizione di queste coppie, senza legittimare l’adulterio o la sodomia. Ma io mi chiedo, ed è qui per me il punto centrale del problema, queste coppie sono impegnate a vivere la loro relazione come semplici fratelli e sorelle o amici intimi che si sostengono reciprocamente, in altri termini, vivono castamente il loro rapporto, oppure ritengono che la loro relazione risulta incompleta se manca anche il rapporto sessuale come è presente in tutte le altre coppie, cosiddette “regolari”? Questa Dichiarazione cerca di distinguere l’unione spirituale di due persone, che va benedetta dal loro rapporto di intimità che prevede anche la pratica sessuale che non può essere accettata e benedetta. Dobbiamo chiederci come si concilia tutto questo con il significato profondo della benedizione che ci invita a vivere in pienezza e con fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento della Chiesa implorando al tempo stesso l’aiuto e la guida del suo Spirito, nella coscienza della nostra fragilità e debolezza.
    Don Vincenzo

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    1. Caro Don Vincenzo,
      è chiaro che la benedizione è condizionata dall’impegno della coppia a percorrere un severo cammino di conversione e di penitenza, che si propone come meta finale l’astinenza dal rapporto sessuale, ma si può ritenere che questa meta per loro ardua potrà essere raggiunta solo gradualmente nel corso del tempo e forse degli anni e con un opportuno accompagnamento.

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  11. Inoltre, nella situazione in cui qualcuno è come schiavo di una forte passione, o c'è uno scopo per emendarsi oppure non ce n'è. Nel secondo caso non c’è un vero pentimento, ma tutt’al più una “volubilità”: vorrei pentirmi e lasciare questo peccato, ma di fatto non lo faccio, cioè non voglio farlo. Supponiamo che la persona chieda in questo caso una benedizione per se stessa, per darle la grazia di Dio per uscire dal suo peccato. Ogni membro della “coppia” può farlo anche separatamente. Questo è diverso dal chiedere una benedizione per la “coppia” in quanto tale, perché il peccato non può essere benedetto, e quella “coppia” è una “coppia” a causa della loro relazione peccaminosa. È illusorio proprio per questo dire che è benedetta la “coppia” ma non l’unione di entrambi. Tolta l'unione, tolta la “coppia”, tolta quindi la benedizione alla “coppia”. Se dunque la “coppia” è benedetta, è benedetta anche l’unione che la rende tale.

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    1. Caro Massimo,
      la Dichiarazione suppone i casi nei quali il rapporto sessuale è solo uno degli interessi che formano l’unione o coppia, ma non il principale. È chiaro che se l’unico scopo per stare assieme fosse il godimento sessuale, la benedizione di un tale stare assieme peccaminoso non avrebbe nessun senso.

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  12. ... come dire: sì è vero 1+1=2; tuttavia noi non benediciamo il 2 (unione), ma la coppia (1+1).

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  13. Caro anonimo, stiamo parlando di persone, create da Dio e chiamate alla salvezza eterna, come tutti gli esseri umani. Non di numeri.

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  14. Il Papa spiega: “Queste benedizioni, fuori di ogni contesto e forma di carattere liturgico, non esigono una perfezione morale per essere ricevute”. Secondo punto che rimarca è che “quando spontaneamente si avvicina una coppia a chiederle, non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che insieme ne hanno fatto richiesta”.

    Non l’unione, ma le persone.

    https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-01/papa-plenaria-dottrina-fede-benedizioni-fiducia-supplicans.html

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    1. Caro Anonimo,
      io ho già trattato la questione della distinzione tra coppia, unione e singola persona. Siamo davanti non a differenze di contenuto, ma di modi espressivi diversi, che possono essere usati a seconda delle convenienze e di come possiamo essere interpretati.
      Il Card. Fernandez, nel Comunicato Stampa, parla di “coppie”. Io ho collegato il concetto di coppia con quello di unione. Il Documento del 2021 della CDF rifiutava il termine “unione”. Il Santo Padre si è collegato con questo Documento, escludendo anche lui il termine “unione”.
      Io ho fatto questo ragionamento: benedire una singola persona suppone la benedizione dell’interesse privato di questa persona. Benedire una coppia o una unione vuol dire benedire il bene comune, che unisce le due persone. Io capisco per quale motivo il Santo Padre parla di benedizione del singolo, perché parlare di unione fa pensare all’aspetto peccaminoso dell’unione.
      Tuttavia io ho distinto nell’unione l’aspetto positivo dall’aspetto negativo, per cui, secondo questa distinzione, si può parlare di benedizione dell’unione, riferendosi all’aspetto positivo.
      Lei mi dirà: “Insomma, come ci dobbiamo esprimere?”. Dobbiamo scegliere un modo di esprimersi tale da evitare equivoci. Il benedire la singola persona aiuta a capire che non si benedice il peccato commesso con l’unione peccaminosa.
      L’idea del Card. Fernandez di benedire le due persone assieme, ma singolarmente, può essere una soluzione utile a salvare in qualche modo l’aspetto positivo dell’unione, ma d’altra parte la benedizione del singolo fa pensare al fatto che non si può benedire l’aspetto peccaminoso dell’unione.

