31 dicembre, 2022

Padre Tomas Tyn luce della Chiesa

 Padre Tomas Tyn luce della Chiesa

Il prossimo 1° gennaio ricorrerà il 33° anniversario della morte del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, ben noto ai Lettori. Padre Tomas è una di quelle luci, delle quali la Chiesa si avvale per avanzare, tra le tenebre della vita presente, verso la pienezza della luce, che è Cristo luce del mondo.

La breve vita di Padre Tomas, morto a 39 anni, intensissima di attività intellettuale e pratica, è l’esempio di quanto intelligentemente e fruttuosamente si può spendere quel breve tempo che Dio mette a nostra disposizione, utilizzando ogni attimo per crescere nella carità e nella ricerca della santità, utilizzando al massimo le proprie risorse, e Padre Tomas ne aveva parecchie, e servendosi di quei metodi ascetici, che ci sono insegnati dal Vangelo e dai maestri spirituali. 

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Servo di Dio
Padre Tomas Tyn, OP


30 dicembre, 2022

Che cosa è il realismo - Quarta Parte (4/4)

 Che cosa è il realismo

Quarta Parte (4/4) 

L’idealismo hegeliano

L’idealismo colpito dalla Chiesa è certamente quell’idealismo tedesco, il cosiddetto «idealismo trascendentale»[1], che così, soprattutto con Hegel, definì se stesso, quell’idealismo che concepisce l’Idea divina come assolutizzazione dell’idea umana, sicchè, dato che in Dio l’idea coincide con l’essere, l’ideale viene a coincidere col reale o, secondo la famosa formula hegeliana, il «razionale», ossia l’idea, il concetto, il logico «è il reale».

Hegel dichiara apertamente la sua ascendenza cartesiana con queste parole:

«La semplice inseparabilità del pensiero dall’essere è data dal cogito, ergo sum: è del tutto il medesimo che a me nella coscienza si sia immediatamente rivelato l’essere, la realtà, l’esistenza dell’io (Cartesio dichiara espressamente, Princ.Phil.,I, 9 che egli, con la parola pensiero intende coscienza in genere come tale) e che quella inseparabilità sia senz’altro la prima (non mediata, provata) e più certa conoscenza»[2].

Hegel tuttavia ha potuto valersi di una felice triplice distinzione terminologica, propria della lingua tedesca, per esprimere ciò che in italiano chiamiamo realtà: Realitât, Wirklichkeit e Sachlichkeit, che danno al suo idealismo un sapore di realismo, in quanto mentre Realitât dice essenza, quindi l’astratto, semplice idea, e Sachlichkeit, dice cosa nel senso di affare, vedi la res o il reus nel senso giuridico,  Wirklichkeit è la realtà effettiva, efficiente, efficace, produttiva, è la causalità, realtà in senso pieno e concreto. Vedi la voce corrispondente in inglese, work, che vuol dire lavoro.  

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 Severino si può qualificare come idealista in quanto egli non è solo univocista in gnoseologia, ma monista in metafisica. 

 Per lui il concetto dell’essere è uno perché identico all’essere che è uno. In questo senso per lui il pensiero s’identifica con l’essere. Per Severino ogni essere è l’Essere.

È chiaro, osserva l’Aquinate, che Dio è infinito. Ma da dove nasce questa infinità? Che cosa significa? 

Significa appunto che Dio è puro essere, non è altro che essere non limitato da una data e determinata essenza (poter-essere Giovanni e non Francesco), come avviene in noi, essenza limitata che restringe l’illimitata vastità della ratio essendi, secchiello, che, per così dire, non può contenere tutta l’acqua del mare, ma solo quanta ne è capace di contenere.

