Gentile Padre Cavalcoli, ho appena letto che il Papa ha autorizzato i medici ad amministrare l'Eucaristia ai malati di coronavirus, non potendo inviare i sacerdoti ad amministrare il Viatico per i noti motivi. Confesso che la notizia ha aumentato la confusione che regna nella mia anima. Cosa farei io se mi trovassi al posto di uno di quei poveretti? Non lo so. Vuole illuminarmi lei? GRAZIE! CARLA D'AGOSTINO UNGARETTI
Cara Carla, non ha motivo di preoccuparsi. Infatti siamo davanti ad una prassi ormai usuale nella Chiesa. Infatti lei saprà bene della esistenza del ministro straordinario della Comunione, il quale può essere anche un laico, senza un ministero permanente, ma col semplice incarico di distribuire occasionalmente la Santa Comunione. Se lei si dovesse trovare nella condizione dell'ammalato, ringrazierebbe chi le porta Gesù Eucarestia.
Gentile padre, grazie per "la luce in mezzo alle tenebra" che lei con la sua missione di predicatore, ci dà. Oggi vedo ancora un altro testo di un prestigioso biblista nella Civiltà Cattolica. Aspetto con ansia un suo commento che chiarisca la posizione. Ormai non so più che cosa leggere, che cosa non leggere, tutto è confusione, ognuno dice la sua collaborando a creare una Babele teologica in noi "piccoli". Scusi lo sfogo. Ma veramente non so più che cosa leggere.
Caro Carlo, comprendo bene il suo sconforto. Del bene ce n'è dappertutto, così come non c'è opera umana che non abbia difetti. Solo la Parola di Dio è pura luce. Per questo trovo molta consolazione negli insegnamenti del Magistero della Chiesa e dei Santi. Per quanto riguarda la Civiltà Cattolica, sto appunto preparando un commento all'articolo di Neuhaus.
Caro Padre Cavalcoli, Prima di tutto, scusa il mio povero modo di scrivere in lingua italiana. Spero di non disturbarti troppo quando ti consulto per un articolo di mio interesse. È la sua opera intitolata "La tradizione contro il papa", pubblicata il 25 febbraio 2011 sul sito web www.riscossacristiana. Tuttavia, non sono riuscito a trovarlo. Questo tuo articolo è online? È possibile saperlo? Grazie in anticipo per il vostro aiuto.
Caro Fr Filemon, le invio quanto sono riuscito a trovare in internet: http://www.internetica.it/lettere-Cavalcoli_Lanzetta.htm https://www.ricognizioni.it/a-padre-serafino-lanzetta-di-p-giovanni-cavalcoli-op/
Grazie, don Giovanni Avevo letto il tuo articolo molto tempo fa e l'ho tenuto bene nella mia memoria. Le sue argomentazioni mi sono sempre sembrate convincenti. Anche se in seguito ho letto una nota nel "Courrier de Rome", di FSSPX, in risposta al suo articolo. Suppongo che tu abbia ancora le tue opinioni oggi.
Rev.Padre, nel "L'atteggiamento del cristiano nei confronti della sofferenza", nel cap. "La sofferenza e le sue forme" leggo "...a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura che mettono in pratica .... operano sempre il bene". Ma la natura non è anch'essa, come tutto il creato, coinvolta nella caduta originata dal peccato mortale, e allora perchè "operano sempre il bene" ?
Caro Paolo, il brano circa il quale tu desideri un chiarimento è il seguente: "Ben diversamente vanno le cose nell’uomo. L’uomo è capace di essere cattivo. L’uomo sa compiere veramente e propriamente il male perchè, a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura, che mettono in pratica infallibilmente le leggi della natura stabilite da Dio che è buono, e quindi sono sempre mossi da Dio, operano sempre il bene, l’uomo, col suo libero arbitrio, può disobbedire volontariamente e quindi colpevolmente a Dio, può peccare. E il peccato produce la morte. Ecco il castigo del peccato." Al riguardo bisogna tenere presente che l'azione della natura può essere considerata sotto due punti di vista diversi. Uno. L'azione della natura ha un carattere punitivo, a seguito del peccato originale (Gn 3,18). Due. Nello stesso tempo si può dire che gli agenti naturali, mossi dalla causalità divina, operano il bene della natura e quindi ogni agente naturale opera il proprio bene. Prendiamo l'esempio del Covid. il Covid svolge una duplice azione: da una parte, obbedendo alla legge divina, opera il proprio bene, ma dall'altra, proprio in questa azione, svolge un compito punitivo nei confronti dell'uomo, il quale, dopo il peccato originale, non è più capace di dominare la natura e la natura gli è diventata ostile.
Caro Paolo, il brano circa il quale tu desideri un chiarimento è il seguente: "Ben diversamente vanno le cose nell’uomo. L’uomo è capace di essere cattivo. L’uomo sa compiere veramente e propriamente il male perchè, a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura, che mettono in pratica infallibilmente le leggi della natura stabilite da Dio che è buono, e quindi sono sempre mossi da Dio, operano sempre il bene, l’uomo, col suo libero arbitrio, può disobbedire volontariamente e quindi colpevolmente a Dio, può peccare. E il peccato produce la morte. Ecco il castigo del peccato." Al riguardo bisogna tenere presente che l'azione della natura può essere considerata sotto due punti di vista diversi. Uno. L'azione della natura ha un carattere punitivo, a seguito del peccato originale (Gn 3,18). Due. Nello stesso tempo si può dire che gli agenti naturali, mossi dalla causalità divina, operano il bene della natura e quindi ogni agente naturale opera il proprio bene. Prendiamo l'esempio del Covid. il Covid svolge una duplice azione: da una parte, obbedendo alla legge divina, opera il proprio bene, ma dall'altra, proprio in questa azione, svolge un compito punitivo nei confronti dell'uomo, il quale, dopo il peccato originale, non è più capace di dominare la natura e la natura gli è diventata ostile.
Mi scusi padre Cavalcoli. Da tempo, godendo del tuo blog, ho notato che usi la distinzione tra grazia magisteriale e grazia pastorale, per riferirti all'assistenza dello Spirito Santo al Romano Pontefice. Sono pienamente d'accordo con tale distinzione teologica, ed è molto esplicativa del carisma dell'infallibilità del papa, e molto utile per discernere i contenuti veramente vincolanti di un documento pontificio. Ora, questa distinzione teologica è originale per te, o ci sono altri teologi che vi fanno riferimento? Apprezzerei molto il favore di chiarirmi questo punto.
Caro Marquez, questa distinzione si basa sul fatto che, mentre l'autorità pastorale del Papa può andare soggetta a difetti, l'autorità dottrinale è infallibilmente assistita dallo Spirito Santo. Infatti, nel primo caso il Papa dispone bensì di un dono dello Spirito Santo, ma può colpevolmente non farne uso. Invece, quando egli intende esercitare il suo magistero, viene infallibilmente illuminato dallo Spirito Santo. Il fondamento evangelico del primo potere si trova nelle parole di Cristo, quando Egli, accertatosi che Pietro lo ama, gli ordina di pascere i suoi agnelli. Ciò implica che il Papa, per cattiva volontà, può sottrarsi a questo dovere. Invece, l’autorità dottrinale è basata sul comando di Cristo a Pietro di confermare i fratelli nella fede. In questo caso, quando il Papa vuole insegnare il Vangelo, è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, cioè liberamente aderisce sempre alla illuminazione divina. Questa teoria, che ha un fondamento in San Tommaso d’Aquino, l’ho ricavata io dalle parole stesse di Gesù, ma non l’ho trovata in altri teologi.
Caro Padre Cavalcoli, Vorrei fare riferimento al tuo commento fatto a N.Marquez, righe sopra riportate, ottobre 2020, e che si riferisce anche ad altre occasioni in cui hai parlato dello stesso argomento. Il Concilio Vaticano I di certo non definisce quello che lei dici. Dice il Vaticano I: insegniamo e definiamo come divinamente rivelato dogma che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, esercitando la sua carica di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema Autorità Apostolica, definisce un dottrina della Fede o del Costume e insegna che essa deve essere sostenuta da tutta la Chiesa, possiede, per l'assistenza divina che gli fu promessa nel beato Pietro, quell'infallibilità di cui il divin Redentore volle che la sua Chiesa godesse nella definizione della dottrina della fede e costumi. Quando parla ex cathedra E non parla mai della virtù della fede del Papa. Perciò dire che il Santo Padre, como lei dice, è l'unica persona umana che, potendo eventualmente commettere ogni genere di errori e peccati, non può tuttavia peccare contro la virtù della fede, non è definito. Quindi non è un dogma di fede. Grazie.
Caro Pietro, che il Papa, tra tutti i credenti feriti dal peccato originale, abbia una fede talmente forte, che gli consente di non peccare mai contro la fede, ma al contrario di essere sostegno infallibile della fede per tutti (“confirma fratres tuos”), si deduce con facilità dal dogma della infallibilità dottrinale. Infatti, come farebbe il Papa ad insegnare infallibilmente, cioè a proclamare un dogma o un articolo di fede, se non avesse tra tutti i credenti peccatori una fede talmente forte da potere insegnare contenuti di fede in modo infallibile? Che cosa dire della fede della Madonna? Certamente anch’ella ebbe una fede perfettissima e saldissima, una fede più forte di tutti gli altri credenti. Senonchè Cristo ha affidato a Pietro e non a Maria il compito di insegnare ufficialmente il Vangelo. Maria è il modello di tutti i credenti, non dei maestri della fede, perché costoro sono gli apostoli. Ora, Gesù non ha messo sua Madre nel novero degli apostoli. Un’obiezione che a volte viene fatta da certi cattolici passatisti è la seguente. Essi dicono che il Papa è infallibile solamente quando proclama o definisce solennemente un nuovo dogma. Ora, effettivamente questo è il contenuto del dogma dell’infallibilità. Tuttavia, nel 1998, San Giovanni Paolo II pubblicò la Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem, nella quale precisava, per mezzo della CDF, che il Papa, quando tratta di argomenti di fede, come Maestro della fede, insegna sempre la verità, anche se non proclama un nuovo dogma, ma svolge il suo magistero ordinario. Così, per esempio, per quanto riguarda le dottrine del Concilio, è vero che il Concilio non ha proclamato nessun nuovo dogma, ma questo non toglie che il Concilio, per sua stessa dichiarazione, possegga documenti di carattere dogmatico, non nel senso della definizione di nuovi dogmi, ma nel senso di insegnamenti dottrinali, anche nuovi, che tuttavia sono fondati sulla Rivelazione.
Gentilissimo padre Cavalcoli, nella confusione in cui, semplici fedeli come me, si trovano in questi tempi strani, le chiedo il suo illuminante parere su due questioni che mi sono molto care e mi struggono il cuore. A proposito della recente variazione del testo del "Gloria" e del "Padre nostro" le chiedo se è un errore, peccato di orgoglio o è lecito continuare a recitare queste due preghiere come da sempre ci sono state trasmesse. La seconda è inerente la necessità (o supposta tale) durante questa pandemia (anche se io da medico avrei da muovere tante eccezioni scientifiche, sulla igienicità di questa pratica) di amministrare la Santa Comunione sulle mani dei fedeli e non direttamente in bocca. Io francamente mi sento indegno e non ho mai pensato di ricevere la S. comunione nelle mani e ringraziando il buon Dio Il mio parroco, a Chi lo desidera continua ancora ad amministrare la comunione in bocca ma ahimé ho tantissime testimonianze di amici che in tantissime parrocchie hanno ricevuto un rifiuto del parroco ad amministrarla direttamente nella bocca del fedele) mi chiedo si tornerà più indietro? sarà di nuovo annunciato dall'altare che potremmo ancora prendere il corpo di Cristo direttamente dalle Sante mani del sacerdote senza corromperlo con le nostre mani? oramai durante la Santa Messa il rito della aspersione del gel sulle mani ha sostituito la Consacrazione.... c'è una distrazione globale per questo "rito di igiene "enigine ed a me tutto questo sembra che apra le porte alla progressiva perdita nei cristiani del senso della reale presenza di nostro Signore nella Santissima Eucaristia. Le chiedo perdono per la lunghezza delle mie questioni e attendo fiducioso un suo illuminante parere ma soprattutto il parere della dottrina immutabile della chiesa e della parola di Dio. Roberto gribo@inwind.it
Caro Roberto, rispondo alle sue domande. 1. "A proposito della recente variazione del testo del "Gloria" e del "Padre nostro" le chiedo se è un errore, peccato di orgoglio o è lecito continuare a recitare queste due preghiere come da sempre ci sono state trasmesse". Come buoni cattolici, dobbiamo seguire ciò che la Chiesa stabilisce nella liturgia comunitaria. I mutamenti nel "Gloria" e nel "Padre nostro" sono stati motivati dall'intento di una maggiore aderenza alla Parola di Dio, Dunque è bene che ci adeguiamo. In caso contrario mostriamo certamente sfiducia nella Chiesa che ci guida a Cristo. Tuttavia, pregando in privato non è proibito mantenere le vecchie formule. 2. "La seconda è inerente la necessità (o supposta tale) durante questa pandemia (anche se io da medico avrei da muovere tante eccezioni scientifiche, sulla igienicità di questa pratica) di amministrare la Santa Comunione sulle mani dei fedeli e non direttamente in bocca". Spetta all'autorità ecclesiastica stabilire le modalità dell'amministrazione dei sacramenti. Per questo, come buoni cattolici, dobbiamo adeguarci in linea di massima all'ordine dei Vescovi di ricevere la Comunione sulla mano. Non si tratta tuttavia di una direttiva assoluta. Al singolo sacerdote è consentito di fare eccezioni per motivi ragionevoli su richiesta del fedele. Per quanto riguarda i motivi igienici, Lei come medico può farli presenti al parroco o all'autorità ecclesiastica competente. Non è escluso che in futuro, cessata la pandemia, sia ripristinato l'uso precedente. 3. "Oramai durante la Santa Messa il rito della aspersione del gel sulle mani ha sostituito la Consacrazione.... c'è una distrazione globale per questo "rito di igiene" enigine (?) ed a me tutto questo sembra che apra le porte alla progressiva perdita nei cristiani del senso della reale presenza di nostro Signore nella Santissima Eucaristia". Dubbi sul valore della Consacrazione o sulla Presenza Reale non ci sono occasionati dal rito dell'igienizzazione, ma da teologi eretici come per es.Andrea Grillo e dai preti che lo seguono.
Carissimo padre Giovanni sono un sacerdote della Diocesi di Roma, ho letto molti suoi articoli, ho realizzato, per la mia formazione personale ma che potrebbe essere utilizzato anche a fini catechistici, un breve trattato dal titolo: "Dalla Creazione alla Redenzione: il destino del creato e dell'umanità". In questo mio lavoro affronto, partendo dal dato biblico, il tema della creazione, di un Dio creatore, l'atto creativo di Dio, l'uomo vertice della creazione, il peccato originale, la caduta e le sue conseguenze. Proseguo poi la mia trattazione prendendo in considerazione il dato scientifico ponendomi nella prospettiva cosmologica trattando l'origine dell'universo e della vita. A questo punto mi sono trovato davanti ad un paradosso che così ho espresso: "Sorge a questo punto una domanda: perché se l’universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi? L’universo stesso è destinato a morire? Il segno che il nostro sistema vita, contiene già in sé questo orientamento, è il cosiddetto limite ontologico rappresentato dalla morte, in tutte le sue espressioni, che sperimentiamo in tutta la sua portata e drammaticità esistenziale". L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuta una contraddizione da sanare. Mi sono chiesto se esiste una via d'uscita da questa condizione irreversibile? Sono partito da una massima del fisico Einstein: "Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo".Una via d’uscita potrebbe esserci se ci spostiamo dal piano fisico-cosmologico e filosofico, al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce e per la fede la definitiva risposta. Un universo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo ne conterrebbe, per analogia, la medesima logica di morte e di resurrezione. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto. Mi può dire cosa ne pensa? Anche se non sono stato suo allievo alla Pontificia Università Lateranense, la mia formazione filosofica e teologica risente del pensiero del nostro compianto prof. Antonio Livi. Grazie per la sua attenzione. Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo, nella storia sacra noi siamo davanti a due orientamenti contrastanti: da una parte abbiamo l’infinita bontà e provvidenza divine, le quali muovono l’universo e l’umanità verso il meglio, in una evoluzione ascendente, che ha il suo punto terminale nella Parusia di Cristo, come dice giustamente Teilhard de Chardin, e dall’altra parte assistiamo ad un processo di corruzione e di decadenza e nel contempo all’azione della morte, che sono forze che contrastano quelle precedenti, promosse da Dio. Nel progetto originario di Dio, la morte e la corruzione, sia dell’uomo che dell’universo, non erano previste ma viceversa Dio aveva donato l’immortalità all’uomo e in qualche modo anche all’universo, destinato ad essere abitato e dominato dall’uomo. Nell’eden la morte degli enti inferiori, cioè delle piante e degli animali, non era da considerarsi un male inquantoché questi viventi dovevano servire alla sussistenza fisica dell’uomo, dotato di anima immortale. Infatti dalla Sacra Scrittura sappiamo che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo. D’altra parte, il Padre celeste nella sua misericordia, fin da subito dopo il peccato originale, ha promesso ad Adamo ed Eva un Salvatore, che poi si sarebbe rivelato nell’uomo Gesù Cristo. Io ritengo che l’attuale universo era destinato ad essere conosciuto ed abitato dall’uomo, se non avesse peccato nell’eden. Comunque per ulteriori approfondimenti le consiglio la lettura dei miei articoli dedicati a questi argomenti (cf. nel mio blog etichetta: universo). Inoltre, se le interessano, può consultare le conferenze di P. Tomas Tyn: http://www.arpato.org/lezioni.htm -
Caro Don Vincenzo, rispondo ai suoi quesiti. 1. "Se l’universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, perchè nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi? L’universo stesso è destinato a morire?" Come sappiamo dalla nostra fede, nel piano originario della creazione non era prevista nè la morte dell'uomo nè la stasi finale dell'universo (entropia). Col peccato originale, il moto evolutivo ascendente dell'universo e della vita - come duce anche Teilhard de Chardin - è rimasto. Ma allorchè è apparso l'uomo, questi ha conosciuto una vita mortale un castigo del peccato originale, secondo quanto Dio stesso aveva detto in avvertimento ai nostri progenitori (Gen 2,17). 2."L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuta una contraddizione da sanare. Mi sono chiesto se esiste una via d'uscita da questa condizione irreversibile? Sono partito da una massima del fisico Einstein: "Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo". Una via d’uscita potrebbe esserci se ci spostiamo dal piano fisico-cosmologico e filosofico, al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce e per la fede la definitiva risposta". Un universo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo ne conterrebbe, per analogia, la medesima logica di morte e di resurrezione. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto". Nell'evento della morte dell'uomo e della corruzione dell'universo è contenuta una contraddizione da sanare e questa contraddizione sta nel fatto che esiste una morte che contraddice a quella vita che Dio aveva originariamente voluto e che Egli però ripristina mediante Cristo appunto con la resurrezione dell'uomo e dell'universo.
Carissimo padre Giovanni mi potrebbe aiutare a capire come va tradotto e letto correttamente il passo dell'Apocalisse di San Giovanni cap.13 versetto 8? La Bibbia CEI riveduta traduce: "L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato". La Bibbia CEI del 2008 traduceva così dal testo greco: "La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell'Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo". Anche san Pietro nella sua prima lettera al capitolo 1 vv. 18-20 scrive: "Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi". Domanda: Ma se l'Agnello immolato e glorioso è presente nella mente di Dio fin dalle origini significa che Dio crea l'universo, il mondo, l'uomo per mezzo di Cristo e in vista di Cristo e di conseguenza tutto il creato così come è strutturato e come lo conosciamo risponde a questa logica creativa di Dio che contiene in se stessa la morte e la risurrezione, la passione e la gloria. Tutto questo però prima del peccato di origine, prima della caduta? mi aiuterebbe a far chiarezza su questo passaggio? Grazie. Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo, la traduzione esatta è quella della CEI riveduta. Sia l’Apocalisse che San Pietro intendono dire che dall’eternità Dio ha pensato e progettato l’immolazione del Figlio, oltreché la creazione del mondo. Dire che Dio, per mezzo del Logos, ha creato il mondo non significa ovviamente affermare che sia l’autore del peccato, perché sappiamo bene che questo autore è stato il demonio, che ha spinto Adamo ed Eva a peccare. Il sacrificio del Figlio, come è noto, ha la funzione di togliere per il genere umano il male di colpa e di pena, il quale, come lei saprà bene, è la conseguenza del peccato originale. Tuttavia è chiaro che la morte e la resurrezione di Cristo sono avvenute 2000 anni fa in esecuzione del piano divino. Effettivamente sia il testo greco che la Vulgata possono prestarsi a quella traduzione errata, che si trova nella Bibbia del 2008, e cioè che l’Agnello sia stato immolato fin dalla fondazione del mondo. Di questo argomento ho parlato in alcuni articoli, pubblicati recentemente sul mio blog, in riferimento al pensiero di P. Giuseppe Barzaghi.
Caro Don Vincenzo, Adamo ed Eva erano pienamente attrezzati per riconoscere la presenza del demonio. Non erano come noi davanti ai quali egli può mascherarsi da angelo della luce. Inoltre avevano la piena possibilità e libertà di respingere la sua proposta. Per questo non avevano bisogno di ulteriori avvertimenti o sussidi da parte di Dio. Noi, viceversa, fragili come siamo, abbiamo assoluto bisogno del soccorso divino.
Carissimo padre Giovanni, desidero porle un'altra questione legata al cosiddetto "peccato d'origine" o "peccato originale" che potrebbe aprire una pista di riflessione e fare un po'di luce sulle conseguenze negative per il genere umano. Si tratterebbe di una interpretazione del cosiddetto "fenomeno evolutivo" del genere umano. Cosa intendo dire. Sappiamo dalla Rivelazione biblica che l'uomo fu creato da Dio maschio e femmina, fu creato, rispetto alle altre creature, con il massimo grado di perfezione, si legge nella Genesi: "ad immagine e somiglianza di Dio". Dopo il peccato di origine inizia la decadenza della sua natura oltre l'aver rotto il rapporto di comunione filiale con Dio creatore. Il processo evolutivo potrebbe essere interpretato, non come la spiegazione scientifica dell'origine della specie umana, ma come il lento recupero dell'umanità originaria, come una parabola ascendente in via di "ricostruzione" dell'umanità originaria perduta. In questo percorso l'umanità recupera, nel corso dei millenni, pur con tutti i limiti della sua condizione, le capacità intellettuali, spirituali e materiali. Ed è solo ad un certo punto della sua storia, San Paolo scrive "nella pienezza dei tempi", l'uomo si trova nelle condizioni ideali per accogliere e comprendere l'irruzione di Dio nella storia, con l'Incarnazione del suo Figlio unigenito. Possiamo quindi descrivere i tempi di questo processo come: la creazione dell'uomo, la caduta, la ricostruzione, l'Incarnazione e la Redenzione. Cosa ne pensa? Grazie per la sua attenzione.
Caro Don Vincenzo, la tua teoria coincide esattamente con quanto a suo tempo ho sostenuto io e cioè che il castigo del peccato originale ha comportato conseguenze disastrose su tutti i piani dell’esistenza della persona, da quello intellettuale a quello morale a quello psicologico a quello fisico. Per quanto riguarda quest’ultimo, credo anch’io che i reperti paleoantropologici, dove l’uomo appare in un aspetto scimmiesco, sono il segno di questa decadenza conseguente al peccato originale. Per questo il programma che si prospettò all’umanità sin da questo tempo fu quello, con l’aiuto di Dio, di ricostruire i valori perduti, vale a dire passare da uno stadio animalesco della vita a livelli sempre più razionali, passare da una condizione di istintualità ad un irrobustimento sempre maggiore della volontà, passare dal politeismo al monoteismo. In questo lungo cammino di progresso, c’è stato anche il graduale recupero della bellezza corporea della umanità edenica. Attualmente noi, nonostante i progressi fatti, non abbiamo ancora recuperato in pienezza questa bellezza originaria. Tuttavia la presenza attiva di Cristo e del suo Spirito spingono l’intera umanità, che si raduna nella Chiesa, ad una evoluzione ascendente verso la Parusia.
Carissimo p. Giovanni mi è capitato di recente di leggere alcuni capitoli del libro del filosofo e scienziato francese Claude Tresmontant: “I primi elementi della teologia”. Scrivendo sulla creazione e in particolare della creazione dell’uomo, facendo riferimento a Genesi 3 sostenendo un concordismo tra scienza e rivelazione giudaico-cristiana, afferma che quando l’uomo è stato creato, era incompiuto perché non era possibile che l’uomo fosse stato creato immediatamente completo e questa impossibilità non viene da Dio ma dalla condizione dell’essere creato, il cui processo evolutivo, come in tutte le creature e come nei processi dell’intero Universo, avviene per tappe, in una genesi progressiva. Tresmontant sostiene che la pienezza non sta all’inizio del tempo, ma sta dopo di noi, nell’avvenire. Riferendosi poi alla “caduta” del genere umano a causa del “peccato di origine” e la conseguente cacciata dall’Eden, sostiene, facendo proprio il pensiero di san Gregorio da Nissa, che il conoscere cos’è bene e cos’è male, nell’esercizio della libertà, è allo stesso tempo rischioso e necessario. Da quel momento la creazione viene consegnata da Dio nelle mani dell’uomo, può continuarla e cooperarvi attivamente e intelligentemente oppure distruggerla. La storia ci insegna che di fatto l’umanità ha esplorato le due direzioni, quella della creazione e quella della distruzione. Cosa ne pensa?
Caro Vincenzo, quello che lei dice a proposito della incompletezza dei nostri progenitori, a tutta prima mi ha lasciato perplesso, ma, riflettendo, credo di avere capito che cosa lei intende dire, e cioè che noi oggi possiamo dire, in un certo senso, che siamo più progrediti di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Per quale motivo? Perché, mentre la coppia primitiva si trovava semplicemente davanti ad immense possibilità di progresso e di conquista dell’universo, è successo che col peccato originale è crollata in uno stato miserevole, dal quale l’umanità successiva da allora fino ad oggi si è sforzata di risollevarsi peraltro potentemente aiutata dalla grazia di Gesù Cristo. E con ciò ancor oggi abbiamo davanti a noi, con l’aiuto di Dio, immense possibilità di impadronirci sempre meglio e sempre di più delle forze dello spazio terrestre ed extraterrestre. Credo che a questo proposito ci potremmo agganciare al discorso di Papa Francesco sulla ecologia integrale. Detto questo, a scanso di equivoci, dobbiamo ricordare però la dottrina tradizionale secondo la quale la coppia primitiva era dotata di doni preternaturali, che la innalzava ad una perfezione fisica, intellettuale e morale, molto superiore di quella che possediamo oggi nello stato di natura decaduta, anche se il fatto di essere stata redenta da Cristo fa sì che noi oggi, in quanto figli di Dio, viviamo di una vita soprannaturale superiore a quella propria della coppia primitiva.
Carissimo padre Giovanni, da qualche mese sto seguendo un corso di “Filosofia della natura” del suo confratello p. Alberto Strumia molto interessante. Riflettendo sull’Universo e lo studio delle galassie, delle stelle e dei pianeti che lo popolano, secondo uno studio pubblicato sul The Astrophysical Journal, ci sarebbero 2mila miliardi di galassie, dieci volte in più di quanto si pensasse. La mia riflessione è questa. Se prendiamo in considerazione il dato biblico, Dio crea “i cieli e la terra” e al termine della Sua opera crea l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Si può dire che il luogo dove si concentra questa creazione, di piante, oceani, animali ed infine l’uomo, in altri termini di esseri viventi di diverso grado, è il pianeta terra perché qui ci troviamo, viviamo, operiamo e moriamo. Osservando le galassie, le stelle e i pianeti, noto da un lato la maestosità, la grandezza e l’immensità dell’universo e dall’altro la piccolezza, le dimensioni ridotte del nostro pianeta vivente, praticamente abitiamo in una “una bolla d’aria”, su un pianeta con risorse limitate, con una popolazione che tende ad aumentare, con problematiche climatiche accentuate in questo ultimo secolo e tanto altro ancora. Il sistema solare stesso, i pianeti che lo compongono sono inospitali ed inabitabili pur non escludendo che a migliaia di anni luce possano esserci pianeti con forme di vita. Per ora siamo solo noi gli unici esseri viventi intelligenti e coscienti. Lo stesso Figlio di Dio si è incarnato ed è venuto ad abitare tra di noi, su questo pianeta, donandoci la sua Parola e la sua vita per la nostra salvezza e redenzione. Non le nego che faccio fatica a trovare un senso ed un significato a questa sproporzione creativa da parte di Dio, pur adeguandomi al mistero del tutto. Se da un lato non ho difficoltà a trovare un senso per la presenza dell’uomo sulla terra trovo invece difficoltà a pensarlo inserito in un contesto, se vogliamo definirlo universale. Grazie per la sua attenzione.
Caro Don Vincenzo, bisogna che noi distinguiamo lo stato edenico, che abbiamo perduto, e lo stato di natura decaduta, che è quello nel quale ci troviamo adesso. Nello stato edenico l’uomo avrebbe potuto con estrema facilità colonizzare l’intero universo, superando degli spazi sconfinati, dominando energie gigantesche, secondo le parole del Signore che ordina alla coppia primitiva di moltiplicarsi e di dominare la terra. Che significa “terra”? Tutto l’universo, comprese le galassie, le stelle e i pianeti e tutte le realtà create dell’universo. Infatti Adamo ed Eva erano dotati dei doni preternaturali della scienza infusa, dell’immortalità, dell’esenzione da ogni tipo di difetto fisico e morale, oltre che di un potere di dominio sull’universo di tale forza che noi non immaginiamo neppure. In tal modo in breve tempo il genere umano avrebbe occupato tutti gli sconfinati spazi cosmici, utilizzando tutte le energie dell’universo, giungendo a coltivare tutti i pianeti predisposti per la vita e sparsi in tutto l’universo. Oltre a ciò, l’umanità avrebbe potuto diffondere tutte le forme della vita infraumana nell’universo. Sennonché, a causa del peccato originale l’uomo ha perduto, oltre ai doni preternaturali, il potere di dominio sull’universo, che aveva nello stato edenico. Da qui si è generata la situazione attuale, per la quale la terra su cui vive l’umanità appare un punto infinitamente piccolo nei confronti della vastità di un universo sconfinato, con energie di una tale forza che noi non abbiamo assolutamente il potere di controllare, e distanze talmente grandi, che a noi adesso sembrano insuperabili. La venuta di Cristo ha dato all’umanità la possibilità e la speranza, non solo di rialzarsi dalla caduta originale, ma di oltrepassare la stessa condizione di giustizia e di santità proprie dello stato edenico, ricevendo, come dice San Paolo, l’adozione a figli, grazie alla quale l’uomo oggi come oggi può lanciarsi con fiducia in una progressiva conoscenza e conquista dell’universo, che ci fa sperare in un raggiungimento di obbiettivi per ora irraggiungibili, similmente a come adesso otteniamo risultati che per i nostri padri potevano sembrare inimmaginabili. Però, una piena riconquista dell’universo sarà possibile solo alla Parusia, con l’accesso alla vita eterna, con la resurrezione dei morti e con l’inaugurazione dei nuovi cieli e della nuova terra, che sono l’oggetto della speranza cristiana.
Grazie padre Giovanni la sua risposta mi da conferma ad una mia riflessione che riguarda proprio la Parusia e cioè che la possibilità che l'umanità risorta possa conquistare e popolare l'universo sotto cieli e terra nuova grazie alla Redenzione operata da Cristo nella vita eterna quando questo mondo sarà passato in una condizione nuova.
