Lettera di P. Tyn al Card. Ratzinger e relativa risposta (1985)

 Lettera di P. Tyn al Card. Ratzinger e relativa risposta

    Pubblico una corrispondenza avuta tra Padre Tomas Tyn e il Cardinale Ratzinger nel 1985, nella quale il Lettore potrà riscontrare una profonda convergenza di vedute circa l’importanza del fondamento metafisico della morale, ai fini di un risanamento dei costumi morali, per un progresso del cammino storico della Chiesa e dell’umanità verso il Regno di Dio.

Questo testo è già stato pubblicato nel mio libro “Padre Tomas Tyn, un tradizionalista post-conciliari, ed. Fede&Cultura, Verona, 2007, pp. 122-139.

    Aggiungo una nota che può aiutare il Lettore a comprendere questa corrispondenza alla luce dell’attuale Pontificato di Papa Francesco. Il punto più importante da mettere in luce è la questione del rapporto tra Vetus Ordo e Novus Ordo.

Notiamo in P. Tomas la piena accettazione del Novus Ordo e nel contempo l’ammirazione per il Vetus Ordo.

Sappiamo come Papa Benedetto emanò il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale, pur promuovendo il Novus Ordo, lo si metteva in rapporto col Vetus Ordo. Padre Tomas morì prima della pubblicazione di questo Motu Proprio, ma certamente l’avrebbe visto con grande favore.

Data l’obbedienza del Servo di Dio all’autorità del Papa possiamo essere sicuri che egli avrebbe accolto docilmente anche il Motu Proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco, benchè Questi restringa le possibilità di celebrazione del Vetus Ordo per porre freno ad alcuni abusi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 03 Gennaio 2023

 

Lettera del Servo di Dio al card. Joseph Ratzinger con relativa risposta del Cardinale

Diamo qui la traduzione della lettera che Padre Tomas scrisse all’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede card. Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI nella festa di San Domenico il 4 agosto 1985, per esprimergli la sua gioia per la pubblicazione del “Rapporto sulla fede”, e manifestare alcuni auspici e preoccupazioni concernenti la vita della Chiesa.

 

Testo della lettera del Servo di Dio P. Tomas Tyn

Eminenza Reverendissima,  

non oserei certamente turbare il meritato riposo di tanto eminente ed a me dilettissimo Padre in Cristo, se non fossi stato preso da un’immensa gioia per lo scritto recentemente pubblicato da V.E. dal titolo “Rapporto sulla fede”, il quale effonde copiosamente la luce della fede cattolica in mezzo alle tenebre di questo tempo non facile.

Quando il Concilio ecumenico Vaticano II si concluse nel 1965, io avevo soltanto quindici anni, ma, dopo aver letto attentamente e studiato a fondo i suoi documenti - benchè sul posto non avessi potuto confrontarli con altri, perché nella mia patria, la Boemia, soggetta ai nemici di Dio, simili scritti sono considerati pericolosi e sono proscritti - grande è stata la mia gioia. Tuttavia quella letizia presto si è cambiata in tristezza, nel vedere cattive interpretazioni ed applicazioni di una dottrina in se stessa sana sfigurare crudelmente il volto della sposa immacolata di nostro Signore Gesù Cristo ed opprimere nella mestizia gli animi dei buoni e di coloro che sentono con la Chiesa[1].

Nel suo libro, reverendissimo Padre in Cristo, dopo tanto tempo di afflizione, ho letto ciò che fin dall’inizio ho pensato: bisogna tornare al vero Concilio, ossia a quello che è conforme alla tradizione di tutti i secoli della Cristianità cattolica e si interpreta in quella luce! Il più pernicioso degli errori del nostro tempo è quello che divide il Magistero tra prima e dopo il Concilio, strappa l’uno dall’altro, oppone l’uno all’altro. V.E. ha denunciato con acutezza questo pericolo nel suo libro.

Quell’opposizione artificiosa fra due “magisteri” divisi dal tempo non è altro che quello storicismo volgare e fastidioso, che proviene dal modernismo come molesta eredità per il nostro tempo trasmessa per opprimere la mente degli uomini. Tuttavia lo storicismo, l’evoluzionismo e le altre assurde negazioni del principio di causalità e di ogni sana metafisica hanno delle radici ancora più profonde.