 

Immagini da Internet

29 dicembre, 2022

Che cosa è il realismo - Terza Parte (3/4)

 Che cosa è il realismo

Terza Parte (3/4) 

I prodromi dell’idealismo: Scoto, Ockham e Suarez

La più antica testimonianza dell’idealismo in Occidente, a parte il più antico, l’idealismo indiano, che qui non prendiamo in considerazione, è quella di Parmenide nel sec.VI a.C.. col suo famoso principio: to autò to noein kai to einai, il pensiero e l’essere sono la stessa cosa. Esso è connesso con l’altro: l’essere è, il non-essere non è.

Si tratta di due princìpi basilari che possono avere un senso valido: il primo può voler dire che la verità è data dalla corrispondenza del pensare con l’essere: quando io sono nel vero, ciò che intendo è quello stesso che esiste. Diversamente, sarei nell’errore. Il secondo è il principio di identità: l’essere non può essere e non-essere ad un tempo e sotto il medesimo aspetto. 

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La decadenza della metafisica comporta che il pensare, inteso come semplice produrre idee o formare concetti, tende a separarsi dal reale e a chiudersi in se stesso. Il concettualizzare viene preferito all’intuire il reale. Si preferisce un concetto più perfetto, cioè univoco, a uno più perspicuo, benché imperfetto, qual è quello analogico.

In metafisica ciò che conta è cogliere concettualmente l’ente, non importa se questo concetto è impreciso, confuso, indeterminato, non del tutto uno, complicato. Esso è comunque certo e verace. Di più non possiamo ottenere e perciò ci deve bastare e dobbiamo accontentarcene. Voler semplificare, precisare o unificare non ci avvicina meglio all’ente, ma ce lo fa vedere peggio, sicchè invece di vedere l’ente, vediamo il nostro misero concetto dell’ente. È come quando tentiamo ci accendere i fari dell’auto nella nebbia, nella speranza di vederci meglio, e invece ci vediamo peggio.

Dobbiamo accettare questa imperfezione del concetto. Altrimenti succede che invece di cogliere il reale, ossia l’ente o la cosa così com’è, lo ospitiamo nella nostra mente sì in un bell’alloggio, ma troppo stretto per le sue dimensioni infinite.

 

Invece il concetto analogo, mentre da una parte ha una certa unità e coerenza sufficiente ad evitare l’equivoco, grazie alla sua sconfinata potenziale diversificazione e pluriformità interna, è capace di raggiungere, ospitare e rappresentare veracemente benché imperfettamente tutto ed ogni cosa, reale o possibile, sia Dio che la creatura.

Mancando questo concetto, che può succedere? Che non si riesce più a concepire l’ente in quanto ente, nella sua unità proporzionale ed diversificata, ma lo si scambia con l’ente comune.

Si tratta qui di carenze o errori gnoseologici o metafisici, che non suppongono nessuna superbia, ma che anzi riscontriamo in menti elette, anche di santa vita, a significare che l’idealismo è fatto anche di errori o equivoci teoretici involontari e comprensibili in un campo di indagine, qual è l’attività dell’intelletto, che è di assai difficile comprensione.

Immagini da Internet

28 dicembre, 2022

Che cosa è il realismo - Seconda Parte (2/4)

 Che cosa è il realismo

Seconda Parte (2/4) 

Caratteri dell’idealismo

Che cosa intende il Magistero della Chiesa quando condanna l’«idealismo»? Fino a Papa Francesco non ce lo aveva spiegato, supponendo che lo sapessimo già, data l’esistenza di ottime critiche tomiste all’idealismo, che si sono succedute soprattutto nel secolo scorso[1]. Invece l’attuale Pontefice ne dà una definizione tanto chiara quanto semplice e profonda: «il primato dell’idea sulla realtà». E lo definisce più diffusamente quando parla dello gnosticismo, benché non usi il termine «idealismo», facendo riferimento alla sua pretesa di essere un sapere che pareggia quello divino, e l’accusa di fare abuso del pensiero astratto con la conseguenza di trascurare l’attenzione alle esigenze concrete dell’amore del prossimo.   

