Distinzione delle Persone divine - Tomas Tyn - Terza Parte (3/3)

 Distinzione delle Persone divine

Tomas Tyn - Terza Parte (3/3)

Ora nella vita spirituale questa forma che determina, l’entità dell’uomo per esempio, dell’angelo, degli angeli non è il caso che ne parliamo, perchè appunto sono abbastanza sconosciuti, ma rispetto a noi possiamo dire che nella nostra forma umana, nell’anima umana, che ci dà vita, che ci fa diventare uomini, la nostra anima spirituale, c’è questa dualità pure in essa.

 Ovviamente la cosa non ci sorprende perché se c’è in tutte le cose, ci sarà pure anche in noi. Dunque c’è questa dualità di forma e di tendenza. Solo che la forma dell’anima è una meraviglia. Sapete che il Signore Dio onnipotente ce l’ha data perchè Egli si rivela nella nostra anima. San Tommaso commenta Aristotele, il quale dice che anima est quodammodo omnia. Sono proprio parole d’oro, e cioè che l’anima è in qualche modo tutte le cose. Pensate: l’anima, oltre ad essere quella cosa particolare, è anche tutte le cose secondo la possibilità di conoscere. Pensate: non c’è essere, al quale essa non sia aperta. Provo a spiegarvelo, vedo che avete qualche titubanza, quindi cercherò di spiegarvelo. Bene! Non è facile. Sapete che anch’io non l’ho capito subito questo. Con pazienza, vedremo. Guardate, il fatto è questo, che nell’anima voi avete una duplice funzione.

Nella nostra anima beata, una è quella di darci la vita com’è ovvio: noi viviamo per mezzo dell’anima. Quando l’anima se ne va, si canta il De profundis e ormai quello che rimane sulla terra non è più l’uomo, in sostanza. Sono i resti mortali e l’anima va per conto suo.  Allora, da un lato la nostra anima ci dà la vita. Dall’altro l’anima ha anche la funzione cognitiva, di conoscere. Quindi, nella nostra anima non c’è solo la funzione vitale come nelle piante.

Nelle piante c’è solo l’anima e basta, nella loro anima non c’è nient’altro. L’anima della pianta dà la vita e basta, non ha la conoscenza. Sì ci sono processi biochimici, è interessante, sembra che ci siano delle piante che reagiscono, però certo non si può dire che conoscano, in sostanza; è una specie di segnaletica, è bello vedere questo nella natura, perché spesso succede che nelle cose inferiori c’è come un’ombra di quello che è superiore. Quindi nelle piante ci può essere una somiglianza partecipata di quello che poi succede a livello degli animali, per esempio la conoscenza. Comunque non è ancora conoscenza vera e propria. Vedete perciò che c’è l’anima che dà vita ma non conosce.

Negli animali invece c’è l’anima che dà vita e che conosce, perché il cagnolino e il gatto conoscono, e come no! Hanno degli occhi, hanno l’udito, reagiscono, quindi conoscono. Però che cosa conoscono? I puri sensibili materiali. Quindi anche la loro anima è già aperta ad altro rispetto a loro. Cioè il gatto non è solo gatto, è anche tutte le sue sensazioni che riceve. Però ha un orizzonte ristretto come vi dissi prima, è legato alla sua sensibilità, non produce dei concetti.

Invece nell’uomo c’è la possibilità di conoscere gli universali, di spingersi alla conoscenza dell’ente in quanto ente, di tutto quello che spetta all’ente, di tutto quello che spetta alla realtà. Quindi il fatto che noi per esempio non conosciamo[1] Dio non è dovuto al nostro essere intelligenti, ma al nostro essere intelligenze limitate. In quanto intelligenti dovremo conoscere persino Dio, ma siccome la nostra intelligenza poverina è un po’ ristretta, allora non lo conosce immediatamente.

Quindi vedete come l’anima umana è non solo se stessa ma è anche tutto l’essere[2] perché potenzialmente può ricevere ogni essere come conoscibile da sé. Se io conosco il libro, tanto per dire una cosa banale, questo lo conosco anche con gli occhi, però non basta, poiché ne faccio un concetto, cioè lo conosco anche intellettivamente, per cui, non ci sono solo io, ma ci sono io più il libro in me. Infatti conoscere significa aver presente.

