Ateismo e salvezza - Seconda Parte (2/10)

 

Ateismo e salvezza

Seconda Parte (2/10)

Fenomenologia dell’ateismo[1]

 L’ateo, come Prometeo, si sente potente e capace di operar cose divine; dall’ateismo sorge l’impresa empia della magia, attuata non senza il concorso del demonio, maestro di superbia, sempre pronto ad intervenire laddove l’uomo si lascia ingannare dalla superbia. L’ateo è «tracotante» (trans-cogitans) e «trasgressore» (trans-grediens) perché col suo pensare ed agire esce dai giusti limiti regolandosi col suo solo arbitrio.

L’ateo è l’erede e l’emulo di Adamo che preferisce ascoltare il serpente piuttosto che Dio. Hegel nella sua interpretazione del peccato originale sostiene che il serpente insegna all’uomo come diventare Dio liberandosi dal dominio del Dio creatore il quale proibendo di mangiare dell’albero del bene e del male, gli ha mentito avvertendolo che sarebbe morto[2].

L’ateo sa benissimo che la morte è la conseguenza del suo peccato e ciò nonostante considera Satana e non Dio il suo Signore e liberatore, nella convinzione che sia lui il vero Dio. Nel contempo l’ateo fa Dio di se stesso nel momento in cui sceglie Satana al posto di Dio. Tutto ciò è illustrato col fascino del verso poetico da Giosuè Carducci nel famoso Inno a Satana, dove il demonio appare come «de l’essere principio immenso, materia e spirito, ragione e senso». Ciò ovviamente comporta il rigetto della Chiesa, dei suoi sacramenti e della sua dottrina: «Via l’aspersorio, prete, e il tuo metro!», ossia la tua parola. «No, prete, Satana non torna in dietro!». Cristo è impotente a vincere Satana.

Per l’ateo il mondo del puro spirito, di Dio, delle anime, degli angeli sono pure vuote ed inutili astrazioni. Vera realtà è Satana re del mondo, materia e spirito eterni ed infiniti, il Dio che l’uomo si sceglie perché ha fatto di se stesso Dio:  «Vedi: la ruggine rode a Michele il brando mistico ed il fedele spennato arcangelo cade nel vano. Ghiacciato è il fulminea Geova in mano. Meteore pallide, pianeti spenti, piovono gli angeli dai firmamenti. Ne la materia che mai non dorme, re de i fenomeni, re de le forme, sol vive Satana». La gioia allora non sta in quella eterna gioia che è data dalla visione nella visione di Dio, ma nel godimento fuggevole dei piaceri di questa vita: il vino, la natura, l’amore: «la rapida gioia non langue che la fuggevole vita ristora, che il dolor proroga che amor ne incora».

Spavalderia dell’ateo nei confronti di Dio è l’assenza in lui del timor di Dio.  Dio non gli incute rispetto e riverenza, ma disprezzo, perché l’ateo nella sua mente rimpicciolisce la dignità infinita di Dio al livello di una creatura e così crede di poterlo dominare, sconfiggere e sottometterlo al suo potere. Crede di poter infischiarsene, né il castigo divino che lo minaccia gli fa paura: meglio all’inferno senza Dio che in paradiso soggetto a Dio.

Ma l’ateismo si accompagna anche con l’idolatria, per la quale l’idolatra adora la creatura al posto del creatore. L’idolatra chiama col nome Dio e considera come Dio  una creatura. L’ateismo può accompagnarsi anche al panteismo, per il quale l’uomo si innalza con superbia al di à di se stesso. Egli confonde l’alzare lo sguardo, atto del pensiero, che è nostro dovere, con un impossibile innalzamento del proprio essere, ossia atto d’essere, che viceversa è finito e soltanto Dio lo può arricchire con la sua grazia.

Teniamo presente viceversa che la Scrittura ci insegna che, per salvarci, ossia per liberarci dai nostri peccati e raggiungere la vita eterna, non basta credere in Dio in un modo qualunque o credere in un Dio qualunque o usare ad arbitrio la parola Dio, ma occorre possedere una nozione verace di Dio come Colui Che È, secondo quanto risulta da Es 3,14.  Occorre, cioè, sapere qual è il vero Nome di Dio ed invocarlo, chiedendoGli perdono dei nostri peccati.