L’idealista non è un rozzo sensista, materialista, positivista o empirista chiuso nei limiti della sensazione o dell’immaginazione. Non sembra a tutta prima essere quell’uomo carnale, del quale parla San Paolo, ma un uomo spirituale, forse un’asceta, comunque una mente elevatissima di altissima qualità, un genio o un gigante del pensiero, superiore a San Tommaso e a Cristo stesso col loro ingenuo realismo. 

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Il pensiero umano per sua natura è orientato al reale e, se si pone per oggetto l’ideale, è perchè esso suppone che abbia relazione alla realtà. Anche quando il pensiero è nell’errore, il pensante crede pur sempre di essere nella verità, ossia nell’adeguazione al reale.

Anche quando mente vuol dare all’altro l’illusione di dire una verità, ossia qualcosa di aderente al reale. 

È nel dubitare che la mente è separata dalla realtà, ma per il semplice fatto che il dubitare non è un vero pensare, ma una semplice oscillazione del pensiero che non sa o non vuole decidere dove fermarsi.




La differenza dunque fra realista ed idealista non sta nel fatto che il primo contatta la realtà, mentre l’altro si chiude nelle sue idee, perché la mente di entrambi per natura è inclinata alla realtà. La differenza sta nel fatto che mentre il realista volontariamente acconsente al moto naturale del pensiero, l’idealista lo muove contro natura, lo contorce e lo distrae dalla sua naturale destinazione e lo ripiega forzatamente su stesso, sulla propria falsa idea.

Ma così facendo l’idealista scinde, sdoppia e mette il pensiero contro se stesso, perché obbligato a servire il reale, vorrebbe ad un tempo servire se stesso. Ma, come ci avverte Cristo, non possiamo servire a due padroni e il nostro parlare non può essere ad un tempo sì e no. Questo principio logico ed etico è espresso nel principio del cosiddetto «terzo escluso».

Immagini da Internet:
- Il pensatore, Giorgio De Chirico
- Aristotele, XVII secolo


27 dicembre, 2022

Che cosa è il realismo - Prima Parte (1/4)

  Che cosa è il realismo

Prima Parte (1/4)

Perché la Chiesa ci tiene al realismo?

Il Santo Padre ha più volte raccomandato il realismo contro l’illusione dell’idealismo, ossia, come egli dice, l’illusione del primato dell’idea sulla realtà, mentre invece è l’idea che deve subordinarsi, assoggettarsi e adeguarsi alla realtà, facendosi da essa regolare. E questo è appunto il realismo.

Che cosa è la realtà? La realtà è l’essere reale dell’ente reale. «Ente reale» che significa? Il termine ente è poco usato, se non per certe espressioni burocratiche: «ente autonomo», «ente lirico», «ente case popolari» e simili. Tuttavia la nozione dell’ente è la più nota di tutte, la più spontanea, la più comune, la più ampia, la più universale, la più semplice, la più indeterminata, la più immediata, la più generica, la più astratta, quella nella quale tutte le nostre nozioni si risolvono e rispetto alla quale sono meno ampie. È la più significativa ma in modo implicito e potenziale, perché l’ente è ciò che ha un’essenza o esiste o ha l’essere in qualunque modo, reale o ideale, attuale o possibile.  Il termine più corrente per designare l’ente reale o la realtà è «cosa» o «qualcosa».

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È vero che la nozione dell’essere è spontanea, notissima ed universale.

L’idealista è convinto che il suo pensiero coincide con l’essere; per lui l’essere è l’essere pensato da lui; per cui nulla sta fuori del suo pensiero, e quindi è convinto di produrre lui il reale col suo pensiero.

Si tratta psicologicamente nell’uomo moderno, che si autoincensa come «moderno», del permanere inconscio della mentalità magica del pensiero primitivo o di quello infantile del mondo dei maghi e delle fate, che, con la bacchetta magica fanno apparire o sparire di colpo un personaggio così come noi cliccando sul computer facciamo appare e sparire le immagini.