Non c’è solo una crisi della fede, ma anche e in certo modo innanzitutto della ragione umana riguardo il suo aspetto “sapienziale” (filosofico, anzi metafisico), gravemente leso dal riduzionismo positivistico (certo non senza una valida ragione i predecessori di V.E. ammonirono Galileo Galilei circa i pericoli non certo della scienza, ma dello scientismo assoluto).

Ma tutti questi errori si fondano su quel soggettivismo che già la lettera enciclica “Pascendi” di San Pio X, svela e denuncia come lo spirito avvelenato del modernismo. Ed infatti, come l’uomo del nostro tempo potrà prestare a Dio l’obbedienza della fede, se già nell’ordine puramente naturale ritiene di essere il creatore e il supremo autore delle “sue verità”? Non c’è quindi da meravigliarsi che si sia giunti allo storicismo: se la verità non vale se non relativamente al soggetto, il quale però è sottomesso ai mutamenti del tempo, segue facilmente che la verità muta nel corso del tempo.

Altro difetto che promana dal soggettivismo e dal relativismo consiste nella totale eversione acritica e supinamente accolta e scontata dalla mentalità corrente, quasi si trattasse di qualcosa di ottimo, della metafisica e con essa dei preamboli della stessa fede.

Il positivismo che devasta ancora la vita intellettuale del nostro tempo si sforza di sostituire la scienza alla sapienza e di ridurre del tutto questa a quella. Occorre sottolineare come questo processo appare manifestamente e con aperta violenza nel comunismo (“visione scientifica”), ma anche come, benchè in modo più latente, esso stia non meno gravemente crescendo e rafforzandosi nel liberalismo occidentale.

Nel che si nasconde la somma demenza del cosiddetto uomo “moderno”: l’irrazionalismo sotto il nome dello stesso razionalismo trionfa e celebra superbamente i suoi fasti nefasti. Tuttavia molti teologi seguono quella via: dopo che hanno perso il fondamento ontologico, tentano di costruire i loro sistemi sulla sabbia sempre mobile di scienze sostitutive (sociologia, psicologia, ecc.).

Quella “nuova” teologia, come la chiamano, a causa della sua irrazionalità e il suo volgersi da Dio alle cose mondane, non merita realmente per nulla il nome sublime di “teologia”, benchè non cessi di usurpare superbamente quel nome. Né può verificarsi un autentico progresso di tale pretesa “teologia”, giacchè, per esser tale, avrebbe dovuto produrre cose nuove e vere e non soltanto nuove, escogitate da una sfrenata brama per le stesse novità.

Chi Le scrive, Eminenza Reverendissima, è impegnato nell’insegnamento della teologia morale — in questa disciplina, forse più che in altre, occorre una metafisica solida e realistica, che possa da una parte sottomettere la conoscenza all’oggetto reale, e dall’altra restituire il suo ufficio all’essenza universale ed immutabile: intendo quell’essenza, la quale, fornita di finalità operative, è detta “natura” e costituisce il fondamento della legge naturale, la quale indubbiamente costituisce la fonte esimia e principale di qualunque norma oggettiva e perenne.

In questo contesto mi sembra che occorra massimamente investigare circa la relazione dell’essenza con l’essere, e circa la nozione della partecipazione e dell’analogia. Spesso, però, per quanto riguarda questo argomento, tra i colleghi si trova una certa negligenza, anzi un’irrisione, come se si trattasse di cose ormai desuete e comunque “troppo astratte” (mi pare tuttavia sorprendente la predilezione moderna per la “cose concrete”; l’atto intellettivo infatti consiste nell’astrazione ed intelligere è lo stesso che astrarre). Tuttavia né la vetustà né l’universalità possono mai in alcun modo diminuire la verità di qualche teoria, ma al contrario la manifestano più abbondantemente.

Infine desidero dire qualcosa sulla sacra liturgia, soprattutto per ringraziare l’E.V. per l’opera compiuta nel favorire l’indulto che permette la celebrazione del divino sacrificio secondo il rito di San Pio V di f.m. Ho già fatto pervenire, per mezzo del Rev. Padre Priore all’Em.mo Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, una relazione sulle Messe tuttora celebrate nella basilica bolognese di San Domenico e così dopo aver informato il mio Superiore immediato, Reverendissimo Padre in Cristo, oso esprimere la mia gioia anche a Lei.

