Il Papa sprona i teologi

 

Il Papa sprona i teologi

Un documento stimolante ed incoraggiante

Il 1° novembre scorso il Santo Padre ha emanato il un Motu proprio[1] Ad theologiam promovendam, col quale conferma, riforma, incoraggia e dà nuovo incremento alle attività del Pontificia Accademia Teologica[2], un organismo culturale della Santa Sede, che raccoglie da tutta la Chiesa un ristretto gruppo di teologi che si sono segnalati per la loro competenza e fedeltà alla Chiesa nelle varie discipline della scienza teologica.

Il documento del Santo Padre è segnato e guidato dalla categoria della novità e quindi dal rimando allo Spirito Santo, che nel battesimo ci ha fatti rinascere con Cristo e ci ha resi nuove creature ad immagine di Cristo. È tuttora in atto e non ancora compiuta quella svolta epocale, che fu inaugurata 60 anni fa dal Concilio Vaticano II col chiudere definitivamente un precedente tempo della Chiesa nel quale troppo si era insistito sulla severità e non abbastanza sulla misericordia.

Indubbiamente, come fu segnalato dai Papi del postconcilio, soprattutto S.Paolo VI e Benedetto XVI, la riforma conciliare è stata fraintesa e falsificata da un risorto modernismo che si fregia fraudolentemente del titolo di «progessismo», quando invece quella tendenza lascia passare sotto quel titolo onorevole – chi nega infatti il valore del progresso? – la volontà di cambiare e relativizzare il significato dei dogmi e degli articoli di fede, di corrompere la Tradizione, di sovvertire i costumi cristiani, di allontanare la Chiesa dalla fedeltà al suo Sposo, col pretesto della doverosa ricerca di un linguaggio teologico e pastorale comprensibili dagli uomini del nostro tempo e del dovere non più dilazionabile di assumere nel patrimonio della dottrina cattolica quanto nella modernità si trova di compatibile col Vangelo.

In tal modo la teologia, in ascolto delle ispirazioni dello Spirito Santo, è chiamata ad essere profetica, ossia a elaborare ipotesi e possibili prefigurazioni, progettazioni e realizzazioni iniziali già da adesso di quella che sarà l’umanità futura, unione di uomo e donna, così come risulta dalla divina rivelazione e dalle promesse di Cristo.

Compito del teologo, ci dice il Papa, è di essere, alla luce della Parola di Dio, della Tradizione e del magistero della Chiesa e in comunione con la Chiesa, un precorritore, una avanguardia, uno stimolatore di progresso dottrinale, spirituale e morale, dunque quello di far avanzare la storia verso Cristo Risorto, che dalla destra del Padre guida l’umanità all’incontro escatologico con Lui nei cieli, sostenendo e difendendo la Chiesa sua sposa nella lotta contro il Dragone infernale fino a che essa lo avrà vinto nell’ultimo giorno alla fine dei tempi e non sarà terminato il numero degli eletti.

In Cristo, infatti l’uomo nuovo di paolina memoria può sperimentare già da adesso le primizie della futura risurrezione, dei nuovi cieli e della nuova terra dove abita la giustizia. Le conseguenze del peccato originale permangono, ma mano a mano che nel corso dei secoli e dei millenni Dio in Cristo ci fa sentire la potenza e la vastità della sua misericordia e della sua grazia, aumenta la nostra conoscenza e l’esperienza di questa misericordia, per cui gradatamente diminuiscono le conseguenze incresciose del peccato originale e l’uomo ritrova la perfezione originaria dello stato edenico arricchito dalla gloria escatologica futura dei figli di Dio, mossi dallo Spirito Santo, che rinnova tutte le cose, nuove creature modellate dal Padre ad immagine del Figlio.

Il Pontefice ci fa notare che il progetto riformatore del Concilio, inteso nel suo senso giusto, è tuttora di estrema attualità. Dopo 60 anni l’opera progettata e promossa dal Concilio non è affatto compiuta o lo è solo in parte. Il Papa denuncia addolorato come ancora dopo 60 anni ci sono cattolici che non sanno apprezzare il valore delle nuove dottrine conciliari scambiandole per moderniste o filoprotestanti,  così come purtroppo permangano le grette resistenze di un conservatorismo, che non è vera conservazione dell’immutabile deposito della fede, ma sterile attaccamento o cose, idee e pratiche che oggi la Chiesa ha superato e corretto, così pure come esiste un tradizionalismo che non è vera fedeltà alla Tradizione così come essa è interpretata e vive nel Magistero attuale della Chiesa, ma attaccamento irragionevole e dannoso a parole, formule, riti,  usanze e mentalità che la Chiesa stessa ha abbandonato.

Interessante l’accenno al dovere del teologo di tener conto del «senso comune della gente», che è la metafisica spontanea del cuore umano o della ratio naturalis, per dirla con San Tommaso. È sulla base di queste intuizioni spontanee ed universali della ragione naturale e della coscienza morale, la cosiddetta «sinderesi», che il teologo costruisce la sua opera educativa, avviando eventualmente a studi superiori di filosofia o teologia i giovani che riscontra adatti e desiderosi di intraprendere un cammino così utile al bene dell’umanità e della Chiesa.

Molto importante è anche il discorso del Papa sulla necessità che il teologo abbia cura della relazione della sua disciplina con le altre che costituiscono l’università degli studi e delle scienze.

Naturalmente ogni teologo non potrà spaziare su tutte le scienze, ma tra di esse sceglierà quella o quelle con le quali si sente in maggior sintonia e capace di entrare in relazione. In ogni caso è bene che ogni teologo abbia chiara percezione dei gradi del sapere[3], perché tale gerarchizzazione mostra come dall’esperienza delle cose quotidiane e del mondo fisico la nostra intelligenza, passando attraverso i gradi delle scienze, della matematica, della filosofia, della teologia e della mistica si prepara alla visione beatifica dell’Essenza divina in paradiso, un itinerario che San Bonaventura aveva già descritto appunto col suo famoso Itinerarium mentis in Deum e la Reductio artiun in theologiam.

Per interpretare correttamente ossia contestualmente questo documento del Papa e vederlo nella giusta luce, è chiaro che occorre metterlo in relazione coi più importanti insegnamenti del Papa attinenti alla teologia e alla dottrina cattolica. Per la verità non sono numerosi, ma sono estremamente significativi.

Ne cito soltanto quattro. Primo, la necessità, ripetuta in molti suoi discorsi come nessun Papa aveva mai fatto prima di lui, che ci guardiamo dalle insidie, dagli inganni e dalle seduzioni del demonio, che tenta di falsare la Parola di Dio e di allontanarci da Cristo.

Secondo, il pericolo dello gnosticismo[4] come preteso sapere teologico totalizzante, esaustivo e supremo, al di sopra della Parola del Vangelo. È chiaro che la polemica antignostica del Papa va collegata con la condanna dell’idealismo a favore del realismo, laddove il Papa ha più volte richiamato al primato della realtà sull’idea[5]. Ora, che cos’è lo gnosticismo se non la presunzione della ragione umana di dominare, come il Papa stesso ha detto, con l’idea il reale?

Terzo, la condanna del neopelagianesimo contemporaneo[6], come pretesa dell’uomo di innalzarsi da sé con la sola ragione al livello divino e quindi di salvarsi con le proprie forze. Qui possiamo vedere la condanna dell’umanesimo rahneriano caratterizzato dalla grazia come compimento della natura e da Dio come vertice dell’autotrascendenza umana illimitata.

Quarto, la raccomandazione del pensiero di San Tommaso come Dottore Comune della Chiesa, pubblicata il 18 luglio scorso per commemorare il VII centenario della canonizzazione del Santo Dottore.

Osservazioni critiche e suggerimenti integrativi

Se mi è concessa qualche osservazione critica, salvo meliori judicio, al documento del Papa, direi che a mio modo di vedere egli avrebbe dovuto aggiungere al forte appello al progresso e all’attuazione del Concilio, riprendendo un richiamo sempre attuale dei Papi precedenti, una necessità urgente per la teologia e per la Chiesa di oggi di rivisitare, ripristinare e recuperare valori dimenticati, soprattutto quelli relativi al dottrinale, al permanente, all’assoluto, all’immutabile, all’universale.

È vero che certi teologi del preconcilio, anche tomisti, praticavano un teologare troppo astratto, intellettualistico, immobilistico, ripetitivo, avulso dal contesto storico, troppo polemico contro la modernità. Tuttavia non è col modernismo volontarista, qualunquista, storicista, evoluzionista, lassista, opportunista. dialettico e relativista che si rimedia all’astrattismo, al fissismo, all’indietrismo ed alla rigidità.