Caro Don Vincenzo, io credo che le conseguenze del peccato originale, per quanto riguarda il nostro rapporto con l’universo fisico, siano date dalla estrema esiguità delle nostre forze e capacità di controllo della materia, nonchè dai limiti della nostra conoscenza dell’universo, messi a confronto con la vastità sconfinata dell’universo, la presenza in esso di energie dalla potenza incalcolabile, la minaccia sempre incombente di forze ostili provenienti dallo spazio. Tutto ciò è il segno che col peccato originale abbiamo perduto quella capacità di conoscenza e di dominio sul cosmo, che ci era assicurata nel paradiso terrestre, considerando non soltanto la grande superiorità di forze che possedevamo, ma anche il fatto della nostra immortalità, cose che con la riproduzione della specie umana avrebbero assicurato in brevissimo tempo, grazie anche alla costruzione di perfezionatissimi strumenti tecnici e mezzi di trasporto, il pieno dominio dello spazio fino ai suoi estremi confini, onde sfruttare le sue energie per il nostro benessere fisico e come base per un continuo progresso spirituale. Teniamo comunque presente che la venuta di Cristo consente all’umanità di risalire dalla situazione di miseria, conseguente al peccato originale e, mediante la vita di grazia, di salire alla condizione di figli di Dio, in tal modo da potere gradualmente non solo recuperare quello che abbiamo perduto, ma vivere una vita soprannaturale come partecipazione alla vita divina, che gradualmente nel corso della storia ci permette una riconquista dell’universo, ma ancor più, come predetto dai profeti, ci concede la speranza nella gloria della futura resurrezione, di fruire di nuovi cieli e nuova terra, dove abita la giustizia. In questo senso San Paolo dice, in Rm 8, 18-23: “18Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. 19La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 21di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”.
Carissimo Padre Giovanni. Mi perdoni se ritorno su un argomento che le ho già esposto e sul quale mi ha dato una risposta. Ma mi è rimasto qualche dubbio che le espongo. Ritorno sull’argomento della Creazione e le chiedo come si concilia una creazione progettata e realizzata da Dio, compresa la creazione dell’uomo a Sua immagine e somiglianza, da ritenersi buona e compiuta con quello che leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 302 e 310. 302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. E' creata “in stato di via” (in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione. Citando San Tommaso d’Aquino: 310. Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 25, 6]. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71]. Quindi Dio non crea un mondo perfetto ma in via di perfezione, e questo prima della “caduta” causata dal peccato d’origine dei nostri progenitori: Un creato ed un mondo in via di perfezione verso il suo compimento prevede, fin dalle origini la vita ma anche la morte, la salute ma anche la malattia, la costruzione ma anche la distruzione ed il dolore, il male e il bene. Lo stesso Figlio di Dio è presentato nella Sacra Scrittura come Agnello immolato e glorioso fin dall’eternità. Avrei bisogno, su questi argomenti, un po’ di chiarimenti. Come sempre Grazie. Don Vincenzo Sarracino
1) 302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. E' creata “in stato di via” (in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta.
Rispondo dicendo che il Catechismo, parlando di creazione non interamente compiuta può riferirsi: a) all’aumento numerico delle anime umane, per tutto il corso della storia, fino alla fine del mondo; b) alla crescita organica dei viventi; c) allo svolgersi della storia umana, fino alla fine del mondo.
2) Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione. La Provvidenza divina consiste nel fatto che Dio conduce il mondo verso quella pienezza finale, che corrisponde al suo piano di salvezza in Cristo, piano che sarà portato a termine alla fine del mondo con la Parusia di Cristo, la resurrezione dei morti e il giudizio universale, che separerà i giusti dagli empi. Dopodiché sarà inaugurata la pienezza di quel Regno di Dio, che attualmente viene edificato nella Chiesa, e l’umanità salvata fruirà in eterno di nuovi cieli e nuova terra, mentre i dannati subiranno la giusta pena, che tuttavia continuerà ad essere espressione della Provvidenza e della Misericordia divine.
3) Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Rispondo dicendo che Dio ha voluto creare un mondo perfetto nel suo genere, ossia ha voluto creare degli enti specifici e particolari, che non potevano che essere finiti, anche se avrebbe potuto crearne altri ancora migliori e diversi. Dio, nel contempo, all’inizio ha voluto creare un mondo senza la presenza del male. Certo, che se Egli avesse voluto, poteva benissimo creare un mondo che fosse stato sempre senza la presenza del male. Bisogna fare un’altra considerazione: che Dio, creando gli angeli e l’uomo e dotandoli del libero arbitrio, ha posto in loro la condizione perché potessero fare il male. Questo atto creativo divino in sé è stato un atto di somma bontà, sicchè la colpa dell’inizio del male va tutta addebitata alla scelta peccaminosa della creatura, angelo e uomo. Aggiungiamo che Dio ha permesso l’ingresso del male nel mondo, permettendo il peccato dell’angelo, ossia del demonio, il quale ha fatto cadere Adamo ed Eva, con la conseguenza che tutta l’umanità è caduta in una irreparabile miseria. Diciamo inoltre che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto impedire il peccato dell’angelo. In secondo luogo, se l’angelo avesse peccato, Dio avrebbe potuto impedire il peccato dei nostri Progenitori. Inoltre, anche avendo permesso il loro peccato, avrebbe potuto immediatamente convertire i cuori dei nostri Progenitori, così che essi si pentissero. In tal caso Dio, nella sua misericordia, avrebbe potuto addirittura risparmiare il castigo conseguente al peccato originale. C’è inoltre da dire che Dio, a rigore di giustizia, avrebbe potuto lasciare l’umanità nel suo stato di miseria, conseguente al peccato, perché Dio aveva avvertito i Progenitori che, se avessero disobbedito, sarebbero incorsi nella morte. Sennonché, come sappiamo Dio, nella sua infinita misericordia, ha avuto pietà di noi e ci ha dato come Salvatore suo Figlio. C’è inoltre da considerare che tutti questi atti della bontà e della giustizia divina, sono effetto di sue insindacabili decisioni, che oltrepassano la nostra umana comprensione e hanno radice nel mistero imperscrutabile della bontà divina. Concludiamo dicendo che Dio, permettendo l’esistenza del male, ha voluto mostrare ad un tempo la sua onnipotenza e la sua bontà: la sua onnipotenza, perché sa ricavare da un male un maggior bene, cioè un bene maggiore di quello che ci sarebbe stato se il male non ci fosse stato; e la sua bontà, che si esprime nella misericordia e nella giustizia. Si esprime nella misericordia, in quanto perdona il peccato; nella giustizia in quanto castiga il peccatore. Dio, nella sua misericordia e nella sua bontà, ci ha ripagato il male col bene, cioè ha risposto al nostro peccato conducendoci in Cristo ad un livello di vita superiore, cioè la figliolanza divina, rispetto a quello che esisteva nello stato edenico. Per quanto riguarda invece la giustizia, il Padre celeste ci avverte che certamente Egli è pronto a farci misericordia, tuttavia se noi non osserviamo i santi Comandamenti e la legge di Cristo non possiamo più sperare nella misericordia, ma dobbiamo attenderci l’eterno castigo. C’è da osservare infine che l’osservanza dei santi Comandamenti, benché sia effetto del libero arbitrio, è causata in radice dalla volontà divina, la quale sorregge con la sua grazia la volontà umana, mentre la perdizione è esclusivamente causata dal peccato dell’uomo. L’atto buono ha due cause: la causa prima è Dio, la causa seconda è il libero arbitrio della creatura. Invece l’atto cattivo è causato dalla sola creatura.
4) Quindi Dio non crea un mondo perfetto ma in via di perfezione … Per quanto riguarda la questione della perfezione del creato potremmo citare la teoria di Leibnitz, il quale sosteneva che Dio ha creato il migliore dei mondi possibili, ma già San Tommaso aveva osservato che questa è una cosa irrealizzabile, perché la creatura come tale è determinata da una data specie, cioè da un’essenza specifica. Ora Dio, nella sua onnipotenza, può sempre creare creature di una specie superiore o diversa e così all’infinito. Tuttavia Leibnitz aveva ragione nel dire che il creato è perfetto, però non aveva inteso bene in che cosa consiste questa perfezione. Un aspetto essenziale della perfezione del creato, soprattutto riguardante le sostanze corporee, è il passaggio dalla potenza all’atto, che è il meccanismo proprio della crescita, dello sviluppo e del progresso. Facciamo qualche esempio: lo sviluppo dal seme alla pianta; il passaggio di un combustibile che non brucia al combustibile che sta bruciando; il passaggio della luce diurna dall’alba a mezzogiorno; la riproduzione delle specie; il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Per tutti questi esempi si applica il passaggio dalla potenza all’atto. Questo fatto del progresso non comporta assolutamente di per sé l’esistenza del male, del peccato, della sofferenza, della malattia e della morte. Infatti, tutti questi aspetti del male sono semplicemente la conseguenza del peccato della creatura. Per quanto riguarda i conflitti che avvengono sia nella natura fisica che nei viventi, come per esempio un vulcano, un terremoto, uno tsunami, i conflitti o competizioni tra animali, dobbiamo dire che nell’Eden queste erano cose normali. Tuttavia bisogna precisare che, mentre nell’Eden l’uomo era in grado di conoscere e di difendersi da tutti questi mali fisici, nello stato attuale di natura decaduta l’umanità, con le sue sole forze, non è in grado di difendersi sufficientemente né dagli insulti che vengono dai mali fisici e neppure da quelli che provengono dall’agire morale di uomini malvagi o dal demonio. Questa situazione dolorosa è la conseguenza del peccato originale e anche dei nostri stessi peccati. In questo senso sono castighi divini e richiami alla conversione. Per quanto riguarda la generazione e la corruzione, bisogna dire che nell’Eden c’era una differenza tra la condizione dell’uomo e quella dei viventi inferiori. Questa differenza dipende dal fatto che, mentre l’anima umana è immortale e creata direttamente da Dio, l’anima di quei viventi, essendo un effetto elevato del loro corpo, al momento della morte rientra nella potenzialità della materia. I livelli dell’anima sono i seguenti: sensitiva, animale e spirituale. E mentre l’animale è totalmente corruttibile, nell’uomo si dà la sopravvivenza dell’anima. Nell’Eden l’uomo poteva godere dell’immortalità, invece i viventi inferiori erano soggetti alla corruzione e alla morte, in quanto servivano per la vita dell’uomo. C’è infine da notare che la morte di per sé sarebbe un fatto naturale anche per l’uomo, composto di anima e corpo, per cui, se i nostri Progenitori erano immortali, ciò non dipendeva dalla semplice natura, ma, come insegna la Chiesa, si trattava di un dono preternaturale, ossia di un dono che perfeziona la natura al di là delle sue capacità, ma d’altra parte non assurge al livello del divino, come è l’ordine del soprannaturale, ossia della grazia, che è partecipazione alla natura divina.
5) Lo stesso Figlio di Dio è presentato nella Sacra Scrittura come Agnello immolato e glorioso fin dall’eternità. Queste parole non rispecchiano il testo autentico della Scrittura, ma ne sono una deformazione. Le parole esatte sono le seguenti: “L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato” Ap. 13,8 (cf. https://www.vatican.va/archive/ITA0001/__P10N.HTM). Quindi non è che l’Agnello sia immolato sin dalla fondazione del mondo, cosa che non ha alcun senso, inquantoché l’Agnello è stato immolato 2000 anni fa a Gerusalemme, nel pomeriggio di un venerdì. Invece l’Apocalisse intende dire che l’immolazione dell’Agnello è stata progettata da Dio sin dalla fondazione del mondo e, potremmo aggiungere, sin dall’eternità, in quanto Dio è Atto puro ed eterno Presente. Purtroppo il Padre Giuseppe Barzaghi ha preso fischi per fiaschi, perché ha deformato il testo biblico.
Grazie padre Giovanni per la sua puntuale chiarezza. Volevo dirle che come frutto dei miei studi filosofici e teologi, in questi anni, anche come lavoro di formazione personale, ho scritto un libro che raccoglie mie riflessioni sul tema della verità. E' un lavoro sistematico a cui dato il nome di:" Piccolo trattato sulla conoscenza della verità: la verità delle cose, la verità di Dio, la verità della fede". Non ha la pretesa di una trattazione scientifica ma piuttosto di divulgare un pensiero che ritengo ancora valido, che si rifà alla metafisica classica realista di San Tommaso D'Aquino mettendo al centro e a fondamento della mia trattazione la sua definizione di verità, a mio avviso ancora attuale e mai superata di "adaequatio intellectus ad rem". Un caro saluto. Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo, vive congratulazioni per questo suo prezioso lavoro, che mette in luce una dottrina che è al di sopra del tempo e dello spazio e, nella sua solidità, vale per tutti i tempi e tutti i luoghi, essendo l’espressione dell’universalità del pensiero umano e la condizione spirituale basilare per ogni forma di attività morale e religiosa aperta alla luce della fede e ai valori della vita cristiana.
Carissimo padre Giovanni mi può brevemente esporre in che termini anche l'universo è stato segnato dalla caduta provocata dal peccato originale dei nostri progenitori? Può segnalarmi un suo scritto riguardo questo tema? Grazie e che Dio la benedica per il suo prezioso ministero al servizio di Dio e della Chiesa e della Verità.
Caro Don Vincenzo, io credo che le conseguenze del peccato originale, per quanto riguarda il nostro rapporto con l’universo fisico, siano date dalla estrema esiguità delle nostre forze e capacità di controllo della materia, nonchè dai limiti della nostra conoscenza dell’universo, messi a confronto con la vastità sconfinata dell’universo, la presenza in esso di energie dalla potenza incalcolabile, la minaccia sempre incombente di forze ostili provenienti dallo spazio. Tutto ciò è il segno che col peccato originale abbiamo perduto quella capacità di conoscenza e di dominio sul cosmo, che ci era assicurata nel paradiso terrestre, considerando non soltanto la grande superiorità di forze che possedevamo, ma anche il fatto della nostra immortalità, cose che con la riproduzione della specie umana avrebbero assicurato in brevissimo tempo, grazie anche alla costruzione di perfezionatissimi strumenti tecnici e mezzi di trasporto, il pieno dominio dello spazio fino ai suoi estremi confini, onde sfruttare le sue energie per il nostro benessere fisico e come base per un continuo progresso spirituale. Teniamo comunque presente che la venuta di Cristo consente all’umanità di risalire dalla situazione di miseria, conseguente al peccato originale e, mediante la vita di grazia, di salire alla condizione di figli di Dio, in tal modo da potere gradualmente non solo recuperare quello che abbiamo perduto, ma vivere una vita soprannaturale come partecipazione alla vita divina, che gradualmente nel corso della storia ci permette una riconquista dell’universo, ma ancor più, come predetto dai profeti, ci concede la speranza nella gloria della futura resurrezione, di fruire di nuovi cieli e nuova terra, dove abita la giustizia. In questo senso San Paolo dice, in Rm 8, 18-23: “18Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. 19La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 21di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”.
Mi sembrano interessanti, a riguardo, le riflessioni di p. Alberto Strumia a conclusione di un suo scritto dal titolo: “La nostra è l’epoca del peccato contro Dio Creatore” sulle conseguenze del peccato originale anche sulla materia creata. “È possibile che la materia come tale e non solamente quella presente nel corpo umano, possa essere veicolo di propagazione del peccato originale che viene contratto dall’anima umana creata direttamente da Dio? Se assumiamo questa prospettiva, la materia risulterebbe indebolita (conseguenza cosmologica del peccato originale) nei confronti della capacità di ricezione di ogni tipo di forma (razionale o irrazionale). La forma irrazionale verrebbe a ricevere solo gli effetti di una ricaduta cosmologia incolpevole, mentre solo l’anima razionale ne riceverebbe anche i caratteri della colpa, proprio in forza della sua razionalità”. Grazie per la sua attenzione.
Caro Don Vincenzo, conosco molto bene Don Alberto Strumia, un tempo mio caro confratello nell’Ordine. È dottissimo nel campo della fisica, ha anche una notevole preparazione filosofica e teologica; è un sacerdote zelante e di gran fede, per cui le sue considerazioni meritano la massima attenzione. Per questo devo dire che sono pienamente d’accordo con le sue osservazioni, ed anzi le riprendo per precisarle. Don Alberto osserva che, a seguito del peccato originale, le forze della materia si sono indebolite al punto che l’uomo fatica a trovare nella materia una rispondenza ai suoi bisogni. Io però aggiungerei che per un altro verso le forze della materia e del cosmo sono diventate di una tale violenza che non riusciamo più a dominarle e che, come è noto, ci conducono alla morte e ad immani cataclismi. Questo fatto fu già a suo tempo rilevato dalle antiche civiltà, in Grecia con Platone e in India con la letteratura vedantica. Cioè, già questi antichi saggi si accorsero che il mondo materiale, si tratti del nostro corpo o si tratti della natura circostante e quindi anche dell’universo cosmico, invece di servire al nostro spirito e di obbedire ai suoi comandi, mostra nei nostri confronti una accanita ed insidiosa ostilità o seduzione. Davanti a questa situazione, il mondo pagano non riuscì a trovare altro che due soluzioni: o l’edonismo di Epicuro, il quale assolutizza i piaceri materiali, o il dualismo platonico, il quale crede che la libertà dello spirito si ottenga solo liberandosi dal corpo. In questa situazione drammatica ed angosciosa, tutto sommato contro natura, perché Dio ci ha creati anima e corpo e uomo e donna, è intervenuta la Salvezza che ci ha portato Cristo. Che cosa ha fatto Cristo? Ci ha insegnato a riconciliare lo spirito con la carne, l’uomo con la donna e l’uomo con la natura, mediante una disciplina severa e dolce, la quale, sostenuta dalla grazia, ripara ai dualismi causati dal peccato e, riconciliando l’uomo con Dio, pone la pace e la riconciliazione dovunque prima si trovava conflitto e contrasto.
Carissimo p. Giovanni, desidero porle un problema che io ritengo decisivo per comprendere e dare senso alla nostra esistenza di esseri umani che vivono su questo nostro pianeta che chiamiamo Terra e non solo noi ma anche gli altri esseri viventi e l’intero Universo. La mia riflessione parte da una prospettiva cosmologica e prende in considerazione l’Universo, così come lo conosciamo, sappiamo che esso non è eterno. La freccia del tempo, che indica il verso in cui possono avvenire i fenomeni, evidenzia come il sistema Universo, che è un sistema isolato, chiuso, evolve spontaneamente verso una maggiore entropia, un maggiore disordine, quindi la direzione dell’universo è portata al disordine, la vita stessa porta verso il disordine perché nel cosmo l’energia tende a distribuirsi dai corpi più caldi a quelli meno caldi e l’entropia aumenta. Quando tutto l’Universo si troverà alla stessa temperatura (gli scienziati ipotizzano a pochi gradi al di sopra dello zero assoluto), l’entropia sarà massima e nessuna trasformazione sarà più possibile, il sistema universo si troverà in equilibrio mortale e ci sarà la cosiddetta morte fredda dell’Universo. L’Universo si è evoluto possedendo in sé tutte quelle condizioni e quelle proprietà che hanno permesso la nascita di una forma di vita cosciente ed intelligente: l’uomo. Se accettiamo che l’Universo viene riconosciuto "sintonizzato" sui parametri necessari alla vita, e finalizzato alla comparsa dell'uomo sorgono a questo punto spontaneamente alcune domande: perché se l’Universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi? Il segno che il nostro sistema vita, contiene già in sé questo orientamento, è il cosiddetto limite ontologico rappresentato dalla morte, in tutte le sue espressioni, che sperimentiamo in tutta la sua portata e drammaticità esistenziale. L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuto un paradosso che porta con se una contraddizione da sanare. Ci chiediamo, a questo punto, se esista una via di uscita da questa condizione irreversibile. La via d’uscita non si trova nel sistema che pone il problema, secondo la regola attribuita ad A. Einstein: "Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo". La via d’uscita c’è se ci spostiamo dal piano cosmologico al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto.
Caro Don Vincenzo, indubbiamente per la semplice ragione umana questa evoluzione dell’universo, che prima sale verso la vita e poi discende verso la morte, resta un fatto inspiegabile e paradossale. E giustamente, come ha detto lei, una risposta luminosa alla domanda che la ragione si pone sul perché di questa tragedia, ci viene dalla rivelazione cristiana, la quale ci parla di una originaria creazione divina dell’uomo e dell’universo, destinata a una vita immortale. E però sappiamo anche come il peccato ha posto in questa meravigliosa realtà un principio di corruzione e di morte. Ma ecco che la stessa rivelazione ci dà una speranza e la possibilità di una resurrezione, grazie alla forza divina, che ci viene dall’Opera Redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo. A me piace pensare che Gesù, quando ha detto: “Vado a prepararvi un posto”, abbia inteso guidare i cieli e la terra, che conosciamo, verso i cieli e la terra nuova, che si manifesteranno al momento della Parusia.
Apreciado P. Giovanni, ante todo mi cordial agradecimiento por toda su labor teológica en defensa de la Verdad. Le quería preguntar si tiene noticia de que el filosofo Severino en algún momento pidera a Rahner que le ayudara ante sus dificultades con la autoridad eclesial, aunque Rahner no lo hizo. En algún lugar me suena haberlo leído, pero no lo sé. Disculpe que no le escriba en italiano, pues aunque lo leo y hablo sin problema no quería cometer errores. Muchas gracias por su atención
Caro D. Eduardo, sapevo anch’io di quell’episodio, che lei cita, e posso confermarle che le cose sono andate come dice lei. Infatti il sistema di Severino assomiglia molto a quello di Rahner, perché il pensiero di entrambi è una forma di panteismo. La differenza è data dal fatto che, mentre il panteismo severiniano è di carattere eternalista, perché si basa sul principio parmenideo dell’essere, come essere necessario, e quindi uno ed eterno, Rahner si ispira all’idealismo hegeliano, che è di carattere storicista.
Carissimo padre Giovanni, ho ascoltato, di recente, un intervento del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo: il dolore innocente: sfida per la fede tenuto alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli. Nel suo intervento il cardinal Ravasi, esordisce affermando che il male e la sofferenza sono strutturali alla creatura umana e che di conseguenza non può essere perfetta altrimenti sconfinerebbe nell’eterno, nell’infinito, nel divino. In questo limite creaturale, Dio è impotente, non può, se deve mantenere il Suo statuto, sapere cos’è il dolore, cos’è la sofferenza, questo lo sa solo la creatura umana. Dio comprende il dolore e la sofferenza quando decide di scendere, di entrare e di assumere su di sé questa condizione, che non è la sua, attraverso l’incarnazione del Figlio. Gesù patisce tutti i mali possibili: la paura della morte, la solitudine, il tradimento degli amici e del popolo, il silenzio del Padre, la tortura, a crocifissione ed infine fa una brutta morte: lanciò un forte urlo e spirò. Il dolore, la sofferenza e la morte è stato attraversato da Dio in Cristo Gesù. Il dolore ora non è più come prima perché al suo interno c’è la presenza di Dio, c’è la sua luce, c’è il germe divino: dopo la passione, la morte c’è la Pasqua, la risurrezione. Dio non ci guarisce dal dolore, ci sostiene nel dolore, ci è accanto nel dolore, ci salva attraverso il dolore. Mi dica cosa ne pensa. Grazie
… ho ascoltato, di recente, un intervento del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo: … questo lo sa solo la creatura umana. Caro Vincenzo, ecco il mio commento: Il male e la sofferenza non sono affatto strutturali alla creatura umana, in se stessa buona e creata da Dio con una sua propria perfezione derivante dalla congiunzione dell’anima col corpo. Se la creatura umana fosse strutturalmente malvagia, bisognerebbe ammettere, come i manichei, che è stata creata da un Dio malvagio. Il che è un’orribile bestemmia. La fede ci dice invece che il male e la sofferenza sono sopraggiunti col peccato originale e vengono tolti dalla grazia della redenzione operante di concerto con le nostre opere di penitenza e di conversione a Cristo.
Ravasi - Dio comprende il dolore e la sofferenza quando decide di scendere … ci salva attraverso il dolore. Commento – Dio sa da sempre intellettualmente assai meglio di noi che cosa è il dolore e la sofferenza, senza bisogno che Egli stesso soffra, dato che, essendo purissimo Spirito, è impassibile. Cristo non ha patito affatto tutti i mali possibili, ma quelli ben determinati, dei quali parla il Vangelo, benché egli come Dio conosca intellettualmente tutti i mali di questo mondo. Non è affatto conveniente dire che Gesù abbia fatto una brutta morte. Meglio dire che fece una morte terribile, ma esemplare. Egli lanciò sì un forte grido ma accompagnato da parole di grande confidenza nel Padre: «nelle tue mani affido il mio spirito». Vere invece sono queste parole: «Il dolore, la sofferenza e la morte, è stato attraversato da Dio in Cristo Gesù. Il dolore ora non è più come prima perché al suo interno c’è la presenza di Dio, c’è la sua luce, c’è il germe divino: dopo la passione, la morte c’è la Pasqua, la risurrezione». Tuttavia non bastano ad esprimere quale significato Cristo abbia dato alla sofferenza e alla morte. Le parole che seguono, invece di far luce, oscurano ancor di più il quadro: «Dio non ci guarisce dal dolore». Come sarebbe a dire? Che cosa è venuto a fare Gesù Cristo? Certo, il dolore resta quaggiù. Ma esso è utilizzato qui proprio perché non ci sia di là. Vere invece sono le seguenti: «Dio ci sostiene nel dolore, ci è accanto nel dolore, ci salva attraverso il dolore». I dolori di Cristo ci salvano, ossia tolgono il dolore, il peccato e la morte. Il Cardinale alla fine conclude bene; ma attraverso quali e quanti capitomboli, che stupiscono molto in un cardinale di Santa Romana Chiesa, il quale, come diceva Santa Caterina da Siena, deve essere un cardine ben saldo, non un cardine scardinato.
Carissimo p.Giovanni, grazie per la sua puntuale e chiara risposta all’intervento del card. Ravasi che le ho sottoposto. Purtroppo anche tra i miei confratelli nel ministero sacerdotale è quasi ignorato del tutto il discorso intorno al peccato originale e alle conseguenze della caduta sulla natura umana e sul creato. Certo, il male, la sofferenza la morte stessa non sono strutturali alla natura umana. Lo stesso racconto biblico, prima della caduta, prima che Adamo ed Eva mangiassero del frutto della conoscenza del bene e del male, ci presenta un mondo armonioso, ben ordinato nel quale regnava una profonda comunione tra Dio, l’umanità e tutta la realtà creata. “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.”. Con la caduta, si rompe la relazione e la comunione tra il Creatore e l’umanità, nel Creato avviene una spaccatura, subentra l’imperfezione, l’errore, il disordine, la sofferenza, il dolore, la morte. La stessa nascita di una nuova creatura umana è vissuta dalla donna come un travaglio e la morte, vissuta drammaticamente e dolorosamente. Ma questo è la conseguenza del peccato originale. Possiamo affermare quindi che l’incarnazione di Cristo, la sua passione, morte e risurrezione sono funzionali alla redenzione e alla salvezza dell’umanità e di tutto il creato, e obbediscono e portano a pieno compimento il progetto di Dio, riportando così l’uomo al suo stato originario: la piena comunione con Dio, recuperando così la pienezza di figli, in un universo totalmente rinnovato e spiritualizzato, in definitiva divinizzato, sotto cieli e terra nuova.
Caro Don Vincenzo, la tua esposizione è fatta ottimamente. Soltanto un punto vorrei notare: è vero che con la grazia di Cristo ricuperiamo le condizioni originarie, ma la misericordia di Dio è sovrabbondata laddove aveva abbondato il peccato, e cioè non si è accontentata di questo recupero, ma in Cristo ci ha donato la figliolanza divina, la quale non è un recupero, ma è l’acquisto di un nuovo stato di vita, ossia la vita in Cristo, che Adamo ed Eva non possedevano. Infatti la loro grazia era semplicemente la grazia di Dio, anche se dobbiamo pensare che adesso come adesso indubbiamente in paradiso godono di quella gloria eterna, che è la pienezza finale di quella grazia di Cristo, che certamente a suo tempo il Padre ha loro concesso.
Carissimo p. Giovanni le riporto la parte conclusiva di un articolo scritto dal prof. Giuseppe Tanzella Nitti dal titolo: Implicazioni filosofiche del paradigma evolutivo e teologia cristiana pubblicato sulla rivista «Humanitas». Il prof. Giuseppe Tanzella Nitti è laureato in Astronomia presso l'Università di Bologna (1977), sacerdote dal 1987 e dottore in teologia (1991), è professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma. “La riflessione teologica, è bene ricordarlo, aiuta anche a comprendere la dimensione antropologico-relazionale del mistero del male, quando “illuminato” dalla realtà del peccato, ovvero dal male morale, distanziandosi da quelle visioni che vedrebbero il male nella natura o nella materialità delle cose, come se quest’ultima fosse depositaria di un legame primigenio con esso. Separandosi dalla prospettiva manichea, la teologia cristiana chiarisce che il peccato dell’uomo cambia “lo sguardo” dell’uomo sulla natura, sui suoi simili e sulle cose. Le prime e più pertinenti conseguenze del peccato vanno cercate nell’uomo, non nella natura. Il male fisico non può essere ricondotto tout-court al peccato morale dell’uomo, ma deve ammettere altre spiegazioni. Nel male fisico c’è anche l’espressione del limite e della finitezza propri della creaturalità, non come privazione, ma come desiderio di una trascendente compiutezza. L’incarnazione ed il mistero pasquale di Gesù Cristo sono anche il dono gratuito con cui Dio creatore consente alla creatura di superare il suo limite, un limite che non poteva non avere in quanto creata”. L’autore, se non ho capito male distingue il male morale dell’uomo causato dal peccato originale dal male fisico strutturale presente nell’uomo e nella natura in quanto creature finite e incompiute. Il limite, la finitezza sarebbero quindi congenite, originali e sono causa del male fisico e non dipendono dal male morale causato dall’uomo in quanto peccatore. Grazie.
Caro Don Vincenzo, la natura del male fu a suo tempo esaminata da Aristotele, il quale definì il male una privazione (steresis). La filosofia scolastica l’ha definita privatio boni debiti, ossia la carenza o la mancanza di un bene, che ci dovrebbe essere, ma non c’è. La filosofia morale ha in seguito distinto male di pena e male di colpa. Il primo tipo di male è il dolore o la sofferenza. Il secondo è la malvagità della volontà. Per quanto riguarda la questione dei limiti della natura umana, occorre distinguere l’anima dal corpo. L’anima è certamente una forma limitata, tuttavia è immortale. Per quanto riguarda il corpo bisogna fare due considerazioni: il corpo in se stesso e il corpo in rapporto all’anima. Seguo qui il pensiero di San Tommaso. Il corpo come tale, essendo composto di elementi che tendono alla conflittualità reciproca, è naturalmente mortale. Quindi qui abbiamo un limite naturale che è contemporaneamente difettivo. Infatti il corpo era immortale nell’eden solo grazie a un dono preternaturale. Col peccato originale abbiamo perduto questo dono e quindi siamo diventati mortali. Ma c’è da fare la seconda considerazione: il corpo in relazione all’anima. Da questo punto di vista c’è l’esigenza dell’uomo di vivere per sempre. Essa è motivata dal fatto che egli possiede un’anima immortale e d’altra parte la natura umana non sarebbe completa senza il corpo. Qui siamo davanti a dei limiti naturali, che nulla hanno a che vedere col problema del male. E’ vero che c’è in noi una aspirazione a superare questi limiti, ma essa non è motivata dal fatto che questi limiti siano un male, ma essa proviene da Dio, il Quale intende innalzare la nostra natura ad una vita soprannaturale.