C’è chi si preoccupa di farsi un concetto giusto di Dio e c’è invece colui al quale formarsi tale concetto non interessa perché crede che la questione sia superata e che non offra più interesse per l’uomo moderno e progredito grazie allo sviluppo della scienza. C’è chi crede che l’interesse religioso impedisca all’uomo di affermare pienamente se stesso e sia il segno di una filosofia primitiva, di infantilismo mentale e assenza di senso critico.

L’ateo, dal canto suo, guarda al credente con compatimento e un senso di superiorità come verso chi è rimasto legato a vecchie illusioni, è rimasto indietro nello sviluppo mentale, si ingabbia con le proprie mani e si crea degli scrupoli inutili.

Secondo l’ateo il credente si pone dei problemi irrisolvibili od offre per essi delle soluzioni vane e ridicole e trascura di risolvere quelli reali della vita concreta e quotidiana. Trascura i suoi veri doveri per delle pratiche inutili. Secondo Nietzsche si priva dei piaceri della vita, si reca danno con le proprie mani per macerarsi e pascersi di prodotti della propria immaginazione. Si considera il vero intelligente e vorrebbe imporre le sue fole a tutta l’umanità.

Osservo che l’ateo vorrebbe convincersi di non aver necessità di spiegare la sua esistenza perché egli stesso è l’assoluto. Non deve render conto a nessun Dio, non ha nessun Padre che è nei cieli, perché egli stesso ha posto se stesso, esiste da se stesso, pone la legge della sua condotta.

Oppure dà dell’origine del mondo e dell’uomo una spiegazione materialistica e fantastica, scambiandola per «scienza», assolutamente insufficiente perché lesiva del principio di causalità, quando non assegna l’origine dell’universo al caso o al caos.

Per l’ateo, che non disdegna la gnoseologia idealista, il mondo stesso e gli altri non esistono in se stessi, fuori di lui e indipendentemente da lui, ma sono prodotti del suo pensiero al servizio dei suoi interessi. L’essere non esiste indipendentemente da lui, ma è l’essere che egli percepisce e pensa, quindi non l’ha prodotto un altro ma l’ha prodotto lui. L’assoluto non è al di sopra e fuori di lui, ma egli stesso è apparizione e determinazione empirica dell’assoluto. Nessun Dio fuori di lui, ma Dio, se si può usare questa parola, è egli stesso.

Una forma di ateismo moderno è quello che sorge dallo scientismo positivista del mondo dei fisici, i quali, incapaci di trascendere il livello del sapere fisico-matematico, da una parte non riescono a porsi sul piano della metafisica, che considerano un’ingenua cosmologia medioevale, ma dall’altra, non potendo fare a meno di interrogarsi sull’origine dell’universo, elaborano delle visioni immaginarie assurde rifiutando il principio di causalità e finalità col sostituirli con le ancestrali idee antiscientifiche ed irrazionali del caso e del caos.

Esiste anche il cosiddetto «ateismo scientifico», che è stato molto in auge in Unione Sovietica. Da quando essa è si sciolta, esso non attira più l’attenzione e ha perso di credibilità e persuasività. Per quanto possa attirare l’idea di dimostrare apoditticamente che Dio non esiste, tutti in fondo ci rendiamo conto che la cosa è impossibile. E comunque sono note le confutazioni di questa assurda pretesa. I dibattiti e le discussioni su questo problema non esistono più.

L’ateismo di oggi consiste semplicemente nell’ignorare o fingere di ignorare la questione. Semplicemente di Dio non si parla. Ciò naturalmente non significa che di fatto gli uomini di oggi non abbiano un dio o più dèi, di loro conio. Infatti Heidegger non parla di Dio, ma del dio, come usava nell’antico paganesimo e a tutt’oggi nelle tribù africane, amazzoniche ed australiane.

L’ateismo o un falso concetto di Dio può nascondersi anche sotto l’attuale diffusione del buonismo, del misericordismo e del perdonismo. Un Dio che sempre perdona e non castiga mai non può essere il vero Dio, ma è una finzione di comodo è per poter peccare senza temere castighi e non fa altro che favorire il lassismo, il libertinaggio morale e l’oppressione dell’uomo sull’uomo. Anche la distinzione fra il Dio severo dell’Antico Testamento e il Dio misericordioso del Nuovo non è altro che la riedizione dell’antica eresia di Marcione[3].

Anche la rinuncia a chiedersi il perché dei mali che ci vengono dalla natura non è segno di saggezza teologica. Qui bisogna dar atto di intelligenza a Leopardi, il quale questo perché se lo poneva, anche se la sua risposta è sbagliata.  Non si vuole riconoscere che qusti mali sono il castigo del peccato originale e d’altra parte non si vuol essere obbligati a riconoscere che essi provengono da una natura governata da Dio.