 

La nozione dell’ente è la più ricca di tutte, non in atto, altrimenti saremmo onniscienti, ma implicitamente e confusamente, perché con essa tutto conosciamo, tutto pensiamo, tutto comprendiamo. 

È l’unica nozione che usiamo in tutti i nostri pensieri, giacchè si suppone che ogni cosa sia un ente. 

Anche le nostre idee sono enti, enti di ragione, pensieri pensati, enti mentali, ma enti. Persino il nulla lo concepiamo sul modello dell’ente.

Certo al realista sta a cuore soprattutto l’ente nella sua consistenza sostanziale. Ma dovunque ci sono tracce di entità, anche infime e debolissime, puramente mentali o fantastiche, lì il realista è interessato a cogliere il vero.

23 dicembre, 2022

Cari Amici - Natale 2022

 Cari Amici

Il Prossimo Natale ci ricorda che Cristo è venuto nel mondo per smascherare gli inganni di Satana, per sottrarci alle sue seduzioni, per darci coraggio contro le sue minacce, per vincere le sue tentazioni, per liberarci dal suo potere e perché noi lo accogliamo come nostro vero Dio e Signore, e quindi smettiamo di servire due padroni, Lui e il demonio, perché poniamo l’onestà e la sincerità al posto della doppiezza e dell’ipocrisia, la sapienza al posto dell’astuzia, l’umiltà al posto della superbia, la prudenza al posto dell’opportunismo, il timore di Dio al posto del timore degli uomini, perché diciamo essere ciò che è e non essere quello che non è, perché smettiamo di oscillare fra il sì e il no e diciamo un sì assoluto, deciso, schietto e irrevocabile solo a Lui.

L’Apocalisse ci ricorda il significato del Natale: il demonio si oppone alla nascita del Salvatore partorito dalla Vergine Maria:

«il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro. … Il drago si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio. … Il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna per farla travolgere dalle sue acque. … Il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12, 5.13.15.17).

Questo scontro tra le forze di Cristo e le forze di Satana caratterizza tutto il corso della storia. Occorre schierarsi. Non c’è via di mezzo: o vinceremo con Cristo o saremo sconfitti con Satana. Cristo ci fa la sua proposta. Il demonio ci fa la sua, che è esattamente l’opposto: il dubbio al posto della certezza, le nostre idee al posto della verità. la menzogna contro la verità, la superbia contro l’umiltà, l’ostinazione al posto della penitenza, la chiusura al posto dell’ascolto, l’impostura al posto del dialogo, l’invidia al posto della benevolenza, la tortuosità al posto della semplicità, l’empietà contro la pietà, la comodità contro il sacrificio, la prepotenza al posto della mitezza, lo sfruttamento dell’altro al posto del servizio al prossimo, la diffidenza al posto dell’accoglienza, la rigidezza al posto della saldezza, la sovversione al posto del progresso, la dabbenaggine al posto del discernimento, la crudeltà al posto della misericordia, l’egoismo contro l’altruismo, l’odio contro l’amore, il litigio al posto della conciliazione, la contrapposizione al posto della pacificazione, il dividere anziché unire, il confondere anziché distinguere, il conflitto al posto della concordia, il nostro io al posto di Dio, la sensualità al posto della spiritualità.

A chi spetta il governo del mondo? A Cristo o a Satana? Alla massoneria, al comunismo, a Maometto o a Cristo? Quale Dio vogliamo seguire? Il Dio che è nei cieli o il dio di questo mondo? Quale spirito scegliamo? Lo Spirito Santo o lo spirito impuro? (Mc 5,8). Da che parte vogliamo stare? Dei figli di Dio o dei «figli del diavolo» (I Gv 3,10)?