Carissimo p. Giovanni desidero farle una domanda, forse un po’ ingenua, per avere un chiarimento sulle parole pronunciate da Gesù sul “Giudizio universale” riportato dal vangelo di Matteo. ( Mt 25, 45-46) “Allora il re risponderà: - In verità, vi dico: tutto quel che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l'avete fatto a me. E questi andranno nella punizione eterna mentre i giusti andranno nella vita eterna”. Quando Gesù parla così si rivolge a tutta l’umanità: “Tutti i popoli della terra saranno riuniti di fronte a lui ed egli li separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dalle capre: metterà i giusti da una parte e i malvagi dall'altra”. Da queste parole si può dedurre che se un uomo o una donna, indipendentemente dal proprio credo ed anche se atea, in vita però si è dimostrata accogliente verso gli altri specie verso i più deboli gli esclusi e gli emarginati, si è presa cura dei poveri, li ha vestiti e li ha sfamati, essi saranno considerati giusti da Dio e degni di ricevere in premio la vita eterna? Basta questo per meritare il Paradiso? Oppure è necessario e decisivo per la salvezza riconoscere, in questi “piccoli fratelli”, il volto e la presenza di Cristo, quindi un atto di fede? Altrimenti mi sembra di capire che ci si può salvare anche non facendo un’esplicita professione di fede in Dio, nel Suo Figlio unigenito, Salvatore e Redentore e nella Chiesa. Grazie.
Caro Don Vincenzo, Gesù Cristo, elencando le opere buone compiute dalle persone alle quali egli si riferisce, sottintende che esse hanno agito in grazia di Cristo, il che suppone il possesso delle tre virtù teologali. Infatti queste sono le condizioni per potersi salvare. Tuttavia il possesso della fede può essere semplicemente implicito. Invece, chi è veramente ateo, cioè odia Dio, non può esercitare un autentico amore del prossimo.
DESCRIZIONE DELLA “SIGNORA VENUTA DAL CIELO” FATTA DAI PICCOLI VEGGENTI DI FATIMA. Navigando su Internet per riprendere i contenuti delle apparizioni ai tre pastorelli di Fatima anche in riferimento alla recente consacrazione della Russia e dell’Ucraina al cuore Immacolato di Maria mi sono imbattuto in una serie di articoli che risalgono al 2017 che riporto integralmente. Mi dica se ne è a conoscenza e che cosa ne pensa dato che nella prima apparizione della “Signora venuta dal cielo” la “Signora” viene descritta diversamente: “Il suo vestito fatto di luce e bianco come la neve, aveva per cintura un cordone d’oro; un velo merlettato d’oro le copriva il capo e le spalle, scendendo fino ai piedi come un vestito; dalle sue dita portate sul petto in un atteggiamento di preghiera, penzolava il Rosario luccicante con una croce d’argento, sui piedi erano poggiate due rose”. Il 14 giugno 1917 don Manuel parla con i bambini che dicono da tempo di vedere la “signora che viene dal cielo”: la notizia si era già sparsa e sempre più persone arrivavano nel paesino portoghese per venerare la Madonna. Il parroco decide di parlare con loro e si fa descrivere le apparizioni e soprattutto il modo in cui era vestita questa signora. La prima testimonianza è quella di Lucia, la più grande, che parla di un “mantello bianco che dalla testa arrivava fino al fondo della gonna, era dorato dalla vita in giù, da catenine che l’attraversavano” ma soprattutto di una “gonna tutta bianca e dorata” che arrivava solo al ginocchio. In più, indossava “una giacca bianca non dorata, e tra le mani solo due o tre collane. Non aveva scarpe, aveva calze bianche. Al collo aveva una catena d’oro con una medaglia sul petto. Aveva le mani giunte, portava alle orecchie dei bottoni molto piccoli. Aveva gli occhi neri, era di altezza media”. Lo stupore del parroco aumenta quando anche la cuginetta Giacinta la descrive con lo stesso abbigliamento: calze bianche, senza scarpe e “un abito tutto dorato”, con “la gonna era bianca e tutta dorata e le arrivava al ginocchio”, una “giacca bianca, anch’essa dorata, e un mantello bianco”. Uguali le parole di Francisco, che conclude: "Era molto bellina". Sia don Manuel che altri religiosi corsi nella cittadina portoghese furono perplessi: una donna con la gonna sopra il ginocchio nel 1917 non si era mai vista. Tutti questi particolari si leggono sui documenti delle apparizioni, conservati presso il Santuario di Fatima. In particolare, il dottor Manuel Nunes Formigão, membro della Commissione Canonica per lo studio degli avvenimenti di Fatima, dichiarò: "Nostra Signora non può apparire vestita in un modo che non sia il più decente e modesto possibile. Il vestito dovrebbe scenderle fino ai piedi. Il contrario costituisce la difficoltà più grave da opporre alla soprannaturalità dell'apparizione, e fa sorgere nell'animo il timore che si tratti di una mistificazione, ordita dallo spirito delle tenebre". Suor Angela Coelho, postulatrice della causa di santificazione di Giacinta e Francisco, disse: "Don Manuel spiegò ai bambini che la Madonna non poteva essere vestita in un modo da suscitare scandalo e così si decise di rappresentare la Vergine secondo l'iconografia ufficiale".
Caro Don Vincenzo, questo racconto mi ha lasciato piuttosto perplesso. Vedo che sono citati dei testimoni, come il parroco e la postulatrice, quindi è una cosa da prendere in considerazione. Ma potrebbe trattarsi di una descrizione falsa. Tuttavia l’immagine ufficiale, legata al riconoscimento dell’autenticità delle apparizioni fatto dalla Chiesa, non può non rappresentare un dato autorevole, appunto per questo legame con quel riconoscimento. Quindi io ritengo allora che è meglio accantonare questi dati e mantenere l’immagine che è legata all’approvazione della Chiesa.
Carissimo p. Giovanni in uno dei miei precedenti commenti, le accennavo di un mio lavoro personale frutto di un impegno che mi sono preso nell’ambito della formazione permanente che ciascun sacerdote dovrebbe sentire come una necessità costante di formarsi nell’ambito spirituale, filosofico, teologico, pastorale ed umano. Da anni, fin dall’inizio del mio percorso filosofico e teologico in preparazione all’ordinazione e all’esercizio del mio ministerosacerdotale, mi ha sempre affascinato l’approccio filosofico alla conoscenza della verità accompagnato dalla questione del senso, che rimanda al mistero della vita, e che misi a tema nella mia tesi di licenza in Teologia Pastorale. Nel tempo ho maturato la convinzione che la porta d’ingresso alla conoscenza consiste in un atto di obbedienza alla verità che permette all’uomo attraverso l’intelligenza e la volontà di giungere ad una conoscenza consapevole della realtà nella quale vive ed opera, perché l’oggetto della conoscenza è la realtà e le idee sono i mezzi e gli strumenti per conoscerla e formulare teorie. La via per giungere ad una conoscenza vera è l’apertura dell’intelletto al reale nella famosa formulazione di San Tommaso d’Aquino adaequatio intellectus et rei. È l’obbedienza alle verità delle cose che dà la certezza del sapere, che apre alla verità sull’io, sugli altri soggetti come me, sul mondo e su Dio. La verità del realismo è il conformarsi del soggetto alla realtà per cui l’oggetto di un’autentica metafisica realista non è l’io, il soggetto pensante, il pensiero, l’essere, ma è l’ente primum cognitum che sta davanti al soggetto conoscente per essere conosciuto e che mi permette di riconoscermi come un io che pensa e che conosce. Qualsiasi tipo di conoscenza e l’analisi empírica conseguente richiede come presupposto che gli enti materiali esistano, ed esistano secondo la loro natura specifica. Le nozioni di “essere” e di “essenza/natura”, proprie della filosofia della natura, sono presupposti indeducibili dall’interno del metodo delle scienze naturali, che rendono tuttavia la scienza possibile. Quindi la conoscenza ha come punto di partenza la realtà che ci circonda, di un mondo che non poniamo noi ma che riconosciamo come dato, presente alla nostra intelligenza pronto per essere indagato e conosciuto. Conoscendo scopriamo che il nostro io è dotato di una mente e comprendiamo così che siamo soggetti pensanti e conoscenti. Pertanto al mio lavoro, a cui ho dato il titolo: Piccolo trattato sulla conoscenza della verità: la verità delle cose, la verità di Dio, la verità della fede, quest’anno ho aggiunto un’altra parte dal titolo: la verità della Redenzione per terminare con una parte dedicata all’escatologia. Il mio non è un trattato scientifico, non ne avrei le competenze, il mio scopo è semplicemente divulgativo per offrire alle nuove generazioni, e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, come scrivo nella mia introduzione: “Un orientamento certo e sicuro per iniziare un vero ed autentico cammino che impegni la nostra intelligenza e la nostra volontà a penetrare e conoscere la Verità e realizzare così pienamente il nostro essere umano che trova nella verità di Dio il suo pieno e definitivo compimento”. Grazie p. Giovanni per il suo prezioso lavoro perché, sono convinto, come scriveva A. Rosmini, “Solo grandi uomini, formano grandi uomini”.
Caro Don Vincenzo, mi complimento vivamente per questa sostanziosa sintesi di gnoseologia orientata alla pastorale. Sono certo che il suo lavoro, estremamente utile, farà un gran bene, soprattutto ai giovani, perché è in questa età che la mente, ancora non formata, ha una tendenza ad oscillare tra il vero e il falso, per cui trova difficile assumere una direzione certa e sicura, che possa servire da base di lancio per la vita, per la condotta morale, per l’acquisto delle virtù e per la conquista del regno di Dio. La sua è un’ottima esposizione, con un linguaggio chiaro e preciso e stringenti nessi logici, che avvincono la mente con dolcezza alla verità, mentre la volontà, avvertendola come il suo bene, è stimolata a metterla in pratica e a cercarla sempre di più fino al conseguimento finale della visione beatifica. Se crede e se lo gradisce la autorizzo a pubblicare nel suo libro queste mie parole, a modo di presentazione, con la mia firma e la data di oggi.
Caro Padre Giovanni, ho appena finito di leggere sull’ultimo numero de “La Civiltà cattolica”, il seguente articolo a firma di Thomas G. Casey: https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-forza-della-famiglia/ In almeno due punti il discorso del gesuita mi risulta davvero inaccettabile. Il primo è questo: “Il libro della Genesi ci dice che l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne. Dal libro della Genesi sappiamo anche che quella sorprendente unità non durò a lungo: quando Adamo ed Eva si ribellarono a Dio, anche l’armonia tra loro ne fu incrinata. Per molte persone, l’idea che due divengano uno per tutta la vita è del tutto irrealistica, una vera e propria chimera. Anche quando Gesù ha parlato di matrimonio che dura per sempre, i suoi discepoli l’hanno considerato una realtà praticamente impossibile da accettare; e ritenevano più opportuno non sposarsi affatto (cfr Mt 19,10)”. Casey insinua il dubbio, tentando di suffragarlo con la Scrittura, che non possiamo come cristiani pretendere che un matrimonio duri davvero per sempre: in fondo, già la prima coppia umana era entrata subito in crisi, e le stesse parole di Cristo furono sin da subito recepite come irrealizzabili, per cui possiamo, tutt’al più, ritenerle un ideale a cui tendere, a cui provare ad avvicinarcisi, ma accettando che, realisticamente, in un gran numero di casi ciò non sarà possibile. La reazione di grande stupore dei discepoli, alle parole di Cristo sull’indissolubilità del matrimonio, che li porta a dire: “Se tale è la condizione dell’uomo verso la donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10), ci testimonia che essi capirono in senso assoluto l’insegnamento di Gesù, e non nel senso, ad esempio, della scuola di Shammai dell’epoca che permetteva il divorzio in caso di adulterio. Altrimenti non si sarebbero stupiti. Casey invece utilizza quella frase del Vangelo di Matteo per insinuare nella mente del lettore, pur senza ammetterlo chiaramente (come da tradizionale furbizia gesuitica), che un conto è ciò che propone il Signore, un altro quello che realisticamente possiamo riuscir a fare. Ma è in quest’altra frase che il nostro autore raggiunge forse l’apice della mistificazione della Scrittura in chiave misericordista: “Vediamo nuove configurazioni relazionali di coppie dello stesso sesso che accolgono bambini con l’aiuto di madri surrogate o padri donatori di sperma. Nonostante forzino alcuni confini morali importanti, queste «famiglie» alternative sono tanto modellate sulla famiglia tradizionale che, paradossalmente, attestano la nostra nostalgia per il modello familiare tradizionale”. In appena quattro righe, Casey è riuscito a dire: 1) Nonostante nel libro della Genesi sia scritto “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro “siate fecondi e moltiplicatevi […] Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 1, 27 – 28; 3, 24), due uomini o due donne che abbiano rapporti carnali tra di loro ed “accolgano” dei bambini con loro, non commettono un chiaro peccato contro-natura in contrasto con il progetto di Dio ma, assai più venialmente, si limitano a “forzare” (nemmeno a violare) alcuni confini morali. 2) In fondo anche questi matrimoni o convivenze arcobaleno prendono come modello la famiglia tradizionale, anche queste coppie gay/lesbo esprimono nostalgicamente il loro desiderio per la tradizione, come tutti noi, e dunque dovremmo ravvisarvi un valore positivo. 3) Casey si guarda bene dall’usare quelle “odiose” espressioni come “utero in affitto” … non bisogna nemmeno sospettare che dietro tutto questo ci possano essere anche loschi interessi, si tratta solo di “madri surrogate” e padri che generosamente “donano” il loro sperma. Mi fermo qui, francamente non saprei trovare parole adeguate per una correzione fraterna. Potrebbe, cortesemente, farlo lei Padre Giovanni?
Caro Bruno, effettivamente il peccato originale ha portato come conseguenza il contrasto tra l’uomo e la donna, contrasto però che non ha distrutto completamente la naturale propensione dell’uno verso l’altra nella prospettiva di una unione stabile. È vero tuttavia che la natura ferita dal peccato originale non può guarire senza la grazia, per cui l’unione coniugale tra uomo e donna diventa stabile solo in forza del soccorso della grazia. Per questo Cristo ci comanda di non dividere l’uomo dalla donna, perché Dio vuole che siano uniti, e siccome i comandamenti di Dio sono fatti per la felicità umana, dobbiamo essere certi che Dio, affinchè possiamo essere felici, non ci comanda l’impossibile a patto che confidiamo nel potere della sua grazia. Per quanto riguarda il contrasto tra Adamo ed Eva conseguente al peccato originale, Casey confonde questo contrasto con una da lui supposta dissoluzione del loro matrimonio, cosa che non risulta assolutamente ed anzi dobbiamo pensare che siano rimasti assieme per tutta la vita, perché esistevano solo loro due. Questo fatto si può applicare a tutti i matrimoni nel corso della storia. Vale a dire che in ogni caso il fatto che uomo e donna abbiano difficoltà di rapporto non impedisce affatto l’indissolubilità del matrimonio. Per quanto riguarda la reazione di Pietro alle parole di Gesù che condannano il divorzio, possiamo effettivamente pensare che Pietro non avesse ancora quella maturità spirituale da comprendere le parole del Signore. Per questo Gesù risponde a Pietro facendo presente che non tutti possono capire questo comando. È sottinteso peraltro che solo col soccorso della grazia la coppia può stare unita per tutta la vita. Vorrei ricordare, per inciso, che le parole di Pietro, secondo una certa interpretazione tradizionale, sono state intese in riferimento alla vocazione religiosa, nel senso che Pietro aveva inteso dire che è meglio non sposarsi in quanto la vita religiosa è una cosa preferibile. In questo contesto le parole del Signore “Non a tutti è dato comprendere” era intesa nel senso che la vocazione religiosa è riservata solo ad alcuni. Ma dobbiamo riconoscere – e qui P. Casey ha ragione – che questa è solamente una interpretazione accomodatizia.
Per quanto riguarda la questione delle unioni omosessuali, credo si possa dire, come sostiene Casey, che in queste coppie si può apprezzare il desiderio di imitare la famiglia naturale dedicandosi a educare dei figli adottivi. Tuttavia resta in queste coppie il grave difetto oggettivo della mancanza di una armonia naturale fra i due partners. Questa situazione oggettiva deficitaria non comporta necessariamente che i due vivano in stato di peccato, per il fatto che è sempre loro concesso praticare il sacramento della penitenza e quindi possono vivere in grazia. È chiaro che non si possono chiamare genitori, perché non hanno generato i figli, ma bisognerà utilizzare qualche altro appellativo, come per esempio formatore o educatore. Quanto ai bambini, si potrà concedere di parlare di papà o di mamma. Questa situazione oggettivamente anormale non impedisce alla coppia di fornire ai bambini una educazione decente, purché essa metta in chiaro che l’unione dei due non è di tipo matrimoniale, spiegando ad essi che la materia del sacramento del matrimonio è l’unione di un uomo con una donna. Quindi, anziché di sposi si parlerà di conviventi.
Un’ultima osservazione. Dobbiamo certamente notare che, se la coppia intende procurarsi un figlio mediante la fecondazione artificiale, questo è un atto moralmente illecito.
Per quanto riguarda il problema di correggere l’Autore, mi sembra sufficiente quello che ho detto.
Lei scrive: «Questa situazione oggettiva deficitaria non comporta necessariamente che i due vivano in stato di peccato, per il fatto che è sempre loro concesso praticare il sacramento della penitenza e quindi possono vivere in grazia». Dunque, lei immagina una coppia omosessuale che conviva come se fossero due fratelli/amici o due sorelle/amiche e, qualora dovessero cadere nel peccato carnale, potranno sempre ricorrere al sacramento della penitenza? Ma una coppia del genere è piuttosto “teorica”.
Nella realtà, direi nella quasi totalità dei casi, la coppia omosessuale decide di convivere con lo scopo di avere, oltre ad un legame sentimentale, dei rapporti sessuali carnali. In altre parole, il peccato di sodomia non costituisce un evento eccezionale, né un accidente per la coppia omosessuale convivente, ma un aspetto sostanziale del loro progetto di vivere insieme. Del resto, se la loro intenzione di astenersi da rapporti sessuali fosse sincera, eviterebbero proprio di andare a convivere, cioè di esporre la loro umana fragilità, che possiede quella particolare inclinazione, ad una situazione che faciliterebbe oltremodo la caduta (esattamente il contrario del “prometto… di fuggire le occasioni prossime di peccato”). Lei ha inoltre scritto: «si può apprezzare il desiderio di imitare la famiglia naturale dedicandosi a educare dei figli adottivi […] Questa situazione oggettivamente anormale non impedisce alla coppia di fornire ai bambini una educazione decente, purché essa metta in chiaro che l’unione dei due non è di tipo matrimoniale». Anche in questo caso, mi viene da domandarmi se lei, in questo commento, abbia voluto cimentarsi in un esercizio puramente teorico, o se davvero intenda prendere in considerazione la realtà fattuale. Il fatto stesso che due persone del medesimo sesso si pongano nei riguardi del bambino come i “due” papà o le “due” mamme, ovvero gli trasmettano come “normale”, una perfetta contraddizione alla natura e alla logica, non è già questa una forma di violenza verso quel bimbo? Il fatto stesso che i due, alla presenza del bambino, manifesteranno la loro complicità, la loro reciproca attrazione, magari anche con qualche effusione non proprio amicale… non è già questa una forma di violenza? Oppure lei immagina che in presenza del bambino, i due omosessuali si comporteranno rigorosamente e irreprensibilmente come due amici o come due sorelle? Figuriamoci… se hanno deciso di andare a convivere insieme significa, evidentemente, che hanno accolto in pieno il pensiero LGBTQ, per cui l’omosessualità, lungi dall’essere una tendenza disordinata della sessualità umana (come dice il Catechismo), ne è invece una variante naturale, e dunque perché dovrebbero nascondere questo fatto proprio al bambino, da essi desiderato, e che vogliono far partecipare al loro sodalizio? Non è realisticamente pensabile che l’adozione di bambini, da parte della coppia omosessuale, non si traduca, quasi inevitabilmente, in intenso indottrinamento LGBTQ nei riguardi del minore adottato, reso ancor più efficace e suadente, proprio dal contesto di quell’”amorevole prendersi cura” in cui lo stesso minore viene a trovarsi immerso. Sarebbe del tutto inappropriato, in questi casi, ricordare Mt 18, 6?
Caro Bruno, rispondo al suo intervento per partes. Alla prima osservazione direi così. Mi pare evidente che, se i due vogliono vivere assieme, un motivo essenziale è la fruizione del godimento sessuale, benchè illecito. Si può avanzare l’ipotesi che essi, ingannati da false idee, credano di non fare peccato e di vivere una vita normale, magari diversa da quella degli eterosessuali. Può succedere, però, che in un secondo momento prendano una maggiore consapevolezza, vivano un cammino di conversione e giungano a una scelta di castità. Non sempre però è possibile sciogliere i legami precedenti per motivi indipendenti dalla loro volontà, o cause di forza maggiore di carattere economico, sanitario, giuridico. In questo caso, non cambia la situazione o lo stato esterno, visibile a tutti, ma cambia la condotta morale e la loro condizione davanti a Dio nel senso che, se peccano, hanno delle attenuanti. Ad ogni modo, volendo essere realisti, dobbiamo riconoscere che avranno rapporti sessuali. In tal caso può benissimo entrare in funzione la misericordia divina, come per qualunque altro peccato. Ma, a quali condizioni? Esse sono ben note: il pentimento, la confessione dei peccati, il proposito di non commetterlo più, di fuggire le occasioni e di fare penitenza. Nel caso che fossero privi della grazia per essere caduti nella colpa mortale, essi a queste condizioni, anche se non trovano un confessore, possono benissimo recuperare la grazia. E anche se dovessero peccare spesso, se ogni volta osservano queste sante pratiche, ogni volta risorgere dal peccato alla grazia. Questo suppone la distinzione tra l’inclinazione a peccare, il peccato e lo stato di peccato o di colpa. L’inclinazione a peccare è condizione comune a tutti i figli di Adamo. Questa semplice inclinazione non dice ancora necessariamente che noi pecchiamo, perché il peccato è un atto del libero arbitrio. Tuttavia, data questa nostra fragilità, prima o poi cadiamo nel peccato almeno veniale. Una volta che il peccatore ha peccato, l’anima si trova in uno stato di peccato o di colpa. A questo punto può intervenire ancora il libero arbitrio, il quale può interrompere questo stato di peccato, chiedendo perdono a Dio ed eseguendo le pratiche connesse con la liberazione dal peccato. A questo punto l’anima torna in grazia. Occorre inoltre tener presente che, benchè il peccato di sodomia sia oggettivamente grave, se i due sono sopraffatti dalla passione, la colpa da mortale si abbassa a veniale, sicchè a queste condizioni la confessione non è più neppure necessaria, ma è sufficiente la pratica penitenziaria tradizionale.
La questione, riguardante l’educazione del bambino, che lei suscita è molto importante e molto delicata. Non c’è dubbio che la coppia non può fare l’apologia della sua convivenza, per cui è tenuta a spiegare al bambino che essa è nata da un amore al quale la coppia non ha potuto fare a meno, ma che non corrisponde a quella propensione naturale che Dio ha posto tra l’uomo e la donna. Inoltre la coppia dovrebbe dimostrare al bambino un certo dispiacere di trovarsi in queste condizioni e chiedere comunque al bambino di amare le due mamme o i due papà. Per attirare l’affetto del bambino, la coppia dovrebbe mostrargli tutto l’affetto e le premure delle quali è capace. Con la parola amore la coppia deve spiegare al bambino e mostrarlo con i fatti che non si riferisce al piacere fisico, che essa prova come coppia omosessuale, ma alla volontà di volere il bene dello stesso bambino. È chiaro invece che, se la coppia fa una esaltazione della sodomia e del genderismo e ne è consapevole, pecca gravemente, per cui l’educazione che dà al bambino sarà sbagliata e sarà di grave danno allo sviluppo psicologico e morale del minore.
Lei ha scritto: «Non sempre però è possibile sciogliere i legami precedenti per motivi indipendenti dalla loro volontà, o cause di forza maggiore di carattere economico, sanitario, giuridico. In questo caso, […] se peccano, hanno delle attenuanti […] se i due sono sopraffatti dalla passione, la colpa da mortale si abbassa a veniale, sicchè a queste condizioni la confessione non è più neppure necessaria, ma è sufficiente la pratica penitenziaria tradizionale». Dunque, a una coppia omosessuale “cattolica” conviene, dapprima instaurare un legame giuridico-economico, di modo da conseguire l’alibi per non potersi separare e beneficiare da subito di attenuanti in caso rapporto carnale; poi, una volta compiuto l’atto, basta riconoscere che si è stati sopraffatti dalla passione, pentirsi privatamente, e il giorno dopo ricominciare esattamente questa stessa routine, che potrà tranquillamente continuare per sempre. Non crede, Padre Giovanni, che così avremmo fornito alle coppie omosessuali la ricetta per poter “salvare capra e cavoli”, ovvero da un lato, continuare la pratica peccaminosa della sodomia, dall’altro rientrare subito dopo in comunione con la Chiesa? Non le sembra di ravvisare un abuso, da parte di noi uomini, della misericordia del Signore? Un certo protestantesimo non si è mai fatto scrupolo di criticare, con non poco disprezzo, i cattolici, come coloro che “coltivano i propri vizi, tanto poi si confessano, e riprendono a commettere esattamente gli stessi peccati, come se la misericordia del Signore fosse sempre a loro servizio, quando gli torna comodo. Il trionfo dell’ipocrisia”. Certo queste parole ci appaiono come una livorosa parodia o caricatura del significato del sacramento della Riconciliazione, epperò la routine, da lei prospettata, anche se certamente non è nelle sue intenzioni Padre Giovanni, non finisce per andare proprio in quella direzione, persino evitandogli l’incombenza di andare a confessarsi? Peraltro, quale coppia omosessuale non sottoscriverebbe che ha ceduto al richiamo della carne perché “sopraffatta dalla passione” (tanto più che, immagino, l’amplesso tra due maschi sia anche doloroso)? Inoltre, l’aspetto del cedere alla passione può valere anche per l’adulterio in una coppia eterosessuale. L’unica eccezione potrebbe essere chi l’ha fatto per denaro, cioè si è prostituito. Possibile che basti ritenersi “sopraffatti dalla passione” affinché il peccato contro il sesto comandamento venga automaticamente derubricato da mortale in veniale? Possibile che per quello che il Catechismo tuttora annovera tra i «peccati che gridano verso il cielo» (CCC 1867), basta che sia avvenuto con gran passione, perché non necessiti del sacramento della Riconciliazione per essere emendato?
Caro Bruno, questa ipotesi, che io presento, non va interpretata nel senso che i due comincino con l’organizzare uno stato di vita economico e giuridico e poi passino a vivere insieme. In realtà le cose non vanno così, ma avviene l’inverso. L’inizio della loro relazione è costituito dal rapporto sessuale e dalla volontà di vivere assieme. A questo punto possono capitare due cose: o a seguito di una resipiscenza i due si lasciano, oppure ci può essere il caso che la relazione ha una durata anche di anni. In questo caso inevitabilmente la relazione riceve una sistemazione giuridica nel campo civile ed economico di carattere stabile, la quale consente alla coppia di vivere e di svolgere una certa attività lavorativa. Teniamo presente che compito dello Stato non è quello di dare una formazione morale ai cittadini. Questo è compito della Chiesa. Certo lo Stato dev’essere custode anche di un clima civile dignitoso, ma non è qualificato a dare una guida nella condotta sessuale. È chiaro che deve difendere la famiglia; tuttavia è tenuto anche a tollerare forme di sessualità che sono estranee alla vita familiare. Il caso che io propongo è il secondo di questi due casi, vale a dire una situazione nella quale i due sono talmente condizionati dai legami giuridici e/o economici che non potrebbero lasciarsi senza danni irreparabili, come per esempio rimanere senza alloggio, senza assistenza sanitaria o cose simili. È evidente che in questa situazione, anche volendo, i due non si possono lasciare. E così passiamo al secondo punto, cioè il problema della conversione. Di ciò ha già parlato l’Amoris Letitiae. Nell’ipotesi che i due si piacciano, cosa facilmente immaginabile, giacchè per quale altro motivo si sono messi insieme, se non per fruire di questo piacere illecito? A questo punto ci sono due possibilità: o i due sono cattolici o non lo sono oppure uno è cattolico e l’altro non lo è. La grande discussione tra noi cattolici riguarda soprattutto il problema del cammino di conversione della coppia, della quale almeno uno è cattolico. Cosa devono fare? È cosa ben nota che la passione violenta, in una volontà debole, vince la volontà anche se l’atto rimane libero, ma è chiaro che non ci può essere il pieno consenso, che è richiesto per la colpa mortale. Per questo ho detto che la colpa si abbassa a veniale. Allora, in questo caso, che cosa possono fare e devono fare? Ottenere il perdono di Dio. In che modo? Confessandosi a Dio. Nel caso di colpa mortale occorre il sacramento della penitenza; invece la colpa veniale, come per tutti gli altri peccati veniali, può essere tolta mediante una pratica penitenziale personale, come per esempio il Confiteor della Santa Messa.
Occorre ribadire con la massima fermezza, come ha fatto anche Papa Francesco, la gravità della materia del peccato di sodomia. Occorre però anche tener presente che la passione (sessuale, ira, panico, gola, e simili) è un moto dell’appetito sensitivo, il quale, se non è moderato dalla retta ragione, soprattutto nei giovani, può assumere una tale forza costrittiva da accecare la ragione e quindi da far compiere atti irragionevoli, che il soggetto non compirebbe se fosse pienamente padrone di se stesso. Ora, la responsabilità dei nostri atti, buoni o cattivi, dipende dal fatto che noi li abbiamo compiuti deliberatamente, cosa che non avviene in questi casi, nei quali il soggetto è spinto dalla passione o cede alla passione.
Per comprendere cosa si intende per “passione”, si può consultare la dottrina tomista in merito. Vedi per esempio le lezioni del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP: http://www.arpato.org/corso_passioni.htm . Vedi anche il trattato sui vizi capitali e sulle passioni del CCC dal n. 1762 https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a5_it.htm .
Occorre inoltre ricordare la differenza tra la passione o appetito sensitivo e la volontà o appetito intellettivo. La prima l’abbiamo in comune con gli animali, ma può influire anche nei nostri pensieri, sia positivamente che negativamente. La seconda invece costituisce l’appetitività propria della persona umana, basata sulla conoscenza intellettuale, appetitività che può essere rafforzata da una sana passione. Occorre inoltre ricordare la maggiore gravità dal punto di vista della materia, come ha fatto il Papa di recente, dei peccati spirituali nei confronti di quelli carnali. I primi, come per esempio la superbia, l’invidia e l’accidia, sono più gravi perché impegnano maggiormente la volontà, che è l’organo del peccato. Mentre i secondi sono certamente atti turpi, tuttavia, essendo più condizionati dalla passione, anche se possono costituire colpa grave, sono moralmente in linea di massima meno gravi. Per quanto riguarda il problema dell’ipocrisia, che approfitta di un certo misericordismo di tipo luterano, non posso che essere d’accordo, perché io sono un nemico giurato dell’ipocrisia. Tuttavia facciamo attenzione. Non siamo troppo facili a giudicare: è possibile che il discorso sulla passione sia una scusa per poter peccare liberamente; tuttavia è altrettanto possibile, con l’ignoranza spaventosa che c’è in giro oggi e gli errori che si trovano anche in certi moralisti, che il soggetto, ingannato da idee false, creda che la sodomia non sia peccato, ma semplicemente un “diverso orientamento sessuale”.