Il rischio allora è quello di fare della natura una dea come Pachamama, che ci castiga se la offendiamo, trascurando di chiedersi come mai la natura colpisce anche coloro che la rispettano. In questa visuale la natura si regola per conto proprio e Dio che ci sta a fare? A distribuire tenerezze anche agli empi e agli assassini?

La questione del teismo-ateismo è sostanzialmente una questione morale

Bisogna inoltre osservare che la questione del teismo ed ateismo non è solo una questione teorica, concernente astratte idee metafisiche come l’essere e il non-essere, ma tocca molto concretamente il piano della morale. Nella nostra società pluralista, nella quale credenti e non credenti vivono fianco a fianco nel rispetto reciproco, può sorgere l’idea che in fin di conti l’ateismo sia un’opinione come un’altra, che non deve destare nei credenti alcuna preoccupazione, tanto più che oggi è diffusa l’idea che comunque tutti si salvano.

Ma San Paolo, che oggi certamente rispetterebbe il pluralismo culturale e la libertà di pensiero, tuttavia non mancherebbe di farci presente che l’ateismo è un grave atto di stoltezza che attira sul peccatore l’ira divina:

«L’ira divina si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso la ha manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile» (Rm 1, 18-22).

L’ateismo è una colpa morale. È un peccato di egoismo, di superbia e di empietà. Di egoismo perché l’uomo, invece di volgersi verso Dio, si volge verso se stesso. Dio ci ha creati perché troviamo in Lui vero sommo bene, il nostro sommo bene. Invece l’ateo, che rifiuta Dio, lo vuol trovare in quello che Sant’Agostino e Santa Caterina da Siena chiamano «amore di sè» (amor sui), amore, che, nei giusti limiti, è lecito e doveroso, perché anche noi come creature di Dio siamo amabili, ma che l’ateo esagera e con ciò stesso deforma facendo del proprio io l’assoluto e il principio di tutto come se fosse Dio.  L’ateo quindi non vede il proprio bene in Dio ma lo vede nell’amore del proprio io. Dio quindi che gli comanda di amarlo, gli appare odioso e nemico. Da qui a proposito del cristianesimo, lo spirito dell’anticristo.

È un peccato di superbia, perché il rifiuto di amare Dio al vertice di tutto nasce dal fatto che il superbo considera il proprio io come fosse il vertice dell’essere e quindi il sommo bene. Per lui non è Dio ad essere trascendente, ma egli stesso si considera trascendente. E se ammette Dio, non è Dio che pone e crea lui, ma è lui che pone Dio come correlato dell’io. Infatti tutto quello che l’ateo può concedere è che se Dio pone l’io, questi però pone Dio. Insomma Dio non può esistere senza l’io.

Dalla superbia nasce l’empietà e da questa la disobbedienza alla legge divina e il rifiuto della religione, ossia di render culto a Dio. L’uomo respinge i caratteri e fini della natura umana così come Dio li ha creati e li vuole e pretende di essere egli stesso il libero plasmatore della propria natura. L’ateo, schiavo delle tendenze malvagie causate dal peccato originale, accontenta queste tendenze vedendo in esse il modo di affermare la propria volontà contro quella divina.

In questo saggio dimostro, passando in rassegna alcuni pensatori, che l’ateismo non è dato solo dal formale rifiuto del concetto di Dio e della parola Dio, ma che esiste un concetto di Dio talmente povero, carente, sbagliato, esangue e privo di vita, che non è sufficiente alla religione e alla salvezza; per cui chi lo usa, anche se non nega esplicitamente l’esistenza di Dio ed usa la parola Dio, è sostanzialmente un empio e un ateo, ribelle a Dio e quindi non può salvarsi.

La questione di formarsi il giusto concetto di Dio è essenziale per la nostra salvezza e affinchè possiamo conseguire il nostro vero fine ultimo. Infatti, come vedremo, se noi non assegniamo a Dio i suoi veri attributi, il demonio può presentarsi a noi sotto apparenze divine, per cui praticamente la questione della nostra eterna felicità si riassume nella scelta fra Dio e il demonio come finto dio. Il problema allora sommamente pratico è quello di non scambiare Dio col demonio, sapendo quali sono gli attributi del vero Dio.