Nella volontà di rimediare ad un estremo rigorista, astorico ed astrattista denunciato dal Concilio. molti teologi impulsivi, imprudenti ed avventati, senza una seria preparazione scolastica,  senza un vero amore per le anime e neppure per la propria anima, ma con un’infarinatura di teologia tedesca, quasi che essa sia il paradigma della teologia, in cerca di notorietà come «progressisti», persecutori dei «conservatori», amanti del mondo e di se stessi più che di Cristo, sono passati all’estremo opposto a causa di una reazione evidentemente non ragionata ma solo emotiva e di comodo, o come avviene nei movimenti pendolari.

Questi teologi estremisti e falsi rinnovatori non si sono resi conto che sia di destra o sia di sinistra, l’estremismo è sempre estremismo, mentre i doveri del buon teologo sono l’imparzialità e lo spirito di sintesi, evitare l’unilateralità e la partigianeria, saper dedurre le conseguenze dalle premesse, applicare i princìpi nei casi concreti, saper soffrire per la verità, evitare servilismi e prepotenze,  cogliere l’identico nel diverso,  non confondere la diversità con la illiceità, evitare il doppio gioco, unire l’astratto al concreto, calare l’ideale nel concreto e salire dal fattuale all’ideale, vedere il particolare sotto l’universale, saper mediare tra posizioni reciprocamente complementari, smascherare gli inganni del demonio, escludere gli estremismi ereticali, saper unire l’audacia alla moderazione, dar prova di ampie vedute, attenzione al concreto, nobili intenti, grande equilibrio e magnanimità,  saper   conciliare  gli opposti eliminando i conflitti.

D’altra il buonismo non è la bontà, il misericordismo non è la misericordia, il perdonismo non è il perdono, ma, come sto dimostrando da molti anni nei miei scritti, sono astuzie ed ipocrisie e discorsi di comodo che nascondono falsità, cattiveria, spietatezza, violenza e crudeltà. Per contro, la fermezza non è rigidità, l’austerità non è rigorismo, il sacrificio non è autolesionismo, il merito non esclude la grazia ma la suppone,

Non bisogna aver paura, inoltre, suggestionati dal nominalismo e concretismo occamisti, di affermare l’importanza delle idee astratte. Le parole di Cristo, i dogmi, gli articoli di fede sono evidentemente espressione di idee astratte. Ma non c’è  niente di male, anzi è la necessità del pensare. Abstrahentium non est mendacium. Certo occorre saper astrarre, non fare come Platone che ipostatizzava e reificava l’ideale e l’universale. Ma vogliamo pensare che a Cristo e alla Chiesa manchi quel potere astrattivo dell’intelletto, per il quale esso astrae l’essenza universale dal dato particolare?

Sono gli animali che non sanno concepire l’essenza universale. La superiorità dell’uomo su di essi sta proprio qui: nel saper pensare, e non esiste pensiero senza attività astrattiva. Dunque, diciamocelo francamente: i modernisti stanno esagerando nel reagire alla teologia astrattista preconciliare e si è caduti nell’eccesso opposto. Oggi esiste un eccessivo bisogno di concretezza, che non è segno di realismo nè di prudenza pastorale, ma non è altro che sensismo materialista.

In secondo luogo, se è giusto e doveroso il richiamo all’importanza del metodo induttivo, occorreva citare e spiegare anche il metodo deduttivo. L’uno non può stare senza l’altro perché, mentre il metodo induttivo serve alla conoscenza speculativa (via inventionis), la quale, partendo dall’esperienza sensibile, trae la causa dall’effetto e si eleva a Dio come causa prima, che risulta come fondamento e legislatrice dell’ordine morale, la deduzione parte dall’astratto del principio morale, dalla legge divina (via iudicii) e discende nel concreto applicando la legge nel singolo caso, anche se è vero che anche il giudizio morale o prudenziale si serve dell’induzione, non però per stabilire la legge, ma per comprendere le circostanze nelle quali la legge dev’essere applicata.

In terzo luogo, stimolante è l’invito a continuare il dialogo con i teologi orientali ortodossi. Al riguardo molto importante è il richiamo del Papa al valore sapienziale della teologia e in particolare della teologia mistica, frutto della carità e dell’unione con Dio. Il difetto però della teologia orientale è quello di enfatizzare talmente le tenebre divine, da dimenticare che Dio è luce, sicchè con questa esagerata accentuazione delle tenebre, col negare tutti gli attributi concettualizzabili divini, tutti i dogmi, come fa Dionigi l’Areopagita alla conclusione della Teologia mistica[7], alla fine la mente resta al buio e non vede più niente.

Bisogna notare che i concetti restano necessari nella vita presente, dove vediamo «come in uno specchio» (I Cor 13,12). Solo in paradiso potremo farne a meno, dato che vedremo Dio faccia a faccia. D’altra parte dove va a finire la rivelazione di Dio che ci dona Cristo?  Per quale motivo la Chiesa si è sempre affaticata, a costo di grandi sofferenze ed opposizioni, a fornirci gli articoli di fede e i dogmi? Sono queste le tenebre divine o non rischiano di essere le tenebre del diavolo?[8]  La vera esperienza mistica non abolisce affatto e non supera i dogmi, ma al contrario, nel fuoco della carità, li rende infuocati ed ancor più luminosi.

In quarto luogo, Papa Francesco insiste nello spingere i teologi al progresso. A tal riguardo usa espressioni che paiono troppo enfatiche come «mutamento epocale», «cambio di paradigma», «rivoluzione culturale». Al di là delle immagini non troppo felici, si tratta certamente di vedere l’attuale periodo storico che vede la Chiesa tuttora impegnata nella riforma conciliare,

Per attenuare quanto di apparentemente roboante o spropositato si può sentire nelle suddette espressioni, il Papa avrebbe potuto ricordare a noi teologi il nostro grave dovere, sentito da noi prima del Concilio ma oggi spesso trascurato, di chiarire sempre le cose o i valori che nella Chiesa non cambiano e non possono cambiare, e quelli che invece possono e devono cambiare spiegando il perché e non quindi fermare il progresso col dire «da duemila anni si è fatto e si pensa così», oppure a causa di un falso progresso cancellando tranquillamente con un colpo di spugna tradizioni venerande che hanno prodotto nel passato frutti immensi di santità.

 In questi casi infatti, per essere all’altezza del nostro compito, noi teologi dobbiamo saper sostenere l’immutabile, ma adducendo ragioni teoretiche incontrovertibili, basate cioè non su di una durata temporale, ma sull’intelligenza della fede.

In quinto luogo, il Papa presenta giustamente la teologia come sapere critico. Questa affermazione meritava un ampio sviluppo. Il teologo è chiamato a conoscere la tematica teologica dibattuta nel suo tempo, deve fare un vaglio delle diverse e contrastanti opinioni, discernere quanto è utile al progresso della teologia e al bene delle anime e quanto invece è dannoso e induce alla disobbedienza alle leggi divine o allontana da Dio o crea nemici di Dio.

Il teologo accende nei fedeli l’interesse teologico e li stimola ad aver sete di conoscenza di Dio sempre più approfondita. Aiuta i fedeli a liberarsi dall’errore e li aiuta a diffondere il sapere teologico e a rendersi a loro volta capaci di liberare i fratelli dall’errore.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 novembre 2023

Il Papa presenta giustamente la teologia come sapere critico. Questa affermazione meritava un ampio sviluppo. Il teologo è chiamato a conoscere la tematica teologica dibattuta nel suo tempo, deve fare un vaglio delle diverse e contrastanti opinioni, discernere quanto è utile al progresso della teologia e al bene delle anime e quanto invece è dannoso e induce alla disobbedienza alle leggi divine o allontana da Dio o crea nemici di Dio.


[3] Vedi Les degrés di savoir di Maritain, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.

[4] Vedi Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, del 19 marzo 2018, nn.36-42.

[5] Vedi il mio articolo La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di Papa Francesco, in PATH, rivista della Pontificia Academia Theologica, 2/2014, pp.287-316.

[6] Gaudete et exsultate, nn.47-51.

[7] Vedi l’edizione delle ESD di Bologna, 2011, pp.261-263. Questa impostazione di Dionigi diventò ufficiale nella Chiesa d’Oriente dopo che fu fatta propria da San Gregorio Palamas. Vedi Luci del Tabor. Difesa dei santi esicasti, Edizioni ESD Bologna 2022. L’assenza del Filioque spezza il rapporto del logos (Figlio) col pneuma (Spirito), sicchè ne nasce una mistica anticoncettuale che crea dubbi sulla sua autenticità. Inoltre Gregorio confonde la grazia della gloria celeste con la visione beatifica e siccome la grazia è una partecipazione della natura divina, sostiene che in paradiso l’intelletto non vede l’essenza divina ma una sua partecipazione, che sarebbe l’«energia» divina. Cf V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, Edizioni Dehoniane, Bologna 2013.

[8] Cf I Sam 2,9; Gb 15, 30; 20,26; Sap 17,2; 18,4; Sir 11,16; Ger 23,12; Mt 8,12; 22,13; 25,30; Rm 13,12; Ef 5,8; 6,12; II Pt 2,17; Gd 6; Ap 16,10.