Lei ha scritto: «Non c’è dubbio che la coppia non può fare l’apologia della sua convivenza, per cui è tenuta a spiegare al bambino che essa è nata da un amore al quale la coppia non ha potuto fare a meno, ma che non corrisponde a quella propensione naturale che Dio ha posto tra l’uomo e la donna. Inoltre la coppia dovrebbe dimostrare al bambino un certo dispiacere di trovarsi in queste condizioni». Mi perdoni, ma sono costretto a ripetermi: quale coppia omosessuale, di cui qualcuno abbia notizia, comunica al bambino che hanno voluto, che l’amore che li unisce “non corrisponde a quella propensione naturale” voluta da Dio e che tale condizione è fonte per loro di un certo dispiacere? Io non ho mai sentito, né letto di casi del genere. Ora lei potrebbe ribattermi che, in teoria potrebbero esistere, e dunque il solo fatto della loro possibilità teorica di esistenza dimostrerebbe che sono possibili modalità di relazione coppia gay-bambino che, se pur non raccomandabili, quantomeno non costituiscono un grave peccato nei riguardi del minore. Ma a questo punto le chiedo: ma è proprio così doveroso, così impellente, per il teologo morale prodigarsi nella ricerca del caso super eccezionale… al fine di dimostrare che, in generale, non si possa affermare l’intrinseca immoralità o anti-cattolicità della cosiddetta “famiglia omogenitoriale”, ma così facendo, di fatto favorire il progresso dell’agenda LGBTQ all’interno della Chiesa?
Caro Bruno, il P. Casey ha molta esperienza di pastorale degli omosessuali, per cui, se egli mette in luce la possibilità che la coppia dia una buona educazione al bambino, anche se noi non abbiamo mai avuto esperienze come la sua, dobbiamo dire che è una persona di fiducia. Ma quand’anche noi non conoscessimo Casey, la cosa fondamentale che dirime la questione è che Dio non chiede l’impossibile, per cui dobbiamo ricordare che queste persone, anche se sono peccatrici, come tutti noi del resto lo siamo, posseggono da Dio delle risorse che li spingono a compiere un’opera educativa, così come è nell’inclinazione di tutti noi. Per questo non dobbiamo parlare di una possibilità puramente teorica, perché ciò verrebbe ad offendere Dio, il Quale non ci comanda l’impossibile. Dunque anche queste persone hanno da proporre ai bambini certi modelli di comportamento, nonostante la loro posizione in disaccordo con la legge morale. Io penso quindi che in questo caso si debba applicare il principio evangelico che ci comanda di non spezzare una canna fessa e di non spegnere un lucignolo fumigante, vale a dire sapere apprezzare l’opera educativa di queste persone, per quanto essa possa essere lacunosa. Occorre inoltre ricordare che talvolta i bambini soffrono a causa dei genitori quando vivono separazioni e divorzi in un modo immaturo e traumatico. Tuttavia molte coppie sanno affrontare separazioni e divorzi in modo maturo e sereno, in modo da non coinvolgere negativamente lo sviluppo dei bambini. Così similmente può avvenire anche per le coppie omosessuali. È chiaro che se sono coppie non credenti e genderiste il bambino purtroppo rischia seriamente di imboccare una strada sbagliata. Se io ho questo atteggiamento, che ritengo ispirato alla misericordia evangelica, mi guardo bene da propormi il fine di considerare queste comunità come comunità familiari. Mi pareva di essermi spiegato bene su questo punto. Però il teologo e la Chiesa non possono ignorare la realtà di queste persone, che vivono queste situazioni, e che sono chiamate alla salvezza e alla santità. E queste realtà si stanno diffondendo, per cui è encomiabile l’interesse che la Chiesa ha per queste situazioni e la sua volontà di aiutare anche queste persone a fare un cammino di conversione, Nello stesso tempo non si possono approvare quegli operatori pastorali, i quali, col pretesto di aiutare queste coppie, mostrano un atteggiamento lassista o addirittura mettono in discussione la peccaminosità della sodomia facendo un’opera deleteria, che invece di condurre alla salvezza mette le anime in serio pericolo.
Lei ha scritto: «Con la parola amore la coppia deve spiegare al bambino e mostrarlo con i fatti che non si riferisce al piacere fisico, che essa prova come coppia omosessuale, ma alla volontà di volere il bene dello stesso bambino». Ma il bene del bambino è che abbia un papà e una mamma, come dal progetto divino per le persone umane comunicato sin dal libro della Genesi. Come potrebbero i due omosessuali davvero “volere il bene dello stesso bambino”, se gli negano in partenza la possibilità di confrontarsi con la differenza sessuale materna-paterna? Se due “genitori” dello stesso sesso fossero in grado di realizzare perfettamente il bene del bambino, dovremmo dedurre che la differenza sessuale tra esseri umani sia qualcosa di non essenziale, un mero accidente trascurabile… e invece: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” Se l’essenza di Dio-Trinità è comunione d’amore, allora l’uomo in quanto creatura del Dio-Comunione, è chiamato alla comunione col suo Creatore e con gli altri uomini, e Dio creando l’uomo e la donna, ha voluto partecipare la propria natura di comunione d’amore imprimendo nei loro sensi una reciproca attrazione, nel loro cuore un’apertura reciproca. Eva è messa a fianco di Adamo come il primo richiamo, il primo invito ad uscire da sé per raggiungere l’altro alla ricerca di completezza; ma l’uscire da sé di Adamo verso Eva, come di Eva verso Adamo è anche anticipazione ed educazione ad uscire da sé per ricercare il radicalmente Altro rispetto all’uomo: l’Infinito, la destinazione finale del desiderio umano, che solo Dio può saziare. Così la differenza sessuale uomo/donna è il luogo privilegiato perché l’io esca verso il tu, e così l’io diventi sempre più persona che può permettersi il dono totale di sé, ovvero ciò che contraddistingue il vero amore (e lo distingue da quello animale), in analogia alle Persone divine che si donano totalmente l’un l’altra. Nella persona umana, inscindibile unità di corpo e anima, tale dono totale implica la perfetta compatibilità anatomica-funzionale e la fecondità (che non è solo quella biologica). Differenza sessuale, dono di sé e fecondità sono i tre fattori che costituiscono il mistero nuziale, su cui si basa il sacramento del matrimonio. Così, l’amore omosessuale, non solo: • contraddice l’uscire da sé per accogliere l’altro da sé, in quanto anziché rivolgersi verso il complementare per sé (l’uomo verso la donna e viceversa), si rivolge al simile a sé, • preclude una vera compatibilità anatomico-funzionale, ma anche psicologica, • preclude una fecondità naturale, • anziché cercare di realizzare il “bene” dell’altro, lo condiziona fortemente a restare nella condizione di peccato, e dunque non può definirsi un vero “dono” di sé, ma finisce, in qualche modo, per contraddire l’analogia/somiglianza tra la S.S. Trinità e l’umano. Come possiamo, a partire da un siffatto amore, nel momento in cui vuol coinvolgere affettivamente dei minori, affermare che stanno imitando la famiglia naturale?
Caro Bruno, innanzitutto ho apprezzato vivamente l’esposizione che lei fa dell’amore coniugale, dei valori della famiglia, della reciprocità tra uomo e donna e dell’educazione che i genitori sono tenuti a impartire ai figli. In secondo luogo lei sarà d’accordo con me nel rilevare la spaventosa ignoranza circa questi valori o i gravi fraintendimenti che esistono all’interno non solo della società di oggi, ma anche nella Chiesa stessa, per il diffondersi delle idee genderiste e la debolezza con la quale i Vescovi intervengono per correggere questi costumi corrotti. Ora, se qui c’è senz’altro della malafede, dobbiamo pensare anche che esista un’ignoranza invincibile, che in qualche modo scusa davanti a Dio. Per questo la carità e la misericordia richiedono una certa tolleranza, che però non sconfini nella connivenza. Lo sforzo della pastorale di oggi, per queste persone, è quello di congiungere una sana educazione morale, che denunci chiaramente il peccato, ad un aiuto dato a queste coppie in modo tale che in esse si salvi ciò che è salvabile, come per esempio la fedeltà reciproca, la mutua assistenza, la reciproca complementarità, il lavorare assieme per la società e per la Chiesa e un’educazione data agli eventuali “figli”, la quale faccia loro presenti i difetti connessi con la convivenza omosessuale, nel mentre che dia loro in tutti gli altri campi dell’agire morale una formazione per quanto possibile dignitosa, che serva alla crescita della loro personalità e della loro appartenenza ecclesiale. Quello che io auspico modestamente è che la Gerarchia insieme col Santo Padre abbiano una voce più chiara e ragionata sul perché la sodomia è peccato. Occorre, secondo me, organizzare una migliore opera di persuasione in base alla ragione naturale, che tutti possediamo, sempre naturalmente facendo presente che senza la grazia di Dio è impossibile guarire dal peccato. Altra cosa da fare è dimostrare con buoni argomenti di ragione il perché la sodomia è peccato, dando nello stesso tempo, se si è sposati un esempio di quello che è il vero amore, e se l’educatore è un sacerdote o una persona consacrata dare un esempio di un amore disinteressato, che sa dominare le passioni e sacrificarsi per il prossimo. Inoltre è molto importante chiarire il concetto di amore, il quale consiste nel volere il vero bene dell’altro secondo la volontà di Dio. Per mettere in pratica l’amore così inteso occorre un forte e costante impegno della volontà, sostenuta dalla grazia e capace di rinunciare a qualunque affetto o pratica che ostacoli o impedisca la pratica del vero bene, cioè del vero amore. Infine, una situazione che preoccupa noi cattolici è la tendenza che si sta diffondendo in certi ambienti politici e giuridici a incriminare, sotto minaccia di sanzioni penali, coloro che considerano la sodomia come contraria al bene della persona. Davanti a questa prospettiva non dobbiamo temere; essa metterà alla prova le nostre convinzioni di uomini, di cittadini e di cattolici, e il Signore non mancherà di darci il coraggio e la saggezza necessari per dare una testimonianza persuasiva.
Carissimo p. Giovanni, mi è capitato di ascoltare una conferenza su You Tube del prof. Marco Guzzi, non so se lo conosce, sul tema: “la violenza e l’uomo. Dall’io bellico all’io relazionale”. Il prof. Guzzi sostiene che l’uomo è fondamentalmente un essere decaduto, ferito, diviso in se stesso a causa del peccato originale che ci ha fatto perdere la grazia e la vita divina. Il nostro io è un io che il prof. Guzzi definisce, bellico, segnato dall’angoscia, dalla mancanza e dal peccato, costantemente in guerra con se stesso e con gli altri, pieno di rabbia. Sostanzialmente viviamo in questo stato e non ci preoccupiamo di curarci. La cura non la troviamo da soli, in noi stessi, questo io deve scomparire, deve rientrare in contatto con lo Spirito di Dio. Dobbiamo morire giorno dopo giorno al nostro io bellico. Dobbiamo tornare ad essere servitori del divino e non più traditori. Questo io bellico poi si costruisce un Dio a sua immagine e somiglianza per giustificarsi, tutte le culture e le religioni portano dentro di sé il mistero di una visione di Dio fatto su misura dell’io bellico. Se gli altri sono un problema devo in qualche modo trovare la giustificazione per giudicarli, condannarli e farli fuori e cosa c’è di meglio di farlo in nome di Dio. Ecco lo sterminio, la giustificazione assoluta: “Dio lo vuole”, “Lo faccio in nome di Dio”. Se Dio è così, un Dio punitivo, vendicativo, che ti uccide, che ti stermina, che ti condanna inesorabilmente, posso esserlo anch’io. Questa violenza di Dio la troviamo nella struttura delle religioni di tutti i tempi. Le religioni che noi conosciamo portano in sé un elemento egoico-bellico, sacrificale molto potente. Sono costruzioni di un io che si crea un Dio, ripeto, a sua immagine e somiglianza, questa è però una “teologia satanica”; un Dio che brucia gli eretici, che stermina i cattivi, che ha bisogno del sangue degli uomini per ottenere benevolenza e perdono. Questa teologia viene smascherata dalla Croce, sulla Croce Cristo finalmente ci mostra definitivamente l’immagine del vero ed unico Dio che non uccide nessuno, che non tortura nessuno, che non castiga nessuno. Noi ci castighiamo e ci perdiamo da soli quando ci allontaniamo da Lui, anzi per evitarci questo, è pronto Lui stesso a morire per noi, a donare la Sua vita affinchè viviamo e non moriamo più. Dio è così e non come ce lo dice satana, il nemico, l’accusatore. Cristo mette in croce il nostro io bellico, Cristo ci rivela il vero autentico volto di Dio e la vera ed autentica umanità, una nuova forma di vita non più scissa dal peccato, finalmente libera di esprimersi, non c’è niente da difendere se non questa vita nuova in Cristo, quindi “la guerra è inutile”. Il prof. Guzzi rifiuta categoricamente la logica del sacrificio di espiazione del Figlio di Dio morendo sulla croce. Dio Padre non ha bisogno del sangue del Figlio per salvarci, non può Dio legittimare un male (la morte del Figlio) per un bene superiore (la nostra salvezza). Se non mi sbaglio il termine espiazione è stato utilizzato nella tradizione cristiana fin del medioevo, per esprimere il compenso che Gesù avrebbe offerto a Dio per le offese ricevute dagli uomini peccatori. S. Anselmo “è il primo che costruisce esplicitamente la soteriologia sull’assioma ‘aut satisfactio aut poena’ che Tertulliano aveva sviluppato nella teologia della penitenza. Oggi non c’è nessun motivo per utilizzare questa categoria: Dio non deve essere soddisfatto. Dio giustifica gratuitamente, per grazia. In Gesù Egli rivela e realizza questa sua decisione. Mi dica cosa ne pensa. Grazie per la sua attenzione e pazienza.
Caro Silvano, l’attributo dell’infallibilità è usato dal magistero della Chiesa in riferimento a due cose. Prima, è riferito all’autorità del Sommo Pontefice quando, come Maestro universale della fede, proclama solennemente un nuovo dogma. Seconda, esprime la verità di un dogma solennemente definito da credersi con fede divina. Qui abbiamo il primo grado di autorità delle dottrine. Nel terzo grado, invece, la Chiesa insegna sempre una verità di fede o connessa con la fede, ma non usa l’attributo della infallibilità. Ciò però non significa assolutamente che a questo livello il magistero possa sbagliare o mutare. Si tratta soltanto del grado minimo di autorità, alla quale dobbiamo prestare l’ossequio religioso della nostra intelligenza, anche se non mettono in gioco la fede divina. Anche a questo livello la Chiesa non si smentisce mai. Queste verità sono di solito insegnamenti nuovi, i quali un domani, meglio approfonditi, potranno assurgere al secondo grado o anche al primo. Esempi di questo tipo li troviamo nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro Don Vincenzo, lei ha messo sul tappeto una serie di gravi questioni che oggi si pongono in campo cristologico, questioni che purtroppo non vengono risolte alla luce del Concilio di Trento e del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), ma secondo un’impostazione di tipo protestante e modernista. Io, da circa quarant’anni, nelle mie pubblicazioni ho affrontato tutte queste questioni, che sono all’origine dell’attuale buonismo, misericordismo, permissivismo e perdonismo. Si tratta di una visione non priva di valori, che vuol mettere in luce l’amore e la misericordia di Dio nei nostri confronti, l’opera della grazia e la volontà del Padre di salvare tutti gli uomini. È una visione che giustamente respinge una vecchia idea di Dio, purtroppo propria dell’agiografo dell’Antico Testamento, per la quale ci troviamo effettivamente davanti a un Dio spaventoso e che appare effettivamente crudele. Ora, è chiaro che qui siamo davanti a costumi morali primitivi, che sono stati superati dall’etica evangelica. Tuttavia non bisogna prendere a pretesto questo stadio della coscienza morale, oggi superato dalla Chiesa e dai Santi, per respingere, come fanno i buonisti, il concetto di un Dio giusto, che castiga il peccatore e quindi l’esistenza dei dannati nell’inferno, che fu definita dal Concilio di Quierzy nell’853 e confermata dal Concilio di Trento. Infine, questa visione buonista ignora il dogma del sacrificio soddisfattorio di Cristo e per conseguenza viene a togliere la ragion d’essere al sacramento dell’Ordine, che comporta l’offerta del Sacrificio e la stessa Santa Messa, in quanto ripresentazione incruenta del Sacrificio di Cristo.
Caro padre Cavalcoli, ho ascoltato le sue risposte nel dialogo che ha avuto con Giovanni Zenone qualche giorno fa ("Parole chiare su Chiesa, Fede e Vita eterna"), e vorrei farle una domanda. Quando si spiega il "terzo grado" di infallibilità dei documenti magisteriali, nel documento di Papa San Giovanni Paolo II (Ad tuendam Fidem) e della CDF non è detto che il Papa goda di infallibilità a quel terzo grado. Semmai si deduce il contrario: perché comprendo che il magistero ordinario del Sommo Pontefice o quello dei Vescovi non è in sé infallibile. ho ragione?
Caro Silvano, l’attributo dell’infallibilità è usato dal magistero della Chiesa in riferimento a due cose. Prima, è riferito all’autorità del Sommo Pontefice quando, come Maestro universale della fede, proclama solennemente un nuovo dogma. Seconda, esprime la verità di un dogma solennemente definito da credersi con fede divina. Qui abbiamo il primo grado di autorità delle dottrine. Nel terzo grado, invece, la Chiesa insegna sempre una verità di fede o connessa con la fede, ma non usa l’attributo della infallibilità. Ciò però non significa assolutamente che a questo livello il magistero possa sbagliare o mutare. Si tratta soltanto del grado minimo di autorità, alla quale dobbiamo prestare l’ossequio religioso della nostra intelligenza, anche se non mettono in gioco la fede divina. Anche a questo livello la Chiesa non si smentisce mai. Queste verità sono di solito insegnamenti nuovi, i quali un domani, meglio approfonditi, potranno assurgere al secondo grado o anche al primo. Esempi di questo tipo li troviamo nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro padre Cavalcoli, la ringrazio per il suo chiarimento. Tuttavia, posso insistere su un punto del mio commento? Quello che sto dicendo è che il magistero non definitivo (ordinario e autentico) è per definizione non infallibile; ergo, è fallibile. Tale è il magistero che presenta al terzo posto la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (cui lei fa riferimento insieme all'Ad tuendam Fidem di san Giovanni Paolo II), al quale corrisponde, da parte dei fedeli, "il ossequio dell'intelletto e della volontà": tale ossequio è dovuto solo a ciò che non è infallibilmente proposto. La Nota parla solo di due livelli di insegnamenti infallibili, non di tre. E a questi due corrisponde l'assenso di fede, ma non al terzo, che è il definitivo no. Sbaglio in quello che dico? Grazie
Caro Silvano, al n. 10 della Nota dottrinale, a proposito del terzo grado, il Documento dice semplicemente che si tratta di insegnamenti che il Magistero “non intende proclamare con atto definitivo”. Non parla di infallibilità. Ma questo non significa che non si tratti di verità di fede e di morale, perché è esplicitamente detto. E questa è la cosa che interessa. Ed è chiaro che, trattandosi di verità di fede, ed essendo quindi verità immutabili, non potrà mai accadere che oggi siano vere e domani siano false o che siano false dottrine che ieri erano vere. L’attributo dunque dell’infallibilità è un attributo che la Chiesa riserva soltanto alle dottrine di Primo Grado. Ma il fatto che questo attributo manchi al Terzo Grado non significa assolutamente che si tratti di dottrine che possono essere falsificate o sbagliate o mutate. Anche il fatto che queste dottrine non siano proclamate definitive, non vuol dire che non lo siano, sempre per il fatto che trattandosi di verità immutabili è evidente che la loro definizione non può mutare e che quindi si tratta di verità definitive. Gli esempi li può trovare nello stesso documento. Gli esempi, del Terzo o del Secondo Grado, li può trovare nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro padre Cavalcoli, la seguo sempre con piacere e le scrivo qui perché non ho trovato altri canali. Qualche giorno fa alcuni compagni di corso hanno ascoltato una conferenza del p. Barzaghi sull'eucaristia in cui ad un certo punto il p. dice, dentro un ragionamento quasi per concatenazione, che nell'eucaristia essendoci Cristo, c'è tutto, inteso tutto il creato. la conferenza è questa: https://www.youtube.com/watch?v=2pvunor0Muk . Dal minuto 9:20 circa. Ora, molti sono rimasti confusi, io per primo. Un po' conosco il retroterra bontadiniano e parmenideo di Barzaghi, ma non mi basta per capire a fondo la questione. Ho letto diversi suoi articoli sull'argomento e confesso di non essere ancora riuscito a venirne a capo. Inizialmente pensavo che tutto si potesse risolvere con l'analogia, che Barzaghi tace, anche nel suo "Diario di metafisica" quando parla della creazione - l'ho trovato un po' confusionario. Poi però mi è capitata tra le mani la Summa e la mia confusione è notevolmente aumentata leggendo I, q.8 specialmente gli aa. 3 e 4. Lì Tommaso dice tre le altre cose: "E in questo senso ciò è proprio di Dio poiché, per quanti altri luoghi si ammettano oltre a quelli esistenti, anche in numero infinito, bisognerebbe che Dio fosse in tutti, poiché nulla può esistere se non per opera sua. Così dunque essere dappertutto primariamente e di per sé appartiene a Dio in modo esclusivo, dato che per quanti luoghi si ammettano è necessario che Dio sia in ciascuno di essi non parzialmente, ma secondo tutto se stesso." e prima: "Per concludere, Dio è in tutte le cose con la sua potenza perché tutte sono soggette alla sua potestà; vi è con la sua presenza perché tutto è scoperto e come nudo davanti ai suoi occhi; vi è con la sua essenza perché egli è presente a tutte le cose quale causa universale dell‘essere, come si è detto [a. 1]. Analisi delle obiezioni: 1. Si dice che Dio è in tutte le cose per essenza non certo delle cose, come se facesse parte della loro essenza, ma per la sua essenza, essendo la sua sostanza presente a tutte le realtà quale causa dell‘essere, come si è detto [ib.]." Fino a quando si parla di presenza al modo della causa nell'effetto sembra comprensibile, si salva una certa distanza tra Dio e il mondo. Ma quando si parla di essenza? Lì mi confondo. Senz'altro San Tommaso non è un panteista, purtroppo però non riesco a cogliere totalmente l'ampiezza del ragionamento, le chiedo quindi, se possibile, una mano a comprendere. La domanda, inoltre, potrebbe essere anche questa: come la presenza di Dio nelle creature va compresa per non essere panteisti? Grazie davvero. Luca
Caro Luca, ho visto il filmato su P. Barzaghi. Il punto da chiarire è quello che hai individuato tu. Qui c’è un gravissimo equivoco, che adesso ti spiego. Il problema nasce quando P. Barzaghi dice che nell’Eucarestia c’è la divinità di Cristo. Il suo discorso va ancora bene quando dice che Dio è il creatore del mondo. A questo punto purtroppo nasce l’equivoco. Da che cosa nasce? Dal fatto che P. Barzaghi equivoca circa le parole di San Paolo, quando egli dice che noi esistiamo in Dio. Allora, dobbiamo distinguere i due modi, nei quali noi siamo in Dio. Noi siamo in Dio nel senso che, concepiti da Dio, noi siamo nella stessa essenza di Dio, ideati da Lui e identici alla sua stessa essenza. Infatti, la sua essenza, essendo semplicissima, non si compone di essa e di noi creature, ma noi in Lui siamo le sue stesse idee divine di noi stessi. L’altro modo di essere in Lui è quello a cui si riferisce San Paolo. E che cosa significa? Qui, Paolo si riferisce al nostro esistere fuori di Dio, come sue creature, attuazione della idea che Dio ha di noi stessi. Quindi P. Barzaghi sbaglia quando nega che noi esistiamo fuori di Dio. Infatti, se così non fosse, non potremmo essere sue creature. Tuttavia noi possiamo dire di essere in Lui, appunto in quanto Egli è il nostro creatore, il fondamento e la causa della nostra esistenza. In che senso siamo fuori di Dio? Nel senso che noi possediamo una essenza e una esistenza, distinte da quelle di Dio, cioè riceviamo l’essere da Dio, in quanto noi creature siamo tratti dal nulla, perché la nostra essenza di creature non richiede necessariamente l’essere, e cioè l’esistenza. Infatti noi potevamo stare nello stadio di pura possibilità, come lo sono tutti i possibili in Dio, che non saranno mai realizzati, cioè non saranno chiamati all’esistenza come creature. Perché Dio dona l’essere ad alcune essenze puramente possibili e che sono in Dio le sue stesse idee divine? Lo fa per un liberissimo atto d’amore. Da che cosa dipende il potere creativo di Dio, cioè il far passare un ente dalla possibilità alla attualità? Dipende dalla sua onnipotenza.
Per quanto riguarda la presenza, come ha detto San Tommaso, tutte le cose sono presenti a Lui. Per quanto riguarda l’essenza, San Tommaso intende dire che l’essenza divina è causa delle essenze delle cose. Quindi il panteismo non c’entra per nulla, perché il panteismo confonde l’essenza e l’esistenza delle cose con l’essenza e l’esistenza di Dio. Qual è la differenza tra l’essenza di Dio e l’essenza di una creatura? La differenza sta nel fatto che mentre Dio esiste per essenza, cioè Egli è l’Ipsum Esse, come dice San Tommaso, ovvero l’essere sussistente; la creatura invece esiste soltanto per volontà divina e quindi la sua esistenza, o il suo essere, non entra nella sua essenza, ma è distinto dalla sua essenza, e riceve l’essere direttamente da Dio. Teniamo presente inoltre che Dio non crea soltanto l’esistenza, ma anche l’essenza di ogni creatura, cioè dona l’essere a una essenza finita e quindi creata. Osserviamo inoltre che l’essere divino è essere per essenza, mentre l’essere creato è essere per partecipazione. Tutto ciò significa che l’essere della creatura, benchè infinitamente distinto dall’essere divino, è analogo all’essere divino. Questo significa la Bibbia quando dice che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. E per questo la Sapienza 13,5 dice: “Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia si conosce l’Autore”. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la natura della grazia, la quale è una partecipazione alla natura divina, “consortes divinae naturae”, come dice San Pietro (2 Pt 1,4). Se vuoi approfondire queste cose, ti consiglio di consultare: - http://www.arpato.org/ - http://www.arpato.org/lezioni.htm - http://www.arpato.org/bibliografia.htm - http://www.arpato.org/studi.htm
Grazie mille per il suo intervento chiarificatore e per i riferimenti altrettanto utili limpidi. Aggiungo che sarebbe bello vedere presto pubblicato qualche suo testo o manuale di metafisica, ce ne sarebbe bisogno!
Caro Luca, puoi trovare i miei scritti di metafisica nel mio blog o nel sito arpato.org, Studi. Inoltre, se vuoi approfondire le tue conoscenze in metafisica, ti consiglio di leggere gli scritti di P. Tyn, che puoi trovare nel sito arpato.org, Bibliografia.
Contro Lutero: Perché non dobbiamo morire protestanti Dona a noi la pace: Il significato della presente guerra Gesù Cristo fondamento del mondo: Inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale Il fuoco sulla terra: L'aspetto comunitario dell'agone cristiano Il progetto del demonio: La prospettiva di Satana e quella di Gesù Cristo L'eresia del buonismo: Il buonismo e i suoi rimedi L'inferno esiste. La verità negata La gloria di Cristo. Risurrezione, ascensione, Pentecoste, parusia La vita eterna. I punti fermi della nostra speranza Rahner e Küng: Il trabocchetto di Hegel Segno e simbolo nella Liturgia Il Silenzio Della Parola : Le Mistiche A Confronto La Buona Battaglia Contro Il Demonio. Il Mistero Della Redenzione La Questione Dell'Eresia Oggi Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto L'Inferno Esiste. La Verità Negata La buona battaglia che il cristiano sostiene contro il demonio La coppia consacrata La liberazione della libertà. Il messaggio di P. Tomas Tyn ai giovani La questione dell'eresia oggi La Vita Eterna. I Punti Fermi Della Nostra Speranza Le verità di fede. Tutti i dogmi e le dichiarazioni dottrinali della Chiesa Cattolica La questione del Concilio Contro Lutero: Perché non dobbiamo morire protestanti Dona a noi la pace: Il significato della presente guerra Gesù Cristo fondamento del mondo: Inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale Il fuoco sulla terra: L'aspetto comunitario dell'agone cristiano Il progetto del demonio: La prospettiva di Satana e quella di Gesù Cristo L'eresia del buonismo: Il buonismo e i suoi rimedi L'inferno esiste. La verità negata La gloria di Cristo. Risurrezione, ascensione, Pentecoste, parusia La vita eterna. I punti fermi della nostra speranza Perché peccando ho meritato i tuoi castighi: Un teologo davanti al coronavirus Rahner e Küng: Il trabocchetto di Hegel Segno e simbolo nella Liturgia Il Silenzio Della Parola : Le Mistiche A Confronto La Buona Battaglia Contro Il Demonio. Il Mistero Della Redenzione La Questione Dell'Eresia Oggi Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto Il Silenzio Della Parola. Le Mistiche A Confronto Karl Rahner. Il Concilio Tradito. L'Inferno Esiste. La Verità Negata La buona battaglia che il cristiano sostiene contro il demonio La coppia consacrata La liberazione della libertà. Il messaggio di P. Tomas Tyn ai giovani La questione dell'eresia oggi La Vita Eterna. I Punti Fermi Della Nostra Speranza Le verità di fede. Tutti i dogmi e le dichiarazioni dottrinali della Chiesa Cattolica Il Silenzio Della Parola. Le Mistiche A Confronto Padre Thomas Tyn . Un Tradizionalista Postconciliare Parole Chiare Sulla Vita Della Chiesa Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia.
Gentile Padre Cavalcoli, ho appena letto che il Papa ha autorizzato i medici ad amministrare l'Eucaristia ai malati di coronavirus, non potendo inviare i sacerdoti ad amministrare il Viatico per i noti motivi. Confesso che la notizia ha aumentato la confusione che regna nella mia anima. Cosa farei io se mi trovassi al posto di uno di quei poveretti? Non lo so. Vuole illuminarmi lei? GRAZIE!
RispondiEliminaCARLA D'AGOSTINO UNGARETTI
Cara Carla, non ha motivo di preoccuparsi. Infatti siamo davanti ad una prassi ormai usuale nella Chiesa. Infatti lei saprà bene della esistenza del ministro straordinario della Comunione, il quale può essere anche un laico, senza un ministero permanente, ma col semplice incarico di distribuire occasionalmente la Santa Comunione. Se lei si dovesse trovare nella condizione dell'ammalato, ringrazierebbe chi le porta Gesù Eucarestia.
EliminaGentile padre, grazie per "la luce in mezzo alle tenebra" che lei con la sua missione di predicatore, ci dà. Oggi vedo ancora un altro testo di un prestigioso biblista nella Civiltà Cattolica. Aspetto con ansia un suo commento che chiarisca la posizione. Ormai non so più che cosa leggere, che cosa non leggere, tutto è confusione, ognuno dice la sua collaborando a creare una Babele teologica in noi "piccoli". Scusi lo sfogo. Ma veramente non so più che cosa leggere.
RispondiEliminaCaro Carlo, comprendo bene il suo sconforto. Del bene ce n'è dappertutto, così come non c'è opera umana che non abbia difetti. Solo la Parola di Dio è pura luce. Per questo trovo molta consolazione negli insegnamenti del Magistero della Chiesa e dei Santi. Per quanto riguarda la Civiltà Cattolica, sto appunto preparando un commento all'articolo di Neuhaus.
EliminaCaro Padre Cavalcoli,
RispondiEliminaPrima di tutto, scusa il mio povero modo di scrivere in lingua italiana.