È molto bello questo, in italiano c’è una bella espressione: ‘ho presente una cosa’, significa non presenza fisica, il piacere di aver conosciuto, ma è una presenza intenzionale, nella mente umana. Quindi nella nostra anima ci siamo noi, ma ci sono anche le altre cose conosciute da noi, L’anima quindi non è solo se stessa come forma, ma, dice San Tommaso commentando Aristotele, che è la forma formarum quanto al conoscere, non quanto all’essere, quanto all’essere è solo se stessa, nient’altro.[3]

Quanto al conoscere è se stessa più tutto quello che può ricevere in sé conoscendo. Allora, vedete la ricchezza dell’anima, come è grande conoscitivamente. Precisiamo che a seguito del peccato delle origini siamo vittime di una seduzione spirituale, che consiste nel fare un dio di noi stesso. Effettivamente siamo portatori di un’impronta divina, perchè come Dio è infinito in quanto all’essere, noi lo siamo quanto al conoscere. E la tentazione sta nel fatto di togliere praticamente di mezzo la separazione[4] tra pensiero e essere e dire che come siamo infiniti quanto al pensare così lo siamo anche in quanto all’essere e siamo nel peccato delle origini.

Vedasi Sartre, per esempio. il quale dice appunto che l’uomo pone l’essere con il suo pensiero, però fallisce. Quindi ecco l’assurdità dell’esistenza, Vedete questo porre l’essere con il pensiero significa farsi Dio. Solo Dio con il pensiero pone l’essere. Noi invece conosciamo l’essere ma solo potenzialmente conosciamo tutto l’essere[5], vedete come Dio ci diede un’impronta di sé.

Poi conoscendo tutto l’essere, quindi tutto il vero, avendo un’anima aperta alla verità come tale, si fa male all’anima quando si rimane così intrappolati nel mondo sensitivo. Lo dico con ogni rispetto per le scienze positive, che sono bellissime. Galileo è in ogni onore, tuttavia bisogna andare al di là di questo perché se la cultura si limita alla sola scienza fa male all’anima. Invece fa bene all’anima la filosofia più la scienza e quanta più scienza c’è tanto meglio è, ma a condizione che ci sia anche la filosofia.

In altre parole, non voglio essere prepotente come filosofo, ma il fatto è questo, che essere scienziati è una scelta libera dell’uomo. che sempre lo arricchisce. Invece essere filosofi è una vocazione, e se non si è filosofi non si è nemmeno uomini. Si può essere uomini senza essere scienziati, anche se ripeto la scienza arricchisce. Ma non si è uomini senza essere filosofi[6].  Dico questo proprio perché l’anima è destinata non solo a contemplare le piccole porzioni dell’essere che appaiono e che sono misurabili e ponderabili, ma a contemplare l’essere come tale.

È curioso il fatto che tutto il pensiero liberale e illuministico, si scagli proprio su questo punto contro la Chiesa, che difende i valori spirituali. Cioè ci accusano di essere immodesti. Ma questa accusa che colpisce i poveri cristiani, è terribile, perché dicono:  «ma come, se io penso all’essere, devo dire mea culpa, mea maxima culpa, ho fatto un qualche cosa di male». No, caro cristiano, hai fatto molto bene a pensare l’essere perché a tale dignità sei chiamato da Dio. In sostanza l’umiltà non è l’avvilimento di noi stessi, ma è riconoscere la propria dignità e anche i limiti della propria dignità.

Quindi se uno si considera come fosse un essere infinito, è un superbo. Se uno si fa pensiero finito, avvilisce se stesso, perché noi siamo pensiero infinito in un essere finito[7]. Se volete adesso ho banalizzato un pochino, ma la formula è pressapoco questa. Ora, notate miei cari, volevo arrivare a questo, e cioè che c’è in noi la vita intellettiva che ci presenta tutto l’essere nella sua verità, però senza che l’anima sia l’essere[8],. E così c’è anche nella nostra anima una rappresentazione affettiva, cioè anche il nostro amore, che è la seconda componente della nostra spiritualità.