44 commenti:

  1. Con tutta la buona volontà e i nostri limiti , Reverendo Padre , non si può digerire quest'ultima sortita papale volta a ribaltare (nuovamente) il ruolo della Chiesa "docente" in favore di un'ambigua "socioteologia" (secondo la definizione di Stefano Fontana). Il riferimento a San Tommaso per il «senso comune della gente» appare il solito espediente per far apparire "tradizionale" una scelta che è invece rivoluzionaria. L' orizzonte bergogliano non è 'la metafisica spontanea del cuore umano', ma il popolo stesso in quanto "luogo teologico" (Lucio Gera ecc. ) .
    Scrive ancora Fontana:
    la teologia “in uscita” non partirà più dalla dogmatica, ma dall’antropologia o dalle scienze sociali. Non ammetterà più un primato della ragione ma si farà anche con le emozioni e i sentimenti

    Si legge invece nel documento:
    «Non accontentatevi di una teologia da tavolino. Il vostro luogo di riflessione siano le frontiere. […] Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini»
    E il leit motiv con cui è stato costruito (imposto?) tutto il pontificato. Il prete di strada che se ne va in tram con l'aria afflitta a causa della 'turpe dogmatica' che non si riesce ancora a sradicare dalla Chiesa, di suo insensibile alle sofferenze degli uomini.
    E' un'immagine grottesca che nemmeno i Testimoni di Geova si sognano più di utilizzare ma che invece regna incontrastata nelle redazioni compiacenti. (E' già pronto un nuovo libro sulla sua vita..). E' evidente che del cattolicesimo e della storia della Chiesa non c'è la minima comprensione ed è questo aspetto e null'altro che riceve il plauso del mondo.

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  2. Grazie per la risposta.

    A queste condizioni diventiamo dei luoghi teologici, ossia degli spazi che si aprono alla discesa della grazia.

    Questa è la visione classica , a cui nulla può essere anteposto (lo Spirito soffia dove vuole). La mia impressione è che la 'Teologia del popolo', di cui Bergoglio se non figlio è diretto esecutore (oserei dire testamentario), prescinda dalla condizione del soggetto. L'istanza è la stessa della Teologia della liberazione, privata però della lotta di classe.
    Il "popolo" come "figura poliedrica" in cui ogni cultura ha qualcosa contribuire all'umanità e dove le differenze sono rispettate (Scannone).
    L’opzione preferenziale per i poveri deve essere espressa come "opzione preferenziale per gli esclusi" , a prescindere - è qui il punto centrale rivoluzionario - dal loro status , credo , religione ecc.
    Una settimana dal motu proprio ed ecco la bomba mediatica grazie alla risposta del neo prefetto della Congregazione. Il documento è stato diffuso solo oggi , ma la firma è a ridosso di Ognissanti , quindi in contemporanea con l'uscita del motu proprio. Sempre con la citazione di S.Tommaso , s'intende..

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  3. Scusi è partito l'invio . Ecco il titolo del giorno , sempre all'insegna della fiction 'papa buono , Chiesa cattiva' :

    Il Vaticano apre a trans e gay: possono essere testimoni di nozze, madrine e padrini

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    1. Caro Angheran,
      le sue osservazioni circa la concezione che il Papa ha del popolo, mi sembrano piuttosto generiche, sicchè non si capisce a quale discorso del Papa lei si riferisce.
      Perché io possa esprimere un giudizio, avrei bisogno di avere sott’occhio qualche dichiarazione del Papa.
      Ho letto la dichiarazione del Dicastero. Esso non fa altro che ricordare dei principi che dovrebbero essere risaputi ed inoltre dà delle disposizioni che trovo prudenti ed equilibrate.
      Cf.
      - https://www.vatican.va/content/romancuria/it/dicasteri/dicastero-dottrina-fede.index.html
      - https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_20231031-documento-mons-negri.pdf

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  4. Le seguenti risposte ripropongono, in buona sostanza, i contenuti fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo Dicastero

    Da più parti si sente ripetere questo incipit , ma è davvero così?

    I dubbi espressi da Svidercoschi su Il Sismografo , testata non certo ostile nei confronti di Francesco "

    Perché far “sparire” il documento del 2015 dalla lista ufficiale dei testi della Congregazione?

    (Nel frattempo salutiamo il siluramento del vescovo di Tyler, raggiunto anch'egli dalla misericordia bergogliana)

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    1. Caro Angheran,
      la questione se i soggetti omoaffettivi possono lecitamente ricevere il Sacramento del Battesimo o essere padrini al Battesimo, è una questione squisitamente pastorale, che riguarda la disciplina dell’amministrazione dei Sacramenti, un ambito del governo della Chiesa circa il quale il Sommo Pontefice agisce a sua discrezione, avendo la facoltà, se lo giudica necessario ed opportuno, di modificare la disciplina precedente.
      Quindi il fatto che l’attuale Pontefice abbia autorizzato un documento del DDF, che muta quanto era stato disposto da un documento della CDF del 2015, non deve destare alcuna meraviglia, perché è cosa che entra nelle normali competenze del Papa.
      Questi mutamenti sono giustificati dal fatto che la Chiesa nella storia migliora l’esercizio della misericordia, per cui una disposizione data nel passato, col progredire dell’esercizio della misericordia, appare superata e bisognosa di un miglioramento.
      Diversa cosa è la materia dottrinale, in quanto il dogma cattolico è immutabile. Quello che pertanto suscita scandalo e doverosa protesta è purtroppo il fatto di teologi che mutano il significato dei dogmi, cadendo così nell’eresia.

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  5. Caro padre Cavalcoli,
    ho letto il documento e, come siamo abituati da quasi undici anni, credo che dobbiamo fare uno sforzo enorme per cercare di scoprire nelle parole di Papa Francesco l'magistero da sempre e gli impulsi verso le migliori spiegazioni della le verità immutabili. Ma, purtroppo, tutto ciò implica uno sforzo grande, a volte scoraggiante, nello scoprire le parzialità, i limiti e le restrizioni delle concezioni pontificie.
    Hai già accennato al riduzionismo di considerare il metodo induttivo, senza nemmeno citare quello deduttivo. Sappiamo che la teologia non può vivere senza il metodo deduttivo. Ma lo capiranno tutti così? Tutti gli insegnanti dei seminari e delle case di formazione lo capiranno in questo modo?
    Cito un'altra affermazione, al n.8: "il volto cristiano di Dio, solo e sempre amore."
    Non vi leggiamo ancora una volta la riduzione dell'azione di Dio verso l'uomo vista solo come misericordia, e non anche come giustizia? Sì, certo, lei ed io comprendiamo che è vero questo "il volto cristiano di Dio, solo e sempre amore", perché sappiamo che la giustizia e la severità di Dio è anche amore e misericordia. Ma lo capiscono tutti così in questo contesto di brutale buonismo e misericordismo? Penso che sia un'altra parzialità di questo documento.

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    1. Caro Silvano,
      le sue osservazioni sono giuste e mi addolorano. Speriamo che questo Motu Proprio stimoli i teologi a realizzare quelle mete, che ad essi il Papa propone.
      Per quanto riguarda il concetto dell’amore divino, è fuori dubbio che anche la severità e addirittura la pena infernale, per quanto ciò possa sembrare paradossale, è frutto del divino amore.
      E questo perché i dannati dell’inferno, in quanto mantenuti in esistenza, continuano ad essere amati da Dio, perché Dio non ama se non ciò che è buono, almeno dal punto di vista ontologico. È chiaro invece che Egli non ama quel peccato, che li ha condotti a rifiutare il suo amore.
      La pena stessa che li affligge va quindi ricondotta al divino amore, tradito dal loro rifiuto, per cui tale rifiuto, essendo il rifiuto di un sommo bene, non può non comportare quella pena eterna che nasce dalla mancanza di questo sommo bene, pena che Gesù Cristo chiama “fuoco eterno”.

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  6. Caro Padre,
    questo Motu proprio sulla teologia contiene affermazioni che manifestano, ancora una volta, il rifiuto della metafisica come unica via valida, secondo la tradizione della Chiesa cattolica e l'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, per realizzare un rectum intellectus fidei.
    Qui il problema fondamentale è il punto di partenza. Fin dall’inizio il Papa ci dice che «l’universalità deve essere scartata e sostituita dalla singolarità». Procedere nel primo modo, prosegue il Pontefice, equivarrebbe a ripetere «formule e schemi del passato» e cadere nel «campo dell'astratto e dell'ideologico».
    Cosa afferma il Papa? Niente di più e niente di meno di questo principio: all'uomo manca la conoscenza diretta dell'essere. La mia anima non ha più una potenza chiamata intellectus che sia capace di leggere nelle cose ciò che queste cose hanno come partecipazione all'essere.
    In questo modo ogni ordine universale e oggettivo che occorre conoscere per adattarsi alle proprie azioni, diventa inaccessibile. Il punto di partenza non può essere l’universalità ma la singolarità. L'universalità cioè non sarà più la prima cosa, ma il risultato, il prodotto dell'incontro delle diverse singolarità tipiche dei popoli.