Teismo e ateismo sono due questioni teoretiche; si tratta sì di sapere se Dio esiste o non esiste; si tratta sì di sapere qual è il giusto concetto di Dio e che uso fare della parola Dio. Ma tutto ciò pone solo le basi teoriche del problema, il quale, alla fine, è un problema pratico di scelta di vita, scelta che è nelle nostre mani.

Stante infatti il fatto che io sono finalizzato a un sommo bene e a un fine ultimo, ad un’esistenza eterna[4], tutta la questione si riduce ad essere a quale invito, a quale proposta acconsentire? Quella di Cristo Dio o quella del demonio? Un dio non posso non averlo. Tutto il problema allora è semplicemente questo: quale sarà il mio dio? Dio o il diavolo? Sta a me scegliere[5].

Da notare infine che il fatto che uno abbia un concetto sbagliato di Dio non gl’impedisce di avere al contempo quello giusto, che gli serve per potersi salvare, perché di fatto, come ho detto e ripeto, tutti, teisti e atei sappiamo che Dio esiste e che dobbiamo fare i conti con Lui. Come ciò è possibile? Il concetto sbagliato è voluto e volontario, non è in buona fede. Ma perché l’ateo lo forma se sa che è falso? Perché gli fa comodo, per aver un pretesto per ribellarsi a Dio.

Nella questione del teismo-ateismo è facile che intervenga l’azione ingannatrice di Satana ad ispirare falsi concetti di Dio e la stessa negazione dell’esistenza di Dio, nella linea dell’azione originaria da lui condotta nei confronti della coppia umana originaria inducendola a compiere quell’atto di ribellione a Dio noto sotto il nome di peccato originale. Da allora resta nell’uomo una inclinazione a cedere all’inganno del diavolo, se l’uomo non ascolta la propria coscienza sotto l’influsso della grazia.

In ultima analisi, secondo la Scrittura la questione del teismo-ateismo si riduce ad una scelta radicale: o il voler vedere il volto di Dio o il non volerlo vedere per vedere solo se stessi, come Narciso. O la visione (San Tommaso) o l’autocoscienza (Cartesio).

La questione del male[6]

Dio non ha creato la morte

e non gode per la rovina dei viventi.

Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza

Sap 1,13

 

Il confronto teismo-ateismo mette in gioco anche la questione dell’origine e dell’essenza del male e il problema di come vincerlo. Tanto il teista che l’ateo distinguono la buona dalla cattiva azione, ma i criteri sono opposti: il teista fa riferimento a Dio; l’ateo, a se stesso. Così mentre per il teista la bestemmia, l’egoismo, il furto, la violenza, la lussuria, la menzogna, l’omicidio sono cattive azioni, per l’ateo sono buone azioni. E se questi apprezza i giudizi del teista, vuol dire che si avvicina a lui.

Schelling, nella linea di Böhme, intende l’essere di Dio come effetto (causa sui) del suo libero voler essere. E siccome la volontà può scegliere fra il bene e il male, che secondo Schelling, sono connessi l’uno all’altro, per lui Dio è sì bontà infinita, ma solo in quanto ha vinto in se stesso il male, ossia il demonio, impedendo che faccia effetto, ma non del tutto, perchè secondo lui il male è necessario perchè ci sia il bene.

Come non c’è male senza bene, così non c’è bene senza male. Non esiste un puro bene senza male. In tal senso un Dio puro bene non esiste. È dunque, questo, un segno di falso teismo e di ateismo. È lo stesso principio della dialettica di Fichte e di Hegel, che si ritrova anche nella massoneria esoterica, probabilmente influenzata dal manicheismo, che a sua volta deriva dal scivaismo induista.

I problemi riguardanti il male in connessione al problema del teismo-ateismo sono due. Primo: chi vuole il male? L‘uomo o Dio? Secondo: il male è oggettivo? Ciò che è male per me è bene per Dio? Alla prima domanda ci sono due possibili risposte: il teista e l’ateo dicono che il male lo vuole l’uomo. Invece il criptoateo Hegel dice che lo vuole Dio. Alla seconda domanda il teista risponde che il male è oggettivo, è male per tutti e fissato dalla legge divina. L’ateo dice che è soggettivo, è male per me ma non per te, è fissato dal volere umano.

Per il teista Dio è sommante amabile, bontà infinita, giusto e misericordioso, principio onnipotente e provvidente del bene, è tale da poter sconfiggere il male o ricavare da esso un bene maggiore. Il teista continua ad amare Dio anche quando manda la sofferenza. L’ateo maledice Dio o accetta dal Fato, come faceva Nietzsche, sia il male che la sventura.