Quale mondo ci piace? Quello creato da Dio e redento da Cristo o quello dell’anticristo, che ci allontana da Dio? Quale Chiesa ci piace? Quella di Cristo la sinagoga di Satana? Quale pace cerchiamo? Quella che dà Cristo o quella che dà il modo? A chi facciamo guerra? A Satana o a Cristo?

Non illudiamoci di poter sempre vivere comodamente in pace, in un tranquillo e garbato dialogo con tutti, indisturbati, simpatici a tutti, senza lottare, sacrificarci e combattere. Non è questa la via della salvezza. È solo lassù che non avremo più da combattere, perché avremo vinto con Cristo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 dicembre 2022


 

 

 

 

 

 

 

Immagine da Internet: Natività, Rubens

22 dicembre, 2022

La polemica di Cristo contro l’ipocrisia - Terza Parte (3/3)

 

 La polemica di Cristo contro l'ipocrisia

Terza Parte (3/3)

 I sensi non ingannano, ma ci danno la verità sensibile

L’ipocrisia è la condotta morale viziosa che discende dal fatto che la volontà nega veracità ai dati dei sensi col pretesto che i sensi possono sbagliare, per cui pretende di trovare certezza non in ciò che le cose dicono ai sensi, ma in ciò che essa stessa decide di suo arbitrio. Il recupero del dato sensibile viene attuato attribuendo la sua verità non al dato in se stesso, ma alla forma a priori imposta dalla coscienza. È esattamente il procedimento di Cartesio nello stabilire la base della sua filosofia: rifiutarsi di ascoltare i sensi e ascoltare solo se stesso.

Perché parlo di ipocrisia? Perché nel Discorso sul metodo, Cartesio premette a quanto sta per dire sulla sua concezione del fondamento del sapere, l’assicurazione di aver voluto «dedicarsi unicamente alla ricerca della verità»[1]. E fa subito seguire tre considerazioni, che dovrebbero avere la funzione di preparare, introdurre e giustificare, come primo principio della ragione il famosissimo cogito, ergo sum.

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Ciò che abbiamo nel senso quando percepiamo il colore di una cosa non è diverso, come credeva Cartesio, da ciò che c’è nella cosa, ma non è altro che il colore di quella cosa.

Se diciamo che questa rosa è rossa, non intendiamo dire che percepiamo una certa sensazione, come effetto nel nostro senso di un «non so che nella cosa, di cui ignoriamo la natura». Noi conosciamo benissimo la natura del rosso sperimentandolo direttamente col senso della vista nella rosa rossa senza bisogno di alcuna mediazione rappresentativa.

La sensazione, espressa nel giudizio, è carica di un valore ontologico: l’esser rossa della rosa. Se la rosa non fosse rossa, noi non useremmo nel giudizio la copula «è» per dire che la rosa è rossa. Dell’immagine invece ha bisogno l’immaginazione e la memoria, che si riferiscono a cose assenti o nascose o passate.

Immagine da Internet: Catharina Klein, Rose

19 dicembre, 2022

La polemica di Cristo contro l’ipocrisia - Seconda Parte (2/3)

La polemica di Cristo contro l'ipocrisia

Seconda Parte (2/3)

L’ipocrisia è causata dalla disonestà intellettuale

 e questa a sua volta è causata dalla superbia

L’atto col quale il nostro spirito coglie la verità è di per sé un atto dell’intelletto, dove la volontà nulla ha a che vedere, ma vale invece la necessità: se l’intelletto è messo davanti all’evidenza o alla conclusione di una tesi dimostrata, è necessitato a dare il suo assenso alla verità certa e immediatamente o mediatamente evidente. Non può non vedere la verità e non sapere di conoscere la verità. L’errore, in questo caso, non è possibile. L’intelletto non sbaglia e sa di non sbagliare e perché non sbaglia.