Spero di non disturbarti troppo quando ti consulto per un articolo di mio interesse. È la sua opera intitolata "La tradizione contro il papa", pubblicata il 25 febbraio 2011 sul sito web www.riscossacristiana. Tuttavia, non sono riuscito a trovarlo.
Questo tuo articolo è online? È possibile saperlo?
Grazie in anticipo per il vostro aiuto.
Fr Filemón de la Trinidad
ffitrinitatis@gmail.com
Caro Fr Filemon, le invio quanto sono riuscito a trovare in internet:
Eliminahttp://www.internetica.it/lettere-Cavalcoli_Lanzetta.htm
https://www.ricognizioni.it/a-padre-serafino-lanzetta-di-p-giovanni-cavalcoli-op/
P.Giovanni Cavalcoli
Grazie, don Giovanni
EliminaAvevo letto il tuo articolo molto tempo fa e l'ho tenuto bene nella mia memoria. Le sue argomentazioni mi sono sempre sembrate convincenti. Anche se in seguito ho letto una nota nel "Courrier de Rome", di FSSPX, in risposta al suo articolo.
Suppongo che tu abbia ancora le tue opinioni oggi.
Caro Fr Filemon, certamente mantengo le opinioni di allora.
EliminaRev.Padre, nel "L'atteggiamento del cristiano nei confronti della sofferenza", nel cap. "La sofferenza e le sue forme" leggo "...a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura che mettono in pratica .... operano sempre il bene". Ma la natura non è anch'essa, come tutto il creato, coinvolta nella caduta originata dal peccato mortale, e allora perchè "operano sempre il bene" ?
RispondiEliminaCaro Paolo,
Eliminail brano circa il quale tu desideri un chiarimento è il seguente:
"Ben diversamente vanno le cose nell’uomo. L’uomo è capace di essere cattivo. L’uomo sa compiere veramente e propriamente il male perchè, a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura, che mettono in pratica infallibilmente le leggi della natura stabilite da Dio che è buono, e quindi sono sempre mossi da Dio, operano sempre il bene, l’uomo, col suo libero arbitrio, può disobbedire volontariamente e quindi colpevolmente a Dio, può peccare. E il peccato produce la morte. Ecco il castigo del peccato."
Al riguardo bisogna tenere presente che l'azione della natura può essere considerata sotto due punti di vista diversi.
Uno. L'azione della natura ha un carattere punitivo, a seguito del peccato originale (Gn 3,18).
Due. Nello stesso tempo si può dire che gli agenti naturali, mossi dalla causalità divina, operano il bene della natura e quindi ogni agente naturale opera il proprio bene.
Prendiamo l'esempio del Covid. il Covid svolge una duplice azione: da una parte, obbedendo alla legge divina, opera il proprio bene, ma dall'altra, proprio in questa azione, svolge un compito punitivo nei confronti dell'uomo, il quale, dopo il peccato originale, non è più capace di dominare la natura e la natura gli è diventata ostile.
Caro Paolo,
RispondiEliminail brano circa il quale tu desideri un chiarimento è il seguente:
"Ben diversamente vanno le cose nell’uomo. L’uomo è capace di essere cattivo. L’uomo sa compiere veramente e propriamente il male perchè, a differenza di tutti gli agenti inferiori della natura, che mettono in pratica infallibilmente le leggi della natura stabilite da Dio che è buono, e quindi sono sempre mossi da Dio, operano sempre il bene, l’uomo, col suo libero arbitrio, può disobbedire volontariamente e quindi colpevolmente a Dio, può peccare. E il peccato produce la morte. Ecco il castigo del peccato."
Al riguardo bisogna tenere presente che l'azione della natura può essere considerata sotto due punti di vista diversi.
Uno. L'azione della natura ha un carattere punitivo, a seguito del peccato originale (Gn 3,18).
Due. Nello stesso tempo si può dire che gli agenti naturali, mossi dalla causalità divina, operano il bene della natura e quindi ogni agente naturale opera il proprio bene.
Prendiamo l'esempio del Covid. il Covid svolge una duplice azione: da una parte, obbedendo alla legge divina, opera il proprio bene, ma dall'altra, proprio in questa azione, svolge un compito punitivo nei confronti dell'uomo, il quale, dopo il peccato originale, non è più capace di dominare la natura e la natura gli è diventata ostile.
Mi scusi padre Cavalcoli.
RispondiEliminaDa tempo, godendo del tuo blog, ho notato che usi la distinzione tra grazia magisteriale e grazia pastorale, per riferirti all'assistenza dello Spirito Santo al Romano Pontefice.
Sono pienamente d'accordo con tale distinzione teologica, ed è molto esplicativa del carisma dell'infallibilità del papa, e molto utile per discernere i contenuti veramente vincolanti di un documento pontificio.
Ora, questa distinzione teologica è originale per te, o ci sono altri teologi che vi fanno riferimento?
Apprezzerei molto il favore di chiarirmi questo punto.
Nadia Márquez
Caro Marquez, questa distinzione si basa sul fatto che, mentre l'autorità pastorale del Papa può andare soggetta a difetti, l'autorità dottrinale è infallibilmente assistita dallo Spirito Santo. Infatti, nel primo caso il Papa dispone bensì di un dono dello Spirito Santo, ma può colpevolmente non farne uso. Invece, quando egli intende esercitare il suo magistero, viene infallibilmente illuminato dallo Spirito Santo. Il fondamento evangelico del primo potere si trova nelle parole di Cristo, quando Egli, accertatosi che Pietro lo ama, gli ordina di pascere i suoi agnelli. Ciò implica che il Papa, per cattiva volontà, può sottrarsi a questo dovere. Invece, l’autorità dottrinale è basata sul comando di Cristo a Pietro di confermare i fratelli nella fede. In questo caso, quando il Papa vuole insegnare il Vangelo, è infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, cioè liberamente aderisce sempre alla illuminazione divina. Questa teoria, che ha un fondamento in San Tommaso d’Aquino, l’ho ricavata io dalle parole stesse di Gesù, ma non l’ho trovata in altri teologi.
EliminaCaro Padre Cavalcoli,
EliminaVorrei fare riferimento al tuo commento fatto a N.Marquez, righe sopra riportate, ottobre 2020, e che si riferisce anche ad altre occasioni in cui hai parlato dello stesso argomento.
Il Concilio Vaticano I di certo non definisce quello che lei dici. Dice il Vaticano I: insegniamo e definiamo come divinamente rivelato dogma che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, esercitando la sua carica di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema Autorità Apostolica, definisce un dottrina della Fede o del Costume e insegna che essa deve essere sostenuta da tutta la Chiesa, possiede, per l'assistenza divina che gli fu promessa nel beato Pietro, quell'infallibilità di cui il divin Redentore volle che la sua Chiesa godesse nella definizione della dottrina della fede e costumi. Quando parla ex cathedra E non parla mai della virtù della fede del Papa. Perciò dire che il Santo Padre, como lei dice, è l'unica persona umana che, potendo eventualmente commettere ogni genere di errori e peccati, non può tuttavia peccare contro la virtù della fede, non è definito. Quindi non è un dogma di fede.
Grazie.
Caro Pietro,
Eliminache il Papa, tra tutti i credenti feriti dal peccato originale, abbia una fede talmente forte, che gli consente di non peccare mai contro la fede, ma al contrario di essere sostegno infallibile della fede per tutti (“confirma fratres tuos”), si deduce con facilità dal dogma della infallibilità dottrinale. Infatti, come farebbe il Papa ad insegnare infallibilmente, cioè a proclamare un dogma o un articolo di fede, se non avesse tra tutti i credenti peccatori una fede talmente forte da potere insegnare contenuti di fede in modo infallibile?
Che cosa dire della fede della Madonna? Certamente anch’ella ebbe una fede perfettissima e saldissima, una fede più forte di tutti gli altri credenti. Senonchè Cristo ha affidato a Pietro e non a Maria il compito di insegnare ufficialmente il Vangelo. Maria è il modello di tutti i credenti, non dei maestri della fede, perché costoro sono gli apostoli. Ora, Gesù non ha messo sua Madre nel novero degli apostoli.
Un’obiezione che a volte viene fatta da certi cattolici passatisti è la seguente. Essi dicono che il Papa è infallibile solamente quando proclama o definisce solennemente un nuovo dogma. Ora, effettivamente questo è il contenuto del dogma dell’infallibilità. Tuttavia, nel 1998, San Giovanni Paolo II pubblicò la Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem, nella quale precisava, per mezzo della CDF, che il Papa, quando tratta di argomenti di fede, come Maestro della fede, insegna sempre la verità, anche se non proclama un nuovo dogma, ma svolge il suo magistero ordinario.
Così, per esempio, per quanto riguarda le dottrine del Concilio, è vero che il Concilio non ha proclamato nessun nuovo dogma, ma questo non toglie che il Concilio, per sua stessa dichiarazione, possegga documenti di carattere dogmatico, non nel senso della definizione di nuovi dogmi, ma nel senso di insegnamenti dottrinali, anche nuovi, che tuttavia sono fondati sulla Rivelazione.
Gentilissimo padre Cavalcoli, nella confusione in cui, semplici fedeli come me, si trovano in questi tempi strani, le chiedo il suo illuminante parere su due questioni che mi sono molto care e mi struggono il cuore.
RispondiEliminaA proposito della recente variazione del testo del "Gloria" e del "Padre nostro" le chiedo se è un errore, peccato di orgoglio o è lecito continuare a recitare queste due preghiere come da sempre ci sono state trasmesse.
La seconda è inerente la necessità (o supposta tale) durante questa pandemia (anche se io da medico avrei da muovere tante eccezioni scientifiche, sulla igienicità di questa pratica) di amministrare la Santa Comunione sulle mani dei fedeli e non direttamente in bocca. Io francamente mi sento indegno e non ho mai pensato di ricevere la S. comunione nelle mani e ringraziando il buon Dio Il mio parroco, a Chi lo desidera continua ancora ad amministrare la comunione in bocca ma ahimé ho tantissime testimonianze di amici che in tantissime parrocchie hanno ricevuto un rifiuto del parroco ad amministrarla direttamente nella bocca del fedele) mi chiedo si tornerà più indietro? sarà di nuovo annunciato dall'altare che potremmo ancora prendere il corpo di Cristo direttamente dalle Sante mani del sacerdote senza corromperlo con le nostre mani? oramai durante la Santa Messa il rito della aspersione del gel sulle mani ha sostituito la Consacrazione.... c'è una distrazione globale per questo "rito di igiene "enigine ed a me tutto questo sembra che apra le porte alla progressiva perdita nei cristiani del senso della reale presenza di nostro Signore nella Santissima Eucaristia. Le chiedo perdono per la lunghezza delle mie questioni e attendo fiducioso un suo illuminante parere ma soprattutto il parere della dottrina immutabile della chiesa e della parola di Dio. Roberto gribo@inwind.it
Caro Roberto,
Eliminarispondo alle sue domande.
1. "A proposito della recente variazione del testo del "Gloria" e del "Padre nostro" le chiedo se è un errore, peccato di orgoglio o è lecito continuare a recitare queste due preghiere come da sempre ci sono state trasmesse".
Come buoni cattolici, dobbiamo seguire ciò che la Chiesa stabilisce nella liturgia comunitaria. I mutamenti nel "Gloria" e nel "Padre nostro" sono stati motivati dall'intento di una maggiore aderenza alla Parola di Dio, Dunque è bene che ci adeguiamo. In caso contrario mostriamo certamente sfiducia nella Chiesa che ci guida a Cristo. Tuttavia, pregando in privato non è proibito mantenere le vecchie formule.
2. "La seconda è inerente la necessità (o supposta tale) durante questa pandemia (anche se io da medico avrei da muovere tante eccezioni scientifiche, sulla igienicità di questa pratica) di amministrare la Santa Comunione sulle mani dei fedeli e non direttamente in bocca".
Spetta all'autorità ecclesiastica stabilire le modalità dell'amministrazione dei sacramenti. Per questo, come buoni cattolici, dobbiamo adeguarci in linea di massima all'ordine dei Vescovi di ricevere la Comunione sulla mano. Non si tratta tuttavia di una direttiva assoluta. Al singolo sacerdote è consentito di fare eccezioni per motivi ragionevoli su richiesta del fedele. Per quanto riguarda i motivi igienici, Lei come medico può farli presenti al parroco o all'autorità ecclesiastica competente. Non è escluso che in futuro, cessata la pandemia, sia ripristinato l'uso precedente.
3. "Oramai durante la Santa Messa il rito della aspersione del gel sulle mani ha sostituito la Consacrazione.... c'è una distrazione globale per questo "rito di igiene" enigine (?) ed a me tutto questo sembra che apra le porte alla progressiva perdita nei cristiani del senso della reale presenza di nostro Signore nella Santissima Eucaristia".
Dubbi sul valore della Consacrazione o sulla Presenza Reale non ci sono occasionati dal rito dell'igienizzazione, ma da teologi eretici come per es.Andrea Grillo e dai preti che lo seguono.
Buonasera Padre....
RispondiEliminaPotrebbe indicarmi dei testi semplici dove approfondire il tema dell'onnipotenza di Dio e della creazione di quanto è possibile ? Grazie
Battista Mondin, Il problema di Dio, Edizioni ESD, Bologna 2012
EliminaCarissimo padre Giovanni sono un sacerdote della Diocesi di Roma, ho letto molti suoi articoli, ho realizzato, per la mia formazione personale ma che potrebbe essere utilizzato anche a fini catechistici, un breve trattato dal titolo: "Dalla Creazione alla Redenzione: il destino del creato e dell'umanità". In questo mio lavoro affronto, partendo dal dato biblico, il tema della creazione, di un Dio creatore, l'atto creativo di Dio, l'uomo vertice della creazione, il peccato originale, la caduta e le sue conseguenze. Proseguo poi la mia trattazione prendendo in considerazione il dato scientifico ponendomi nella prospettiva cosmologica trattando l'origine dell'universo e della vita. A questo punto mi sono trovato davanti ad un paradosso che così ho espresso: "Sorge a questo punto una domanda: perché se l’universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi? L’universo stesso è destinato a morire?
RispondiEliminaIl segno che il nostro sistema vita, contiene già in sé questo orientamento, è il cosiddetto limite ontologico rappresentato dalla morte, in tutte le sue espressioni, che sperimentiamo in tutta la sua portata e drammaticità esistenziale".
L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuta una contraddizione da sanare.
Mi sono chiesto se esiste una via d'uscita da questa condizione irreversibile? Sono partito da una massima del fisico Einstein: "Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo".Una via d’uscita potrebbe esserci se ci spostiamo dal piano fisico-cosmologico e filosofico, al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce e per la fede la definitiva risposta.
Un universo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo ne conterrebbe, per analogia, la medesima logica di morte e di resurrezione. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto.
Mi può dire cosa ne pensa?
Anche se non sono stato suo allievo alla Pontificia Università Lateranense, la mia formazione filosofica e teologica risente del pensiero del nostro compianto prof. Antonio Livi.
Grazie per la sua attenzione.
Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo,
Eliminanella storia sacra noi siamo davanti a due orientamenti contrastanti: da una parte abbiamo l’infinita bontà e provvidenza divine, le quali muovono l’universo e l’umanità verso il meglio, in una evoluzione ascendente, che ha il suo punto terminale nella Parusia di Cristo, come dice giustamente Teilhard de Chardin, e dall’altra parte assistiamo ad un processo di corruzione e di decadenza e nel contempo all’azione della morte, che sono forze che contrastano quelle precedenti, promosse da Dio.
Nel progetto originario di Dio, la morte e la corruzione, sia dell’uomo che dell’universo, non erano previste ma viceversa Dio aveva donato l’immortalità all’uomo e in qualche modo anche all’universo, destinato ad essere abitato e dominato dall’uomo.
Nell’eden la morte degli enti inferiori, cioè delle piante e degli animali, non era da considerarsi un male inquantoché questi viventi dovevano servire alla sussistenza fisica dell’uomo, dotato di anima immortale.
Infatti dalla Sacra Scrittura sappiamo che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo.
D’altra parte, il Padre celeste nella sua misericordia, fin da subito dopo il peccato originale, ha promesso ad Adamo ed Eva un Salvatore, che poi si sarebbe rivelato nell’uomo Gesù Cristo.
Io ritengo che l’attuale universo era destinato ad essere conosciuto ed abitato dall’uomo, se non avesse peccato nell’eden.
Comunque per ulteriori approfondimenti le consiglio la lettura dei miei articoli dedicati a questi argomenti (cf. nel mio blog etichetta: universo).
Inoltre, se le interessano, può consultare le conferenze di P. Tomas Tyn: http://www.arpato.org/lezioni.htm -
Caro Don Vincenzo, rispondo ai suoi quesiti.
Elimina1. "Se l’universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, perchè nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi? L’universo stesso è destinato a morire?"
Come sappiamo dalla nostra fede, nel piano originario della creazione non era prevista nè la morte dell'uomo nè la stasi finale dell'universo (entropia). Col peccato originale, il moto evolutivo ascendente dell'universo e della vita - come duce anche Teilhard de Chardin - è rimasto. Ma allorchè è apparso l'uomo, questi ha conosciuto una vita mortale un castigo del peccato originale, secondo quanto Dio stesso aveva detto in avvertimento ai nostri progenitori (Gen 2,17).
2."L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuta una contraddizione da sanare.
Mi sono chiesto se esiste una via d'uscita da questa condizione irreversibile? Sono partito da una massima del fisico Einstein: "Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo". Una via d’uscita potrebbe esserci se ci spostiamo dal piano fisico-cosmologico e filosofico, al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce e per la fede la definitiva risposta".
Un universo creato per mezzo di Cristo e in vista di Cristo ne conterrebbe, per analogia, la medesima logica di morte e di resurrezione. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto".
Nell'evento della morte dell'uomo e della corruzione dell'universo è contenuta una contraddizione da sanare e questa contraddizione sta nel fatto che esiste una morte che contraddice a quella vita che Dio aveva originariamente voluto e che Egli però ripristina mediante Cristo appunto con la resurrezione dell'uomo e dell'universo.
Carissimo padre Giovanni mi potrebbe aiutare a capire come va tradotto e letto correttamente il passo dell'Apocalisse di San Giovanni cap.13 versetto 8? La Bibbia CEI riveduta traduce: "L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato".
RispondiEliminaLa Bibbia CEI del 2008 traduceva così dal testo greco: "La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell'Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo".
Anche san Pietro nella sua prima lettera al capitolo 1 vv. 18-20 scrive:
"Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi".
Domanda: Ma se l'Agnello immolato e glorioso è presente nella mente di Dio fin dalle origini significa che Dio crea l'universo, il mondo, l'uomo per mezzo di Cristo e in vista di Cristo e di conseguenza tutto il creato così come è strutturato e come lo conosciamo risponde a questa logica creativa di Dio che contiene in se stessa la morte e la risurrezione, la passione e la gloria. Tutto questo però prima del peccato di origine, prima della caduta? mi aiuterebbe a far chiarezza su questo passaggio? Grazie.
Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo,
Eliminala traduzione esatta è quella della CEI riveduta.
Sia l’Apocalisse che San Pietro intendono dire che dall’eternità Dio ha pensato e progettato l’immolazione del Figlio, oltreché la creazione del mondo.
Dire che Dio, per mezzo del Logos, ha creato il mondo non significa ovviamente affermare che sia l’autore del peccato, perché sappiamo bene che questo autore è stato il demonio, che ha spinto Adamo ed Eva a peccare.
Il sacrificio del Figlio, come è noto, ha la funzione di togliere per il genere umano il male di colpa e di pena, il quale, come lei saprà bene, è la conseguenza del peccato originale.
Tuttavia è chiaro che la morte e la resurrezione di Cristo sono avvenute 2000 anni fa in esecuzione del piano divino.
Effettivamente sia il testo greco che la Vulgata possono prestarsi a quella traduzione errata, che si trova nella Bibbia del 2008, e cioè che l’Agnello sia stato immolato fin dalla fondazione del mondo.
Di questo argomento ho parlato in alcuni articoli, pubblicati recentemente sul mio blog, in riferimento al pensiero di P. Giuseppe Barzaghi.
Grazie padre Giovanni per le sue risposte molto chiare e illuminanti e fedeli al dato della Rivelazione.
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RispondiEliminaCaro Don Vincenzo,
EliminaAdamo ed Eva erano pienamente attrezzati per riconoscere la presenza del demonio. Non erano come noi davanti ai quali egli può mascherarsi da angelo della luce.
Inoltre avevano la piena possibilità e libertà di respingere la sua proposta. Per questo non avevano bisogno di ulteriori avvertimenti o sussidi da parte di Dio. Noi, viceversa, fragili come siamo, abbiamo assoluto bisogno del soccorso divino.
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RispondiEliminaCarissimo padre Giovanni, desidero porle un'altra questione legata al cosiddetto "peccato d'origine" o "peccato originale" che potrebbe aprire una pista di riflessione e fare un po'di luce sulle conseguenze negative per il genere umano. Si tratterebbe di una interpretazione del cosiddetto "fenomeno evolutivo" del genere umano. Cosa intendo dire. Sappiamo dalla Rivelazione biblica che l'uomo fu creato da Dio maschio e femmina, fu creato, rispetto alle altre creature, con il massimo grado di perfezione, si legge nella Genesi: "ad immagine e somiglianza di Dio". Dopo il peccato di origine inizia la decadenza della sua natura oltre l'aver rotto il rapporto di comunione filiale con Dio creatore. Il processo evolutivo potrebbe essere interpretato, non come la spiegazione scientifica dell'origine della specie umana, ma come il lento recupero dell'umanità originaria, come una parabola ascendente in via di "ricostruzione" dell'umanità originaria perduta. In questo percorso l'umanità recupera, nel corso dei millenni, pur con tutti i limiti della sua condizione, le capacità intellettuali, spirituali e materiali. Ed è solo ad un certo punto della sua storia, San Paolo scrive "nella pienezza dei tempi", l'uomo si trova nelle condizioni ideali per accogliere e comprendere l'irruzione di Dio nella storia, con l'Incarnazione del suo Figlio unigenito. Possiamo quindi descrivere i tempi di questo processo come: la creazione dell'uomo, la caduta, la ricostruzione, l'Incarnazione e la Redenzione. Cosa ne pensa? Grazie per la sua attenzione.
RispondiEliminaCaro Don Vincenzo, la tua teoria coincide esattamente con quanto a suo tempo ho sostenuto io e cioè che il castigo del peccato originale ha comportato conseguenze disastrose su tutti i piani dell’esistenza della persona, da quello intellettuale a quello morale a quello psicologico a quello fisico.
EliminaPer quanto riguarda quest’ultimo, credo anch’io che i reperti paleoantropologici, dove l’uomo appare in un aspetto scimmiesco, sono il segno di questa decadenza conseguente al peccato originale.
Per questo il programma che si prospettò all’umanità sin da questo tempo fu quello, con l’aiuto di Dio, di ricostruire i valori perduti, vale a dire passare da uno stadio animalesco della vita a livelli sempre più razionali, passare da una condizione di istintualità ad un irrobustimento sempre maggiore della volontà, passare dal politeismo al monoteismo.
In questo lungo cammino di progresso, c’è stato anche il graduale recupero della bellezza corporea della umanità edenica. Attualmente noi, nonostante i progressi fatti, non abbiamo ancora recuperato in pienezza questa bellezza originaria. Tuttavia la presenza attiva di Cristo e del suo Spirito spingono l’intera umanità, che si raduna nella Chiesa, ad una evoluzione ascendente verso la Parusia.
Buonasera Padre.
RispondiEliminaChiedo se c'è un indirizzo di posta a cui scriverLe privatamente. Grazie Francesco
Caro Anonimo,
RispondiEliminami può contattare inizialmente mediante la mia pagina facebook.
Le ho scritto un messaggio. Le chiedo di controllare però perchè non so se Le è arrivata la notifica. La ringrazio. Francesco
EliminaCaro Francesco, le ho risposto.
EliminaCarissimo p. Giovanni mi è capitato di recente di leggere alcuni capitoli del libro del filosofo e scienziato francese Claude Tresmontant: “I primi elementi della teologia”. Scrivendo sulla creazione e in particolare della creazione dell’uomo, facendo riferimento a Genesi 3 sostenendo un concordismo tra scienza e rivelazione giudaico-cristiana, afferma che quando l’uomo è stato creato, era incompiuto perché non era possibile che l’uomo fosse stato creato immediatamente completo e questa impossibilità non viene da Dio ma dalla condizione dell’essere creato, il cui processo evolutivo, come in tutte le creature e come nei processi dell’intero Universo, avviene per tappe, in una genesi progressiva. Tresmontant sostiene che la pienezza non sta all’inizio del tempo, ma sta dopo di noi, nell’avvenire. Riferendosi poi alla “caduta” del genere umano a causa del “peccato di origine” e la conseguente cacciata dall’Eden, sostiene, facendo proprio il pensiero di san Gregorio da Nissa, che il conoscere cos’è bene e cos’è male, nell’esercizio della libertà, è allo stesso tempo rischioso e necessario. Da quel momento la creazione viene consegnata da Dio nelle mani dell’uomo, può continuarla e cooperarvi attivamente e intelligentemente oppure distruggerla. La storia ci insegna che di fatto l’umanità ha esplorato le due direzioni, quella della creazione e quella della distruzione. Cosa ne pensa?
RispondiEliminaCaro Vincenzo,
Eliminaquello che lei dice a proposito della incompletezza dei nostri progenitori, a tutta prima mi ha lasciato perplesso, ma, riflettendo, credo di avere capito che cosa lei intende dire, e cioè che noi oggi possiamo dire, in un certo senso, che siamo più progrediti di Adamo ed Eva nel paradiso terrestre.
Per quale motivo? Perché, mentre la coppia primitiva si trovava semplicemente davanti ad immense possibilità di progresso e di conquista dell’universo, è successo che col peccato originale è crollata in uno stato miserevole, dal quale l’umanità successiva da allora fino ad oggi si è sforzata di risollevarsi peraltro potentemente aiutata dalla grazia di Gesù Cristo. E con ciò ancor oggi abbiamo davanti a noi, con l’aiuto di Dio, immense possibilità di impadronirci sempre meglio e sempre di più delle forze dello spazio terrestre ed extraterrestre. Credo che a questo proposito ci potremmo agganciare al discorso di Papa Francesco sulla ecologia integrale.
Detto questo, a scanso di equivoci, dobbiamo ricordare però la dottrina tradizionale secondo la quale la coppia primitiva era dotata di doni preternaturali, che la innalzava ad una perfezione fisica, intellettuale e morale, molto superiore di quella che possediamo oggi nello stato di natura decaduta, anche se il fatto di essere stata redenta da Cristo fa sì che noi oggi, in quanto figli di Dio, viviamo di una vita soprannaturale superiore a quella propria della coppia primitiva.
Grazie padre Giovanni. Concordo perfettamente con le sue riflessioni esposte nella risposta. Buon ministero.
RispondiEliminaCarissimo padre Giovanni, da qualche mese sto seguendo un corso di “Filosofia della natura” del suo confratello p. Alberto Strumia molto interessante. Riflettendo sull’Universo e lo studio delle galassie, delle stelle e dei pianeti che lo popolano, secondo uno studio pubblicato sul The Astrophysical Journal, ci sarebbero 2mila miliardi di galassie, dieci volte in più di quanto si pensasse.
RispondiEliminaLa mia riflessione è questa. Se prendiamo in considerazione il dato biblico, Dio crea “i cieli e la terra” e al termine della Sua opera crea l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Si può dire che il luogo dove si concentra questa creazione, di piante, oceani, animali ed infine l’uomo, in altri termini di esseri viventi di diverso grado, è il pianeta terra perché qui ci troviamo, viviamo, operiamo e moriamo. Osservando le galassie, le stelle e i pianeti, noto da un lato la maestosità, la grandezza e l’immensità dell’universo e dall’altro la piccolezza, le dimensioni ridotte del nostro pianeta vivente, praticamente abitiamo in una “una bolla d’aria”, su un pianeta con risorse limitate, con una popolazione che tende ad aumentare, con problematiche climatiche accentuate in questo ultimo secolo e tanto altro ancora.
Il sistema solare stesso, i pianeti che lo compongono sono inospitali ed inabitabili pur non escludendo che a migliaia di anni luce possano esserci pianeti con forme di vita. Per ora siamo solo noi gli unici esseri viventi intelligenti e coscienti. Lo stesso Figlio di Dio si è incarnato ed è venuto ad abitare tra di noi, su questo pianeta, donandoci la sua Parola e la sua vita per la nostra salvezza e redenzione.
Non le nego che faccio fatica a trovare un senso ed un significato a questa sproporzione creativa da parte di Dio, pur adeguandomi al mistero del tutto. Se da un lato non ho difficoltà a trovare un senso per la presenza dell’uomo sulla terra trovo invece difficoltà a pensarlo inserito in un contesto, se vogliamo definirlo universale.
Grazie per la sua attenzione.
Caro Don Vincenzo,
Eliminabisogna che noi distinguiamo lo stato edenico, che abbiamo perduto, e lo stato di natura decaduta, che è quello nel quale ci troviamo adesso.
Nello stato edenico l’uomo avrebbe potuto con estrema facilità colonizzare l’intero universo, superando degli spazi sconfinati, dominando energie gigantesche, secondo le parole del Signore che ordina alla coppia primitiva di moltiplicarsi e di dominare la terra. Che significa “terra”? Tutto l’universo, comprese le galassie, le stelle e i pianeti e tutte le realtà create dell’universo.
Infatti Adamo ed Eva erano dotati dei doni preternaturali della scienza infusa, dell’immortalità, dell’esenzione da ogni tipo di difetto fisico e morale, oltre che di un potere di dominio sull’universo di tale forza che noi non immaginiamo neppure. In tal modo in breve tempo il genere umano avrebbe occupato tutti gli sconfinati spazi cosmici, utilizzando tutte le energie dell’universo, giungendo a coltivare tutti i pianeti predisposti per la vita e sparsi in tutto l’universo. Oltre a ciò, l’umanità avrebbe potuto diffondere tutte le forme della vita infraumana nell’universo.
Sennonché, a causa del peccato originale l’uomo ha perduto, oltre ai doni preternaturali, il potere di dominio sull’universo, che aveva nello stato edenico. Da qui si è generata la situazione attuale, per la quale la terra su cui vive l’umanità appare un punto infinitamente piccolo nei confronti della vastità di un universo sconfinato, con energie di una tale forza che noi non abbiamo assolutamente il potere di controllare, e distanze talmente grandi, che a noi adesso sembrano insuperabili.
La venuta di Cristo ha dato all’umanità la possibilità e la speranza, non solo di rialzarsi dalla caduta originale, ma di oltrepassare la stessa condizione di giustizia e di santità proprie dello stato edenico, ricevendo, come dice San Paolo, l’adozione a figli, grazie alla quale l’uomo oggi come oggi può lanciarsi con fiducia in una progressiva conoscenza e conquista dell’universo, che ci fa sperare in un raggiungimento di obbiettivi per ora irraggiungibili, similmente a come adesso otteniamo risultati che per i nostri padri potevano sembrare inimmaginabili.
Però, una piena riconquista dell’universo sarà possibile solo alla Parusia, con l’accesso alla vita eterna, con la resurrezione dei morti e con l’inaugurazione dei nuovi cieli e della nuova terra, che sono l’oggetto della speranza cristiana.
Grazie padre Giovanni la sua risposta mi da conferma ad una mia riflessione che riguarda proprio la Parusia e cioè che la possibilità che l'umanità risorta possa conquistare e popolare l'universo sotto cieli e terra nuova grazie alla Redenzione operata da Cristo nella vita eterna quando questo mondo sarà passato in una condizione nuova.