Questa componente, non si limita a questo o quest’altro bene, ma tende al bene come tale, all’oceano della bontà. capite. Vedete, allora, come l’amore è connesso con l’intelligenza; bisogna essere sapienti per essere capaci di voler bene. È molto importante, questo. La mancanza di benevolenza nel mondo d’oggi è tanto triste! Ebbene, la mancanza di questa serena benevolenza è dovuta alla mancanza di intelligenza sapienziale. Vedete come le due cose sono strettamente connesse tra loro. Allora la nostra anima, come conosce non solo una piccola porzione di essere, ma tutto l’essere, come tende a conoscere, così anche il nostro amore si porta al bene, non a quel dato bene particolare ma a tutto il bene.     Ecco perché solo Dio può essere il fine ultimo che appaga l’anima; ogni altro bene è fasullo se non è visto alla luce di Dio.

A questo punto che cosa succede invece in Dio, il Quale non solo ha un pensiero infinito come anche noi l’abbiamo[9], ma oltre avere un pensiero infinito ha anche l’essere infinito; per cui in Dio l’essere che s’identifica con il pensare. Succede che in Dio il pensiero e l’amore non solo sono aperti all’infinito, ma sono l’essere infinito di Dio. Ora, fin qui si spinge la filosofia, cioè noi possiamo dire che Dio, essendo sommamente vita, ma non vita vegetale, si capisce, bensì vita di suprema perfezione, cioè vita spirituale, Dio è Spirito.

Allora, sapendo che Dio è Spirito dobbiamo dire che in Dio c’è pensiero e amore. E siamo al Verbum di Filone di Alessandria[10]. Però non sappiamo ancora nulla della Trinità. Ora, è giusto, dice Sant’Agostino, servirci di questo, cioè della vitalità di Dio, del pensiero e dell’amore in Dio per interpretare la Trinità, cioè noi sappiamo che in Dio c’è pensiero e amore, ma non sappiamo però che il pensiero si distingue dal pensante e l’amore si distingue dal pensante e dal pensiero[11].

Questo nessuno ce lo può dire se non Gesù nelle Scritture. E Gesù ce lo dice. Per esempio San Giovanni, il grande mistico prediletto dal Signore, appunto sottolinea, al c.14, che Gesù parla dello Spirito che ci darà. Dice «lo Spirito che procede dal Padre»; quindi è distinto dal Padre, e nel contempo procede dal Padre: lo Spirito «Che io vi manderò». C’è un duplice mistero: Gesù lo manda dopo il compimento del mistero pasquale, ascende al Padre, manda lo Spirito, questo secondo la natura umana, ma lo manda da tutta l’eternità secondo la natura divina.

Poi, nel Prologo, il Verbum, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Se fosse Dio sic er simpliciter San Giovanni non avrebbe detto che era presso Dio, no! Avrebbe solo detto, che il Verbo era Dio e Dio era Verbo, basta. Invece no, il Verbo era presso Dio, ma nel contempo è anche Dio. Vedete, come dice tutta la teologia trinitaria, che il Verbo è Dio come il Padre, è Dio; però nel contempo il Verbo si differenzia dal Padre, quindi distinzione delle divine Persone. Questo è il dato della Scrittura. La Scrittura ci parla del Verbo come distinto dal Padre e dello Spirito come distinto e dal Padre e dal Verbo. E noi dovremmo spiegare questo mistero? Poveri noi! Invece dobbiamo tentare con l’aiuto del Paraclito, non di spiegare, ma di rendere intelligibile finchè è possibile, che sia il Padre, sia Figlio, sia lo Spirito Santo sono Dio; eppure non sono tre dei ma un solo Dio.

Ne parleremo anche nella prossima lezione quando vedremo il tentativo di spiegare come la distinzione delle persone non toglie la loro unità. Adesso è importante che abbiamo stabilito che in Dio c’è una pluralità di Persone, tre persone in quanto ce ne parla in questi termini la Scrittura e che la spiegazione di questo, non è una spiegazione filosofica, perché qui c’è il salto in teologia. Noi infatti interpretiamo un qualcosa che sappiamo per rivelazione. L’interpretazione che facciamo la ricaviamo dalla spiritualità di Dio: Dio è sommamente vivente, sommamente pensante e sommamente amante.