Tuttavia nell’attività conoscitiva la volontà gioca sempre una parte essenziale, a patto però che non invada il campo riservato all’intelletto con la pretesa di completare il suo atto, come credeva Blondel[1], atto che invece l’intelletto sa e può benissimo compiere da solo, con le sue sole forze. Tutt’altro infatti è il compito della volontà: è quello di provocare l’azione e il moto dell’agente verso il bene intellegibile, che è il fine dell’agire volontario, utilizzando le potenze dell’appetito sensitivo, ossia le passioni.

L’intelletto genera un’attività immanente allo spirito, fà un lavoro di interiorizzazione e smaterializzazione del reale esterno, rendendoselo rappresentativamente presente sotto forma di concetto, di concepito o di cogitatum.

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L’ipocrisia come vizio morale nasce dal pensiero artificiosamente sdoppiato, un pensiero, direbbe Cristo, che serve a due padroni: alla realtà e a se stesso; a se stesso per decisione della volontà e alla realtà per inclinazione naturale. 

L’ipocrita nega quello stesso rapporto alla realtà che gli serve per negare il rapporto con la realtà.


Immagine da Internet: La moneta del tributo, di James Tissot – Museo di Brooklyn, New York

17 dicembre, 2022

La polemica di Cristo contro l’ipocrisia - Prima Parte (1/3)

 La polemica di Cristo contro l'ipocrisia

Prima Parte (1/3)

Questo popolo si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
Is 29,11

Che cosa è l’ipocrisia?

In greco ypokrisis, da cui ipocrisia, significa alla lettera «giudico-sotto». Si tratta di un giudicare nascosto, non palese, celato sotto un giudicare palese e ad esso contrario. Il soggetto in tal modo, dà ad intendere ciò che non pensa realmente. Dunque un doppio giudicare. Dal che la qualifica morale di doppiezza. È un fingere di credere ciò che non si crede sul serio. È un dire di sì, mentre si è convinti del no.

Al termine italiano ipocrita corrisponde in ebraico hanef, che significa impuro, perverso, che è tradotto dalla Vulgata con hypocrita. È interessante confrontare il senso di questi due concetti, che non è lo stesso, anche se vi è tra loro una connessione, altrimenti San Girolamo non avrebbe adottato quel termine. Quanto alla purezza, essa è la proprietà di ciò che non è mescolato ad altro che gli sia estraneo, che si suppone possa corromperlo, così come diciamo vino puro, acqua pura

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Per Gesù l’ipocrisia è un falso fermento, un falso lievito, essa procura ed esprime un falso fervore, un falso zelo per la giustizia e per la verità.

Per questo Gesù ci mette in guardia: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia» (Lc 12,1).

Immagine da Internet:
Cristo discute con i farisei – Cattedrale di Tours (Francia)

16 dicembre, 2022

Apologia della metafisica - Parte Seconda (2/2)

 Apologia della metafisica

Parte Seconda (2/2)

 Cristo ci conduce alla fine di un cammino che abbiamo già iniziato

La metafisica nasce, come osserva Aristotele, dalla meraviglia davanti a uno spettacolo nuovo. Vediamo un fatto mirabile e ci chiediamo da dove viene, chi lo ha prodotto, quale ne è stata la causa, che scopo ha. La nostra ragione, sin dall’immediato suo svegliarsi nel fanciullo, s’interroga spontaneamente sulla causa delle cose e, riflettendo, comprende con certezza che ogni cosa è ciò che è e non altro da sè e che quindi una medesima cosa non può essere e non essere simultaneamente sotto lo stesso aspetto, che l’essere non è il non-essere, che il divenire è un passaggio dalla potenza all’atto, il necessario è la causa del contingente, l’assoluto è il fondamento del relativo, l’immutabile è la necessaria condizione della mutabilità, l’agente tende a un fine.

Così essa sa che se segue docilmente il suo impulso che la spinge verso la verità, se procede spontaneamente e liberamente nel suo cammino,  se non è bloccata da cattiva volontà, giunge a sapere che esiste Dio e a conoscere i valori fondamentali della vita e dell’esistenza. 