RispondiEliminaCaro Don Vincenzo,
Eliminaio credo che le conseguenze del peccato originale, per quanto riguarda il nostro rapporto con l’universo fisico, siano date dalla estrema esiguità delle nostre forze e capacità di controllo della materia, nonchè dai limiti della nostra conoscenza dell’universo, messi a confronto con la vastità sconfinata dell’universo, la presenza in esso di energie dalla potenza incalcolabile, la minaccia sempre incombente di forze ostili provenienti dallo spazio.
Tutto ciò è il segno che col peccato originale abbiamo perduto quella capacità di conoscenza e di dominio sul cosmo, che ci era assicurata nel paradiso terrestre, considerando non soltanto la grande superiorità di forze che possedevamo, ma anche il fatto della nostra immortalità, cose che con la riproduzione della specie umana avrebbero assicurato in brevissimo tempo, grazie anche alla costruzione di perfezionatissimi strumenti tecnici e mezzi di trasporto, il pieno dominio dello spazio fino ai suoi estremi confini, onde sfruttare le sue energie per il nostro benessere fisico e come base per un continuo progresso spirituale.
Teniamo comunque presente che la venuta di Cristo consente all’umanità di risalire dalla situazione di miseria, conseguente al peccato originale e, mediante la vita di grazia, di salire alla condizione di figli di Dio, in tal modo da potere gradualmente non solo recuperare quello che abbiamo perduto, ma vivere una vita soprannaturale come partecipazione alla vita divina, che gradualmente nel corso della storia ci permette una riconquista dell’universo, ma ancor più, come predetto dai profeti, ci concede la speranza nella gloria della futura resurrezione, di fruire di nuovi cieli e nuova terra, dove abita la giustizia.
In questo senso San Paolo dice, in Rm 8, 18-23: “18Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. 19La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 21di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”.
Carissimo Padre Giovanni. Mi perdoni se ritorno su un argomento che le ho già esposto e sul quale mi ha dato una risposta. Ma mi è rimasto qualche dubbio che le espongo. Ritorno sull’argomento della Creazione e le chiedo come si concilia una creazione progettata e realizzata da Dio, compresa la creazione dell’uomo a Sua immagine e somiglianza, da ritenersi buona e compiuta con quello che leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 302 e 310.
RispondiElimina302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. E' creata “in stato di via” (in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
Citando San Tommaso d’Aquino:
310. Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 25, 6]. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
Quindi Dio non crea un mondo perfetto ma in via di perfezione, e questo prima della “caduta” causata dal peccato d’origine dei nostri progenitori:
Un creato ed un mondo in via di perfezione verso il suo compimento prevede, fin dalle origini la vita ma anche la morte, la salute ma anche la malattia, la costruzione ma anche la distruzione ed il dolore, il male e il bene. Lo stesso Figlio di Dio è presentato nella Sacra Scrittura come Agnello immolato e glorioso fin dall’eternità.
Avrei bisogno, su questi argomenti, un po’ di chiarimenti. Come sempre Grazie.
Don Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo,
Eliminale rispondo per punti.
1) 302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. E' creata “in stato di via” (in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta.
Rispondo dicendo che il Catechismo, parlando di creazione non interamente compiuta può riferirsi: a) all’aumento numerico delle anime umane, per tutto il corso della storia, fino alla fine del mondo; b) alla crescita organica dei viventi; c) allo svolgersi della storia umana, fino alla fine del mondo.
2) Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
EliminaLa Provvidenza divina consiste nel fatto che Dio conduce il mondo verso quella pienezza finale, che corrisponde al suo piano di salvezza in Cristo, piano che sarà portato a termine alla fine del mondo con la Parusia di Cristo, la resurrezione dei morti e il giudizio universale, che separerà i giusti dagli empi. Dopodiché sarà inaugurata la pienezza di quel Regno di Dio, che attualmente viene edificato nella Chiesa, e l’umanità salvata fruirà in eterno di nuovi cieli e nuova terra, mentre i dannati subiranno la giusta pena, che tuttavia continuerà ad essere espressione della Provvidenza e della Misericordia divine.
3) Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male?
EliminaRispondo dicendo che Dio ha voluto creare un mondo perfetto nel suo genere, ossia ha voluto creare degli enti specifici e particolari, che non potevano che essere finiti, anche se avrebbe potuto crearne altri ancora migliori e diversi.
Dio, nel contempo, all’inizio ha voluto creare un mondo senza la presenza del male.
Certo, che se Egli avesse voluto, poteva benissimo creare un mondo che fosse stato sempre senza la presenza del male.
Bisogna fare un’altra considerazione: che Dio, creando gli angeli e l’uomo e dotandoli del libero arbitrio, ha posto in loro la condizione perché potessero fare il male. Questo atto creativo divino in sé è stato un atto di somma bontà, sicchè la colpa dell’inizio del male va tutta addebitata alla scelta peccaminosa della creatura, angelo e uomo.
Aggiungiamo che Dio ha permesso l’ingresso del male nel mondo, permettendo il peccato dell’angelo, ossia del demonio, il quale ha fatto cadere Adamo ed Eva, con la conseguenza che tutta l’umanità è caduta in una irreparabile miseria.
Diciamo inoltre che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto impedire il peccato dell’angelo. In secondo luogo, se l’angelo avesse peccato, Dio avrebbe potuto impedire il peccato dei nostri Progenitori. Inoltre, anche avendo permesso il loro peccato, avrebbe potuto immediatamente convertire i cuori dei nostri Progenitori, così che essi si pentissero. In tal caso Dio, nella sua misericordia, avrebbe potuto addirittura risparmiare il castigo conseguente al peccato originale. C’è inoltre da dire che Dio, a rigore di giustizia, avrebbe potuto lasciare l’umanità nel suo stato di miseria, conseguente al peccato, perché Dio aveva avvertito i Progenitori che, se avessero disobbedito, sarebbero incorsi nella morte. Sennonché, come sappiamo Dio, nella sua infinita misericordia, ha avuto pietà di noi e ci ha dato come Salvatore suo Figlio.
C’è inoltre da considerare che tutti questi atti della bontà e della giustizia divina, sono effetto di sue insindacabili decisioni, che oltrepassano la nostra umana comprensione e hanno radice nel mistero imperscrutabile della bontà divina.
Concludiamo dicendo che Dio, permettendo l’esistenza del male, ha voluto mostrare ad un tempo la sua onnipotenza e la sua bontà: la sua onnipotenza, perché sa ricavare da un male un maggior bene, cioè un bene maggiore di quello che ci sarebbe stato se il male non ci fosse stato; e la sua bontà, che si esprime nella misericordia e nella giustizia.
Si esprime nella misericordia, in quanto perdona il peccato; nella giustizia in quanto castiga il peccatore. Dio, nella sua misericordia e nella sua bontà, ci ha ripagato il male col bene, cioè ha risposto al nostro peccato conducendoci in Cristo ad un livello di vita superiore, cioè la figliolanza divina, rispetto a quello che esisteva nello stato edenico. Per quanto riguarda invece la giustizia, il Padre celeste ci avverte che certamente Egli è pronto a farci misericordia, tuttavia se noi non osserviamo i santi Comandamenti e la legge di Cristo non possiamo più sperare nella misericordia, ma dobbiamo attenderci l’eterno castigo.
C’è da osservare infine che l’osservanza dei santi Comandamenti, benché sia effetto del libero arbitrio, è causata in radice dalla volontà divina, la quale sorregge con la sua grazia la volontà umana, mentre la perdizione è esclusivamente causata dal peccato dell’uomo. L’atto buono ha due cause: la causa prima è Dio, la causa seconda è il libero arbitrio della creatura. Invece l’atto cattivo è causato dalla sola creatura.
4) Quindi Dio non crea un mondo perfetto ma in via di perfezione …
EliminaPer quanto riguarda la questione della perfezione del creato potremmo citare la teoria di Leibnitz, il quale sosteneva che Dio ha creato il migliore dei mondi possibili, ma già San Tommaso aveva osservato che questa è una cosa irrealizzabile, perché la creatura come tale è determinata da una data specie, cioè da un’essenza specifica. Ora Dio, nella sua onnipotenza, può sempre creare creature di una specie superiore o diversa e così all’infinito.
Tuttavia Leibnitz aveva ragione nel dire che il creato è perfetto, però non aveva inteso bene in che cosa consiste questa perfezione.
Un aspetto essenziale della perfezione del creato, soprattutto riguardante le sostanze corporee, è il passaggio dalla potenza all’atto, che è il meccanismo proprio della crescita, dello sviluppo e del progresso. Facciamo qualche esempio: lo sviluppo dal seme alla pianta; il passaggio di un combustibile che non brucia al combustibile che sta bruciando; il passaggio della luce diurna dall’alba a mezzogiorno; la riproduzione delle specie; il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Per tutti questi esempi si applica il passaggio dalla potenza all’atto.
Questo fatto del progresso non comporta assolutamente di per sé l’esistenza del male, del peccato, della sofferenza, della malattia e della morte. Infatti, tutti questi aspetti del male sono semplicemente la conseguenza del peccato della creatura.
Per quanto riguarda i conflitti che avvengono sia nella natura fisica che nei viventi, come per esempio un vulcano, un terremoto, uno tsunami, i conflitti o competizioni tra animali, dobbiamo dire che nell’Eden queste erano cose normali. Tuttavia bisogna precisare che, mentre nell’Eden l’uomo era in grado di conoscere e di difendersi da tutti questi mali fisici, nello stato attuale di natura decaduta l’umanità, con le sue sole forze, non è in grado di difendersi sufficientemente né dagli insulti che vengono dai mali fisici e neppure da quelli che provengono dall’agire morale di uomini malvagi o dal demonio. Questa situazione dolorosa è la conseguenza del peccato originale e anche dei nostri stessi peccati. In questo senso sono castighi divini e richiami alla conversione.
Per quanto riguarda la generazione e la corruzione, bisogna dire che nell’Eden c’era una differenza tra la condizione dell’uomo e quella dei viventi inferiori. Questa differenza dipende dal fatto che, mentre l’anima umana è immortale e creata direttamente da Dio, l’anima di quei viventi, essendo un effetto elevato del loro corpo, al momento della morte rientra nella potenzialità della materia. I livelli dell’anima sono i seguenti: sensitiva, animale e spirituale. E mentre l’animale è totalmente corruttibile, nell’uomo si dà la sopravvivenza dell’anima.
Nell’Eden l’uomo poteva godere dell’immortalità, invece i viventi inferiori erano soggetti alla corruzione e alla morte, in quanto servivano per la vita dell’uomo. C’è infine da notare che la morte di per sé sarebbe un fatto naturale anche per l’uomo, composto di anima e corpo, per cui, se i nostri Progenitori erano immortali, ciò non dipendeva dalla semplice natura, ma, come insegna la Chiesa, si trattava di un dono preternaturale, ossia di un dono che perfeziona la natura al di là delle sue capacità, ma d’altra parte non assurge al livello del divino, come è l’ordine del soprannaturale, ossia della grazia, che è partecipazione alla natura divina.
5) Lo stesso Figlio di Dio è presentato nella Sacra Scrittura come Agnello immolato e glorioso fin dall’eternità.
EliminaQueste parole non rispecchiano il testo autentico della Scrittura, ma ne sono una deformazione. Le parole esatte sono le seguenti: “L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato” Ap. 13,8 (cf. https://www.vatican.va/archive/ITA0001/__P10N.HTM).
Quindi non è che l’Agnello sia immolato sin dalla fondazione del mondo, cosa che non ha alcun senso, inquantoché l’Agnello è stato immolato 2000 anni fa a Gerusalemme, nel pomeriggio di un venerdì.
Invece l’Apocalisse intende dire che l’immolazione dell’Agnello è stata progettata da Dio sin dalla fondazione del mondo e, potremmo aggiungere, sin dall’eternità, in quanto Dio è Atto puro ed eterno Presente.
Purtroppo il Padre Giuseppe Barzaghi ha preso fischi per fiaschi, perché ha deformato il testo biblico.
Grazie padre Giovanni per la sua puntuale chiarezza. Volevo dirle che come frutto dei miei studi filosofici e teologi, in questi anni, anche come lavoro di formazione personale, ho scritto un libro che raccoglie mie riflessioni sul tema della verità. E' un lavoro sistematico a cui dato il nome di:" Piccolo trattato sulla conoscenza della verità: la verità delle cose, la verità di Dio, la verità della fede". Non ha la pretesa di una trattazione scientifica ma piuttosto di divulgare un pensiero che ritengo ancora valido, che si rifà alla metafisica classica realista di San Tommaso D'Aquino mettendo al centro e a fondamento della mia trattazione la sua definizione di verità, a mio avviso ancora attuale e mai superata di "adaequatio intellectus ad rem". Un caro saluto.
RispondiEliminaDon Vincenzo Sarracino
Caro Don Vincenzo,
Eliminavive congratulazioni per questo suo prezioso lavoro, che mette in luce una dottrina che è al di sopra del tempo e dello spazio e, nella sua solidità, vale per tutti i tempi e tutti i luoghi, essendo l’espressione dell’universalità del pensiero umano e la condizione spirituale basilare per ogni forma di attività morale e religiosa aperta alla luce della fede e ai valori della vita cristiana.
Carissimo padre Giovanni mi può brevemente esporre in che termini anche l'universo è stato segnato dalla caduta provocata dal peccato originale dei nostri progenitori? Può segnalarmi un suo scritto riguardo questo tema? Grazie e che Dio la benedica per il suo prezioso ministero al servizio di Dio e della Chiesa e della Verità.
RispondiEliminaCaro Don Vincenzo,
Eliminaio credo che le conseguenze del peccato originale, per quanto riguarda il nostro rapporto con l’universo fisico, siano date dalla estrema esiguità delle nostre forze e capacità di controllo della materia, nonchè dai limiti della nostra conoscenza dell’universo, messi a confronto con la vastità sconfinata dell’universo, la presenza in esso di energie dalla potenza incalcolabile, la minaccia sempre incombente di forze ostili provenienti dallo spazio.
Tutto ciò è il segno che col peccato originale abbiamo perduto quella capacità di conoscenza e di dominio sul cosmo, che ci era assicurata nel paradiso terrestre, considerando non soltanto la grande superiorità di forze che possedevamo, ma anche il fatto della nostra immortalità, cose che con la riproduzione della specie umana avrebbero assicurato in brevissimo tempo, grazie anche alla costruzione di perfezionatissimi strumenti tecnici e mezzi di trasporto, il pieno dominio dello spazio fino ai suoi estremi confini, onde sfruttare le sue energie per il nostro benessere fisico e come base per un continuo progresso spirituale.
Teniamo comunque presente che la venuta di Cristo consente all’umanità di risalire dalla situazione di miseria, conseguente al peccato originale e, mediante la vita di grazia, di salire alla condizione di figli di Dio, in tal modo da potere gradualmente non solo recuperare quello che abbiamo perduto, ma vivere una vita soprannaturale come partecipazione alla vita divina, che gradualmente nel corso della storia ci permette una riconquista dell’universo, ma ancor più, come predetto dai profeti, ci concede la speranza nella gloria della futura resurrezione, di fruire di nuovi cieli e nuova terra, dove abita la giustizia.
In questo senso San Paolo dice, in Rm 8, 18-23: “18Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. 19La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 21di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”.
Mi sembrano interessanti, a riguardo, le riflessioni di p. Alberto Strumia a conclusione di un suo scritto dal titolo: “La nostra è l’epoca del peccato contro Dio Creatore” sulle conseguenze del peccato originale anche sulla materia creata.
RispondiElimina“È possibile che la materia come tale e non solamente quella presente nel corpo umano, possa essere veicolo di propagazione del peccato originale che viene contratto dall’anima umana creata direttamente da Dio? Se assumiamo questa prospettiva, la materia risulterebbe indebolita (conseguenza cosmologica del peccato originale) nei confronti della capacità di ricezione di ogni tipo di forma (razionale o irrazionale). La forma irrazionale verrebbe a ricevere solo gli effetti di una ricaduta cosmologia incolpevole, mentre solo l’anima razionale ne riceverebbe anche i caratteri della colpa, proprio in forza della sua razionalità”.
Grazie per la sua attenzione.
Caro Don Vincenzo,
Eliminaconosco molto bene Don Alberto Strumia, un tempo mio caro confratello nell’Ordine. È dottissimo nel campo della fisica, ha anche una notevole preparazione filosofica e teologica; è un sacerdote zelante e di gran fede, per cui le sue considerazioni meritano la massima attenzione. Per questo devo dire che sono pienamente d’accordo con le sue osservazioni, ed anzi le riprendo per precisarle.
Don Alberto osserva che, a seguito del peccato originale, le forze della materia si sono indebolite al punto che l’uomo fatica a trovare nella materia una rispondenza ai suoi bisogni. Io però aggiungerei che per un altro verso le forze della materia e del cosmo sono diventate di una tale violenza che non riusciamo più a dominarle e che, come è noto, ci conducono alla morte e ad immani cataclismi.
Questo fatto fu già a suo tempo rilevato dalle antiche civiltà, in Grecia con Platone e in India con la letteratura vedantica. Cioè, già questi antichi saggi si accorsero che il mondo materiale, si tratti del nostro corpo o si tratti della natura circostante e quindi anche dell’universo cosmico, invece di servire al nostro spirito e di obbedire ai suoi comandi, mostra nei nostri confronti una accanita ed insidiosa ostilità o seduzione.
Davanti a questa situazione, il mondo pagano non riuscì a trovare altro che due soluzioni: o l’edonismo di Epicuro, il quale assolutizza i piaceri materiali, o il dualismo platonico, il quale crede che la libertà dello spirito si ottenga solo liberandosi dal corpo.
In questa situazione drammatica ed angosciosa, tutto sommato contro natura, perché Dio ci ha creati anima e corpo e uomo e donna, è intervenuta la Salvezza che ci ha portato Cristo. Che cosa ha fatto Cristo? Ci ha insegnato a riconciliare lo spirito con la carne, l’uomo con la donna e l’uomo con la natura, mediante una disciplina severa e dolce, la quale, sostenuta dalla grazia, ripara ai dualismi causati dal peccato e, riconciliando l’uomo con Dio, pone la pace e la riconciliazione dovunque prima si trovava conflitto e contrasto.
Carissimo p. Giovanni, desidero porle un problema che io ritengo decisivo per comprendere e dare senso alla nostra esistenza di esseri umani che vivono su questo nostro pianeta che chiamiamo Terra e non solo noi ma anche gli altri esseri viventi e l’intero Universo.
RispondiEliminaLa mia riflessione parte da una prospettiva cosmologica e prende in considerazione l’Universo, così come lo conosciamo, sappiamo che esso non è eterno. La freccia del tempo, che indica il verso in cui possono avvenire i fenomeni, evidenzia come il sistema Universo, che è un sistema isolato, chiuso, evolve spontaneamente verso una maggiore entropia, un maggiore disordine, quindi la direzione dell’universo è portata al disordine, la vita stessa porta verso il disordine perché nel cosmo l’energia tende a distribuirsi dai corpi più caldi a quelli meno caldi e l’entropia aumenta.
Quando tutto l’Universo si troverà alla stessa temperatura (gli scienziati ipotizzano a pochi gradi al di sopra dello zero assoluto), l’entropia sarà massima e nessuna trasformazione sarà più possibile, il sistema universo si troverà in equilibrio mortale e ci sarà la cosiddetta morte fredda dell’Universo.
L’Universo si è evoluto possedendo in sé tutte quelle condizioni e quelle proprietà che hanno permesso la nascita di una forma di vita cosciente ed intelligente: l’uomo. Se accettiamo che l’Universo viene riconosciuto "sintonizzato" sui parametri necessari alla vita, e finalizzato alla comparsa dell'uomo sorgono a questo punto spontaneamente alcune domande: perché se l’Universo contiene in sé, fin dalla sua genesi le chiavi e le leggi per la comparsa della vita e della vita intelligente allo stesso tempo, nel suo DNA questa vita è destinata a scomparire ben presto? A cosa sarebbe servito questo "sforzo evolutivo", questa delicata azione di fragili equilibri, se poi la vita è destinata a spegnersi?
Il segno che il nostro sistema vita, contiene già in sé questo orientamento, è il cosiddetto limite ontologico rappresentato dalla morte, in tutte le sue espressioni, che sperimentiamo in tutta la sua portata e drammaticità esistenziale. L'analisi scientifica può spiegare le modalità con cui questo avverrà, sia a livello personale che cosmico, ma non è in grado di liberare l'uomo dall'idea che nell'evento della morte e nel destino apparentemente ineluttabile della vita nel cosmo, sia contenuto un paradosso che porta con se una contraddizione da sanare.
Ci chiediamo, a questo punto, se esista una via di uscita da questa condizione irreversibile. La via d’uscita non si trova nel sistema che pone il problema, secondo la regola attribuita ad A. Einstein:
"Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo".
La via d’uscita c’è se ci spostiamo dal piano cosmologico al piano della Rivelazione e della fede per affermare che dal mistero del Cristo risorto e dal suo rapporto con l'intera creazione che tale paradosso potrebbe ricevere qualche luce. In un universo cristocentrico la vita e la materia sono destinate a trasfigurarsi, come il corpo di Cristo risorto.
Caro Don Vincenzo,
Eliminaindubbiamente per la semplice ragione umana questa evoluzione dell’universo, che prima sale verso la vita e poi discende verso la morte, resta un fatto inspiegabile e paradossale. E giustamente, come ha detto lei, una risposta luminosa alla domanda che la ragione si pone sul perché di questa tragedia, ci viene dalla rivelazione cristiana, la quale ci parla di una originaria creazione divina dell’uomo e dell’universo, destinata a una vita immortale.
E però sappiamo anche come il peccato ha posto in questa meravigliosa realtà un principio di corruzione e di morte. Ma ecco che la stessa rivelazione ci dà una speranza e la possibilità di una resurrezione, grazie alla forza divina, che ci viene dall’Opera Redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo.
A me piace pensare che Gesù, quando ha detto: “Vado a prepararvi un posto”, abbia inteso guidare i cieli e la terra, che conosciamo, verso i cieli e la terra nuova, che si manifesteranno al momento della Parusia.
Grazie padre.
RispondiEliminaApreciado P. Giovanni, ante todo mi cordial agradecimiento por toda su labor teológica en defensa de la Verdad. Le quería preguntar si tiene noticia de que el filosofo Severino en algún momento pidera a Rahner que le ayudara ante sus dificultades con la autoridad eclesial, aunque Rahner no lo hizo. En algún lugar me suena haberlo leído, pero no lo sé. Disculpe que no le escriba en italiano, pues aunque lo leo y hablo sin problema no quería cometer errores. Muchas gracias por su atención
RispondiEliminaD. Eduardo Vadillo
Caro D. Eduardo,
Eliminasapevo anch’io di quell’episodio, che lei cita, e posso confermarle che le cose sono andate come dice lei. Infatti il sistema di Severino assomiglia molto a quello di Rahner, perché il pensiero di entrambi è una forma di panteismo.
La differenza è data dal fatto che, mentre il panteismo severiniano è di carattere eternalista, perché si basa sul principio parmenideo dell’essere, come essere necessario, e quindi uno ed eterno, Rahner si ispira all’idealismo hegeliano, che è di carattere storicista.
Tantissime grazie padre.
EliminaCarissimo padre Giovanni, ho ascoltato, di recente, un intervento del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo: il dolore innocente: sfida per la fede tenuto alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli. Nel suo intervento il cardinal Ravasi, esordisce affermando che il male e la sofferenza sono strutturali alla creatura umana e che di conseguenza non può essere perfetta altrimenti sconfinerebbe nell’eterno, nell’infinito, nel divino. In questo limite creaturale, Dio è impotente, non può, se deve mantenere il Suo statuto, sapere cos’è il dolore, cos’è la sofferenza, questo lo sa solo la creatura umana. Dio comprende il dolore e la sofferenza quando decide di scendere, di entrare e di assumere su di sé questa condizione, che non è la sua, attraverso l’incarnazione del Figlio. Gesù patisce tutti i mali possibili: la paura della morte, la solitudine, il tradimento degli amici e del popolo, il silenzio del Padre, la tortura, a crocifissione ed infine fa una brutta morte: lanciò un forte urlo e spirò. Il dolore, la sofferenza e la morte è stato attraversato da Dio in Cristo Gesù. Il dolore ora non è più come prima perché al suo interno c’è la presenza di Dio, c’è la sua luce, c’è il germe divino: dopo la passione, la morte c’è la Pasqua, la risurrezione. Dio non ci guarisce dal dolore, ci sostiene nel dolore, ci è accanto nel dolore, ci salva attraverso il dolore.
RispondiEliminaMi dica cosa ne pensa.
Grazie
… ho ascoltato, di recente, un intervento del cardinale Gianfranco Ravasi dal titolo: … questo lo sa solo la creatura umana.
EliminaCaro Vincenzo, ecco il mio commento:
Il male e la sofferenza non sono affatto strutturali alla creatura umana, in se stessa buona e creata da Dio con una sua propria perfezione derivante dalla congiunzione dell’anima col corpo. Se la creatura umana fosse strutturalmente malvagia, bisognerebbe ammettere, come i manichei, che è stata creata da un Dio malvagio. Il che è un’orribile bestemmia. La fede ci dice invece che il male e la sofferenza sono sopraggiunti col peccato originale e vengono tolti dalla grazia della redenzione operante di concerto con le nostre opere di penitenza e di conversione a Cristo.
Ravasi - Dio comprende il dolore e la sofferenza quando decide di scendere … ci salva attraverso il dolore.
EliminaCommento – Dio sa da sempre intellettualmente assai meglio di noi che cosa è il dolore e la sofferenza, senza bisogno che Egli stesso soffra, dato che, essendo purissimo Spirito, è impassibile.
Cristo non ha patito affatto tutti i mali possibili, ma quelli ben determinati, dei quali parla il Vangelo, benché egli come Dio conosca intellettualmente tutti i mali di questo mondo. Non è affatto conveniente dire che Gesù abbia fatto una brutta morte. Meglio dire che fece una morte terribile, ma esemplare. Egli lanciò sì un forte grido ma accompagnato da parole di grande confidenza nel Padre: «nelle tue mani affido il mio spirito».
Vere invece sono queste parole: «Il dolore, la sofferenza e la morte, è stato attraversato da Dio in Cristo Gesù. Il dolore ora non è più come prima perché al suo interno c’è la presenza di Dio, c’è la sua luce, c’è il germe divino: dopo la passione, la morte c’è la Pasqua, la risurrezione». Tuttavia non bastano ad esprimere quale significato Cristo abbia dato alla sofferenza e alla morte.
Le parole che seguono, invece di far luce, oscurano ancor di più il quadro: «Dio non ci guarisce dal dolore». Come sarebbe a dire? Che cosa è venuto a fare Gesù Cristo? Certo, il dolore resta quaggiù. Ma esso è utilizzato qui proprio perché non ci sia di là. Vere invece sono le seguenti: «Dio ci sostiene nel dolore, ci è accanto nel dolore, ci salva attraverso il dolore». I dolori di Cristo ci salvano, ossia tolgono il dolore, il peccato e la morte. Il Cardinale alla fine conclude bene; ma attraverso quali e quanti capitomboli, che stupiscono molto in un cardinale di Santa Romana Chiesa, il quale, come diceva Santa Caterina da Siena, deve essere un cardine ben saldo, non un cardine scardinato.
Carissimo p.Giovanni, grazie per la sua puntuale e chiara risposta all’intervento del card. Ravasi che le ho sottoposto. Purtroppo anche tra i miei confratelli nel ministero sacerdotale è quasi ignorato del tutto il discorso intorno al peccato originale e alle conseguenze della caduta sulla natura umana e sul creato. Certo, il male, la sofferenza la morte stessa non sono strutturali alla natura umana. Lo stesso racconto biblico, prima della caduta, prima che Adamo ed Eva mangiassero del frutto della conoscenza del bene e del male, ci presenta un mondo armonioso, ben ordinato nel quale regnava una profonda comunione tra Dio, l’umanità e tutta la realtà creata. “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.”.
RispondiEliminaCon la caduta, si rompe la relazione e la comunione tra il Creatore e l’umanità, nel Creato avviene una spaccatura, subentra l’imperfezione, l’errore, il disordine, la sofferenza, il dolore, la morte. La stessa nascita di una nuova creatura umana è vissuta dalla donna come un travaglio e la morte, vissuta drammaticamente e dolorosamente. Ma questo è la conseguenza del peccato originale.
Possiamo affermare quindi che l’incarnazione di Cristo, la sua passione, morte e risurrezione sono funzionali alla redenzione e alla salvezza dell’umanità e di tutto il creato, e obbediscono e portano a pieno compimento il progetto di Dio, riportando così l’uomo al suo stato originario: la piena comunione con Dio, recuperando così la pienezza di figli, in un universo totalmente rinnovato e spiritualizzato, in definitiva divinizzato, sotto cieli e terra nuova.
Caro Don Vincenzo,
Eliminala tua esposizione è fatta ottimamente.
Soltanto un punto vorrei notare: è vero che con la grazia di Cristo ricuperiamo le condizioni originarie, ma la misericordia di Dio è sovrabbondata laddove aveva abbondato il peccato, e cioè non si è accontentata di questo recupero, ma in Cristo ci ha donato la figliolanza divina, la quale non è un recupero, ma è l’acquisto di un nuovo stato di vita, ossia la vita in Cristo, che Adamo ed Eva non possedevano. Infatti la loro grazia era semplicemente la grazia di Dio, anche se dobbiamo pensare che adesso come adesso indubbiamente in paradiso godono di quella gloria eterna, che è la pienezza finale di quella grazia di Cristo, che certamente a suo tempo il Padre ha loro concesso.
Grazie di cuore.
RispondiEliminaCarissimo p. Giovanni le riporto la parte conclusiva di un articolo scritto dal prof. Giuseppe Tanzella Nitti dal titolo: Implicazioni filosofiche del paradigma evolutivo e teologia cristiana pubblicato sulla rivista «Humanitas». Il prof. Giuseppe Tanzella Nitti è laureato in Astronomia presso l'Università di Bologna (1977), sacerdote dal 1987 e dottore in teologia (1991), è professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma.
RispondiElimina“La riflessione teologica, è bene ricordarlo, aiuta anche a comprendere la dimensione antropologico-relazionale del mistero del male, quando “illuminato” dalla realtà del peccato, ovvero dal male morale, distanziandosi da quelle visioni che vedrebbero il male nella natura o nella materialità delle cose, come se quest’ultima fosse depositaria di un legame primigenio con esso. Separandosi dalla prospettiva manichea, la teologia cristiana chiarisce che il peccato dell’uomo cambia “lo sguardo” dell’uomo sulla natura, sui suoi simili e sulle cose. Le prime e più pertinenti conseguenze del peccato vanno cercate nell’uomo, non nella natura. Il male fisico non può essere ricondotto tout-court al peccato morale dell’uomo, ma deve ammettere altre spiegazioni. Nel male fisico c’è anche l’espressione del limite e della finitezza propri della creaturalità, non come privazione, ma come desiderio di una trascendente compiutezza. L’incarnazione ed il mistero pasquale di Gesù Cristo sono anche il dono gratuito con cui Dio creatore consente alla creatura di superare il suo limite, un limite che non poteva non avere in quanto creata”.
L’autore, se non ho capito male distingue il male morale dell’uomo causato dal peccato originale dal male fisico strutturale presente nell’uomo e nella natura in quanto creature finite e incompiute. Il limite, la finitezza sarebbero quindi congenite, originali e sono causa del male fisico e non dipendono dal male morale causato dall’uomo in quanto peccatore.
Grazie.
Caro Don Vincenzo,
Eliminala natura del male fu a suo tempo esaminata da Aristotele, il quale definì il male una privazione (steresis). La filosofia scolastica l’ha definita privatio boni debiti, ossia la carenza o la mancanza di un bene, che ci dovrebbe essere, ma non c’è. La filosofia morale ha in seguito distinto male di pena e male di colpa. Il primo tipo di male è il dolore o la sofferenza. Il secondo è la malvagità della volontà.