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  15. Buongiorno caro Padre e buona domenica. In merito a quanto scrive su Gen 19,1-11 nel paragrafo "osservazioni critiche", ha tempo di spiegarmi nel dettaglio perché definisce falsa l'interpretazione secondo la quale Sodoma sarebbe stata castigata per non aver accolto gli stranieri? E ancora Le chiedo perché questa interpretazione la definisce "funzionale al genderismo"? Con tale termine non si indica la credenza che si possa nascere nel corpo "sbagliato"? Voleva forse intendere "omo-ideologia"?
    Un caro saluto, Dio La benedica.

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    1. Caro Anonimo,
      Lot, con i suoi familiari, era effettivamente uno straniero, che non fu accolto proprio in quanto non approvava i costumi corrotti degli abitanti di Sodoma in Gen 19,7-9.
      In quanto gli abitanti di Sodoma non hanno accolto Lot, vengono giustamente puniti. Fin qui, Ravasi ha ragione. Dov’è il suo errore? Nel fatto che egli non riconosce che essi sono puniti anche perché si oppongono a Lot, il quale li rimproverava del loro peccato.
      L’aspetto falso dell’interpretazione di Ravasi è funzionale al genderismo in quanto nasconde il peccato degli abitanti di Sodoma, consistente appunto nella sodomia, e mette in luce solamente la loro mancanza di ospitalità.
      Quanto al genderismo, è la teoria che appunto sostiene la liceità della sodomia.
      Certamente il genderismo è ciò che lei chiama omo-ideologia.
      Vorrei farle osservare che l’espressione “nascere in un corpo sbagliato” è un po’ inesatta, ma capisco che cosa lei intende dire. Sarebbe meglio tuttavia esprimersi dicendo che ci sono degli individui che nascono con una tendenza sessuale innaturale, per cui anziché tendere all’unione con l’altro sesso, tendono all’unione con l’individuo dello stesso sesso.

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  16. Caro padre Cavalcoli,
    permettimi di chiederli qui (ho scelto questo posto perché non ho trovato un altro articolo adatto sul suo blog) su una questione riguardante i divorziati risposati.
    Mi riferisco a quanto hai pubblicato nel 2021 nel suo libro "Le verità di fede: Tutti i dogmi e le dichiarazioni dottrinali della Chiesa Cattolica", nel numero 164, riguardanti Familiaris consortio n.84.
    Seguendo la nota precedente al suo elenco di dogmi o verità dottrinali della Chiesa, poiché lo pubblichi in carattere normale in grassetto, questo verrebbe incluso come dogmi di secondo grado.
    Ma, a mio modesto parere, questo è un errore di valutazione da sua parte, poiché la frase di san Giovanni Paolo II si riferisce solo a una direttiva pastorale, e non a un dogma, nemmeno di secondo grado.
    Ho sbagliato?
    Se ho ragione, allora, in una nuova edizione del suo ottimo (e utilissimo!) libro, quella frase di Giovanni Paolo II andrebbe eliminata come se fosse dottrinale.
    Grazie e cordiali saluti.

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    1. Caro Silvano,
      non so darle una risposta circa il fatto del grassetto.
      Ad ogni modo le dico quello che ho sempre pensato e tuttora penso riguardo a questa questione del permesso o non permesso della Comunione ai DR.
      Ho sempre sostenuto, e tuttora sostengo, che non si tratta di una questione dottrinale appartenente al I o II grado, ma di una questione pastorale, che si può collocare al III, dove si danno anche direttive pastorali legate in qualche modo alla dottrina, direttive pastorali non sempre immutabili, perché sono direttive relative al mutare delle circostanze e quindi soggette a mutamenti nel tempo, cosicché un Papa può mutare ciò che ha fatto il precedente.

      Per quanto riguarda il permesso dato ai DR di fare la Comunione, ciò naturalmente non suppone assolutamente che l’adulterio e il peccato contro l’indissolubilità del matrimonio non continuino ad essere peccati.
      Però la Chiesa ha maturato una maggiore comprensione della misericordia di Dio e applica questa migliore conoscenza nella sua prassi pastorale.

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    2. Caro Padre, proprio perché conosco già la sua posizione al riguardo, è perché sono rimasto sorpreso nel vedere il passaggio citato nel suo libro.
      Naturalmente conoscevo già la sua posizione sulla questione del permesso o meno dei DR a fare la comunione, posizione che condivido.
      Di conseguenza, e dato che nel suo libro "Le verità di fede: Tutti i dogmi e le dichiarazioni dottrinali della Chiesa Cattolica", i passaggi magisteriali pubblicati tra virgolette e in grassetto appartengono ai dogmi o alle dottrine della Chiesa, vedo che non corrisponde il modo in cui è stato pubblicato il testo nel numero 164 del suo libro, poiché il passo magisteriale citato non ha contenuto dottrinale, ma piuttosto pastorale.

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    3. Caro Silvano,
      probabilmente si tratta di una svista.
      Spero sia possibile rimediare nelle prossime edizioni.

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