I beati del paradiso vedranno i dannati dell’inferno? - Seconda Parte (2/3)

 I beati del paradiso vedranno i dannati dell’inferno?

Secconda Parte (2/3) 
 

L’aspirazione a un’umanità fraterna

Un aspetto essenziale della beatitudine a cui aspira l’uomo amante della pace è il poter vivere in una società giusta e fraterna basata sull’amore reciproco:

 

«ecco, quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste. È come rugiada dell’Hermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre» (Sal 133).

Cristo è venuto per dare all’umanità la possibilità di realizzare questo ideale. Tuttavia ci avverte che non tutti lo accettano, ad anzi alcuni lo avversano. Per questo, occorre combattere e soffrire per la sua realizzazione, come ce ne ha dato esempio Lui salendo sulla croce. Per questo, nel futuro regno che Egli fonda, fondando la Chiesa, non tutti entreranno, ma solo coloro che accettano le condizioni che Egli pone affinchè la società possa vivere in pace.

Alcuni invece oggi, che pur pensano di interpretare la volontà e l’opera di Cristo, credono che tutti gli uomini, magari inconsapevolmente ed implicitamente, almeno nel fondo dell’animo o, come dicono, «atematicamente», hanno accettato, accettano ed accetteranno questo invito di Cristo, per cui tutti da peccatori diventano buoni e si salvano: tutti un giorno ci troveremo assieme felici  in una società fraterna senza esclusi, senza emarginati, senza scomunicati, senza nemici, senza dannati.

Anche chi combatte e rifiuta Cristo esplicitamente o tematicamente, ossia in base a convinzioni verbali o concettuali, anche l’ateo, l’agnostico, lo scettico, il bestemmiatore, lo stupratore, il pedofilo, il terrorista, il ladro, l’assassino, il tiranno, il torturatore e il mafioso, in fondo è un cristiano anonimo.  Tuttavia, dovremmo dire francamente che simili idee non sono affatto convincenti ed anzi sono delle imposture. Perché?

Il fatto è che Gesù, se da una parte ci ha dato i mezzi per realizzare questa società fraterna, dice chiaramente e ripetutamente, in vari modi, che non tutti rispondono e risponderanno al suo invito, ma molti si opporranno, per cui essi saranno esclusi dalla sua comunità, ossia, come egli dice, dal regno dei cieli.

La comunità di Cristo, la Chiesa, chiama tutti ma di fatto non include tutti, ma solo coloro che accettano le condizioni per appartenere alla Chiesa. E quelli che, avendole accettate, dopo un certo tempo le rifiutano, la Chiesa li esclude dal suo seno, ossia, come si dice, li scomunica, anche se ne è addolorata e continua cercarlo con amore di madre. Se è severa con qualche figlio ribelle, è per correggerlo e perché rinsavisca. Con chi invece è fragile e non ce la fa, è pietosa, misericordiosa, comprensiva e compassionevole. Quei figli che invece stanno dentro ai confini della comunità, li lascia liberi di prendere tutte le iniziative che vogliono.

È vero che non ci è dato conoscere i segreti dei cuori, i motivi profondi dell’agire del nostro prossimo e giudicare le coscienze; per cui non è facile e spesso è impossibile sapere se uno è o non è in buona fede o sapere fin dove può arrivare l’errore in buona fede, soprattutto oggi che l’ignoranza in fatto di religione e la mancata vigilanza o preparazione dei pastori sono diffuse.

È vero che forti sono i condizionamenti psichici o ambientali dell’agire umano, i quali abbassano la responsabilità e scusano la malvagità di certe azioni.  Ma come negare l’evidenza dell’ostilità in tanti di noi nei confronti della morale cristiana insegnata dalla Chiesa? Come ammettere la buona fede in chi ha ricevuto un’accurata educazione cristiana e riveste addirittura funzioni di maestro e di guida nella comunità cristiana?