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    1. Caro Daniele,
      è vero che il Papa non usa mai il termine “metafisica”. Tuttavia egli spesso richiama a quelli che sono i valori fondamentali della realtà sia umana che divina. Inoltre nell’aprile del 2021 pubblicai sul mio blog un commento ad una sintesi di metafisica - “Padre Bergoglio ci parla di metafisica” -, che Bergoglio redasse quando era ancora studente in Germania, un breve scritto, che trovai nella Civiltà Cattolica.
      Anche il richiamo alla sapienza dell’Aquinate è evidentemente un’esortazione ad apprezzare la metafisica, nella quale San Tommaso è grande maestro.
      Devo dirle che le parole «l’universalità deve essere scartata e sostituita dalla singolarità», che lei cita, non si trovano nel testo. Se veramente ci fossero denoterebbero una forma di occamismo decisamente in contrasto con la dottrina cattolica, una cosa che evidentemente non può essere riscontrabile in un Papa.
      Quanto invece all’altra citazione, essa è esatta. Essa fa riferimento ad una teologia scolastica superata da quella teologia più progredita, promossa dal Concilio al fine di rendere la teologia maggiormente in contatto con gli uomini del nostro tempo, così che essi possano essere più recettivi all’ascolto della Parola di Dio.
      Come le ho già detto, l’esortazione a seguire la sapienza di San Tommaso equivale a saper apprezzare il valore dell’essere, perché, come sappiamo, la metafisica di San Tommaso è una metafisica dell’essere.
      Se dunque il Papa ci invita alla sapienza, è ovvio che egli sottintende la potenza della nostra anima intellettiva, che è precisamente il soggetto della conoscenza metafisica, grazie alla quale noi distinguiamo l’essere per essenza dall’essere per partecipazione.
      Amore per la sapienza significa amore per i valori universali. Lo stesso Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli Tutti riprende l’esortazione al rispetto dei valori non negoziabili, come già aveva fatto Papa Benedetto XVI.
      Del resto il Papa, che si definisce Pastore Universale della Chiesa, come non potrebbe apprezzare i valori universali, che sono alla base del nostro sapere e della nostra azione morale.
      Le faccio presente inoltre che l’universalità dei valori è certamente la prima cosa, dal punto di vista dell’importanza ontologica, ma, come insegna San Tommaso al seguito di Aristotele, dal punto di vista temporale o di genesi della conoscenza, le prime cose con le quali veniamo a contatto sono le singole cose materiali, dalle quali ricaviamo per astrazione i valori universali.

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    2. «l’universalità deve essere scartata e sostituita dalla singolarità».
      Mi scusi, Padre, per il mio errore.
      Non capisco da dove ho preso quella frase, come se fosse dal documento della Santa Sede.
      Tuttavia, vedo ancora "Ad theologiam promovendam", come ho sottolineato nei miei due commenti.

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  7. Caro Padre,
    questa peculiare “teologia”, detta “del popolo”, non trova il suo punto di partenza né nel vedere (teoria) un ordine intelligibile all’interno dell’essere, né nell’ascoltare la Parola eterna di Dio. Il punto di partenza non si trova nell'eternità ma nel tempo: l'inizio è sempre storico, contingente, temporale. In realtà, per questa posizione teologica, l'uomo non è capace di pensare sub specie aeternitatis ma solo sub specie temporis. Per questa 'teologia' «nessun uomo può avere un punto di partenza fisso, avulso dalla storia e dalla sua relatività. L'intelligenza della fede, in questo modo, non può realizzarsi a partire da un'astratta ragione metafisica, tipica del pensiero greco, ma da una pratica essenzialmente storica. L'intellectus fidei formulato a partire da una metafisica dell'essere è totalmente ingenuo in quanto non tiene conto che la formulazione tematica di quei principi che considera eterni è puramente storica, fa parte di una cultura specifica, e implica storico co-culturale ed etico -opzioni politiche.
    L'essere, come sottolinea uno dei suoi mentori, il sacerdote gesuita Juan Carlos Scannone, lascia il segno in virtù dell'essenziale storicità di quest'ultimo.
    Ora, se il punto di partenza risulta essere il particolare, allora occorre cambiare il metodo della teologia. Lo stesso documento ha il compito di affermarlo: il metodo della teologia deve essere induttivo.

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    1. Caro Daniele,
      questo Scannone è chiaramente uno storicista, ma bisogna fare attenzione a non attribuire al Santo Padre quello storicismo, di cui Scannone è vittima e che forse vorrebbe attribuire al Papa, con l’esaltazione del metodo induttivo.
      È vero che il Papa, in quella lettera, esalta il metodo induttivo e non parla di quello deduttivo, ma, raccomandando la sapienza di San Tommaso, è implicita la raccomandazione anche del secondo metodo, nell’uso del quale Tommaso è il grande maestro.
      Per quanto riguarda il discorso di Scannone, che lei ha citato, come sempre, anche negli errori c’è una parte di verità, per il fatto che effettivamente, anche quando si tratta di elaborare la scienza morale o la teologia speculativa, bisogna effettivamente partire empiricamente dalla considerazione di dati concreti, ma, dovendo trovare i principi dell’azione, è chiaro che bisogna partire da valori che noi possiamo cogliere solo mediante il metodo astrattivo, giacché ciò che ci deve muovere all’azione è la considerazione del fine ultimo, che è Dio stesso, purissimo spirito, essere trascendente, che possiamo cogliere solamente a prescindere da qualunque dato materiale.
      Negando questo punto di partenza, Scannone sbaglia gravemente e riduce l’azione umana ad una meschina ricerca di interessi soggettivi e terreni, del tutto indegna di un uomo che si considera discepolo di Cristo.

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  8. Sono sinceramente grato a lei, Padre Cavalcoli, per questi chiarimenti. È vero che non dovrei attribuire a papa Francesco tutto ciò che affermano gli esponenti della “teologia del popolo”. Nonostante ciò, nel documento che stiamo analizzando ci sono espressioni che sembrano suggerirlo.
    Vorrei proporre altri riferimenti alla vostra considerazione:

    1. Nel numero 8 di Ad theologiam promovendam, si indica che, a partire da un nuovo luogo teologico, cioè dalla voce di ogni popolo, si può ascoltare il senso comune delle persone, dentro il quale vivono tante immagini di Dio.

    2. D'altra parte, la nuova teologia deve essere il riflesso della Chiesa sinodale: deve essere una “teologia in uscita” (n. 3). Non si tratterà più di adattare, in modo puramente estrinseco, i contenuti cristallizzati della teologia (cioè l'intellezione delle verità rivelate) a situazioni nuove. Questi contenuti devono essere riformulati.

    3. Da ciò deriva come naturale conseguenza che la teologia attuale richieda un ripensamento sia epistemologico che metodologico. La riflessione teologica, ci dice il Papa, è chiamata a realizzare un cambiamento di paradigma (n. 4). Dato che la teologia è chiamata ad essere contestuale, cioè ad essere «capace di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui vivono quotidianamente gli uomini» (n. 4), essa si eserciterà attraverso il dialogo con le diverse tradizioni e con le diverse conoscenze e discipline. Da qui la nota di interdisciplinarietà che caratterizza questo nuovo locus.

    4. Non posso fare a meno di chiedermi se all'interno della suddetta interdisciplinarietà sia possibile sostenere una gerarchia dei saperi. Anche se alla domanda non viene data una risposta esplicita, lo si fa implicitamente quando il documento afferma che l'essere è una relazione. Pertanto, la gerarchia tra le conoscenze verrà soppressa.

    5. Pertanto, i cattolici devono smettere di pensare in termini di eternità, di permanenza, cercando di cogliere la realtà come essenzialmente mutevole, storica e contingente. L'assunzione della categoria "stare" invece di "essere" ci indica la fluidità essenziale di tutto ciò che è, così come la radicale situazione dell'essere dell'uomo in questo mondo.

    6. Il cristiano, privato di ogni realtà permanente, potrà interpretare e interpretarsi solo all'interno del suo ristretto orizzonte di vita e secondo le rigide esigenze della sua vita. La teologia del popolo, quindi, non va oltre l'essere una mera ideologia, cioè l'espressione di una certa situazione storico-sociale di un popolo, che risponde a interessi di classe, motivazioni inconsce e condizioni concrete dell'esistenza sociale.