Per un panteista come Hegel tutto è bene così com’è, perché Dio è tutto e tutto è Dio, tutto è voluto da Dio bontà infinita. Nel contempo, per Hegel, come è noto, male e bene sono le due polarità dialettiche dell’essere come divenire dell’Assoluto. Il bene infatti corrisponde all’essere e il male al non-essere. Ma siccome per Hegel l’essere è sintesi di essere e non-essere, ecco che il male viene ad essere un ingrediente dell’Assoluto, per cui se l’Assoluto è buono, il male nell’Assoluto diventa bene, che è quello che espressamente insegna Hegel, così come egli insegna l’identità di essere e nulla.

Per il credente il male è ciò che dispiace a Dio. La sofferenza può essere un bene come pentimento, come castigo patito e come mezzo di espiazione. Nel giorno del giudizio Cristo separerà i giusti dagli empi premiando i primi e castigando i secondi.

Invece per l’ateo Dio è sommamente odioso, tiranno insopportabile. Dio è il principio del male. Il male è la volontà di Dio. Per conseguenza, il prossimo, in quanto immagine di Dio, è odioso. Il bene è limitato e fallibile; il male è invincibile e prevale sul bene. La sofferenza è sempre un male e va tolta con ogni mezzo lecito. Il bene non può stare senza il male. Per l’ateo è bene ciò che per il teista è male e viceversa.

Mentre il teista confida nella giustizia divina, nel suo soccorso, nella sua grazia, nel suo perdono, nella sua protezione, l’ateo confida solo in se stesso nelle sue forze, nella sua giustizia, nei suoi meriti, nelle sue ricchezze, nei suoi appoggi umani. Il teista si attende un trionfo finale dei buoni sui malvagi, la vittoria finale di Cristo e della Chiesa sulle potenze sataniche e il mondo della futura risurrezione; l’ateo si attende la scomparsa della religione e l’estinzione della Chiesa, del cristianesimo e della condotta cristiana e il trionfo dell’etica libertina, materialista, superomistica, secolarista, relativista, soggettivista, pelagiana.

Un famoso pretesto per negare l’esistenza di Dio è quello di Epicuro, che Hume riporta in questi termini: «Ha la divinità la volontà di impedire il male, ma non il potere di farlo? Allora è impotente. Ne ha il potere, ma non la volontà? E allora da dove deriva il male?»[7].

Alcuni oggi ritengono che Dio stesso sia debole e sofferente per le sofferenze dell’uomo. Ma è evidente che questo è un concetto indegno di Dio. Altri, influenzati dalle idee di Severino, per il quale tutto è bene così com’è, dicono che la sofferenza è un bene e per questo è un attributo divino. Altri, riprendendo Hegel che si rifà a Spinoza, dicono che ciò che a noi sembra male in realtà è bene.

Sant’Agostino risponde ad Epicuro dicendo che Dio è così buono e così potente, da ricavare dal male un maggior bene, mentre dimostra che l’origine del male non può che addebitarsi alla cattiva volontà della creatura, come è insegnato chiaramente nel libro del Genesi della Sacra Scrittura.

La nozione di Dio sufficiente alla salvezza e quella insufficiente

Vedrete la differenza fra il giusto e l’empio,

fra chi serve Dio e chi non lo serve

Ml 3.18

 

È facile oggi come sempre discutere su qual è il vero Dio o su qual è il Dio cristiano. Un Dio che castiga è il Dio cristiano? Un Dio che si adira è il Dio cristiano? Un Dio che si vendica è un vero Dio? Un Dio che esige riparazione o soddisfazione per i nostri peccati è un vero Dio? Un Dio che vuole una guerra è il vero Dio? Un Dio immutabile e impassibile è il vero Dio? Un Dio non incarnato è vero Dio? Un Dio che ci garantisce onori, fama, trionfi, successo, fortuna, potere, piaceri, ricchezze, salute è il vero Dio?

Comprendiamo quanto sia importante farci un giusto concetto di Dio. Comprendiamo quanto è importante assegnare a Dio gli attributi che gli convengono ed escludere quelli che non gli convengono. Comprendiamo che concepire Dio in modo sbagliato equivale ad essere ateo. Ma d’altra parte, come costruire un concetto di Dio che contenga tutti gli attributi che gli convengono? Quanti attributi possono mancare perché quel Dio non sia più Dio? Qual è il limite di tolleranza per non cadere o nell’idolatria o nell’ateismo?