Come si può pensare che desideri una comunione fraterna quale quella voluta da Cristo, chi ne nega i presupposti dogmatici, teorici e pratici, i princìpi e i metodi di attuazione, non rispetta la legge della carità, pensa ed agisce ostinatamente e sistematicamente in tutta evidenza nell’esatto contrario? Perché la società fraterna fondata da Cristo, la Chiesa, è tanto osteggiata nel corso della storia? Perché all’interno stesso della Chiesa vi sono conflitti tra fratelli? Perché alcuni si ribellano ai pastori che zelano la verità, la comunione e la concordia? Come mai ci sono dei perseguitati all’interno della Chiesa stessa? Perchè vengono ascoltati degli impostori e i veri profeti parlano al vento? Ci sono o non ci sono scandali e ingiustizie?

Perché alcuni col pretesto dello «scandalo della croce» scandalizzano sul serio? Non esiste lo scandalo dei farisei? E lo scandalo dei piccoli? Perché ci sono falsi cristi e falsi profeti? Perché c’è il grano e il loglio? Perché ci sono i tribunali ecclesiastici? E come mai Cristo parla dell’azione di Satana che seduce, inganna e crea divisioni e discordie? Non sarà che i buonisti chiudono gli occhi a tutto ciò vivendo in un mondo virtuale che assomiglia a quello di Alice nel paese delle meraviglie?

Dopo le terribili guerre di religione dei secc. XVI-XVII nacque in Europa prima con la Fraternità dei Rosa-Croce e poi con la massoneria nei primi ‘700 un orientamento di pensiero che cominciò a ritenere possibile l’edificazione di una società e un’umanità giuste e pacifiche sulla base della sola ragione, della scienza e della buona volontà, indipendentemente da concezioni religiose della morale, ossia nel rifiuto di concezioni etiche fondate su di una rivelazione divina.

Le lotte fratricide fra cattolici e protestanti, entrambi convinti che la morale si basi sulla messa un pratica di comandamenti divini, avendo dato così cattiva prova  della morale che essi sostenevano, crearono in molti la convinzione che questa idea di una morale fondata su di un Dio personale che parla e che comanda all’uomo che cosa deve fare, come un signore al suddito, fosse un’idea primitiva e superata, senza fondamento filosofico e si cominciò a diffondere la convinzione  che per sapere che cosa dobbiamo fare basta la ragion pratica, nella quale è già insito il senso del dovere e la conoscenza della legge morale.

Per la massoneria l’inferno non esiste, perché i massoni ci assicurano che, se li ascoltiamo nei loro progetti politico-economici globali, sono capaci di creare ed organizzare con strumenti mediatici e programmi ecologici un’umanità di uguali, sana, ordinata, giusta, fraterna, libera e pacifica, nel pluralismo delle culture e delle religioni,  senza guerre e senza conflitti, senza bisogno di alcuna Chiesa o alcuna grazia o alcuna Rivelazione, ma in base alle semplici forze della ragione, della scienza, della tecnica, della virtù, del dialogo, dell’educazione e della buona volontà, perché tutti gli uomini vogliono la pace e tutti in fondo, come dice Rousseau, sono buoni. Al peccato si rimedia semplicemente con un atto di buona volontà, senz’alcun bisogno di una redenzione divina. Gesù Cristo, come pensa Kant, è un semplice maestro di retti costumi.

Tutti i titoli altisonanti sono invenzioni dei suoi primi entusiasti discepoli. La massoneria giudica altresì deleteria la dottrina del peccato originale, che avrebbe reso l’uomo cattivo e debitore di riparazione presso un Dio offeso ed adirato, che esige soddisfazione e che occorre tornare ad ingraziarsi mediante l’offerta di sacrifici espiatori.

Queste credenze, per la massoneria sono umiliazioni per l’uomo assoggettandolo con servilismo a un supposto Dio dispotico e vendicativo, un personaggio fantastico trascendente, col quale dovrebbe riconciliarsi offrendogli le proprie sofferenze.  Per il massone, invece, come per Kant, Dio non è altro che l’Idea suprema della ragione, la quale è la legislatrice e l’architetto dell’universo.

Per il massone una tranquilla convivenza civile si ottiene semplicemente collaborando al bene comune, educando i giovani alla virtù, lottando contro la sofferenza con i progressi della medicina, praticando la tolleranza e la misericordia, evitando le posizioni assolute, le imposizioni e i dogmatismi, accettare il diverso, dialogando con tutti senza escludere nessuno. Così ogni problema si risolve ed ogni ingiustizia si ripara, per cui quel paradiso che il cristianesimo promette per l’al di là lo si può e lo si deve costruire nell’al di qua.