    Insomma:
    Ogni speculazione teorica, se vuole essere inculturata, non può che mettersi al servizio dei suddetti interessi, motivazioni e condizioni concrete dell'esistenza sociale.
    Credo che l'attuale Papa, sempre preoccupato dal pericolo che la fede diventi un'ideologia, dovrebbe essere seriamente preoccupato e impegnato affinché questa pseudo-teologia non arrivi a corrompere il contenuto dell'autentica fede cattolica.
    Come riferisce il grande teologo spagnolo Cándido Pozo, "la gravità della crisi attuale sta nel confronto tra due teologie di segno opposto: una teocentrica, con direzione verticale, e un'altra antropocentrica, con direzione orizzontale. 'Dio davanti a noi' o 'Dio alle sue spalle', secondo la formulazione del dilemma di Hans von Balthasar." (cfr Teologia umanista e crisi attuale della Chiesa. In Chiesa e secolarizzazione. Madrid, B.A.C., 1971, pp. 63-64).

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    1. Caro Daniele,

      1. il Papa, in quella lettera, parla del “pensiero comune della gente”. Ora, questo pensiero comune non è altro ciò che i tomisti chiamano la metafisica spontanea della ragione naturale e il P. Garrigou-Lagrange chiama “senso comune”.
      Se poi questo senso comune lo vogliamo chiamare “voce del popolo”, il nostro pensiero può andare benissimo al noto principio “vox populi, vox Dei”, che addirittura è adottato nelle Cause di Beatificazione, come elemento di aiuto per verificare la possibilità di proclamare Beato qualche Servo di Dio.

      2. Occorre fare attenzione, tuttavia, che nella mente del Papa non si tratta di riformulare nel senso di cambiare i concetti alla maniera modernista, ma di trovare nuovi modi espressivi, che siano più comprensibili agli uomini del nostro tempo.

      3. Il nuovo paradigma che propone il Papa non è altro che il programma del Concilio, perché col Concilio è avvenuta una vera svolta epocale, nel senso del famoso discorso di apertura di San Giovanni XXIII, secondo il quale oggi la Chiesa oggi vuole approfondire in maniera più evangelica il valore della divina misericordia.
      Per quanto riguarda la voce del popolo come luogo teologico, mi sembra che l’idea sia giusta, in quanto riferito al comune sentire, che coincide con la metafisica naturale della mente umana, quella che San Tommaso chiama “ratio naturalis”.

      4. Il Santo Padre parla certamente dell’essere come relazione, ma è chiaro che il relativo è relativo a un assoluto, il quale evidentemente è superiore al relativo. Inoltre quando il Papa parla della sapienza di San Tommaso, è evidente che egli suppone una gerarchia delle scienze, giacché la sapienza è il vertice del sapere, che ha per oggetto Dio stesso, mentre le altre scienze sono inferiori, in quanto il loro oggetto sono le realtà di questo mondo.
      C’è inoltre da notare che il Papa sottolinea quella che è la responsabilità dell’uomo nei confronti della natura, che egli deve sapere utilizzare per il suo bene. E qui è evidente allora la subordinazione del sapere fisico alla conoscenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio.

      5. La visione della realtà come divenire e come storia non ha nulla a che vedere con la visione sapienziale del Santo Padre, che ci parla continuamente dell’assolutezza del mistero di Cristo, che è evidentemente lo stesso ieri, oggi e sempre.
      Nel contempo il Santo Padre ha un vivo senso del progresso storico, che però egli non vede come fine a se stesso alla maniera degli storicisti, ma come cammino progressivo dell’umanità e della Chiesa verso Cristo, che vive in eterno e ci promette la vita eterna.

      6. A me sembra che la teologia del popolo del Santo Padre non debba essere interpretata in questa chiave sociologistica e filomarxista, ma in riferimento alla teologia del Popolo di Dio, che è la Chiesa stessa, l’umanità redenta da Cristo.
      Anche quando il Papa dice che il popolo è un “mito”, da come capisco, egli intende riferirsi al fatto che il popolo ha come una certa personalità misteriosa e imprevedibile, nella quale si manifesta la voce di Dio.
      Con tutto ciò il Papa riconosce che il popolo può assumere anche posizioni errate, per cui esso deve anche in certi casi essere corretto e messo sulla buona strada, e questa è la missione dei profeti.

      Sono d’accordo della necessità di contrastare questa cultura storicistica e relativistica, oggi diffusa dappertutto in varie forme.
      Certo il Papa vi si oppone, però, secondo me, dovrebbe fare un po’ di più.

      Concordo pienamente con le idee di Pozo e con quelle di von Balthasar.

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  9. Caro padre Cavalcoli,
    a quasi due mesi dal nostro dialogo, quando siete stato così gentile da rispondere ai miei commenti, vorrei tornare su questo argomento.
    Ho riflettuto sulle loro risposte e ho anche scritto alcuni appunti.
    Non vorrei però trascriverli qui, se non fosse di suo gradimento. Metto quindi nelle vostre mani la mia preoccupazione e lascio a lei decidere se proseguire o meno il dialogo su questo argomento.
    Grazie.

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    1. Caro Daniele, non mi dispiacerebbe che il nostro dialogo continuasse.

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    2. Le sono davvero grato!
      Tendo a riflettere sulle cose, a sollevare obiezioni a me stesso e agli altri e ad annotare i miei pensieri.
      Per questo cercherò di sintetizzare e organizzare ciò su cui ho riflettuto, e di trascriverlo qui in più commenti, nei prossimi giorni.

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  10. Caro padre Cavalcoli, preciso che ciò che mi muove nel proporli queste sette questioni o domande è lo scopo di comprendere meglio quanto espresso da Papa Francesco nel suo motu proprio Ad Theologiam promovendam e, in definitiva, per comprendere meglio il modo di fare teologia come applicazione della ragione filosofica al dato della fede. Entriamo nel dettaglio:

    I.
    Nelle risposte ai miei interventi, se ho capito bene, secondo lei, padre Cavalcoli, ci sarebbero due dei miei errori principali, anche se in realtà, secondo me, sarebbero gli stessi. Infatti il ​​primo dei miei errori consisterebbe nel sostenere che l’attuale Papa rifiuta la metafisica. E il secondo, nell'attribuire al documento papale l'affermazione del singolare a scapito dell'universale proprio nel punto di partenza della teologia.
    Io spiego. Nel documento pontificio la singolarità è posta al di sopra dell'universale come conseguenza del rifiuto della conoscenza diretta dell'essere. In virtù di ciò, il Papa propone, come metodo teologico, il metodo induttivo.
    A questo proposito, trovo curioso che lei affermi: "È vero che il Papa, in quella lettera, esalta il metodo induttivo e non parla di quello deduttivo...". Capisco che con questo lei indichi che si tratta di una mancanza di questo motu proprio, come espresso lei nel suo articolo.
    Le chiedo allora, padre Cavalcoli: il Papa avrebbe potuto omettere, dando per scontata, l'esistenza della dimensione deduttiva del metodo teologico? Potrebbe aver dimenticato un aspetto così importante del metodo teologico? O, piuttosto, è stato rigoroso dal punto di vista logico poiché il metodo deduttivo non è compatibile con una ragione ermeneutica attraverso la quale la "nuova teologia" cerca di realizzare un intellectus fidei?

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    1. Caro Daniele, divido il suo intervento in diversi punti, per sua e mia comodità.
      I.
      Per quanto riguarda la considerazione che il Papa ha della metafisica, non possiamo assolutamente dire che rifiuti la metafisica, perché sarebbe come negare che la ragione è necessaria per giungere alla fede. È vero che non parla mai di metafisica, ma nello stesso tempo non ne parla mai con disprezzo. Anzi, a questo proposito, io pubblicai un mio studio su alcuni punti di metafisica che Bergoglio, studente in Germania, mise per iscritto al termine degli studi.
      Inoltre la chiara raccomandazione della metafisica la troviamo nella recente raccomandazione che il Papa ha fatto di San Tommaso d’Aquino, come Dottore universale della Chiesa.
      Per quanto riguarda il metodo induttivo, è vero che nella Lettera citata esso appare da solo, senza il metodo deduttivo. Come spigare questo fatto? Che da una parte il Papa vuole mettere in evidenza che non solo il sapere, ma anche la pastorale usano il metodo induttivo. La pastorale lo usa per individuare i casi particolari, che bisogna conoscere per poter applicare le norme universali.
      Quindi la deduzione è sottintesa come procedimento per il quale dall’universale astratto si determina il singolare concreto. Ma anche la deduzione speculativa è sottintesa, perché essa è necessaria alla teologia.
      Per quanto riguarda il rapporto tra singolare ed universale, al Papa sta certamente a cuore il valore della singola persona, valore che prevale sulla universalità della natura. Tuttavia, quando il Papa parla di fratellanza e di uguaglianza, è evidente che vuole sottolineare l’importanza dell’universalità della natura umana.