Per quanto riguarda la questione dei limiti della natura umana, occorre distinguere l’anima dal corpo. L’anima è certamente una forma limitata, tuttavia è immortale. Per quanto riguarda il corpo bisogna fare due considerazioni: il corpo in se stesso e il corpo in rapporto all’anima. Seguo qui il pensiero di San Tommaso.
Il corpo come tale, essendo composto di elementi che tendono alla conflittualità reciproca, è naturalmente mortale. Quindi qui abbiamo un limite naturale che è contemporaneamente difettivo. Infatti il corpo era immortale nell’eden solo grazie a un dono preternaturale. Col peccato originale abbiamo perduto questo dono e quindi siamo diventati mortali.
Ma c’è da fare la seconda considerazione: il corpo in relazione all’anima. Da questo punto di vista c’è l’esigenza dell’uomo di vivere per sempre. Essa è motivata dal fatto che egli possiede un’anima immortale e d’altra parte la natura umana non sarebbe completa senza il corpo. Qui siamo davanti a dei limiti naturali, che nulla hanno a che vedere col problema del male.
E’ vero che c’è in noi una aspirazione a superare questi limiti, ma essa non è motivata dal fatto che questi limiti siano un male, ma essa proviene da Dio, il Quale intende innalzare la nostra natura ad una vita soprannaturale.
Grazie per la sua risposta sempre chiara e puntuale.
RispondiEliminaCarissimo p. Giovanni desidero farle una domanda, forse un po’ ingenua, per avere un chiarimento sulle parole pronunciate da Gesù sul “Giudizio universale” riportato dal vangelo di Matteo. ( Mt 25, 45-46)
RispondiElimina“Allora il re risponderà: - In verità, vi dico: tutto quel che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l'avete fatto a me. E questi andranno nella punizione eterna mentre i giusti andranno nella vita eterna”.
Quando Gesù parla così si rivolge a tutta l’umanità: “Tutti i popoli della terra saranno riuniti di fronte a lui ed egli li separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dalle capre: metterà i giusti da una parte e i malvagi dall'altra”. Da queste parole si può dedurre che se un uomo o una donna, indipendentemente dal proprio credo ed anche se atea, in vita però si è dimostrata accogliente verso gli altri specie verso i più deboli gli esclusi e gli emarginati, si è presa cura dei poveri, li ha vestiti e li ha sfamati, essi saranno considerati giusti da Dio e degni di ricevere in premio la vita eterna? Basta questo per meritare il Paradiso? Oppure è necessario e decisivo per la salvezza riconoscere, in questi “piccoli fratelli”, il volto e la presenza di Cristo, quindi un atto di fede? Altrimenti mi sembra di capire che ci si può salvare anche non facendo un’esplicita professione di fede in Dio, nel Suo Figlio unigenito, Salvatore e Redentore e nella Chiesa.
Grazie.
Caro Don Vincenzo,
EliminaGesù Cristo, elencando le opere buone compiute dalle persone alle quali egli si riferisce, sottintende che esse hanno agito in grazia di Cristo, il che suppone il possesso delle tre virtù teologali. Infatti queste sono le condizioni per potersi salvare. Tuttavia il possesso della fede può essere semplicemente implicito.
Invece, chi è veramente ateo, cioè odia Dio, non può esercitare un autentico amore del prossimo.
Grazie.
RispondiEliminaDESCRIZIONE DELLA “SIGNORA VENUTA DAL CIELO” FATTA DAI PICCOLI VEGGENTI DI FATIMA.
RispondiEliminaNavigando su Internet per riprendere i contenuti delle apparizioni ai tre pastorelli di Fatima anche in riferimento alla recente consacrazione della Russia e dell’Ucraina al cuore Immacolato di Maria mi sono imbattuto in una serie di articoli che risalgono al 2017 che riporto integralmente. Mi dica se ne è a conoscenza e che cosa ne pensa dato che nella prima apparizione della “Signora venuta dal cielo” la “Signora” viene descritta diversamente: “Il suo vestito fatto di luce e bianco come la neve, aveva per cintura un cordone d’oro; un velo merlettato d’oro le copriva il capo e le spalle, scendendo fino ai piedi come un vestito; dalle sue dita portate sul petto in un atteggiamento di preghiera, penzolava il Rosario luccicante con una croce d’argento, sui piedi erano poggiate due rose”.
Il 14 giugno 1917 don Manuel parla con i bambini che dicono da tempo di vedere la “signora che viene dal cielo”: la notizia si era già sparsa e sempre più persone arrivavano nel paesino portoghese per venerare la Madonna.
Il parroco decide di parlare con loro e si fa descrivere le apparizioni e soprattutto il modo in cui era vestita questa signora. La prima testimonianza è quella di Lucia, la più grande, che parla di un “mantello bianco che dalla testa arrivava fino al fondo della gonna, era dorato dalla vita in giù, da catenine che l’attraversavano” ma soprattutto di una “gonna tutta bianca e dorata” che arrivava solo al ginocchio. In più, indossava “una giacca bianca non dorata, e tra le mani solo due o tre collane. Non aveva scarpe, aveva calze bianche. Al collo aveva una catena d’oro con una medaglia sul petto. Aveva le mani giunte, portava alle orecchie dei bottoni molto piccoli. Aveva gli occhi neri, era di altezza media”.
Lo stupore del parroco aumenta quando anche la cuginetta Giacinta la descrive con lo stesso abbigliamento: calze bianche, senza scarpe e “un abito tutto dorato”, con “la gonna era bianca e tutta dorata e le arrivava al ginocchio”, una “giacca bianca, anch’essa dorata, e un mantello bianco”. Uguali le parole di Francisco, che conclude: "Era molto bellina".
Sia don Manuel che altri religiosi corsi nella cittadina portoghese furono perplessi: una donna con la gonna sopra il ginocchio nel 1917 non si era mai vista. Tutti questi particolari si leggono sui documenti delle apparizioni, conservati presso il Santuario di Fatima. In particolare, il dottor Manuel Nunes Formigão, membro della Commissione Canonica per lo studio degli avvenimenti di Fatima, dichiarò: "Nostra Signora non può apparire vestita in un modo che non sia il più decente e modesto possibile. Il vestito dovrebbe scenderle fino ai piedi. Il contrario costituisce la difficoltà più grave da opporre alla soprannaturalità dell'apparizione, e fa sorgere nell'animo il timore che si tratti di una mistificazione, ordita dallo spirito delle tenebre". Suor Angela Coelho, postulatrice della causa di santificazione di Giacinta e Francisco, disse: "Don Manuel spiegò ai bambini che la Madonna non poteva essere vestita in un modo da suscitare scandalo e così si decise di rappresentare la Vergine secondo l'iconografia ufficiale".
Caro Don Vincenzo,
Eliminaquesto racconto mi ha lasciato piuttosto perplesso.
Vedo che sono citati dei testimoni, come il parroco e la postulatrice, quindi è una cosa da prendere in considerazione. Ma potrebbe trattarsi di una descrizione falsa.
Tuttavia l’immagine ufficiale, legata al riconoscimento dell’autenticità delle apparizioni fatto dalla Chiesa, non può non rappresentare un dato autorevole, appunto per questo legame con quel riconoscimento.
Quindi io ritengo allora che è meglio accantonare questi dati e mantenere l’immagine che è legata all’approvazione della Chiesa.
Perfettamente d'accordo. Grazie padre.
RispondiEliminaCarissimo p. Giovanni in uno dei miei precedenti commenti, le accennavo di un mio lavoro personale frutto di un impegno che mi sono preso nell’ambito della formazione permanente che ciascun sacerdote dovrebbe sentire come una necessità costante di formarsi nell’ambito spirituale, filosofico, teologico, pastorale ed umano.
RispondiEliminaDa anni, fin dall’inizio del mio percorso filosofico e teologico in preparazione all’ordinazione e all’esercizio del mio ministerosacerdotale, mi ha sempre affascinato l’approccio filosofico alla conoscenza della verità accompagnato dalla questione del senso, che rimanda al mistero della vita, e che misi a tema nella mia tesi di licenza in Teologia Pastorale.
Nel tempo ho maturato la convinzione che la porta d’ingresso alla conoscenza consiste in un atto di obbedienza alla verità che permette all’uomo attraverso l’intelligenza e la volontà di giungere ad una conoscenza consapevole della realtà nella quale vive ed opera, perché l’oggetto della conoscenza è la realtà e le idee sono i mezzi e gli strumenti per conoscerla e formulare teorie. La via per giungere ad una conoscenza vera è l’apertura dell’intelletto al reale nella famosa formulazione di San Tommaso d’Aquino adaequatio intellectus et rei. È l’obbedienza alle verità delle cose che dà la certezza del sapere, che apre alla verità sull’io, sugli altri soggetti come me, sul mondo e su Dio.
La verità del realismo è il conformarsi del soggetto alla realtà per cui l’oggetto di un’autentica metafisica realista non è l’io, il soggetto pensante, il pensiero, l’essere, ma è l’ente primum cognitum che sta davanti al soggetto conoscente per essere conosciuto e che mi permette di riconoscermi come un io che pensa e che conosce.
Qualsiasi tipo di conoscenza e l’analisi empírica conseguente richiede come presupposto che gli enti materiali esistano, ed esistano secondo la loro natura specifica. Le nozioni di “essere” e di “essenza/natura”, proprie della filosofia della natura, sono presupposti indeducibili dall’interno del metodo delle scienze naturali, che rendono tuttavia la scienza possibile.
Quindi la conoscenza ha come punto di partenza la realtà che ci circonda, di un mondo che non poniamo noi ma che riconosciamo come dato, presente alla nostra intelligenza pronto per essere indagato e conosciuto. Conoscendo scopriamo che il nostro io è dotato di una mente e comprendiamo così che siamo soggetti pensanti e conoscenti.
Pertanto al mio lavoro, a cui ho dato il titolo: Piccolo trattato sulla conoscenza della verità: la verità delle cose, la verità di Dio, la verità della fede, quest’anno ho aggiunto un’altra parte dal titolo: la verità della Redenzione per terminare con una parte dedicata all’escatologia.
Il mio non è un trattato scientifico, non ne avrei le competenze, il mio scopo è semplicemente divulgativo per offrire alle nuove generazioni, e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, come scrivo nella mia introduzione: “Un orientamento certo e sicuro per iniziare un vero ed autentico cammino che impegni la nostra intelligenza e la nostra volontà a penetrare e conoscere la Verità e realizzare così pienamente il nostro essere umano che trova nella verità di Dio il suo pieno e definitivo compimento”.
Grazie p. Giovanni per il suo prezioso lavoro perché, sono convinto, come scriveva A. Rosmini, “Solo grandi uomini, formano grandi uomini”.
Caro Don Vincenzo,
Eliminami complimento vivamente per questa sostanziosa sintesi di gnoseologia orientata alla pastorale. Sono certo che il suo lavoro, estremamente utile, farà un gran bene, soprattutto ai giovani, perché è in questa età che la mente, ancora non formata, ha una tendenza ad oscillare tra il vero e il falso, per cui trova difficile assumere una direzione certa e sicura, che possa servire da base di lancio per la vita, per la condotta morale, per l’acquisto delle virtù e per la conquista del regno di Dio.
La sua è un’ottima esposizione, con un linguaggio chiaro e preciso e stringenti nessi logici, che avvincono la mente con dolcezza alla verità, mentre la volontà, avvertendola come il suo bene, è stimolata a metterla in pratica e a cercarla sempre di più fino al conseguimento finale della visione beatifica.
Se crede e se lo gradisce la autorizzo a pubblicare nel suo libro queste mie parole, a modo di presentazione, con la mia firma e la data di oggi.
Grazie di cuore p.Giovanni.
RispondiEliminaCaro Padre Giovanni,
RispondiEliminaho appena finito di leggere sull’ultimo numero de “La Civiltà cattolica”, il seguente articolo a firma di Thomas G. Casey:
https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-forza-della-famiglia/
In almeno due punti il discorso del gesuita mi risulta davvero inaccettabile. Il primo è questo:
“Il libro della Genesi ci dice che l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne. Dal libro della Genesi sappiamo anche che quella sorprendente unità non durò a lungo: quando Adamo ed Eva si ribellarono a Dio, anche l’armonia tra loro ne fu incrinata. Per molte persone, l’idea che due divengano uno per tutta la vita è del tutto irrealistica, una vera e propria chimera. Anche quando Gesù ha parlato di matrimonio che dura per sempre, i suoi discepoli l’hanno considerato una realtà praticamente impossibile da accettare; e ritenevano più opportuno non sposarsi affatto (cfr Mt 19,10)”.
Casey insinua il dubbio, tentando di suffragarlo con la Scrittura, che non possiamo come cristiani pretendere che un matrimonio duri davvero per sempre: in fondo, già la prima coppia umana era entrata subito in crisi, e le stesse parole di Cristo furono sin da subito recepite come irrealizzabili, per cui possiamo, tutt’al più, ritenerle un ideale a cui tendere, a cui provare ad avvicinarcisi, ma accettando che, realisticamente, in un gran numero di casi ciò non sarà possibile. La reazione di grande stupore dei discepoli, alle parole di Cristo sull’indissolubilità del matrimonio, che li porta a dire: “Se tale è la condizione dell’uomo verso la donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10), ci testimonia che essi capirono in senso assoluto l’insegnamento di Gesù, e non nel senso, ad esempio, della scuola di Shammai dell’epoca che permetteva il divorzio in caso di adulterio. Altrimenti non si sarebbero stupiti.
Casey invece utilizza quella frase del Vangelo di Matteo per insinuare nella mente del lettore, pur senza ammetterlo chiaramente (come da tradizionale furbizia gesuitica), che un conto è ciò che propone il Signore, un altro quello che realisticamente possiamo riuscir a fare.
Ma è in quest’altra frase che il nostro autore raggiunge forse l’apice della mistificazione della Scrittura in chiave misericordista:
“Vediamo nuove configurazioni relazionali di coppie dello stesso sesso che accolgono bambini con l’aiuto di madri surrogate o padri donatori di sperma. Nonostante forzino alcuni confini morali importanti, queste «famiglie» alternative sono tanto modellate sulla famiglia tradizionale che, paradossalmente, attestano la nostra nostalgia per il modello familiare tradizionale”.
In appena quattro righe, Casey è riuscito a dire:
1) Nonostante nel libro della Genesi sia scritto “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro “siate fecondi e moltiplicatevi […] Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 1, 27 – 28; 3, 24), due uomini o due donne che abbiano rapporti carnali tra di loro ed “accolgano” dei bambini con loro, non commettono un chiaro peccato contro-natura in contrasto con il progetto di Dio ma, assai più venialmente, si limitano a “forzare” (nemmeno a violare) alcuni confini morali.
2) In fondo anche questi matrimoni o convivenze arcobaleno prendono come modello la famiglia tradizionale, anche queste coppie gay/lesbo esprimono nostalgicamente il loro desiderio per la tradizione, come tutti noi, e dunque dovremmo ravvisarvi un valore positivo.
3) Casey si guarda bene dall’usare quelle “odiose” espressioni come “utero in affitto” … non bisogna nemmeno sospettare che dietro tutto questo ci possano essere anche loschi interessi, si tratta solo di “madri surrogate” e padri che generosamente “donano” il loro sperma.
Mi fermo qui, francamente non saprei trovare parole adeguate per una correzione fraterna. Potrebbe, cortesemente, farlo lei Padre Giovanni?
Caro Bruno,
Eliminaeffettivamente il peccato originale ha portato come conseguenza il contrasto tra l’uomo e la donna, contrasto però che non ha distrutto completamente la naturale propensione dell’uno verso l’altra nella prospettiva di una unione stabile. È vero tuttavia che la natura ferita dal peccato originale non può guarire senza la grazia, per cui l’unione coniugale tra uomo e donna diventa stabile solo in forza del soccorso della
grazia.
Per questo Cristo ci comanda di non dividere l’uomo dalla donna, perché Dio vuole che siano uniti, e siccome i comandamenti di Dio sono fatti per la felicità umana, dobbiamo essere certi che Dio, affinchè possiamo essere felici, non ci comanda l’impossibile a patto che confidiamo nel potere della sua grazia.
Per quanto riguarda il contrasto tra Adamo ed Eva conseguente al peccato originale, Casey confonde questo contrasto con una da lui supposta dissoluzione del loro matrimonio, cosa che non risulta assolutamente ed anzi dobbiamo pensare che siano rimasti assieme per tutta la vita, perché esistevano solo loro due. Questo fatto si può applicare a tutti i matrimoni nel corso della storia. Vale a dire che in ogni caso il fatto che uomo e donna abbiano difficoltà di rapporto non impedisce affatto l’indissolubilità del matrimonio.
Per quanto riguarda la reazione di Pietro alle parole di Gesù che condannano il divorzio, possiamo effettivamente pensare che Pietro non avesse ancora quella maturità spirituale da comprendere le parole del Signore. Per questo Gesù risponde a Pietro facendo presente che non tutti possono capire questo comando. È sottinteso peraltro che solo col soccorso della grazia la coppia può stare unita per tutta la vita.
Vorrei ricordare, per inciso, che le parole di Pietro, secondo una certa interpretazione tradizionale, sono state intese in riferimento alla vocazione religiosa, nel senso che Pietro aveva inteso dire che è meglio non sposarsi in quanto la vita religiosa è una cosa preferibile. In questo contesto le parole del Signore “Non a tutti è dato comprendere” era intesa nel senso che la vocazione religiosa è riservata solo ad alcuni. Ma dobbiamo riconoscere – e qui P. Casey ha ragione – che questa è solamente una interpretazione accomodatizia.
Per quanto riguarda la questione delle unioni omosessuali, credo si possa dire, come sostiene Casey, che in queste coppie si può apprezzare il desiderio di imitare la famiglia naturale dedicandosi a educare dei figli adottivi. Tuttavia resta in queste coppie il grave difetto oggettivo della mancanza di una armonia naturale fra i due partners.
Questa situazione oggettiva deficitaria non comporta necessariamente che i due vivano in stato di peccato, per il fatto che è sempre loro concesso praticare il sacramento della penitenza e quindi possono vivere in grazia.
È chiaro che non si possono chiamare genitori, perché non hanno generato i figli, ma bisognerà utilizzare qualche altro appellativo, come per esempio formatore o educatore. Quanto ai bambini, si potrà concedere di parlare di papà o di mamma.
Questa situazione oggettivamente anormale non impedisce alla coppia di fornire ai bambini una educazione decente, purché essa metta in chiaro che l’unione dei due non è di tipo matrimoniale, spiegando ad essi che la materia del sacramento del matrimonio è l’unione di un uomo con una donna. Quindi, anziché di sposi si parlerà di conviventi.
Un’ultima osservazione. Dobbiamo certamente notare che, se la coppia intende procurarsi un figlio mediante la fecondazione artificiale, questo è un atto moralmente illecito.
Per quanto riguarda il problema di correggere l’Autore, mi sembra sufficiente quello che ho detto.
Lei scrive:
Elimina«Questa situazione oggettiva deficitaria non comporta necessariamente che i due vivano in stato di peccato, per il fatto che è sempre loro concesso praticare il sacramento della penitenza e quindi possono vivere in grazia».
Dunque, lei immagina una coppia omosessuale che conviva come se fossero due fratelli/amici o due sorelle/amiche e, qualora dovessero cadere nel peccato carnale, potranno sempre ricorrere al sacramento della penitenza?
Ma una coppia del genere è piuttosto “teorica”.
Nella realtà, direi nella quasi totalità dei casi, la coppia omosessuale decide di convivere con lo scopo di avere, oltre ad un legame sentimentale, dei rapporti sessuali carnali. In altre parole, il peccato di sodomia non costituisce un evento eccezionale, né un accidente per la coppia omosessuale convivente, ma un aspetto sostanziale del loro progetto di vivere insieme. Del resto, se la loro intenzione di astenersi da rapporti sessuali fosse sincera, eviterebbero proprio di andare a convivere, cioè di esporre la loro umana fragilità, che possiede quella particolare inclinazione, ad una situazione che faciliterebbe oltremodo la caduta (esattamente il contrario del “prometto… di fuggire le occasioni prossime di peccato”).
Lei ha inoltre scritto:
«si può apprezzare il desiderio di imitare la famiglia naturale dedicandosi a educare dei figli adottivi […] Questa situazione oggettivamente anormale non impedisce alla coppia di fornire ai bambini una educazione decente, purché essa metta in chiaro che l’unione dei due non è di tipo matrimoniale».
Anche in questo caso, mi viene da domandarmi se lei, in questo commento, abbia voluto cimentarsi in un esercizio puramente teorico, o se davvero intenda prendere in considerazione la realtà fattuale.
Il fatto stesso che due persone del medesimo sesso si pongano nei riguardi del bambino come i “due” papà o le “due” mamme, ovvero gli trasmettano come “normale”, una perfetta contraddizione alla natura e alla logica, non è già questa una forma di violenza verso quel bimbo?
Il fatto stesso che i due, alla presenza del bambino, manifesteranno la loro complicità, la loro reciproca attrazione, magari anche con qualche effusione non proprio amicale… non è già questa una forma di violenza?
Oppure lei immagina che in presenza del bambino, i due omosessuali si comporteranno rigorosamente e irreprensibilmente come due amici o come due sorelle?
Figuriamoci… se hanno deciso di andare a convivere insieme significa, evidentemente, che hanno accolto in pieno il pensiero LGBTQ, per cui l’omosessualità, lungi dall’essere una tendenza disordinata della sessualità umana (come dice il Catechismo), ne è invece una variante naturale, e dunque perché dovrebbero nascondere questo fatto proprio al bambino, da essi desiderato, e che vogliono far partecipare al loro sodalizio?
Non è realisticamente pensabile che l’adozione di bambini, da parte della coppia omosessuale, non si traduca, quasi inevitabilmente, in intenso indottrinamento LGBTQ nei riguardi del minore adottato, reso ancor più efficace e suadente, proprio dal contesto di quell’”amorevole prendersi cura” in cui lo stesso minore viene a trovarsi immerso.
Sarebbe del tutto inappropriato, in questi casi, ricordare Mt 18, 6?
Caro Bruno,
Eliminarispondo al suo intervento per partes.
Alla prima osservazione direi così. Mi pare evidente che, se i due vogliono vivere assieme, un motivo essenziale è la fruizione del godimento sessuale, benchè illecito. Si può avanzare l’ipotesi che essi, ingannati da false idee, credano di non fare peccato e di vivere una vita normale, magari diversa da quella degli eterosessuali.
Può succedere, però, che in un secondo momento prendano una maggiore consapevolezza, vivano un cammino di conversione e giungano a una scelta di castità. Non sempre però è possibile sciogliere i legami precedenti per motivi indipendenti dalla loro volontà, o cause di forza maggiore di carattere economico, sanitario, giuridico. In questo caso, non cambia la situazione o lo stato esterno, visibile a tutti, ma cambia la condotta morale e la loro condizione davanti a Dio nel senso che, se peccano, hanno delle attenuanti.
Ad ogni modo, volendo essere realisti, dobbiamo riconoscere che avranno rapporti sessuali. In tal caso può benissimo entrare in funzione la misericordia divina, come per qualunque altro peccato. Ma, a quali condizioni? Esse sono ben note: il pentimento, la confessione dei peccati, il proposito di non commetterlo più, di fuggire le occasioni e di fare penitenza. Nel caso che fossero privi della grazia per essere caduti nella colpa mortale, essi a queste condizioni, anche se non trovano un confessore, possono benissimo recuperare la grazia. E anche se dovessero peccare spesso, se ogni volta osservano queste sante pratiche, ogni volta risorgere dal peccato alla grazia.
Questo suppone la distinzione tra l’inclinazione a peccare, il peccato e lo stato di peccato o di colpa. L’inclinazione a peccare è condizione comune a tutti i figli di Adamo. Questa semplice inclinazione non dice ancora necessariamente che noi pecchiamo, perché il peccato è un atto del libero arbitrio. Tuttavia, data questa nostra fragilità, prima o poi cadiamo nel peccato almeno veniale. Una volta che il peccatore ha peccato, l’anima si trova in uno stato di peccato o di colpa. A questo punto può intervenire ancora il libero arbitrio, il quale può interrompere questo stato di peccato, chiedendo perdono a Dio ed eseguendo le pratiche connesse con la liberazione dal peccato. A questo punto l’anima torna in grazia.
Occorre inoltre tener presente che, benchè il peccato di sodomia sia oggettivamente grave, se i due sono sopraffatti dalla passione, la colpa da mortale si abbassa a veniale, sicchè a queste condizioni la confessione non è più neppure necessaria, ma è sufficiente la pratica penitenziaria tradizionale.
La questione, riguardante l’educazione del bambino, che lei suscita è molto importante e molto delicata. Non c’è dubbio che la coppia non può fare l’apologia della sua convivenza, per cui è tenuta a spiegare al bambino che essa è nata da un amore al quale la coppia non ha potuto fare a meno, ma che non corrisponde a quella propensione naturale che Dio ha posto tra l’uomo e la donna.
EliminaInoltre la coppia dovrebbe dimostrare al bambino un certo dispiacere di trovarsi in queste condizioni e chiedere comunque al bambino di amare le due mamme o i due papà. Per attirare l’affetto del bambino, la coppia dovrebbe mostrargli tutto l’affetto e le premure delle quali è capace. Con la parola amore la coppia deve spiegare al bambino e mostrarlo con i fatti che non si riferisce al piacere fisico, che essa prova come coppia omosessuale, ma alla volontà di volere il bene dello stesso bambino.
È chiaro invece che, se la coppia fa una esaltazione della sodomia e del genderismo e ne è consapevole, pecca gravemente, per cui l’educazione che dà al bambino sarà sbagliata e sarà di grave danno allo sviluppo psicologico e morale del minore.
Lei ha scritto:
RispondiElimina«Non sempre però è possibile sciogliere i legami precedenti per motivi indipendenti dalla loro volontà, o cause di forza maggiore di carattere economico, sanitario, giuridico. In questo caso, […] se peccano, hanno delle attenuanti […] se i due sono sopraffatti dalla passione, la colpa da mortale si abbassa a veniale, sicchè a queste condizioni la confessione non è più neppure necessaria, ma è sufficiente la pratica penitenziaria tradizionale».
Dunque, a una coppia omosessuale “cattolica” conviene, dapprima instaurare un legame giuridico-economico, di modo da conseguire l’alibi per non potersi separare e beneficiare da subito di attenuanti in caso rapporto carnale; poi, una volta compiuto l’atto, basta riconoscere che si è stati sopraffatti dalla passione, pentirsi privatamente, e il giorno dopo ricominciare esattamente questa stessa routine, che potrà tranquillamente continuare per sempre.
Non crede, Padre Giovanni, che così avremmo fornito alle coppie omosessuali la ricetta per poter “salvare capra e cavoli”, ovvero da un lato, continuare la pratica peccaminosa della sodomia, dall’altro rientrare subito dopo in comunione con la Chiesa?
Non le sembra di ravvisare un abuso, da parte di noi uomini, della misericordia del Signore?
Un certo protestantesimo non si è mai fatto scrupolo di criticare, con non poco disprezzo, i cattolici, come coloro che “coltivano i propri vizi, tanto poi si confessano, e riprendono a commettere esattamente gli stessi peccati, come se la misericordia del Signore fosse sempre a loro servizio, quando gli torna comodo. Il trionfo dell’ipocrisia”.
Certo queste parole ci appaiono come una livorosa parodia o caricatura del significato del sacramento della Riconciliazione, epperò la routine, da lei prospettata, anche se certamente non è nelle sue intenzioni Padre Giovanni, non finisce per andare proprio in quella direzione, persino evitandogli l’incombenza di andare a confessarsi?
Peraltro, quale coppia omosessuale non sottoscriverebbe che ha ceduto al richiamo della carne perché “sopraffatta dalla passione” (tanto più che, immagino, l’amplesso tra due maschi sia anche doloroso)?
Inoltre, l’aspetto del cedere alla passione può valere anche per l’adulterio in una coppia eterosessuale.
L’unica eccezione potrebbe essere chi l’ha fatto per denaro, cioè si è prostituito.
Possibile che basti ritenersi “sopraffatti dalla passione” affinché il peccato contro il sesto comandamento venga automaticamente derubricato da mortale in veniale?
Possibile che per quello che il Catechismo tuttora annovera tra i «peccati che gridano verso il cielo» (CCC 1867), basta che sia avvenuto con gran passione, perché non necessiti del sacramento della Riconciliazione per essere emendato?
Caro Bruno,
Eliminaquesta ipotesi, che io presento, non va interpretata nel senso che i due comincino con l’organizzare uno stato di vita economico e giuridico e poi passino a vivere insieme. In realtà le cose non vanno così, ma avviene l’inverso. L’inizio della loro relazione è costituito dal rapporto sessuale e dalla volontà di vivere assieme.
A questo punto possono capitare due cose: o a seguito di una resipiscenza i due si lasciano, oppure ci può essere il caso che la relazione ha una durata anche di anni. In questo caso inevitabilmente la relazione riceve una sistemazione giuridica nel campo civile ed economico di carattere stabile, la quale consente alla coppia di vivere e di svolgere una certa attività lavorativa.
Teniamo presente che compito dello Stato non è quello di dare una formazione morale ai cittadini. Questo è compito della Chiesa. Certo lo Stato dev’essere custode anche di un clima civile dignitoso, ma non è qualificato a dare una guida nella condotta sessuale. È chiaro che deve difendere la famiglia; tuttavia è tenuto anche a tollerare forme di sessualità che sono estranee alla vita familiare.
Il caso che io propongo è il secondo di questi due casi, vale a dire una situazione nella quale i due sono talmente condizionati dai legami giuridici e/o economici che non potrebbero lasciarsi senza danni irreparabili, come per esempio rimanere senza alloggio, senza assistenza sanitaria o cose simili. È evidente che in questa situazione, anche volendo, i due non si possono lasciare.
E così passiamo al secondo punto, cioè il problema della conversione. Di ciò ha già parlato l’Amoris Letitiae. Nell’ipotesi che i due si piacciano, cosa facilmente immaginabile, giacchè per quale altro motivo si sono messi insieme, se non per fruire di questo piacere illecito? A questo punto ci sono due possibilità: o i due sono cattolici o non lo sono oppure uno è cattolico e l’altro non lo è.
La grande discussione tra noi cattolici riguarda soprattutto il problema del cammino di conversione della coppia, della quale almeno uno è cattolico. Cosa devono fare? È cosa ben nota che la passione violenta, in una volontà debole, vince la volontà anche se l’atto rimane libero, ma è chiaro che non ci può essere il pieno consenso, che è richiesto per la colpa mortale. Per questo ho detto che la colpa si abbassa a veniale.
Allora, in questo caso, che cosa possono fare e devono fare? Ottenere il perdono di Dio. In che modo? Confessandosi a Dio. Nel caso di colpa mortale occorre il sacramento della penitenza; invece la colpa veniale, come per tutti gli altri peccati veniali, può essere tolta mediante una pratica penitenziale personale, come per esempio il Confiteor della Santa Messa.
Occorre ribadire con la massima fermezza, come ha fatto anche Papa Francesco, la gravità della materia del peccato di sodomia. Occorre però anche tener presente che la passione (sessuale, ira, panico, gola, e simili) è un moto dell’appetito sensitivo, il quale, se non è moderato dalla retta ragione, soprattutto nei giovani, può assumere una tale forza costrittiva da accecare la ragione e quindi da far compiere atti irragionevoli, che il soggetto non compirebbe se fosse pienamente padrone di se stesso.