Non può esistere una società senza un’autorità giudiziaria

e per questo Cristo è giudice dei vivi dei morti

La massoneria ammette nella società un potere giudiziario, ma si rifiuta di accettare il dogma cristiano del giudizio universale nel quale Cristo separa i giusti dai reprobi, perché secondo la massoneria l’umanità, seguendo gli insegnamenti massonici riassunti nella famosa triade liberté-égalité-fraternité potrà raggiungere un giorno la pace universale, senza più guerre e conflitti.

La massoneria, organizzando la Rivoluzione Francese, tentò di mettere in pratica la sua idea che per realizzare una società giusta basta la giustizia umana. Si è visto come è andata a finire col regime del Terrore. Ma evidentemente non è servito a nulla e la massoneria a tutt’oggi continua imperterrita a credere che per la realizzazione della giustizia siano sufficienti le forze della scienza e della volontà umane, con la differenza che oggi la massoneria, ispirata dall’origenismo, pensa che in fondo tutti gli uomini siano buoni e che desiderano la pace, che ognuno sappia regolarsi da sé e che quindi sia giunta un’era di pace universale e perpetua, nella quale non occorrono più tribunali, condanne, carcerazioni e pene di morte. Non è più necessaria la difesa personale perché non esistono più nemici. Tutti sono fratelli[1]. Non bisogna più infatti dividere la società in buoni e cattivi, perché tutti sono buoni. Non occorrono più nemmeno le forze armate perché le guerre sono abolite e devono essere proibite dalla pubblica autorità.

Dobbiamo notare peraltro che effettivamente se la società vuol vivere pacifica, occorre un giudice che stabilisca nelle controversie chi ha ragione e chi ha torto. Su ciò i massoni sono d’accordo con noi cattolici. Quello che non accettano è, come abbiamo visto, un definitivo giudizio divino, che ripari ai difetti della giustizia umana.

Occorre precisare altresì che il tribunale suppone che esista un criterio di giudizio equanime ed imparziale, basato su di una verità giuridica e morale oggettiva, certa, universale, universalmente condivisibile, immutabile, extramentale, indipendente dalle opinioni di ciascuno. Si esclude quindi la gnoseologia idealista che identifica il pensiero con l’essere e non ammette un essere fuori del pensiero come regola del pensiero.

Ora, la realtà è, come insegna la Scrittura, che conferma le convinzioni della ragion pratica naturale, che tutti gli uomini sanno che Dio esiste e che devono rispondere a Dio del loro operato. Ognuno di noi fa la sua scelta: o per Dio o contro Dio. Tutti quindi sono convocati al Tribunale di Dio nell’ultimo Giorno. Nessuno può dire che non sapeva. Ciò che è possibile, come dimostra il discorso di Cristo di Mt 25, è che alcuni Lo abbiano servito senza rendersene conto.

Secondo la rivelazione biblica, Dio aveva nel suo piano originario l’unità e la concordia della comunità umana, ma a seguito del peccato, ha deciso di offrire a tutti la possibilità di salvarsi, ma, avendo lasciato ciascuno libero di fare la sua scelta, nel contempo ha deciso di salvare i buoni, cioè coloro che avrebbero accettato; e di condannare i malvagi, cioè coloro che avrebbero rifiutato. Dio quindi non ha voluto eliminare totalmente il male dall’umanità, come credette  Origene, e come credono oggi i buonisti, ma lo ha lasciato come male di pena o castigo dei dannati. È eretico credere con Origene che Dio un giorno perdonerà tutti e riconcilierà tutti con tutti. I misericordisti sembrano pretendere di essere ancora più misericordiosi di Dio, che castiga gli empi.

Il giudizio universale, dunque, inteso come rendiconto finale, per il massone non esiste. Per lui a far giustizia è sufficiente la giustizia umana. Ognuno di noi deve render conto alla propria coscienza, perché ognuno ha diritto di stabilire ciò che per lui è bene, o tutt’al più rende conto al giudice terreno; ma non ammette il dovere di presentarsi a Dio inteso come Legislatore e Giudice, per il fatto che il massone non ha il concetto di un Dio personale autore e quindi norma morale della nostra natura, un Dio paterno che ci parla e col quale noi interloquiamo, ma vede Dio solo come suprema Mente immanente nell’universo ed ordinatrice dell’universo.