Infatti, la distinzione tra teista ed ateo non è data dal semplice affermare e negare Dio, ma mette in gioco un certo concetto di Dio insufficiente alla salvezza. Ci interpella su quello che è per noi l’assoluto, il fine ultimo, il sommo bene. Chi ne possiede un concetto insufficiente, anche se usa la parola Dio, è già ateo. Una cosa simile avviene per l’organismo vivente. Perché esso possa vivere occorre in lui il possesso di un minimo di forze vitali che gli consentano di vivere, al di sotto delle quali il soggetto muore.

Osserviamo che l’uomo ha la tendenza spontanea a ragionare, ossia a interrogarsi sulle cause, le origini e i fini delle cose. Ora la sua attività raziocinante per un verso ad un certo punto si ferma soddisfatta, ma per un altro procede indefinitamente ed instancabilmente nell’acquisire sempre nuove conoscenze.

Questo cammino fondativo della ragione si ferma (Aristotele dice: ananke stenai, è necessario fermarsi) quando scopriamo l’esistenza di Dio, ossia la causa prima, il bene sommo ed infinito, ente perfettissimo, fine ultimo. Stolto sarebbe chi non si accontentasse, perché trovato Dio non c’è altro da cercare, perchè la ragione possiede tutto quello che desidera e può possedere. Tutti percorriamo questo cammino che ci porta a sapere che esiste Dio, anche i peggiori nemici della ragione, come Lutero, Nietzsche o Schopenhauer.

Quello che può capitare è che ragioniamo male non seguendo le leggi della logica. Qui può effettivamente capitare che non andiamo abbastanza a fondo, non siamo abbastanza radicali nel fondare la realtà, per cui il Dio che scopriamo non è il vero Dio, ma una semplice creatura, un idolo, il mondo, la natura, il nostro io, un’idea della nostra mente.

Ricordiamo altresì che la vita della ragione consiste nella conoscenza della causa dell’effetto. A contatto con la realtà l’uomo si accorge di trovarsi davanti a degli effetti (pragmata). Per cui si chiede: perché succede questo? Da dove viene questo? A che scopo esiste questo? Qual è la ragione o il fine di questa cosa?

Come ci insegna Aristotele, è importante per capire la realtà in profondità la formazione del concetto di causa (aitia), il concetto del «perchè», la ragione (logos) di qualche cosa. La ragione chiede di conoscere il perché delle cose. Dio non è altro che la causa piena e perfetta, la causa totalmente, puramente e solo causa, la causa sufficiente, che non richiede a sua volta di essere causata, causa necessaria perché senza di essa non si spiegherebbe l’effetto. La Bibbia, su questa questione, è molto semplice: non parla, come Aristotele, di effetto e di causa, ma di opera e di artefice (Sap 13, 1-9), facendo subito capire, meglio di Aristotele, che questa causa è una persona.

Inoltre, questo divino artefice, cosa che non è data all’artefice umano, spiega non solo la forma e il divenire delle cose, come facciamo anche noi, ma anche la loro stessa esistenza, cosa che a noi non è data, perché noi nel nostro produrre supponiamo l’esistenza delle cose sulle quali operiamo. Invece l’artefice divino, come spiega la Bibbia stessa, produce anche l’essere dal nulla, ossia è causa creatrice.

Ma, per poter spiegare l’essere prodotto e il poter essere causa dell’essere delle cose, occorrerà attribuire a tale ente l’essere da Sé, per conto proprio (aseitas), dovrà essere l’Essere assoluto, l’Essere per essenza. Ecco allora che Dio chiama se stesso «Colui Che È» (Es 3,14).  Da qui l’importanza essenziale della metafisica per capire la teologia.

La Bibbia, inoltre, per dimostrare l’esistenza di Dio, non fa uso, come San Tommaso, del processo all’infinito nella retrocessione delle cause. Riconosce che le opere di Dio, soprattutto l’uomo, hanno un potere causale, sanno produrre effetti. Ma, una volta conosciuto l’effetto, la Bibbia scopre subito la causa divina e semmai constata che l’uomo, nel produrre effetti, assomiglia a Dio. L’artista umano assomiglia all’Artista divino.