EliminaOra, la responsabilità dei nostri atti, buoni o cattivi, dipende dal fatto che noi li abbiamo compiuti deliberatamente, cosa che non avviene in questi casi, nei quali il soggetto è spinto dalla passione o cede alla passione.
Per comprendere cosa si intende per “passione”, si può consultare la dottrina tomista in merito. Vedi per esempio le lezioni del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP: http://www.arpato.org/corso_passioni.htm .
Vedi anche il trattato sui vizi capitali e sulle passioni del CCC dal n. 1762
https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s1c1a5_it.htm .
Occorre inoltre ricordare la differenza tra la passione o appetito sensitivo e la volontà o appetito intellettivo.
La prima l’abbiamo in comune con gli animali, ma può influire anche nei nostri pensieri, sia positivamente che negativamente. La seconda invece costituisce l’appetitività propria della persona umana, basata sulla conoscenza intellettuale, appetitività che può essere rafforzata da una sana passione.
Occorre inoltre ricordare la maggiore gravità dal punto di vista della materia, come ha fatto il Papa di recente, dei peccati spirituali nei confronti di quelli carnali. I primi, come per esempio la superbia, l’invidia e l’accidia, sono più gravi perché impegnano maggiormente la volontà, che è l’organo del peccato. Mentre i secondi sono certamente atti turpi, tuttavia, essendo più condizionati dalla passione, anche se possono costituire colpa grave, sono moralmente in linea di massima meno gravi.
Per quanto riguarda il problema dell’ipocrisia, che approfitta di un certo misericordismo di tipo luterano, non posso che essere d’accordo, perché io sono un nemico giurato dell’ipocrisia. Tuttavia facciamo attenzione. Non siamo troppo facili a giudicare: è possibile che il discorso sulla passione sia una scusa per poter peccare liberamente; tuttavia è altrettanto possibile, con l’ignoranza spaventosa che c’è in giro oggi e gli errori che si trovano anche in certi moralisti, che il soggetto, ingannato da idee false, creda che la sodomia non sia peccato, ma semplicemente un “diverso orientamento sessuale”.
Lei ha scritto:
RispondiElimina«Non c’è dubbio che la coppia non può fare l’apologia della sua convivenza, per cui è tenuta a spiegare al bambino che essa è nata da un amore al quale la coppia non ha potuto fare a meno, ma che non corrisponde a quella propensione naturale che Dio ha posto tra l’uomo e la donna. Inoltre la coppia dovrebbe dimostrare al bambino un certo dispiacere di trovarsi in queste condizioni».
Mi perdoni, ma sono costretto a ripetermi: quale coppia omosessuale, di cui qualcuno abbia notizia, comunica al bambino che hanno voluto, che l’amore che li unisce “non corrisponde a quella propensione naturale” voluta da Dio e che tale condizione è fonte per loro di un certo dispiacere? Io non ho mai sentito, né letto di casi del genere.
Ora lei potrebbe ribattermi che, in teoria potrebbero esistere, e dunque il solo fatto della loro possibilità teorica di esistenza dimostrerebbe che sono possibili modalità di relazione coppia gay-bambino che, se pur non raccomandabili, quantomeno non costituiscono un grave peccato nei riguardi del minore.
Ma a questo punto le chiedo: ma è proprio così doveroso, così impellente, per il teologo morale prodigarsi nella ricerca del caso super eccezionale… al fine di dimostrare che, in generale, non si possa affermare l’intrinseca immoralità o anti-cattolicità della cosiddetta “famiglia omogenitoriale”, ma così facendo, di fatto favorire il progresso dell’agenda LGBTQ all’interno della Chiesa?
Caro Bruno,
Eliminail P. Casey ha molta esperienza di pastorale degli omosessuali, per cui, se egli mette in luce la possibilità che la coppia dia una buona educazione al bambino, anche se noi non abbiamo mai avuto esperienze come la sua, dobbiamo dire che è una persona di fiducia.
Ma quand’anche noi non conoscessimo Casey, la cosa fondamentale che dirime la questione è che Dio non chiede l’impossibile, per cui dobbiamo ricordare che queste persone, anche se sono peccatrici, come tutti noi del resto lo siamo, posseggono da Dio delle risorse che li spingono a compiere un’opera educativa, così come è nell’inclinazione di tutti noi.
Per questo non dobbiamo parlare di una possibilità puramente teorica, perché ciò verrebbe ad offendere Dio, il Quale non ci comanda l’impossibile. Dunque anche queste persone hanno da proporre ai bambini certi modelli di comportamento, nonostante la loro posizione in disaccordo con la legge morale.
Io penso quindi che in questo caso si debba applicare il principio evangelico che ci comanda di non spezzare una canna fessa e di non spegnere un lucignolo fumigante, vale a dire sapere apprezzare l’opera educativa di queste persone, per quanto essa possa essere lacunosa.
Occorre inoltre ricordare che talvolta i bambini soffrono a causa dei genitori quando vivono separazioni e divorzi in un modo immaturo e traumatico. Tuttavia molte coppie sanno affrontare separazioni e divorzi in modo maturo e sereno, in modo da non coinvolgere negativamente lo sviluppo dei bambini. Così similmente può avvenire anche per le coppie omosessuali. È chiaro che se sono coppie non credenti e genderiste il bambino purtroppo rischia seriamente di imboccare una strada sbagliata.
Se io ho questo atteggiamento, che ritengo ispirato alla misericordia evangelica, mi guardo bene da propormi il fine di considerare queste comunità come comunità familiari. Mi pareva di essermi spiegato bene su questo punto.
Però il teologo e la Chiesa non possono ignorare la realtà di queste persone, che vivono queste situazioni, e che sono chiamate alla salvezza e alla santità. E queste realtà si stanno diffondendo, per cui è encomiabile l’interesse che la Chiesa ha per queste situazioni e la sua volontà di aiutare anche queste persone a fare un cammino di conversione,
Nello stesso tempo non si possono approvare quegli operatori pastorali, i quali, col pretesto di aiutare queste coppie, mostrano un atteggiamento lassista o addirittura mettono in discussione la peccaminosità della sodomia facendo un’opera deleteria, che invece di condurre alla salvezza mette le anime in serio pericolo.
Lei ha scritto:
RispondiElimina«Con la parola amore la coppia deve spiegare al bambino e mostrarlo con i fatti che non si riferisce al piacere fisico, che essa prova come coppia omosessuale, ma alla volontà di volere il bene dello stesso bambino».
Ma il bene del bambino è che abbia un papà e una mamma, come dal progetto divino per le persone umane comunicato sin dal libro della Genesi.
Come potrebbero i due omosessuali davvero “volere il bene dello stesso bambino”, se gli negano in partenza la possibilità di confrontarsi con la differenza sessuale materna-paterna?
Se due “genitori” dello stesso sesso fossero in grado di realizzare perfettamente il bene del bambino, dovremmo dedurre che la differenza sessuale tra esseri umani sia qualcosa di non essenziale, un mero accidente trascurabile… e invece:
“Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.”
Se l’essenza di Dio-Trinità è comunione d’amore, allora l’uomo in quanto creatura del Dio-Comunione, è chiamato alla comunione col suo Creatore e con gli altri uomini, e Dio creando l’uomo e la donna, ha voluto partecipare la propria natura di comunione d’amore imprimendo nei loro sensi una reciproca attrazione, nel loro cuore un’apertura reciproca.
Eva è messa a fianco di Adamo come il primo richiamo, il primo invito ad uscire da sé per raggiungere l’altro alla ricerca di completezza; ma l’uscire da sé di Adamo verso Eva, come di Eva verso Adamo è anche anticipazione ed educazione ad uscire da sé per ricercare il radicalmente Altro rispetto all’uomo: l’Infinito, la destinazione finale del desiderio umano, che solo Dio può saziare.
Così la differenza sessuale uomo/donna è il luogo privilegiato perché l’io esca verso il tu, e così l’io diventi sempre più persona che può permettersi il dono totale di sé, ovvero ciò che contraddistingue il vero amore (e lo distingue da quello animale), in analogia alle Persone divine che si donano totalmente l’un l’altra.
Nella persona umana, inscindibile unità di corpo e anima, tale dono totale implica la perfetta compatibilità anatomica-funzionale e la fecondità (che non è solo quella biologica).
Differenza sessuale, dono di sé e fecondità sono i tre fattori che costituiscono il mistero nuziale, su cui si basa il sacramento del matrimonio.
Così, l’amore omosessuale, non solo:
• contraddice l’uscire da sé per accogliere l’altro da sé, in quanto anziché rivolgersi verso il complementare per sé (l’uomo verso la donna e viceversa), si rivolge al simile a sé,
• preclude una vera compatibilità anatomico-funzionale, ma anche psicologica,
• preclude una fecondità naturale,
• anziché cercare di realizzare il “bene” dell’altro, lo condiziona fortemente a restare nella condizione di peccato, e dunque non può definirsi un vero “dono” di sé,
ma finisce, in qualche modo, per contraddire l’analogia/somiglianza tra la S.S. Trinità e l’umano.
Come possiamo, a partire da un siffatto amore, nel momento in cui vuol coinvolgere affettivamente dei minori, affermare che stanno imitando la famiglia naturale?
Caro Bruno,
Eliminainnanzitutto ho apprezzato vivamente l’esposizione che lei fa dell’amore coniugale, dei valori della famiglia, della reciprocità tra uomo e donna e dell’educazione che i genitori sono tenuti a impartire ai figli.
In secondo luogo lei sarà d’accordo con me nel rilevare la spaventosa ignoranza circa questi valori o i gravi fraintendimenti che esistono all’interno non solo della società di oggi, ma anche nella Chiesa stessa, per il diffondersi delle idee genderiste e la debolezza con la quale i Vescovi intervengono per correggere questi costumi corrotti.
Ora, se qui c’è senz’altro della malafede, dobbiamo pensare anche che esista un’ignoranza invincibile, che in qualche modo scusa davanti a Dio. Per questo la carità e la misericordia richiedono una certa tolleranza, che però non sconfini nella connivenza.
Lo sforzo della pastorale di oggi, per queste persone, è quello di congiungere una sana educazione morale, che denunci chiaramente il peccato, ad un aiuto dato a queste coppie in modo tale che in esse si salvi ciò che è salvabile, come per esempio la fedeltà reciproca, la mutua assistenza, la reciproca complementarità, il lavorare assieme per la società e per la Chiesa e un’educazione data agli eventuali “figli”, la quale faccia loro presenti i difetti connessi con la convivenza omosessuale, nel mentre che dia loro in tutti gli altri campi dell’agire morale una formazione per quanto possibile dignitosa, che serva alla crescita della loro personalità e della loro appartenenza ecclesiale.
Quello che io auspico modestamente è che la Gerarchia insieme col Santo Padre abbiano una voce più chiara e ragionata sul perché la sodomia è peccato. Occorre, secondo me, organizzare una migliore opera di persuasione in base alla ragione naturale, che tutti possediamo, sempre naturalmente facendo presente che senza la grazia di Dio è impossibile guarire dal peccato.
Altra cosa da fare è dimostrare con buoni argomenti di ragione il perché la sodomia è peccato, dando nello stesso tempo, se si è sposati un esempio di quello che è il vero amore, e se l’educatore è un sacerdote o una persona consacrata dare un esempio di un amore disinteressato, che sa dominare le passioni e sacrificarsi per il prossimo.
Inoltre è molto importante chiarire il concetto di amore, il quale consiste nel volere il vero bene dell’altro secondo la volontà di Dio. Per mettere in pratica l’amore così inteso occorre un forte e costante impegno della volontà, sostenuta dalla grazia e capace di rinunciare a qualunque affetto o pratica che ostacoli o impedisca la pratica del vero bene, cioè del vero amore.
Infine, una situazione che preoccupa noi cattolici è la tendenza che si sta diffondendo in certi ambienti politici e giuridici a incriminare, sotto minaccia di sanzioni penali, coloro che considerano la sodomia come contraria al bene della persona. Davanti a questa prospettiva non dobbiamo temere; essa metterà alla prova le nostre convinzioni di uomini, di cittadini e di cattolici, e il Signore non mancherà di darci il coraggio e la saggezza necessari per dare una testimonianza persuasiva.
Carissimo p. Giovanni, mi è capitato di ascoltare una conferenza su You Tube del prof. Marco Guzzi, non so se lo conosce, sul tema: “la violenza e l’uomo. Dall’io bellico all’io relazionale”. Il prof. Guzzi sostiene che l’uomo è fondamentalmente un essere decaduto, ferito, diviso in se stesso a causa del peccato originale che ci ha fatto perdere la grazia e la vita divina. Il nostro io è un io che il prof. Guzzi definisce, bellico, segnato dall’angoscia, dalla mancanza e dal peccato, costantemente in guerra con se stesso e con gli altri, pieno di rabbia. Sostanzialmente viviamo in questo stato e non ci preoccupiamo di curarci. La cura non la troviamo da soli, in noi stessi, questo io deve scomparire, deve rientrare in contatto con lo Spirito di Dio. Dobbiamo morire giorno dopo giorno al nostro io bellico. Dobbiamo tornare ad essere servitori del divino e non più traditori. Questo io bellico poi si costruisce un Dio a sua immagine e somiglianza per giustificarsi, tutte le culture e le religioni portano dentro di sé il mistero di una visione di Dio fatto su misura dell’io bellico. Se gli altri sono un problema devo in qualche modo trovare la giustificazione per giudicarli, condannarli e farli fuori e cosa c’è di meglio di farlo in nome di Dio. Ecco lo sterminio, la giustificazione assoluta: “Dio lo vuole”, “Lo faccio in nome di Dio”. Se Dio è così, un Dio punitivo, vendicativo, che ti uccide, che ti stermina, che ti condanna inesorabilmente, posso esserlo anch’io. Questa violenza di Dio la troviamo nella struttura delle religioni di tutti i tempi. Le religioni che noi conosciamo portano in sé un elemento egoico-bellico, sacrificale molto potente. Sono costruzioni di un io che si crea un Dio, ripeto, a sua immagine e somiglianza, questa è però una “teologia satanica”; un Dio che brucia gli eretici, che stermina i cattivi, che ha bisogno del sangue degli uomini per ottenere benevolenza e perdono. Questa teologia viene smascherata dalla Croce, sulla Croce Cristo finalmente ci mostra definitivamente l’immagine del vero ed unico Dio che non uccide nessuno, che non tortura nessuno, che non castiga nessuno. Noi ci castighiamo e ci perdiamo da soli quando ci allontaniamo da Lui, anzi per evitarci questo, è pronto Lui stesso a morire per noi, a donare la Sua vita affinchè viviamo e non moriamo più. Dio è così e non come ce lo dice satana, il nemico, l’accusatore. Cristo mette in croce il nostro io bellico, Cristo ci rivela il vero autentico volto di Dio e la vera ed autentica umanità, una nuova forma di vita non più scissa dal peccato, finalmente libera di esprimersi, non c’è niente da difendere se non questa vita nuova in Cristo, quindi “la guerra è inutile”. Il prof. Guzzi rifiuta categoricamente la logica del sacrificio di espiazione del Figlio di Dio morendo sulla croce. Dio Padre non ha bisogno del sangue del Figlio per salvarci, non può Dio legittimare un male (la morte del Figlio) per un bene superiore (la nostra salvezza). Se non mi sbaglio il termine espiazione è stato utilizzato nella tradizione cristiana fin del medioevo, per esprimere il compenso che Gesù avrebbe offerto a Dio per le offese ricevute dagli uomini peccatori. S. Anselmo “è il primo che costruisce esplicitamente la soteriologia sull’assioma ‘aut satisfactio aut poena’ che Tertulliano aveva sviluppato nella teologia della penitenza. Oggi non c’è nessun motivo per utilizzare questa categoria: Dio non deve essere soddisfatto. Dio giustifica gratuitamente, per grazia. In Gesù Egli rivela e realizza questa sua decisione.
RispondiEliminaMi dica cosa ne pensa. Grazie per la sua attenzione e pazienza.
Caro Silvano,
Eliminal’attributo dell’infallibilità è usato dal magistero della Chiesa in riferimento a due cose. Prima, è riferito all’autorità del Sommo Pontefice quando, come Maestro universale della fede, proclama solennemente un nuovo dogma. Seconda, esprime la verità di un dogma solennemente definito da credersi con fede divina. Qui abbiamo il primo grado di autorità delle dottrine.
Nel terzo grado, invece, la Chiesa insegna sempre una verità di fede o connessa con la fede, ma non usa l’attributo della infallibilità. Ciò però non significa assolutamente che a questo livello il magistero possa sbagliare o mutare. Si tratta soltanto del grado minimo di autorità, alla quale dobbiamo prestare l’ossequio religioso della nostra intelligenza, anche se non mettono in gioco la fede divina.
Anche a questo livello la Chiesa non si smentisce mai. Queste verità sono di solito insegnamenti nuovi, i quali un domani, meglio approfonditi, potranno assurgere al secondo grado o anche al primo. Esempi di questo tipo li troviamo nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro Don Vincenzo,
Eliminalei ha messo sul tappeto una serie di gravi questioni che oggi si pongono in campo cristologico, questioni che purtroppo non vengono risolte alla luce del Concilio di Trento e del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), ma secondo un’impostazione di tipo protestante e modernista.
Io, da circa quarant’anni, nelle mie pubblicazioni ho affrontato tutte queste questioni, che sono all’origine dell’attuale buonismo, misericordismo, permissivismo e perdonismo.
Si tratta di una visione non priva di valori, che vuol mettere in luce l’amore e la misericordia di Dio nei nostri confronti, l’opera della grazia e la volontà del Padre di salvare tutti gli uomini. È una visione che giustamente respinge una vecchia idea di Dio, purtroppo propria dell’agiografo dell’Antico Testamento, per la quale ci troviamo effettivamente davanti a un Dio spaventoso e che appare effettivamente crudele.
Ora, è chiaro che qui siamo davanti a costumi morali primitivi, che sono stati superati dall’etica evangelica. Tuttavia non bisogna prendere a pretesto questo stadio della coscienza morale, oggi superato dalla Chiesa e dai Santi, per respingere, come fanno i buonisti, il concetto di un Dio giusto, che castiga il peccatore e quindi l’esistenza dei dannati nell’inferno, che fu definita dal Concilio di Quierzy nell’853 e confermata dal Concilio di Trento.
Infine, questa visione buonista ignora il dogma del sacrificio soddisfattorio di Cristo e per conseguenza viene a togliere la ragion d’essere al sacramento dell’Ordine, che comporta l’offerta del Sacrificio e la stessa Santa Messa, in quanto ripresentazione incruenta del Sacrificio di Cristo.
Caro padre Cavalcoli, ho ascoltato le sue risposte nel dialogo che ha avuto con Giovanni Zenone qualche giorno fa ("Parole chiare su Chiesa, Fede e Vita eterna"), e vorrei farle una domanda.
RispondiEliminaQuando si spiega il "terzo grado" di infallibilità dei documenti magisteriali, nel documento di Papa San Giovanni Paolo II (Ad tuendam Fidem) e della CDF non è detto che il Papa goda di infallibilità a quel terzo grado. Semmai si deduce il contrario: perché comprendo che il magistero ordinario del Sommo Pontefice o quello dei Vescovi non è in sé infallibile.
ho ragione?
Caro Silvano,
Eliminal’attributo dell’infallibilità è usato dal magistero della Chiesa in riferimento a due cose. Prima, è riferito all’autorità del Sommo Pontefice quando, come Maestro universale della fede, proclama solennemente un nuovo dogma. Seconda, esprime la verità di un dogma solennemente definito da credersi con fede divina. Qui abbiamo il primo grado di autorità delle dottrine.
Nel terzo grado, invece, la Chiesa insegna sempre una verità di fede o connessa con la fede, ma non usa l’attributo della infallibilità. Ciò però non significa assolutamente che a questo livello il magistero possa sbagliare o mutare. Si tratta soltanto del grado minimo di autorità, alla quale dobbiamo prestare l’ossequio religioso della nostra intelligenza, anche se non mettono in gioco la fede divina.
Anche a questo livello la Chiesa non si smentisce mai. Queste verità sono di solito insegnamenti nuovi, i quali un domani, meglio approfonditi, potranno assurgere al secondo grado o anche al primo. Esempi di questo tipo li troviamo nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro padre Cavalcoli, la ringrazio per il suo chiarimento.
EliminaTuttavia, posso insistere su un punto del mio commento?
Quello che sto dicendo è che il magistero non definitivo (ordinario e autentico) è per definizione non infallibile; ergo, è fallibile. Tale è il magistero che presenta al terzo posto la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (cui lei fa riferimento insieme all'Ad tuendam Fidem di san Giovanni Paolo II), al quale corrisponde, da parte dei fedeli, "il ossequio dell'intelletto e della volontà": tale ossequio è dovuto solo a ciò che non è infallibilmente proposto. La Nota parla solo di due livelli di insegnamenti infallibili, non di tre. E a questi due corrisponde l'assenso di fede, ma non al terzo, che è il definitivo no.
Sbaglio in quello che dico? Grazie
Caro Silvano,
Eliminaal n. 10 della Nota dottrinale, a proposito del terzo grado, il Documento dice semplicemente che si tratta di insegnamenti che il Magistero “non intende proclamare con atto definitivo”. Non parla di infallibilità. Ma questo non significa che non si tratti di verità di fede e di morale, perché è esplicitamente detto. E questa è la cosa che interessa.
Ed è chiaro che, trattandosi di verità di fede, ed essendo quindi verità immutabili, non potrà mai accadere che oggi siano vere e domani siano false o che siano false dottrine che ieri erano vere.
L’attributo dunque dell’infallibilità è un attributo che la Chiesa riserva soltanto alle dottrine di Primo Grado. Ma il fatto che questo attributo manchi al Terzo Grado non significa assolutamente che si tratti di dottrine che possono essere falsificate o sbagliate o mutate.
Anche il fatto che queste dottrine non siano proclamate definitive, non vuol dire che non lo siano, sempre per il fatto che trattandosi di verità immutabili è evidente che la loro definizione non può mutare e che quindi si tratta di verità definitive. Gli esempi li può trovare nello stesso documento.
Gli esempi, del Terzo o del Secondo Grado, li può trovare nelle dottrine nuove del Concilio Vaticano II.
Caro padre Cavalcoli, la seguo sempre con piacere e le scrivo qui perché non ho trovato altri canali.
RispondiEliminaQualche giorno fa alcuni compagni di corso hanno ascoltato una conferenza del p. Barzaghi sull'eucaristia in cui ad un certo punto il p. dice, dentro un ragionamento quasi per concatenazione, che nell'eucaristia essendoci Cristo, c'è tutto, inteso tutto il creato. la conferenza è questa: https://www.youtube.com/watch?v=2pvunor0Muk . Dal minuto 9:20 circa.
Ora, molti sono rimasti confusi, io per primo. Un po' conosco il retroterra bontadiniano e parmenideo di Barzaghi, ma non mi basta per capire a fondo la questione. Ho letto diversi suoi articoli sull'argomento e confesso di non essere ancora riuscito a venirne a capo. Inizialmente pensavo che tutto si potesse risolvere con l'analogia, che Barzaghi tace, anche nel suo "Diario di metafisica" quando parla della creazione - l'ho trovato un po' confusionario. Poi però mi è capitata tra le mani la Summa e la mia confusione è notevolmente aumentata leggendo I, q.8 specialmente gli aa. 3 e 4. Lì Tommaso dice tre le altre cose:
"E in questo senso ciò è proprio di Dio poiché, per quanti altri luoghi si
ammettano oltre a quelli esistenti, anche in numero infinito, bisognerebbe
che Dio fosse in tutti, poiché nulla può esistere se non per opera sua. Così
dunque essere dappertutto primariamente e di per sé appartiene a Dio in
modo esclusivo, dato che per quanti luoghi si ammettano è necessario che
Dio sia in ciascuno di essi non parzialmente, ma secondo tutto se stesso." e prima: "Per concludere, Dio è in tutte le cose con la sua potenza perché tutte sono soggette alla sua potestà; vi è con la sua presenza perché tutto è scoperto e come nudo davanti ai suoi occhi; vi è con la sua essenza perché egli è presente
a tutte le cose quale causa universale dell‘essere, come si è detto [a. 1].
Analisi delle obiezioni: 1. Si dice che Dio è in tutte le cose per essenza
non certo delle cose, come se facesse parte della loro essenza, ma per la sua
essenza, essendo la sua sostanza presente a tutte le realtà quale causa dell‘essere, come si è detto [ib.]."
Fino a quando si parla di presenza al modo della causa nell'effetto sembra comprensibile, si salva una certa distanza tra Dio e il mondo. Ma quando si parla di essenza? Lì mi confondo. Senz'altro San Tommaso non è un panteista, purtroppo però non riesco a cogliere totalmente l'ampiezza del ragionamento, le chiedo quindi, se possibile, una mano a comprendere. La domanda, inoltre, potrebbe essere anche questa: come la presenza di Dio nelle creature va compresa per non essere panteisti?
Grazie davvero.
Luca
Caro Luca,
Eliminaho visto il filmato su P. Barzaghi. Il punto da chiarire è quello che hai individuato tu. Qui c’è un gravissimo equivoco, che adesso ti spiego.
Il problema nasce quando P. Barzaghi dice che nell’Eucarestia c’è la divinità di Cristo. Il suo discorso va ancora bene quando dice che Dio è il creatore del mondo. A questo punto purtroppo nasce l’equivoco. Da che cosa nasce? Dal fatto che P. Barzaghi equivoca circa le parole di San Paolo, quando egli dice che noi esistiamo in Dio.
Allora, dobbiamo distinguere i due modi, nei quali noi siamo in Dio. Noi siamo in Dio nel senso che, concepiti da Dio, noi siamo nella stessa essenza di Dio, ideati da Lui e identici alla sua stessa essenza. Infatti, la sua essenza, essendo semplicissima, non si compone di essa e di noi creature, ma noi in Lui siamo le sue stesse idee divine di noi stessi.
L’altro modo di essere in Lui è quello a cui si riferisce San Paolo. E che cosa significa? Qui, Paolo si riferisce al nostro esistere fuori di Dio, come sue creature, attuazione della idea che Dio ha di noi stessi.
Quindi P. Barzaghi sbaglia quando nega che noi esistiamo fuori di Dio. Infatti, se così non fosse, non potremmo essere sue creature. Tuttavia noi possiamo dire di essere in Lui, appunto in quanto Egli è il nostro creatore, il fondamento e la causa della nostra esistenza.
In che senso siamo fuori di Dio? Nel senso che noi possediamo una essenza e una esistenza, distinte da quelle di Dio, cioè riceviamo l’essere da Dio, in quanto noi creature siamo tratti dal nulla, perché la nostra essenza di creature non richiede necessariamente l’essere, e cioè l’esistenza. Infatti noi potevamo stare nello stadio di pura possibilità, come lo sono tutti i possibili in Dio, che non saranno mai realizzati, cioè non saranno chiamati all’esistenza come creature.
Perché Dio dona l’essere ad alcune essenze puramente possibili e che sono in Dio le sue stesse idee divine? Lo fa per un liberissimo atto d’amore. Da che cosa dipende il potere creativo di Dio, cioè il far passare un ente dalla possibilità alla attualità? Dipende dalla sua onnipotenza.
Per quanto riguarda la presenza, come ha detto San Tommaso, tutte le cose sono presenti a Lui. Per quanto riguarda l’essenza, San Tommaso intende dire che l’essenza divina è causa delle essenze delle cose. Quindi il panteismo non c’entra per nulla, perché il panteismo confonde l’essenza e l’esistenza delle cose con l’essenza e l’esistenza di Dio.
Qual è la differenza tra l’essenza di Dio e l’essenza di una creatura? La differenza sta nel fatto che mentre Dio esiste per essenza, cioè Egli è l’Ipsum Esse, come dice San Tommaso, ovvero l’essere sussistente; la creatura invece esiste soltanto per volontà divina e quindi la sua esistenza, o il suo essere, non entra nella sua essenza, ma è distinto dalla sua essenza, e riceve l’essere direttamente da Dio.
Teniamo presente inoltre che Dio non crea soltanto l’esistenza, ma anche l’essenza di ogni creatura, cioè dona l’essere a una essenza finita e quindi creata. Osserviamo inoltre che l’essere divino è essere per essenza, mentre l’essere creato è essere per partecipazione.
Tutto ciò significa che l’essere della creatura, benchè infinitamente distinto dall’essere divino, è analogo all’essere divino. Questo significa la Bibbia quando dice che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. E per questo la Sapienza 13,5 dice: “Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia si conosce l’Autore”.
Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la natura della grazia, la quale è una partecipazione alla natura divina, “consortes divinae naturae”, come dice San Pietro (2 Pt 1,4).
Se vuoi approfondire queste cose, ti consiglio di consultare:
- http://www.arpato.org/
- http://www.arpato.org/lezioni.htm
- http://www.arpato.org/bibliografia.htm
- http://www.arpato.org/studi.htm
Grazie mille per il suo intervento chiarificatore e per i riferimenti altrettanto utili limpidi. Aggiungo che sarebbe bello vedere presto pubblicato qualche suo testo o manuale di metafisica, ce ne sarebbe bisogno!
RispondiEliminaCaro Luca,
Eliminapuoi trovare i miei scritti di metafisica nel mio blog o nel sito arpato.org, Studi.
Inoltre, se vuoi approfondire le tue conoscenze in metafisica, ti consiglio di leggere gli scritti di P. Tyn, che puoi trovare nel sito arpato.org, Bibliografia.
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RispondiEliminaDona a noi la pace: Il significato della presente guerra
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Padre Thomas Tyn . Un Tradizionalista Postconciliare
Parole Chiare Sulla Vita Della Chiesa
Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio
Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia.
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RispondiEliminaLink: https://www.bookfinder.com/search/?st=sr&ac=qr&mode=advanced&author=Cavalcoli%2C+Giovanni&title=&isbn=&lang=any&destination=it¤cy=USD&binding=*&keywords=&publisher=&min_year=&max_year=&minprice=&maxprice=&classic=off
RispondiEliminaCaro Fabio, ti ringrazio per questo lavoro che hai fatto.
EliminaCorso per Catechisti – Cavalcoli Padre Giovanni (Radio Maria - Italia)
RispondiEliminahttps://radiomaria.it/?s=Cavalcoli
https://radiomaria.it/conduttori/cavalcoli-padre-giovanni/
https://radiomaria.it/?s=Cavalcoli&paged=1
https://radiomaria.it/?s=Cavalcoli&paged=2
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 15/12/2013
Tema: Il Dogma secondo Schillebeeckx:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-15-12-2013/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 03/11/2013
Tema: Dal dato rivelato al Dogma:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-03-11-2013/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 19/01/2014
Tema: Che cos'è un Dogma?:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-19-01-2014/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 02/03/2014
Tema: Dogma: Imutabilità, Senso, Interpretazione, Perennità della Verità Dogmatica:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-02-03-2014/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 06/04/2014
Tema: I peccati contro la Chiesa:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-06-04-2014/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 29/06/2014
Tema: Il Dogma: Definizione:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-29-06-2014/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 18/01/2015
Tema: Essenza del Dogma - I:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-18-01-2015/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 05/04/2015
Tema: Linguaggio e concetto del Dogma:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-05-04-2015/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 17/05/2015
Tema: L'essenza del Dogma - III:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-17-05-2015/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 21/06/2015
Tema: L'essenza del Dogma - IV:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-cavalcoli-padre-giovanni-21-06-2015/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 03/05/2020
Tema: La politica e l'arte del governo della società:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-03-05-2020/
Corso per Catechisti – Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Data: 31/05/2020
Tema: La grazia ed il peccato originale:
Link: https://radiomaria.it/puntata/corso-per-catechisti-31-05-2020/
Caro Fabio,
Eliminati ringrazio per l’invio di alcuni link di mie lezioni tenute a Radio Maria.