La fraternité dei rivoluzionari francesi dell’‘89 è un esser fratelli senza un Padre comune, perché non si è figli dello stesso Padre. In cielo non c’è nessun Padre. Si è uguali non perché tutti appartenenti alla stessa natura umana creata da Dio, ma così come in logica i singolari di una specie non sono prodotti dall’universale di quella specie, ma semmai è l’universale che è astratto dal singolare.

Quindi i singoli sono uguali non per la natura umana specifica, bensì uguali senza diversità tra individuo e individuo, ma come i prodotti in serie di un’industria automobilistica o di frigoriferi, come si è verificato nel regime comunista staliniano[2]. Oppure sono diversi senz’alcuna comunanza di natura, ma uguali solo nel fatto che tutti sono egualmente diversi, come si realizza nei regimi individualisti liberali anglosassoni ispirati alla gnoseologia di Ockham.

Quindi per il massone non ha senso il comando biblico di non presentarci davanti a Dio a mani vuote (Es 3.21; 34,20; Dt 16,16; Sir 35,4). Egli non accetta la parabola dei talenti dove Cristo chiaramente insegna che dobbiamo far fruttare i talenti ricevuti e presentarci a Dio col frutto del nostro lavoro (Mt 25, 14-30).

In realtà, il presentarci a Dio senza esserci procurati dei meriti, col pretesto che la salvezza è dono gratuito della misericordia di Dio, non è il comportamento del vero credente, come vorrebbe farci credere Lutero, ma è precisamente l’atteggiamento del servo infingardo che seppellisce il talento invece di farlo fruttare. Invece bisogna dire che, sull’esempio dell’operaio laborioso della parabola evangelica, quando ci presenteremo a Dio, dovremo essere coscienti del bene che abbiamo fatto, così che potremo verificare la lealtà divina, nel mantenere le promesse e nel rispetto del contratto di lavoro.

La convivenza umana non può sussistere

sulla base della conflittualità del reale

Invece nell’hegelismo, per il quale la stessa realtà è dialettico-contradditoria, l’unità del genere umano è realizzabile già adesso, come realizzazione dell’Assoluto come Storia, accettando il principio hegeliano che l’identità dell’Assoluto immanente nella storia è l’identità dell’identità con la non-identità.

All’ottimismo massonico illuminista-kantiano del ‘700 si è dunque opposto l’hegelismo, il quale ha riesumato l’antico principio protagoreo-eracliteo già a suo tempo confutato da Aristotele, dell’unità degli opposti, col pretesto di spiegare il divenire, introducendo nelle relazioni umane un irriducibile ed irresolubile principio di conflittualità, che rende non solo impossibile una pace universale dell’umanità, ma qualunque forma di accordo neppure tra due singole persone.

L’autonegazione è al cuore del pensiero hegeliano: esso si nega nel momento in cui si afferma.

 

«La verità – dice Hegel[3] - racchiude in sé anche il negativo, ossia ciò che si chiamerebbe il falso, qualora potesse venir considerato esso stesso come essenziale; esso, cioè, non è da considerare nella determinazione di alcunché di rigido, che, tagliato via dal vero, debba venir abbandonato»: il vero va conservato insieme col falso. L’uno ha bisogno dell’altro.

 

«Né d’altronde il vero è da considerare come alcunché di positivizzato e morto, giacente inerte dall’altra parte». Hegel si esprime come se il vero, che per lui il vivo, dovesse risultare dall’unione di vero e di falso, quindi di vivo e di morto, altrimenti il vero da solo per lui sarebbe il morto, per cui il vivo verrebbe fuori dall’unione col morto, come se vivo e morto fossero necessari l’uno all’altro perché ci sia il vero, e quindi il vivo. Il vero ha bisogno del falso per essere vero.  E il vivo ha bisogno del morto per essere vivo. A queste parole segue la stupefacente definizione del vero come «trionfo bacchico dove non c’è membro che non sia ebbro».