Aristotele si accorge della possibilità del processo all’infinito, ma si accorge subito anche del fatto che non vale la pena dia prenderlo in considerazione, perché non spiega niente. Da qui il suo assioma: «bisogna fermarsi» (ananke stenai). A queste parole corrispondono quelle della Scrittura: «Fermatevi e sappiate che Io Sono Dio» (Sal 46,10).

Da ciò noi vediamo come è importante formarsi un concetto analogico di causalità: l’effetto, per esempio l’uomo, esercita una causalità simile a quella esercitata da Dio. Qui abbiamo la distinzione fra causa prima e causa seconda. La causa prima non è altro che la causa nella perfezione del suo concetto.

Ora il vero Dio è la causa nel senso assoluto del concetto. Chiamare Dio una causa insufficiente, una causa seconda vuol dire farsi un concetto sbagliato e non salvifico di Dio. Tale concetto, invece, resta sufficiente alla salvezza purchè Dio sia visto come ente sommo, causa prima, personale, produttrice del mondo, alla maniera biblica, anche se mancano alcuni altri attributi divini.

La Bibbia e la storia delle religioni ci insegnano inoltre che nell’antichità ogni popolo aveva il suo Dio o i suoi Dèi, che il popolo riteneva più potenti degli Dèi degli altri popoli, così da prospettare la possibilità che, confidando nei propri Dèi, quel popolo sarebbe diventato dominatore sugli altri popoli.

Nella modernità questa idea religiosa è stata sostituita dal principio nazionalistico-espansionistico-imperialistico. Così per esempio quando esisteva l’Unione Sovietica, uno Stato ateo, nulla impediva al Partito Comunista di ritenersi il liberatore di tutti i popoli oppressi dal capitalismo e, con questo pretesto i sovietici si sentivano autorizzati ad assoggettare i popoli alla Russia sovietica.

La Germania nazista fece la stessa cosa, solo che l’impresa hitleriana fu attuata con una tale irrazionalità e violenza, che l’Europa reagì con forza distruggendo il regime hitleriano. Non è difficile rintracciare nel concetto nicciano del Tedesco l’ispirazione per l’impresa di Hitler.

La sorte speciale di Israele, voluta da Dio stesso, è stata quella che il suo Dio non era un idolo, come quelli degli altri popoli, ma era il vero Dio, creatore del cielo e della terra, salvatore dell’intera umanità. E per questo Israele, nella sua sublimazione del concetto rivelatogli da Cristo, ha ricevuto il diritto e il dovere di predicare il suo Dio come l’unico Salvatore di tutti i popoli. Così la Chiesa, nel corso dei secoli, ha assunto alcuni concetti della cultura greca e romana, che si sono rivelati utili per spiegare la natura del Dio d’Israele e del Dio cristiano.

Un concetto connesso con quello di Dio è il concetto del Fato (fatum ossia «ciò-che-è-stato-detto», ossia decretato, fissato, stabilito, in gr. Moira, in Ted. Geschick). Da chi? Non si sa, comunque da Qualcuno misterioso, primo, potentissimo e irresistibile, la cui volontà e le cui decisioni inappellabili ed imperscrutabili si avverano e si attuano sempre, necessariamente ed infallibilmente, senza che alcuno, neppure gli Dèi, possano impedirla o farvi resistenza, opporvisi o cambiarle. Io credo di poter scegliere questo o quello, ma in realtà è il Fato che sceglie questo o quello. Nulla avviene di bene o di male, che non sia voluto necessariamente dal Fato.

Nel brahmanesimo non esiste il Fato, perché Brahman non è una persona che decide della sorte degli uomini, cosicchè essi fanno infallibilmente ciò che vuole lui, ma semplicemente è l’essenza fondamentale nascosta ed ineffabile, prima ed originaria di tutte le sue apparizioni, rivelazioni, avatar, determinazioni, finitizzazioni, materializzazioni. Brahman non provvede, non destina, non dirige verso un fine. Questa è l’interpretazione popolare e religiosa, per la quale Brahman appare come un Signore celeste benevolo, provvidente, giusto e misericordioso.

Nella Bibbia il Fato non esiste. Nessun Fato al di sopra della divinità, ma Dio è al di sopra di tutto. Egli sostituisce il Fato, con la differenza che crea persone libere, responsabili e capaci obbedire o di disobbedire alla sua volontà, anche se è vero che se Dio vuole una cosa, questa si realizza e se ha predestinato qualcuno alla salvezza, questi si salva infallibilmente, ma agendo liberamente e responsabilmente.