Quanto è santa e sublime è quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorchè quel rito, venerabile per l’antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a Cui, come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso, nell’oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode, un rito tanto sublime in tutte le parole e i gesti di cui fa uso ed infine tanto bello ed elegante, tanto accetto al popolo che partecipa con viva fede (né è noto ai Cristiani un altro modo di vera partecipazione”[2]).

Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba esser stata espulsa dalla Chiesa. Si obietta che essa costituisce un certo diletto accessibile a pochi; ma - e ciò è degno di nota - simili “obiezioni” non è solita muoverle la gente semplice e devota, ma piuttosto una certa pretesa aristocrazia (tuttavia perversa, che meriterebbe piuttosto il nome di “cacocrazia”[3]), fastidiosa e pseudointellettuale, turbolenta per la sua presunzione, dedita al nichilismo[4], che sostiene e produce il brutto al posto del bello[5].

 V.E. si potrà facilmente persuadere che non esagero accusandoli di compiere il vaticinio del Profeta Isaia, su coloro che confondono con impudenza il dolce con l’amaro e l’amaro col dolce, se considera le lodi profane per quell’opera cinematografica dal titolo francese “Je vous salue Marie”, indegna e blasfema, a loro tributate — e questo anche da persone che si attribuiscono il nome cristiano, tra i quali di simili cose, secondo il monito dell’Apostolo, non si dovrebbe neppure parlare. Con quanta letizia invece ho di nuovo salutato l’ingresso trionfale della bellezza e dell’eleganza nello spazio sacro della santa Chiesa di Dio ascoltando la sublime esecuzione della Santa Messa del musicista W. A. Mozart nella basilica vaticana per la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo — quella musica tanto sacra, tanto delicata, si è rivelata un dono graditissimo benignamente elargito al popolo cristiano dall’augusto Pontefice f.r.

Né tuttavia si tratta solo di gusti, ma dello stesso senso della fede. Premetto che non seguo affatto le orme del cosiddetto “integrismo”, se non nel senso di quella integrità che costituisce la proprietà essenziale di qualunque cristiano cattolico, secondo le parole di San Pio X di f.m., ma non c’è dubbio che il rito rivolto più a Dio che al popolo esprime più fedelmente la verità della nostra santa fede in una cosa tanto vitale qual è la divina Eucaristia.

Perdoni, Eminenza, la mia sincerità: i canoni (o meglio: le anafore) cosiddetti “svizzeri” introdotti nell’ultima edizione del Messale italiano, usano un lingua poco sacra e piuttosto “orizzontale”, troppo solleciti per la “scelta dei poveri”, i quali tuttavia, se sono tali nel senso del Santo Vangelo, preferiscono lodare Dio e solo Dio nel segreto e con modestia.

Infine, mi permetta, Eminenza, La prego, una considerazione che faccio con personale amarezza: nella mia patria occorre molto coraggio per professarsi cristiani, ma anche nel “libero” Occidente deve esser dotato di un non minor coraggio chi vuol mostrare apertamente la propria fedeltà verso la tradizione cattolica, a causa della disposizione ostile di alcuni ecclesiastici, i quali tuttavia tollerando se stessi con gran clamore[6], si dichiarano democratici e “pluralisti”.

Già il celebre Platone dimostra in modo convincente come la democrazia “totale” apre la via ad una pessima tirannide, né può esistere una peggior schiavitù di quella che viene imposta nel nome di una libertà “assoluta”. Del resto non occorre un ingegno molto acuto per accorgersi con facilità di come i totalitarismi del nostro tempo derivino dai princìpi “liberali” dell’illuminismo.

Mi sto persuadendo sempre più che il Sillabo di Pio IX di f.m. ha stabilito una dottrina non solo vera, ma anche massimamente attuale.  Comprendo perfettamente anche l’avversione della Chiesa cattolica nei confronti della Massoneria: non si tratta di riti diabolici, di gnosi e di segrete macchinazioni, ma dei princìpi avvelenati della tolleranza e della pretesa uguaglianza degli uomini[7].