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    2. Il fatto che il Papa parli dell’induzione è una sua scelta pastorale. Quello che io modestamente osserverei è che oggi come oggi si sta addirittura esagerando nell’uso del metodo induttivo, mentre, a mio modo di vedere, sarebbe bene ricordare l’importanza di quello deduttivo.
      È vero che i modernisti hanno ripugnanza per la deduzione, ma io non posso credere che il Papa taccia su questo argomento per timore dei modernisti.
      Sul fatto che il Papa accetti il metodo deduttivo non ci deve essere nessun dubbio, perché diversamente metterebbe in forse il potere della ragione, rendendo impossibile la fede.
      Per dimostrare questo fatto, sarebbe già sufficiente che abbia raccomandato San Tommaso, proponendolo come modello di teologo e Dottore Comune della Chiesa.
      È possibile che il Papa sia preoccupato per una forma di deduzionismo autoritario, che può dare luogo a ideologie e a regimi totalitari.

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    3. Caro Padre: sono molto grato per la sua risposta. Ed è un vero onore per me ricevere un'attenzione così generosa da parte di un così alto dottore della Chiesa. Penserò a lungo e intensamente a tutto ciò che mi dirai.

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  11. II.
    Una cosa che mi sorprende molto è quando, in riferimento a quando il Santo Padre si riferisce nel motu proprio a "formule e schemi del passato", lei, padre Cavalcoli, afferma che è più che evidente che "fa riferimento ad una teologia scolastica superata da quella teologia più progredita, promossa dal Concilio al fine di rendere la teologia maggiormente in contatto con gli uomini del nostro tempo, così che essi possano essere più recettivi all’ascolto della Parola di Dio".
    Se ho capito bene gli altri suoi articoli sull'argomento, quando lei affermi che la "teologia scolastica" è quella che si insegna "nelle scuole", allora capisco che se il Papa si riferisce ad una teologia scolastica già superata da una teologia che essa è anche "teologia scolastica", ma più avanzata, che è quella promossa dal Concilio Vaticano II. Se ho capito bene gli altri suoi articoli sull'argomento, c'è chi oggi è rimasto bloccato nella vecchia scolastica, e chi ha potuto conoscere la nuova teologia scolastica. Mi sembra infatti di ricordare che in un altro articolo hai indicato che provvidenzialmente lei sei entrato nell'Ordine domenicana quando le sue costituzioni erano già riformate, e hai imparato la teologia con il nuovo tomismo.
    Confesso di aver sempre creduto, fin dalla lettura dell'opera di A.M. Landgraf e di altri grandi autori come C.Baeumker, Ghellinck, Grabman, Gilson, Dom Lottin, che esistesse una sola teologia scolastica. Sono completamente all'oscuro della teologia di cui lei parla. A questo proposito, vorrei sapere qual è la natura della nuova teologia scolastica e in cosa consiste il suo "superamento" o "miglioramento" rispetto a quella praticata dai grandi dottori della Chiesa cattolica.

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    1. II.
      Caro Daniele,
      bisogna che ci intendiamo sul concetto di teologia scolastica.
      I modernisti, come sappiamo, ne hanno il disprezzo.
      Il Santo Padre, nel proporre il progresso della teologia alla luce del Concilio, non respinge affatto la teologia scolastica, ma riproponendo San Tommaso la conferma.
      Lei dice che la teologia scolastica è una sola. E su questo posso essere d’accordo. Tuttavia noi sappiamo che questa teologia è un organismo vivente, è un sapere che progredisce continuamente nella fedeltà ai valori perenni.
      Quindi il mio intento nel commento che ho fatto alla Lettera del Papa circa i doveri del teologo di oggi, era soltanto quello di sostenere la continuità della teologia tomista, che solitamente chiamiamo teologia scolastica, nelle forme nuove che essa può e deve assumere applicando le direttive del Concilio circa il modo di seguire San Tommaso conformemente alle esigenze degli uomini del nostro tempo.
      È intrinseco altresì allo stesso metodo di San Tommaso elaborare un teologia scolastica in continuo progresso, in modo da arricchire continuamente la conoscenza del dato rivelato, secondo i bisogni degli uomini del nostro tempo.
      Infatti oggi la Chiesa deve dialogare e evangelizzare in un contesto culturale profondamente mutato rispetto a quello del preconcilio, per cui occorre conservare la dottrina tomista, ma arricchirla utilizzando gli apporti positivi del pensiero moderno, e offrendo proposte e soluzioni non solo alle nuove problematiche poste dalle scoperte scientifiche e dallo sviluppo tecnologico di oggi, ma anche alle nuove ideologie ed eresie.
      Infine, per quanto riguarda la teologia scolastica, dobbiamo dire in conclusione che esiste una teologia scolastica e tomista preconciliare e può e deve esistere una teologia scolastica e tomista postconciliare.

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  12. III.
    Alla mia affermazione che: Da ciò deriva come naturale conseguenza che la teologia attuale richieda un ripensamento sia epistemologico che metodologico. La riflessione teologica, ci dice il Papa, è chiamata a realizzare un cambiamento di paradigma (n.4). Dato che la teologia è chiamata ad essere contestuale, cioè ad essere "capace di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui vivono quotidianamente gli uomini" (n. 4), essa si eserciterà attraverso il dialogo con le diverse tradizioni e con le diverse conoscenze e discipline. Da qui la nota di interdisciplinarietà che caratterizza questo nuovo locus.
    Lei mi hai risposto: "Il nuovo paradigma che propone il Papa non è altro che il programma del Concilio, perché col Concilio è avvenuta una vera svolta epocale, nel senso del famoso discorso di apertura di San Giovanni XXIII, secondo il quale oggi la Chiesa oggi vuole approfondire in maniera più evangelica il valore della divina misericordia".
    Vorrei quindi che mi spiegaste quale portata ha nel documento pontificio l'annuncio della svolta epistemologica e metodologica in campo teologico.

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  13. IV.
    Lei, padre Cavalcoli, ammette che "Il Santo Padre parla certamente dell’essere come relazione, ma è chiaro che il relativo è relativo a un assoluto, il quale evidentemente è superiore al relativo".
    Confesso che questo paragrafo mi ha lasciato a bocca aperta.
    Sembra che lei non si accorga che, se tutto è relativo, non c'è termine all'interno di quella relatività che sia assoluta, tranne la relatività stessa.
    E allora, di conseguenza, non sarebbe possibile stabilire alcuna gerarchia tra i saperi, come invece lei, padre Cavalcoli, insiste.

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    1. IV.
      Quanto lei dice circa il rapporto tra l’ente relativo e l’ente assoluto, mi trova pienamente d’accordo, ma è esattamente quello che avevo detto anch’io, se lei rilegge quanto ho scritto.
      Non capisco pertanto il motivo della sua meraviglia. La prego pertanto di non scambiarmi per un relativista.
      La mia asserzione secondo cui l’ente relativo è relativo all’assoluto, è l’assioma che esclude il relativismo, in quanto nel relativismo l’ente relativo è relativo a un relativo in un rapporto reciproco tra i due termini. Inoltre il relativismo è escluso dalla ammissione dell’esistenza dell’assoluto, mentre nel relativismo si assolutizza il relativo.
      Vorrei inoltre dire che esistono gradi di relatività nelle scienze, nel senso che per esempio la metafisica ha una relazione con Dio superiore a quella della fisica.

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  14. V.
    Mi sembra che, con tutto il rispetto, lei, padre Cavalcoli, cerchi, in un modo che sembra del tutto sbagliato, di convertire un termine equivoco in un concetto univoco, quando lei individua, senza ulteriori indugi, il conoscere di "senso comune della gente" con "la metafisica spontanea del cuore umano o della ratio naturalis, per dirla con San Tommaso", e "il P. Garrigou-Lagrange chiama senso comune". Ma qui si incorre in un altro errore, quello di attribuire a Tommaso d'Aquino l'affermazione di un senso comune situato nell'ambito dell'intelletto.
    Per la sua importanza, vorrei soffermarmi su questo punto.
    In verità, la posizione di padre Garrigou-Lagrange, come quella di Maritain e di altri tomisti, non ha nulla a che vedere con quella di Tommaso stesso. Vediamo:
    a) La conoscenza popolare o senso comune della gente (saggezza popolare, nel gergo della teologia di popolo), è una conoscenza situata sia storicamente che geo-culturalmente. La saggezza popolare è il prodotto della prassi di un popolo che si articola attraverso i simboli. E quando diciamo simboli ci riferiamo all'attività psichica di rappresentazione attraverso l'immagine o l'ambito del pensiero indiretto, in flagrante opposizione all'esistenza di una conoscenza presentazionale-percettiva non mediata. Il simbolo non è un indicatore di oggetti, ma è un'organizzazione che fonda la realtà. Quindi l’oggettività è discorso. A questo punto si vede chiaramente la sostituzione della ragione metafisica con una ragione ermeneutica. Quest’ultima afferma che non abbiamo accesso diretto alla realtà stessa, ma piuttosto la nostra visione della realtà è determinata dalla nostra situazione nel mondo. Conoscere è, in questa prospettiva, comprendere e interpretare la nostra realtà essenzialmente storica.