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La ragione si accorge, cioè, che «dalla grandezza e bellezza delle creature si conosce per analogia l’Autore» (Sap 13,5) e, se non vaneggia nel ragionare, capisce che gli enti con i quali viene a diretto contatto, sono opere compiute da un sommo Artefice, che è Dio creatore (cf Rm 1,19-20). E non occorre la metafisica per comprendere questo?

Sappiamo quanto sta a cuore al Santo Padre il valore della diversità ai fini del rispetto dell’altro e di una fraterna e concorde convivenza umana. Sappiamo quanto valore ha la concezione biblica dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ebbene, tutti questi valori suppongono la percezione dell’analogia dell’essere, uno e molteplice ad un tempo. E dove troviamo la giustificazione di tutti questi valori, se non nella metafisica?

Quando Cristo ci parla di Dio Padre, quando ci rivela il suo esser Figlio e l’esistenza dello Spirito Santo, parla evidentemente a noi che già sappiamo, in base alla nostra ragione o eventualmente edotti dall’Antico Testamento, che Dio esiste, è uno solo, è essere sussistente, spirito, sapienza e bontà infiniti, eterno, onnipotente, provvidente, creatore del cielo e della terra, giusto e misericordioso. Cristo quindi aggiunge su Dio nuove verità, superiori e supreme rispetto a quelle che già sapevamo in base alla ragione; e quale ragione, se non quella metafisica?

Immagini da Internet: da: Scuola di Atene, Raffaello Sanzio

14 dicembre, 2022

Apologia della metafisica - Parte Prima (1/2)

 Apologia della metafisica

Parte Prima (1/2)

Papa Francesco in mezzo alla tempesta

Ho di recente commentato le parole di Papa Francesco di lode a San Tommaso, pronunciate ad un convegno tomistico internazionale tenutosi recentemente all’Angelicum di Roma. Ritengo bene prendere occasione da questo importante intervento del Papa per trattare di un argomento filosofico, del cui peso ed urgenza purtroppo pochi si rendono conto, ma che invece bisogna focalizzare per dare un valido contributo alla serenità degli animi, oggi turbati da un diffuso clima di conflittualità, da un sentimento oscuro di insensatezza, di smarrimento religioso e morale, nel quale sembra in declino, ancor prima che la luce della fede, il lume della ragione, e per conseguenza la rettitudine della ragion pratica, offuscata dal soggettivismo, dall’egocentrismo, dal sensualismo e dal libertinismo. Si tratta dell’importanza e dell’utilità spirituale, umana ed ecclesiale del pensiero metafisico di San Tommaso.

Nella società e nella cultura odierne è vigorosa l’operatività della ragione nel campo della tecnologia e delle scienze sperimentali. La ragion pratica non è priva di serie applicazioni, grazie a Dio, nel campo sociale, politico ed economico, benché sempre permangano gravi inadempienze, ingiustizie, sperequazioni, ineguaglianze, bisogni insoddisfatti, diritti calpestati, per non parlare delle guerre in corso, dove la luce della ragione sembra totalmente spenta e sostituita dalla follìa e dalla crudeltà.

Invece la ragione spesso è svigorita ed offuscata o distorta o pare addirittura assente laddove essa può e deve dare il meglio di sé: alle radici del sapere, nell’orizzonte dei primi princìpi e delle prime certezze, nell’ambito degli universali valori di fondo e delle supreme istanze del pensiero. 

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Tommaso è stato raccomandato dai Papi proprio perché, fra tutti i Dottori della Chiesa, eccelle nel tener conto dell’apporto metafisico che proviene dalla Scrittura, apporto che concerne la concezione dell’ente, oggetto proprio della metafisica e per conseguenza la nozione dell’uomo, del mondo e di Dio.