Ma ecco che da questa sbronza generale sorge, non si sa come, la quiete e la sobrietà: «e poiché ogni membro nel mentre che si isola, altrettanto immediatamente si risolve, il trionfo è altrettanto la quiete trasparente e semplice». Non si capisce con quale faccia Hegel parli di sobrietà come effetto dell’ubriachezza. Il Cristo di Hegel non separa i giusti dagli empi, ma li mette assieme, quindi non fa che consacrare ciò che avviene in questo mondo. Davanti a questo orribile paradosso abbiamo l’impressione di sentirci beffati. Eppure Hegel sembra fare sul serio.

Per quanto ciò sembri demenziale o appaia una boutade, quanto dice qui è il centro propulsivo del suo sistema e ci spiega come per Hegel la guerra è fatto essenziale del progresso storico, il quale quindi non conosce alcuna pace finale, non conosce alcuna Gerusalemme finale, ma la ruota inesorabile dell’eterno conflitto. L’eternità non è quella di Colui che ha detto «le mie parole non passano», ma è «un passare che né sorge né passa»[4].

Così mentre i massoni s’illudono di poter abolire la guerra nelle attuali condizioni di natura decaduta, come se l’umanità fosse rimasta nello stato edenico o avesse raggiunto il paradiso, l’hegelismo, cui ha fatto seguito il conflittualismo marxista, ha l’ipocrisia di fondare la sintesi non sull’esclusione dell’antitesi, ma sull’unità della tesi con l’antitesi, del sì col no. Ben lungi dall’eliminare la conflittualità, l’hegelismo ne fa principio di unità e pretende di ottenere la pace non con l’eliminazione, ma con la normalizzazione del conflitto. L’inferno è la condizione di esistenza del paradiso. La beatitudine consiste nell’odio per il nemico.

Quindi oggi ci troviamo davanti a due estremismi opposti: da una parte un pacifismo utopistico, gnostico, negatore delle conseguenze del peccato originale, erede di Rousseau e sposato dalla massoneria dei gradi bassi. Dall’altra, la ruota del kein Leben ohne Tode, kein Tode ohne Leben[5], il ciclo inesorabile maledetto della svastica[6] e del male invincibile, espressione dei gradi alti, esoterici, della massoneria.

 

Tutti buoni

Si è diffusa l’idea che il credere che tutti si salvino è il segno di avere un cuore veramente misericordioso, di conoscere veramente la misericordia di Dio e di essere aggiornati sulle posizioni più avanzate e moderne della teologia biblica.  Alcuni ritengono addirittura che lo stesso Papa Francesco, instancabile predicatore della misericordia, sia un misericordista che nega l’esistenza di dannati. Ma ciò non risulta assolutamente, al di là di alcune sue espressioni non del tutto chiare o felici, che potrebbero essere strumentalizzate, ma che possono benissimo ricevere un senso ortodosso.

Spesso l’uomo d’oggi non è un angosciato o disperato che teme di perdersi per l’eternità e che aneli ad una salvezza celeste ed eterna che solo Dio può dargli. Non è così. Spesso all’uomo d’oggi non interessano la prospettiva di vedere Dio per sempre in cielo tra i santi e gli angeli, un Dio Spirito, al vertice dei valori dello spirito, un Dio, Essere sussistente, trascendente creatore dell’uomo e del mondo, legislatore della condotta umana della natura, giudice dei buoni e dei e dei malvagi. Non è interessato perchè considera queste cose come fantasie che distraggono dalla ricerca della felicità che solo in questa terra si trova.

A costoro la misericordia di Dio non interessa realmente, perché ritengono di non far niente di male, per cui essi ritengono di non aver bisogno di essere compassionati e perdonati. E allora come possono i buonisti asserire che ogni uomo come tale è un «cristiano anonimo»? Come possono parlare di salvezza di tutti, se tanti non concepiscono la salvezza in questo modo? Come possono promettere o prospettare una salvezza celeste a chi interessa questa terra?  Se a tanti la legge di Dio non interessa e preferiscono fare la loro volontà, come fanno a sperare di vivere per sempre con un Dio, del quale non hanno voluto fare la volontà, ma la propria?