Non sempre facile è anche distinguere nella prassi Dio dal demonio. Chi non crede all’esistenza del demonio parte già col piede sbagliato ed è proprio il miglior candidato a cadere nei lacci del diavolo, perché è ovvio che è esposto maggiormente al pericolo colui che lo ignora. Ciò significa che come occorre dimostrare l’esistenza di Dio, così bisogna dimostrare quella degli angeli e del demonio, perché il nostro vivere è un continuo rapporto con Dio e col diavolo. Anzi, tutto il senso della nostra vita si può riassumere in una scelta o per Dio o per il diavolo[8].

«Anche Satana si maschera da angelo di luce» (II Cor 11,14). Occorre saper discernere da dove vengono i pensieri e i progetti che ci vengono in mente, se ci accorgiamo che vengono dal di fuori di noi e sembrano proposti, magari con argomentazioni, da un soggetto intelligente e interessante. Quelli buoni sono prove dell’esistenza di Dio. I malvagi ci sono suggeriti dal demonio. Non la vita spirituale come tale è segno del divino, perché anche Satana è spirito. Non tutto ciò che pare divino lo è veramente, perché Satana sa fingersi Dio.

Nell’Eden egli è apparso più autorevole di Dio, è riuscito a presentare Dio come un despota invidioso e bugiardo, è riuscito ad ottenere la nostra fiducia e ancor adesso egli tenta il colpo, nella speranza di ingannarci un’altra volta. Occorre affinare e controllare continuamente il nostro concetto di Dio, imparare dalle sconfitte subìte, perché Satana insieme con i cattivi filosofi e gli eretici, è abilissimo nel falsificarlo.

Volendo ridurre all’essenziale il criterio per distinguere la nozione sufficiente da quella insufficiente di Dio ai fini della salvezza, potremmo dure che la discriminante di fondo è vedere come viene impostato il rapporto dell’uomo con Dio. Tutto peraltro si riduce all’opposizione fra realismo ed idealismo perchè qui si dà rispettivamente l’opposizione fra l’affermazione e la negazione della creazione. Ora il vero Dio è il Dio creatore dell’uomo. Ma mentre nel realismo l’uomo è creato da Dio, nell’idealismo è l’uomo che pone Dio come idea prodotta dall’uomo. 

Fine Seconda Parte (2/10)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 3 novembre 2023

 

Un famoso pretesto per negare l’esistenza di Dio è quello di Epicuro, che Hume riporta in questi termini: «Ha la divinità la volontà di impedire il male, ma non il potere di farlo? Allora è impotente. Ne ha il potere, ma non la volontà? E allora da dove deriva il male?».

Alcuni oggi ritengono che Dio stesso sia debole e sofferente per le sofferenze dell’uomo. Ma è evidente che questo è un concetto indegno di Dio. Altri, influenzati dalle idee di Severino, per il quale tutto è bene così com’è, dicono che la sofferenza è un bene e per questo è un attributo divino. Altri, riprendendo Hegel che si rifà a Spinoza, dicono che ciò che a noi sembra male in realtà è bene.

Sant’Agostino risponde ad Epicuro dicendo che Dio è così buono e così potente, da ricavare dal male un maggior bene, mentre dimostra che l’origine del male non può che addebitarsi alla cattiva volontà della creatura, come è insegnato chiaramente nel libro del Genesi della Sacra Scrittura.

Immagine da Internet: Epicuro


[1] Cf AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, a cura di Battista Mondin, Editrice Massimo, Milano 1981.

[2] Cf Lezioni sulla filosofia della religione, Zanichelli Editore Bologna 1974, vol.II, p.79, cf anche vol.I, 363-366.

[3] Essa ricompare nel libro di Walter Kasper Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo, chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2013. In esso Kasper sostiene che il Dio cristiano perdona tutti non castiga più.

[4] Questa è la parte di verità dell’eternalismo di Severino.

[5] Il diavolo stesso, come è noto, nelle tentazioni nel deserto, ha l’impudenza di proporsi a Cristo come suo Signore. Evidentemente non si rendeva conto con chi aveva a che fare. Cf il mio libro Il progetto del demonio. La prospettiva di Satana e quella di Gesù Ccristo, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021.

[6] Cf C.Journet, Il male, Edizioni Borla, Torino 1963.

[7] Cit. da Dialoghi sulla religione naturale, Edizioni Laterza, Bari 1963, p.120.

[8] Cf il mio opuscolo Il progetto del demonio. La prospettiva del demonio e quella di Gesù Cristo, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021.

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