Spesso i nemici della Chiesa credono al peccato originale più degli stessi ecclesiastici e sono saldamente convinti che l’errore e la verità hanno pari diritti, sicchè l’errore trionfa, dato che la mente umana è privata della certezza della rivelazione soprannaturale[8]. Non è la libertà che difende la verità, ma, conformemente alla costante dottrina della Chiesa ed alle stesse parole del nostro divin Redentore Gesù Cristo, è piuttosto la verità, ed essa sola, a preparare le vie della libertà degna di questo nome.

Mi sembra che questa dottrina debba essere ripetuta fermamente a tutto il mondo da parte della Chiesa, la quale, lungi dal doversi conformare a questo mondo, ha piuttosto il compito di santificarlo e di consacrarlo a Dio convertendolo a Lui.

Mosso dall’amore di questa Chiesa, carissimo Padre in Cristo, ho osato inviarLe questa lettera del tutto personale, sperando, per la stessa ragione, di incontrare venia presso la paterna carità dell’Eminenza Vostra.

Implorando la sua episcopale benedizione e baciando la sacra porpora, col medesimo ossequio mi professo nel Cuore di Gesù e Maria dell’Eminenza Vostra devotissimo

P. Tomas M. Tyn, OP

PS — (In tedesco) Mi sono permesso di scrivere a Sua Eminenza nella lingua della Santa Madre Chiesa, che io apprezzo sopra ogni altra. So bene che Lei è occupato da numerosi compiti per il bene della cristianità cattolica, e che difficilmente avrà tempo ed occasione di rispondermi.

Volevo col mio scritto esprimere a Vostra Eminenza soltanto il mio più intimo ringraziamento per la chiarezza cattolica del suo insegnamento ex abundantia cordis.

In ogni caso, Le assicuro la mia, anche indegna, preghiera per lei e per la Congregazione a Lei affidata.

 

Risposta del Cardinale

3.X.1985

Festa di San Gregorio Papa

Reverendissimo Padre,

tornando dalle mie ferie in Germania ed in Austria, ho trovato, sotto il mucchio delle altre lettere, la sua in occasione della festa di San Domenico, leggendo la quale sono stato preso da una grande gioia per la piena concordanza tra noi, sentendo in tal modo la forza unificatrice della verità, la quale ci è concessa nella fede cattolica.

Mi è di grande consolazione sapere che Ella insegna teologia morale, la quale disciplina veramente fondamentale per la retta formazione della vita cristiana, molto da molti è deformata, i quali offrono ai fedeli pietre al posto di pani, sicchè è assai necessaria una nuova e profonda riflessione sui veri fondamenti della vita cristiana[9].

Con queste parole pongo termine al mio dire ringraziandola di nuovo per le intenzioni espresse nella sua lettera e in Nostro Signore mi dichiaro suo

Joseph Card. Ratzinger

 

Immagini da Internet



[1] Appare qui chiarissima la posizione di Padre Tomas nei confronti del Concilio: “gioia” per la sua dottrina “sana”, tristezza per le false interpretazioni ed applicazioni. Insieme con altri grandi teologi come il Fabro, il Siri, l’Ottaviani, il Parente, il Maritain, il de Lubac, il Daniélou, il Von Balthasar, il Lakebrink, il von Hildebrand e lo stesso Paolo VI, Padre Tomas, benchè così giovane, intuì subito la sporca manovra neomodernista tesa a strumentalizzare il Concilio per i suoi piani sovversivi e falsamente innovativi. Questa denuncia, purtroppo sinora senza apprezzabili risultati, è portata avanti dai Papi da allora sino al Pontefice felicemente regnante. E’ giunto il momento buono?

[2] Qui Padre Tyn si riferisce all’essenza sostanziale del sacrificio eucaristico: in questo senso non esiste altro modo di render culto a Dio.

[3] Qui Padre Tomas usa un termine greco che significa “cattivo governo”.

[4] Nel senso di uno spirito demolitore che distrugge la bellezza e la dignità della liturgia.