La salvezza cristiana è quella di coloro che hanno temuto Dio e le sue leggi, hanno compreso il senso della sua severità, si sono pentiti dei loro peccati e sono tornati a Lui. Ma che salvezza è quella di coloro che s’immaginano un Dio che lascia passare benevolo tutti i loro peccati e poi li premia con un’eterna felicità? Felicità per che cosa? Perché sono uniti a un Dio, davanti al quale, pentiti, hanno chiesto perdono? Un Dio i cui castighi hanno interpretato come richiami paterni alla conversione? Neanche per idea. E allora che Dio è quello che li salva, quello col quale vogliono vivere in eterno? Non è un Dio inesistente e di loro pura invenzione?

L’inferno non è altro che il luogo scelto da coloro che di Dio non ne vogliono sapere, anzi di coloro che lo odiano e vogliono fare solo la loro volontà, ed essere legge a se stessi. Non ci sono forse attorno a noi molti che la pensano a questo modo ed agiscono di conseguenza? Forse che già da quaggiù non si manifestano tra noi coloro che amano Dio e coloro che odiano? Coloro che Gli obbediscono e coloro che gli disobbediscono? Coloro che lo temono e coloro che se ne infischiano? Coloro che lo prendono in giro e coloro che ci credono? Coloro che lo snobbano e coloro che lo prendono sul serio e dei quali Egli è il senso della loro vita? Coloro che fanno il doppio gioco e coloro che sono leali e coerenti?

Ebbene, il paradiso non è altro che il luogo di coloro che hanno raggiunto per sempre quel sommo bene, Dio che hanno sempre desiderato e al quale hanno dedicato la loro vita. L’inferno è il luogo di coloro che hanno voluto affermare il proprio io, centrare tutto attorno a se stessi, sono soddisfatti di se stessi, della propria volontà e della propria libertà infischiandosi di rivelazioni, volontà, leggi, ordini, perdoni, punizioni, appelli, minacce, giustizie, doni, vocazioni, misericordie, tenerezze e grazie divini, inferni, purgatori e paradisi.

Ora bisogna considerare che l’atto della virtù di giustizia, si tratti del premiare come del punire, non può non arrecar piacere in chi lo compie e in chi lo vede, anche se ovviamente non è gradito da parte del criminale punito, benché, se è onesto, dovrebbe anch’egli riconoscere la giustizia del provvedimento del quale è oggetto[7]. Così la gente onesta si rallegra quando vede che il sistema giudiziario funziona.

D’altra parte, se la giustizia umana non trova in quella divina il suo fondamento, il suo appoggio e il suo ideale, fragile, incostante e difettosa com’è, dove lo trova? Se anche Dio può essere gabbato dai furbi e se dà il lasciapassare del paradiso tanto all’assassino quanto alla sua vittima, non si sentirà allora anche la giustizia umana autorizzata ad abbandonare ogni imparzialità e a mettersi al servizio dei prepotenti e degli oppressori, col pretesto che tutti sono buoni, tutti sono in grazia, tutti sono fragili, degni di compassione e si salvano?[8].

Per il buonista non esiste la cattiva volontà, nessuno è in malafede, nessuno fa il male intenzionalmente o volontariamente, ma solo per ignoranza o per fragilità. Tutti quindi devono essere compassionati. S’identifica il peccato con lo sbaglio, con l’errore. Nessuna colpa da espiare, nessuna penitenza. Non si deve condannare, ma comprendere, l’unico peccato è quello di chi afferma l’esistenza del peccato e pertanto invoca la necessità di punire il peccato.

Non esiste il nemico, ma solo il diverso. Ma se si scambiano così i ruoli, succede anche che il diverso è il nemico. Il buonismo di Rousseau e il pessimismo di Hobbes si corrispondono. Quando non si distinguono più i giusti dagli empi, quando non si ammette un criterio oggettivo, universalmente condivisibile in quanto vero, per distinguere gli uni dagli altri, allora tutti sono giusti e simultaneamente tutti sono empi. Tutti si amano e tutti si odiano. Tutti sono fratelli e tutti sono nemici gli uni degli altri. Che società è mai questa? Questo è l’inferno. 

Oscar Cullmann, amico di S.Paolo VI, convinse il Papa ad adottare l’espressione  «storia della salvezza» al posto di quella tradizionale di storia sacra. Così essa è entrata nell’uso anche tra noi cattolici. Ma vista l’interpretazione buonista che se ne può dare, propongo di tornare all’espressione precedente. L’espressione storia sacra non si sbilancia, ma sottintende i suoi due aspetti. Non c’è infatti solo una storia della salvezza, ma c’è anche una storia della dannazione. Per tutto il corso della storia paradiso e inferno si riempiono progressivamente di abitanti fino a che non sarà raggiunto il numero corrispondente alla fine del mondo.