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    1. La sua obiezione riguardo al “senso comune della gente” non mi sembra valida, perché questa espressione mi pare possa essere utilizzata per esprimere quella che San Tommaso chiama “riatio naturalis”.
      Quindi, io non è che consideri il concetto di “senso comune” univoco col concetto di “intelletto metafisico”. Conosco benissimo la distinzione in gnoseologia tra senso ed intelletto.
      Io credo che l’espressione del Papa sia solo un modo di dire per esprimere appunto quelle che sono le convinzioni spontanee, comuni e fondamentali dell’uomo comune, appartenente a qualunque Popolo.
      A proposito del Popolo, io penso pertanto che si possa parlare di una saggezza popolare, che ha uno sfondo metafisico, che si può manifestare nei proverbi popolari, come per esempio nel libro dei Proverbi.
      Posso capire che esista una sapienza popolare diversa da Popolo a Popolo, ma quando per esempio si parla di Popolo di Dio, per significare la Chiesa, io credo che qui siamo davanti a un concetto di Popolo e di saggezza popolare che sottenda la ragione universale di San Tommaso e quelle che egli chiamava le “comuni concezioni dell’animo” (communes conceptiones animi), che corrispondono a loro volta ai valori non negoziabili, di cui parlava Benedetto XVI e parla anche Papa Francesco.
      La fratellanza della quale parla il Papa ha come fondamento l’universalità della ragione naturale e queste comuni concezioni dell’animo.
      Sono convinto che il P. Garrigou-Lagrange, quando parlava di senso comune, intendeva appunto riferirsi a queste intuizioni naturali della ragione, che hanno spontaneamente un valore morale e metafisico.

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  15. b) Ritengo che entrambe le posizioni di Garrigou-Lagrange, Maritain e altri tomisti riguardo al senso comune non abbiano alcuna correlazione nel pensiero di San Tommaso d'Aquino. Questi sono debitori alla posizione di Thomas Reid. Cfr. a questo proposito di Maritain la Introduzione alla filosofia, e R. Garrigou-Lagrange Common Sense. La filosofia dell'essere e le formule dogmatiche. Per questi autori, il senso comune "è una qualità comune a tutti gli uomini, uguale in tutti, più o meno invariabile" (Garrigou-Lagrange) e il senso comune appartiene alle grandi verità senza le quali si svolge la vita morale dell'uomo. sarebbero impraticabili (conoscenza dell'esistenza di Dio, libero arbitrio, ecc.), e queste verità deriverebbero dai fatti primordiali che provengono dall'osservazione e dai principi primi compresi dall'intelligenza. Mi chiedo, allora: cosa ha in comune questa concezione del senso comune con quella sostenuta nel documento pontificio, fondata, tutta, sulla filosofia ermeneutica?
    c) Tommaso d'Aquino sostiene che il senso comune non corrisponde al dominio dell'intelletto ma appartiene piuttosto a quello della sensibilità. Tommaso, nel suo Commento al De Anima di Aristotele, afferma che "il senso comune è una certa potenza in cui finiscono le immutazioni di tutti i sensi..." (L. II, l. 13, 390), e aggiunge che il proprio senso sono gli "stessi cambiamenti dei sensi propri per i loro oggetti che i sensi propri non possono avere, come colui che percepisce gli stessi cambiamenti dei sensi e discerne tra i sensibili dei vari sensi" (ibid.).
    d) Capisco allora che lei, padre Cavalcoli, si riferisca all'esistenza di una filosofia aristotelico-tomista che non si identifica né con quella di Aristotele né con quella di Tommaso. Se la nozione di essere è la chiave di volta di ogni pensiero filosofico, nulla è più lontano da una concezione dell'essere in cui la forma è l'atto di tutti gli atti (Aristotele), da quella altra in cui l'atto di tutti gli atti è l'atto dell'essere , rispetto al quale la forma si comporta come potenza (Tommaso).

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    1. L’espressione senso comune è stata adottata da P. Garrigou-Lagrange nel desiderio di usare un’espressione corrente propria della gente comune per esprimere quella intelligenza naturale e spontanea, che è presente già nel fanciullo e viene successivamente coltivata dall’educazione e dalla esperienza personale.
      È evidente che questa espressione, che non si trova in San Tommaso in questo senso, corrisponde a quella che l’Aquinate chiamava “ratio naturalis” o “intellectus naturalis”, potenze, che successivamente passano normalmente allo stadio di virtù.
      In San Tommaso, come lei riconosce, esiste il “sensus communis”, che è uno dei sensi interni, deputato al coordinamento delle percezioni dei cinque sensi al fine di unificare le percezioni di un oggetto.

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    2. Io sono perfettamente d’accordo con lei che per San Tommaso l’essere è anzitutto l’actus essendi o, come dice il P. Fabro, esse ut actus. Ed è questa la concezione dell’essere, che io faccio mia.
      Tuttavia in alcuni casi molto rari, San Tommasi dice anche che l’essere è una forma, tuttavia non nel senso in cui noi diciamo che l’essenza è forma, ma per esprimere il fatto che forma dice perfezione e bellezza.

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  16. VI.
    Vorrei anche sapere in cosa consiste la svolta epocale operata, secondo lei, padre Cavalcoli, dal Concilio Vaticano II. Potrebbe essere, forse, ciò che esprime il Papa nella Civiltà Cattolica, nel 2013, quando afferma che il Concilio Vaticano II va letto a partire dalla modernità? Naturalmente, in tutta l’intervista, in nessun punto ci offre una definizione di modernità. Si potrebbe specificare la natura di questa svolta epocale?

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    1. VI.
      La svolta epocale del Concilio fu indicata da San Giovanni XXIII nel discorso inaugurale, quando disse che era giunto il momento che la Chiesa doveva fare un passo avanti nella pratica della misericordia, facendo maggiore attenzione a quelli che sono i valori della modernità, senza per questo trascurare di denunciarne gli errori, che peraltro erano già stati segnalati dagli ultimi Papi, cosa che Papa Giovanni XXIII presupponeva.
      Ci potremmo chiedere: quali sono i valori della modernità, che sono stati accolti dal Concilio? Innanzitutto la consapevolezza della dignità della persona umana, dotata di libero arbitrio, di coscienza morale, aperta alla vita comune e sensibile al mistero dell’esistenza.
      In secondo luogo possiamo ricordare un forte bisogno di giustizia sociale, la promozione della donna e il processo di autonomia dei popoli ex-coloniali.
      Altro valore fu il forte bisogno tra i cristiani di ricostituire l’unità dei cristiani. Altro valore fu il bisogno di una Liturgia più partecipata e più comunitaria. Altri valori: la Chiesa come Popolo di Dio, una migliore conoscenza del mistero mariano; la prospettiva escatologia; il dialogo con i non-cristiani e i non-credenti.

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  17. VII.
    Capisco che lei, padre Cavalcoli, metta uno zelo particolare nel difendere l'attuale Papa, anche se non capisco quando affermi in alcune occasioni, implicitamente, che il Papa non può sbagliare. Lei dice che in un Papa non si può trovare disaccordo con la dottrina cattolica.

    Queste sono, quindi, le mie sette preoccupazioni. E sarei felice se avessi l'onore di rispondere a ciascuno con almeno una o due frasi (non intendo farvi perdere tempo).
    Vai avanti, so benissimo che non sono un teologo. Anche se ho studi filosofici. Pertanto, non essere teologo non mi impedisce di fare teologia ogni volta che focalizzo la mia ragione sulla comprensione di ciò in cui credo. E ogni volta che utilizzo la mia ragione filosofica per comprendere ciò in cui credo, seguo il monito dei grandi Padri e Dottori della Chiesa cattolica: cerco quale filosofia utilizzare per comprendere la fede senza corrompere la natura della fede.
    In questo senso avverto che sono troppi coloro che, ostentandosi come teologi, hanno dimenticato di coltivare seriamente una ragione metafisica capace di realizzare un giusto intellectus fidei, conditio sine qua non di un giusto amore, di una vera Caritas (Tommaso d'Aquino) ), Compendio di Teologia). O forse è semplicemente pigrizia intellettuale. Dio sa su quale piede zoppicano.
    Grazie in anticipo, caro Padre Cavalcoli!

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    1. Seguendo la Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem di San Giovanni Paolo II del 1998 (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html), bisogna dire che l’infallibilità dottrinale del Papa non riguarda solamente le occasioni rarissime nelle quali un Pontefice definisce solennemente un nuovo dogma, come noi troviamo nella definizione della infallibilità pontificia nel Concilio Vaticano I, ma, come spiega la suddetta Lettera, riguarda anche altri due gradi inferiori, al livello dei quali il Papa parla come Maestro della Fede.