[5] Da tutto questo discorso di Padre Tomas a favore del rito di S.Pio V si ricavano due constatazioni. La prima: l’indubbio senso religioso che gli fa apprezzare l’antico rito; la seconda: la grande fatica che egli fa a comprendere il rito della Messa del Vaticano II. In realtà, come sta oggi emergendo sempre più chiaramente (vedi la stima dell’attuale Papa per il rito di S.Pio V), i due riti non si escludono a vicenda, ma anzi sono reciprocamente complementari: quello di S.Pio V sottolinea l’aspetto cultuale-sacrificale-mistagogico della celebrazione eucaristica (risente della tradizione orientale), mentre il rito riformato (più adatto alla mentalità occidentale) evidenzia maggiormente l’aspetto conviviale-comunionale-pastorale. Si tratta solo di accentuazioni diverse di aspetti essenziali che devono essere sempre presenti nella loro totalità in ogni Messa, sia quella antica, sia quella moderna. È evidente che Padre Tomas polemizza, e giustamente, contro l’interpretazione modernistico-filoprotestante-socialista della Messa. Dal canto suo, come è noto, celebrava ordinariamente la Messa di Paolo VI (dal quale fu ordinato!), senza quindi avere nulla da spartire con la concezione lefevriana della Messa. Questa prudente ammirazione del Servo di Dio per la Messa di S.Pio V acquista oggi un particolare significato tenendo conto del recente Motu Proprio del Sommo Pontefice che facilita la possibilità di celebrarla. Si può immaginare quale sarebbe stata la gioia di Padre Tomas per questo avvenimento.

[6] Probabilmente Padre Tomas si riferisce ad un atteggiamento troppo indulgente verso se stessi: una condotta lassista.

[7] Da notare che qui Padre Tomas non se la prende con i principi della tolleranza e dell’uguaglianza umana come tali, dei quali in varie occasioni mostra di avere rispetto e ragionata conoscenza, ma della concezione che di essi ha la cultura illuministico-massonica: vale a dire una concezione per la quale la natura umana (e quindi ogni uomo) non è un valore oggettivo, sacro ed immutabile fondato su Dio creatore come somma ed assoluta regola della condotta umana, ma è un valore esclusivamente rimesso al mutevole arbitrio umano e fondato solo sulla libera volontà e decisione dell’uomo (come singolo: liberalismo, o come collettività: socialismo). Pensiamo per esempio al “Contratto sociale” di J.J. Rousseau.

[8] Col riferimento al peccato originale, il quale ha oscurato la mente dell’uomo, Padre Tomas intende confutare coloro che si lasciano talmente prendere dallo scetticismo, che vengono a mettere sullo stesso piano il vero e il falso.

[9] Questa affermazione del Cardinale ha certamente incoraggiato Padre Tomas a proseguire nel suo grandioso lavoro di una rinnovata fondazione metafisica della morale, della cui necessità parla nella sua lettera, e che sarà portato a termine con la “Metafisica della sostanza”, la quale pertanto non ha soltanto un carattere speculativo, ma, come Padre Tomas avverte in varie occasioni, serve anche a fondare la morale e fornisce al dogma cattolico le necessarie articolazioni concettuali metafisiche. È da notare l’attualità di questa corrispondenza fra il Servo di Dio e l’Em.mo Cardinale: essi si trovano d’accordo in un’analisi della situazione ecclesiale e nei suoi rimedi, che corrisponde a quanto oggi il Papa ripete, dato che i problemi sono fondamentalmente ancora gli stessi di quegli anni, se non peggiorati.

2 commenti:

  1. "Credo che leggere il nuovo motu proprio (di Francesco ndr) abbia spezzato il cuore di Papa Benedetto”. (mons. Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI)

    Queste parole invero gravi (spezzato il cuore...) fanno luce sull'animo di Benedetto e chiariscono una volta per tutte che le sue intenzioni erano il contrario di quelle di Francesco.

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    1. Caro Stefano,
      le parole di Mons. Gänswein, se sono state riportate fedelmente, sono imprudenti, perché sono sicuro che non corrispondono alla verità. Voglio dire che sono sicuro che Benedetto, in un certo modo, è stato grato all’intervento di Francesco, perché questi lo ha messo al riparo dalla strumentalizzazione della quale stava diventando oggetto Benedetto in quanto l’appoggio alla Summorum Pontificum era da parte di coloro che volevano approfittare di questo documento per rifiutare il Novus Ordo, il Concilio Vaticano II e l’autorità dei Pontefici Romani.
      Ritengo inoltre che il Traditiones Custodes sia stato scritto da Francesco in accordo con Benedetto, anche se probabilmente Benedetto lo ha giudicato troppo severo.

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