Occorre pertanto dire che la storia sacra si concluderà non con una conciliazione universale di tutti con tutti, ma con la definitiva separazione operata da Cristo giudice dei giusti dai reprobi. Nessun dannato avrà motivo di protestare per esser stato trattato ingiustamente, ma dovrà riconoscere a denti stretti che Cristo è stato giusto nel giudicare.

La natura umana è una, universale, uguale e identica in tutti; ma l’umanità concreta o la collettività umana di fatto non è unita, ma sempre divisa. E questo perché? Semplicemente perché non tutti obbediscono al Vangelo, la cui applicazione da parte di tutti garantirebbe la pace universale.  Per questo, alla fine del mondo, ossia al giudizio universale Cristo separerà definitivamente i giusti dai reprobi.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 19 giugno 2023

 

La realtà è, come insegna la Scrittura, che conferma le convinzioni della ragion pratica naturale, che tutti gli uomini sanno che Dio esiste e che devono rispondere a Dio del loro operato. Ognuno di noi fa la sua scelta: o per Dio o contro Dio. Tutti quindi sono convocati al Tribunale di Dio nell’ultimo Giorno. Nessuno può dire che non sapeva. Ciò che è possibile, come dimostra il discorso di Cristo di Mt 25, è che alcuni Lo abbiano servito senza rendersene conto.

La salvezza cristiana è quella di coloro che hanno temuto Dio e le sue leggi, hanno compreso il senso della sua severità, si sono pentiti dei loro peccati e sono tornati a Lui. Ma che salvezza è quella di coloro che s’immaginano un Dio che lascia passare benevolo tutti i loro peccati e poi li premia con un’eterna felicità? Felicità per che cosa?

Ebbene, il paradiso non è altro che il luogo di coloro che hanno raggiunto per sempre quel sommo bene, Dio, che hanno sempre desiderato e al quale hanno dedicato la loro vita. L’inferno è il luogo di coloro che hanno voluto affermare il proprio io, centrare tutto attorno a se stessi, sono soddisfatti di se stessi, della propria volontà e della propria libertà

Immagine da Internet: Giudizio universale, Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino


[1] Naturalmente qui non faccio alcun riferimento all’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco. È chiaro che qui il Papa parla di fratellanza universale non come dato di fatto, ma come ideale umano ed evangelico da realizzare, stante purtroppo l’attuale divisione dell’umanità fra chi è per Dio e chi è contro Dio, per cui al giudizio universale avverrà la definitiva separazione degli uni dagli altri. Occorre altresì distinguere la fratellanza naturale creata da Dio, espressione del fatto che apparteniamo ugualmente alla medesima specie umana, beati e dannati, dalla figliolanza cristiana, dono della grazia, che non tutti accolgono, per cui questi vanno all’inferno. Il Papa parla dell’una e dell’altra.

[2] Vedi l’apologo La fattoria degli animali di George Orwell.

[3] Fenomenologia dello Spirito, Edizioni Nuova Italia, Firenze 1988, vol.I, pp.37-38.

[4] Ibid., p.37.

[5] Niente Vita senza Morte, niente Morte senza Vita.

[6] Severino lo chiama l’«anello del ritorno», riprendendo il ciclo dell’eterno ritorno di Nietzsche.

[7] Vedi il buon ladrone crocifisso insieme a Gesù.

[8] Nel mio opuscolo L’eresia del buonismo. Il buonismo e i suoi rimedi, Chorabooks, Hong Kong 2017, dimostro che il buonismo è la più grande sciagura morale del nostro tempo, e che col suo misericordismo e falsa pietà per gli oppressi, produce esattamente  quello sfruttamento dei deboli e dei poveri che proclama di far cessare, dando carta bianca a sfruttatori ed approfittatori, i quali, convinti di essere perdonati e comunque di essere buoni e di salvarsi, si sentono autorizzati a proseguire la loro opera malvagia senza che nessuno né in cielo né in terra abbia il diritto di punirli.

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