È stata questa attenzione al dato biblico, al di là del pensiero aristotelico, che ha condotto Tommaso a capire che oggetto della metafisica, al di là dell’ente (on, ens), è l’essere (einai, esse) e che quindi Dio è sì primum e summum Ens, ma è più precisamente, da come risulta da Es 3,14 e dall’Ego Sum di Cristo, l’ipsum Esse per Se subsistens, l’essere sussistente, fatto persona.


È perché nella Bibbia appare la nozione analogica dell’ente (Sap 13,5), che Tommaso ha assunto la nozione aristotelica dell’ente pollacòs legòmenon, detto in molti modi.

Nell’enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci fa capire l’importanza della metafisica. Egli infatti ci ricorda che "l’intelligenza può scrutare la realtà delle cose...".

D’altra parte, l’uso del verbo essere nel parlare, parola nella quale tutti ci intendiamo, ci rende consapevoli che tutti sappiamo che cosa vuol dire quella parola e che cosa è l’essere. È pertanto perché noi possediamo spontaneamente la nozione analogica dell’ente e dell’essere, che noi possiamo capire che cosa intende dire Dio a Mosè quando gli dice: «Io Sono Colui Che è» (Es 3,14). È in possesso di queste nozioni che possiamo capire ed apprezzare che cosa intende dire Cristo quando dice «Io Sono».

Immagini da Internet:
- Mosè davanti al roveto ardente, Raffaele Sanzio
- Cristo Portacroce, Michelangelo Buonarroti

03 dicembre, 2022

Risposte a un Vescovo che mi ha scritto circa i compiti odierni del teologo

  Risposte a un Vescovo che mi ha scritto

circa i compiti odierni del teologo

Penso di far cosa gradita ai Lettori renderli edotti di una corrispondenza che ho avuto con un Vescovo incaricato di un importante ufficio in campo teologico presso la Santa Sede. Egli mi ha inviato una lunga lettera, nella quale espone il suo pensiero circa la sua concezione della teologia e del suo metodo, nonchè quelli che ritiene essere i compiti oggi del teologo.

Data la delicatezza della cosa, il Lettore mi scuserà se lascio lo Scrivente nell’anonimato, per riguardo alla sua persona. Non ho voluto fare una delle solite «lettere aperte», che spesso urtano la suscettibilità del destinatario con problematici risultati nei rapporti con l’interlocutore. Non voglio quindi che questo possa essere il caso del mio rapporto con questo autorevole teologo, col quale tengo molto a proseguire il dialogo.

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Fontanellato, 14 novembre 2022


L’idea dell’essere, la più ampia, astratta, comprensiva ed accogliente che abbiamo a nostra disposizione, luce che Dio stesso ci ha donato, è quanto di meglio la nostra mente può offrire al Dio della gloria, è il tempio nel quale accogliamo, sempre indegnamente, poveramente e inadeguatamente, tra tutti i nomi da noi nominabili, che Dio stesso si è scelto, il più bello e il più sublime, il meno indegno di Lui, nome che fra tutti Si è scelto per manifestarsi a noi in Cristo, che pertanto ha ricevuto «il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9). E questo nome è: Io sono. «Alzatevi, porte antiche, ed entri il Re della gloria» (Sal 23,9). Come a dire: ampliatevi, o trascendentali, e ospitate nel vostro piccolo orizzonte Colui Che È!

Astrarre con l’intelletto vuol dire allargare e potenziare la sua capacità d’intellezione e di comprensione, perché si tratta di prescindere dal caduco, dal corruttibile e da ciò che è troppo stretto per l’ampiezza del nostro spirito – ciò che è materiale – per sollevarsi da terra e salire al cielo. Dio non abita nei cieli? Se Cristo è disceso dal cielo, è solo perchè con lui dobbiamo salire al cielo, dove «lo vedremo così come Egli è» (I Gv 3,2).

Immagine da Internet: Dianella Fabbri, Salmo 23