E quindi in Dio il Pensiero, si costituisce come Dio, distinto da Dio che pensa[12], e questo lo sappiamo, ripeto, solo per rivelazione, Oh! Adesso Sant’ Atanasio mi avrebbe già scomunicato. Ho detto Dio distinto da Dio. No, non è distinto come Dio. Come Dio sono una cosa sola, ma c’è la distinzione di relazione, di Persona, tra Persona e Persona nell’unità della sostanza.

Questo poi lo dovremo approfondire la prossima volta, Comunque vedete il fatto è questo, che il Verbo è Dio da Dio, luce da luce, generato non creato. Vedete come il Simbolo niceno spiega bene queste cose. Dove c’è invece una difficoltà è in questo, che nei primi secoli cristiani attorno al 300 d.C., c’è un movimento antitrinitario molto pericoloso, anzi ce ne sono due sostanzialmente, due insidie alla teologia trinitaria. Su ciò insisterò ancora molto e poi vi darò il meritato riposo. Comunque, ci sono due movimenti antitrinitari, uno si chiama modalismo e sabellianismo[13].

Il Verbo è il datore della verità e della bellezza alle cose, lo Spirito è il datore dell’appetitus, della tendenza finalistica. Quindi Sabellio vedeva bene la diversa funzione del Padre nella creazione, cioè nell’agire ad extra, però non ammetteva che la Trinità fosse qualcosa in Dio, ma si trattava solo di tre aspetti di Dio assunti nell’agire al di fuori di Dio.

 L’arianesimo è un’eresia opposta. Infatti, mentre Sabellio annienta la distinzione delle persone, Ario la esalta fino al punto di fare del Verbo una persona non più divina, ma umana. Così Ario dice che solo il Padre è Dio, solo il Padre è increato; il Verbo c’è certamente ma non è Dio come il Padre, non è increato; semmai è Dio per adozione[14], ma di per sé è una creatura; però è la creatura più sublime.

E poi lo Spirito Santo ovviamente anche lui è creatura, ancor più del Verbo. Allora il Concilio di Nicea definisce contro l’arianesimo la dottrina della consustanzialità, omousios to Patrì, della stessa sostanza del Padre, generato non creato. Cioè il Verbo, dice Ario, è creato perché è generato, invece il Concilio dice no, è sì generato ma non è creato. Vedete il dogma cattolico della Trinità.  Allora, notate, adesso bisogna vedere anche questo che la teologia non può dire l’ultima parola sulla Trinità pretendendo di sapere tutto.

 Infatti la Trinità è uno di quei misteri che si può solo teologicamente approssimare, così come ci sono, dei problemi che si risolvono approssimativamente. Così almeno ho sentito dire; io non sono molto bravo in matematica, Cioè spingendosi continuamente verso un dato termine ci si approssima continuamente senza mai raggiungerlo. La Trinità è la stessa cosa[15]. Cioè ci si approssima alla comprensione del mistero senza arrivarci mai, Questo processo asintotico presenta due grandi forme tradizionali, che sono il pensiero occidentale e quello orientale.

Il pericolo di noi occidentali agostiniani è il pericolo del modalismo. Noi partiamo dall’unità dell’essenza e facciamo fatica a spiegare la Trinità delle Persone, invece gli orientali partono dalla Trinità e poi fanno però fatica a spiegare l’unità. Entrambe le impostazioni possono essere buone e ortodosse, solo che bisogna che accettino le sfumature dell’altra posizione, cioè che gli orientali affermino pure quella che loro chiamano la monarchia del Padre, però senza togliere la consustanzialità, perchè se no cadono nell’arianesimo.

E bisogna che noi occidentali affermiamo pure l’unità di Dio, però bisogna pure ci diamo da fare con Sant’Agostino per spiegare come da questa unità vivente di Dio scaturisce una reale Trinità di Persone. Questa è la teologia della Trinità. Adesso abbiamo stabilito un po’ il dato, ma come poi il dato va spiegato concettualmente, lo vediamo alla prossima volta, se Dio ci aiuta, ma Lui ci aiuta sempre, è tanto buono con noi, Carissimi, in attesa di ciò, vi ringrazio tanto e vi faccio i migliori auguri del Santo Natale, la gioia del Verbo incarnato. E tanti auguri anche a voi.