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    2. Caro Daniele,
      la sua conclusione mi fa capire che lei è un vero discepolo di San Tommaso.
      Ciò di cui lei, secondo me, ha bisogno, è di capire come oggi dobbiamo seguire San Tommaso secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II e di Papa Francesco. In altre parole, la teologia scolastica dell’Aquinate non è solo quella del preconcilio e tanto meno, come dicono calunniando i modernisti, è finita.
      Tutt’al contrario la filosofia tomistica ha oggi un’occasione straordinaria per mettersi al servizio della Chiesa e a ciò siamo stimolati dal Papa stesso e quindi siamo sicuri di lavorare in piena comunione con la Chiesa, nella certezza di portare avanti la vera riforma del Concilio.

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    3. Caro padre Cavalcoli,
      vi sono profondamente grato per le risposte generose che avete offerto alle mie preoccupazioni. Li ringrazio anche per la pazienza che hai dimostrato con la mia scarsa attitudine per la filosofia.
      Prenderò in considerazione ogni vostro intervento, e vi farò sapere la mia opinione, se lo riterrò opportuno.
      Grazie.

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    4. IHS
      Caro Padre Cavalcoli:
      A rigore, di questo non si parla nella Lettera "Ad tuendam fidem" (come dici lei), ma nella "Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei", della Congregazione per la Dottrina della Fede.
      Ora, in detta "Nota" non si dice mai che si goda dell'infallibilità nella proposizione di "dottrine enunciate dal Romano Pontefice o dal Collegio dei Vescovi quando esercitano il Magistero autentico, anche se non intendono proclamarle con atto."definitivo". Ripeto: non viene mai detto quello che lei, padre Cavalcoli, sostiene. Se così fosse, del resto, non so come spiegherei, ad esempio, alcuni errori che la storia registra come proposto da un Sommo Pontefice, come l'insegnamento di Giovanni XXII sul "ritardo" della visione beatifica ; a meno che non si dica che in quei casi non si trattava di un “Magistero autentico”. Ma allora occorre definire cosa si intende per “Magistero autentico”.
      In ogni caso, in LG, n. 25, non parlano di infallibilità come fai lei.

      In Domino,

      Federico Ma.

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    5. Caro Federico,
      riconosco che la parola “infallibile” è usata soltanto dal Concilio Vaticano I, quando esso fa riferimento alla proclamazione solenne di un nuovo dogma, cosa che avviene rarissimamente.
      Tuttavia, che cosa significa la parola infallibile? Fa riferimento ad una proposizione dottrinale, la cui verità è immutabile e non può mai essere smentita oppure non può essere falsificata oppure non può mai venir meno. In altre parole è una proposizione sempre vera, dove cioè la Chiesa dice la verità, una verità che rimane verità in eterno.
      Per quale motivo la Chiesa ha riservato la parola infallibile soltanto alle definizioni dogmatiche? Si tratta semplicemente di un motivo linguistico ovvero pastorale; si tratta cioè di una scelta verbale, che potrebbe benissimo essere mutata.
      Quindi io, quando ho usato questa parola per riferirmi anche al secondo e al terzo grado di autorità delle dottrine, riconosco di avere fatto una scelta personale, che può essere anche discutibile, ma che, secondo me, aiuta a capire che la Chiesa insegna anche nel secondo e terzo grado una verità indiscutibile, perenne e non falsificabile.
      Perché allora ho adottato questo termine? Per impedire l’operazione di quei cattolici, i quali, sotto pretesto per esempio del fatto che le dottrine del Concilio non contengono nessuna definizione dogmatica, si permettono di rifiutarle, perché, secondo loro, sarebbero contrarie alla Tradizione. Viceversa la Chiesa ha insegnato che le dottrine dei Concili Ecumenici sono infallibili.
      Questo mio espediente linguistico serve anche a bloccare l’atteggiamento dei modernisti, i quali non credono nella immutabilità della verità, per cui essi si ritengono liberi di dissentire a qualunque grado di autorità del Magistero della Chiesa, mentre io, parlando di infallibilità nel senso che ho detto, ricordo loro che essi, da buoni cattolici, sono tenuti a riconoscere che la Chiesa insegna la verità a tutti e tre i gradi di autorità.
      Per quanto riguarda il famoso caso di Giovanni XXII, non si trattava di magistero autentico, ma di una sua opinione personale, che egli ritrattò in punto di morte. La cosa fu chiarita dal Papa successivo, Benedetto XII, il quale definì il dogma della visione beatifica immediatamente dopo la morte.
      La definizione di magistero autentico è già contenuta nella Nota della CDF, laddove si parla del Magistero ordinario riguardante una materia di fede o di morale circa la quale la Chiesa si astiene dal dichiararla definitiva. Ciò non vuol dire che non sia definitiva, ma semplicemente significa che la Chiesa non intende usare questo attributo a questo livello di autorità.
      Ciò allora significa che anche a questo livello la Chiesa insegna dottrine che non possono essere falsificate o che potranno essere non più vere.

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    6. Padre Cavalcoli,
      1. L'«infallibile», propriamente parlando, più della verità, è l'autorità magisteriale nel proporre una determinata dottrina.
      2. La Chiesa non ha riservato la parola infallibile solo alle definizioni dogmatiche. V., ad esempio, la Nota da me citata o LG, n. 25.
      3. Quanto ai “gradi” della professione docente, tale espressione non è usata, per quanto ricordo, dalla Chiesa stessa.
      4. Se si dice che il magistero di Giovanni XXII in quell'errore non era un magistero “autentico”, perché era erroneo, allora non c'è spazio per parlare di magistero “autentico”, praticamente. Perché qualsiasi insegnamento presentato come tale avrebbe potuto essere successivamente corretto e, in tal caso, non sarebbe stato effettivamente un insegnamento “autentico”. Ma lei parlate di magistero autentico anche come quello che si riferisce «una materia di fede o di morale circa la quale la Chiesa si astiene dal dichiararla definitiva». Non era questo l'insegnamento di Giovanni XXII?

      In Domino,

      FM

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    7. Caro Federico,

      1) L’infallibilità è cosa diversa dall’autorità. È vero che il Papa nel definire i dogmi fruisce di una autorità infallibile. Tuttavia, mentre l’autorità risponde a una qualità morale del maestro, che lo rende credibile, l’infallibilità pontificia non si riferisce direttamente alla autorità, ma si riferisce ai contenuti dell’insegnamento, ossia alla verità delle dottrine, nel senso che si tratta di dottrine non falsificabili, cioè sempre vere.

      2) Questo conferma che infallibile significa: “sempre vero e non falsificabile”. Inoltre si riferisce al fatto che tutti e tre i gradi di autorità dottrinale del Papa, hanno la proprietà di essere infallibili.

      3) La dottrina dei tre gradi si trova nella Nota esplicativa della Ad Tuendam Fidem di San Giovanni Paolo II.

      4) Per quanto riguarda la tesi di Giovanni XXII, secondo cui le anime salvate vanno in paradiso solo alla fine del mondo, non si trattava di magistero, ma di opinione personale del Papa, in un contesto di discussione teologica. Come Papa, in punto di morte, riconobbe la verità, che sarebbe poi stata proclamata col dogma della visione beatifica da Papa Benedetto XII.
      Per quanto riguarda il magistero autentico, esso occupa il terzo grado di autorità, e pertanto anch’esso è irreformabile o infalsificabile o infallibile.

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    8. Caro Padre Cavalcoli:

      Non sembra che abbia riletto LG, 25. Il carisma dell'infallibilità vi viene presentato come appartenente a certe persone, servatis servandis. La dottrina emanata secondo tale carisma è, quindi, definitiva e irreformabile (non “infallibile”, almeno non è detto). Lo stesso si vede nella Pastor aeternus.

      Non ho mai identificato autorità magisteriale e infallibilità. Questo, piuttosto, sembra emergere dalla sua affermazione, nel senso che lei sostiene che ogni esercizio del magistero gode di infallibilità. Qualcosa che, tra l'altro, non è stato mostrato come si basa sul magistero stesso.

      Quanto a quanto dice al terzo punto, quella Nota non parla espressamente di “tre gradi”.

      Migliore per quanto riguarda.

      A Domino.

      FM

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    9. Caro Federico,
      al n. 25 della LG, i tre gradi di autorità delle dottrine si trovano ancora in uno stato implicito. Preciso tra parentesi che, quando io uso la parola “grado”, mi riferisci al termine “comma” usato dalla Nota dottrinale illustrativa aggiunta alla Ad Tuendam Fidem del 1998 (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html).
      La esplicitazione del terzo grado si trova nella Nota dottrinale, al n. 10.

      Per quanto riguarda il termine “infallibilità”, esso significa semplicemente verità immutabile o irreformabile.
      Ora, dato che anche al terzo grado la Chiesa insegna in materia di fede e di morale, anche se il termine infallibilità non ricorre, questo non significa che la Chiesa, anche a questo grado, possa sbagliare.
      Anche il fatto che anche a questo grado si parli di ossequio religioso dell’intelletto e della volontà, lascia ben capire che l’oggetto di questo ossequio non può che essere la verità, che non può cambiare dal momento che riguarda la fede e la morale.

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