Conferenza Presso Istituto Tincani (o altrove)
Bologna, 18 dicembre 1986 (data incerta)
N. 17

Audio:   http://youtu.be/aXqsYCERrZM

Cf. n. 1:  http://www.arpato.org/testi/lezioni_tincani/1_Distinzione_delle_persone_divine_18_dic_1986.pdf

Registrazione e/o custodia degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altri

Mp3: Tomas – 18 dicembre 1986: da inizio a fine -  Cf. anche altri Mp3

Conferenza del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP. 

Trascrizione da registrazione di Sr. M. Colombo, OP, e Sr. M. Nicoletti, OP – Bologna, 2007
Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Fontanellato, 30 novembre 2021

San Tommaso commenta Aristotele, il quale dice che anima est quodammodo omnia. Sono proprio parole d’oro, e cioè che l’anima è in qualche modo tutte le cose. Non c’è essere, al quale essa non sia aperta.

Da un lato la nostra anima ci dà la vita. Dall’altro l’anima ha anche la funzione cognitiva, di conoscere.

Quindi, nella nostra anima non c’è solo la funzione vitale come nelle piante. 

Nelle piante ci può essere una somiglianza partecipata di quello che poi succede a livello degli animali, per esempio la conoscenza. Comunque non è ancora conoscenza vera e propria. Vedete perciò che c’è l’anima che dà vita, ma non conosce.

Negli animali invece c’è l’anima che dà vita e che conosce, perché il cagnolino e il gatto conoscono, e come no! Hanno degli occhi, hanno l’udito, reagiscono, quindi conoscono. Però che cosa conoscono? I puri sensibili materiali. Quindi anche la loro anima è già aperta ad altro rispetto a loro.

Invece nell’uomo c’è la possibilità di conoscere gli universali, di spingersi alla conoscenza dell’ente in quanto ente, di tutto quello che spetta all’ente, di tutto quello che spetta alla realtà.

L’anima umana è non solo se stessa, ma è anche tutto l’essere, perché potenzialmente può ricevere ogni essere come conoscibile da sé.

Nella nostra anima ci siamo noi, ma ci sono anche le altre cose conosciute da noi. L’anima quindi non è solo se stessa come forma, ma, dice San Tommaso commentando Aristotele, che è la forma formarum quanto al conoscere; non quanto all’essere, quanto all’essere è solo se stessa, nient’altro.

Precisiamo che a seguito del peccato delle origini siamo vittime di una seduzione spirituale, che consiste nel fare un dio di noi stesso. Effettivamente siamo portatori di un’impronta divina, perchè come Dio è infinito in quanto all’essere, noi lo siamo quanto al conoscere. E la tentazione sta nel fatto di togliere praticamente di mezzo la separazione tra pensiero e essere e dire che come siamo infiniti quanto al pensare così lo siamo anche in quanto all’essere e siamo nel peccato delle origini.

 Immagini da internet


[1] Vediamo.

[2] Ovviamente in modo intenzionale.

[3] Siamo infiniti sul piano dell’intenzionalità, in quanto appunto capaci di pensare al Dio infinito; il che ovviamente non significa che acquistiamo un’intelligenza infinita, perché essa resta finita. Quindi pensiamo in un modo finito e comprendiamo finitamente un Qualcosa di infinito, senza ovviamente comprenderne esaustivamente l’infinita intellegibilità.

[4] Distinzione.

[5] Meglio dire che noi siamo disponibili a conoscere qualunque essere. Ad ogni modo, il parlare di un conoscere potenzialmente tutto l’essere va precisato dicendo che la nostra potenza conoscitiva è limitata, per cui anche ammessa l’attuazione completa della nostra potenza conoscitiva, potremo dire di conoscere tutto l’essere, ma in modo solo limitato. A queste condizioni, possiamo dire non solo di poter conoscere tutto l’essere, ma di conoscerlo effettivamente quando pensiamo a Dio. Bisogna peraltro distinguere la potenza passiva del nostro intelletto dalla possibilità di attuazione infinita dell’essere. Un conto è l’attuazione della nostra potenza intellettiva e un conto è l’attuazione della possibilità infinita di essere. Attuando pienamente la nostra potenza intellettiva, possiamo conoscere limitatamente tutto l’essere attuale, che è Dio. Ma possiamo anche pensare, come suggerisce Leibniz, all’attuazione della possibilità infinita di essere, che è sempre Dio. L’essere divino non è l’attuazione di una potenza, che è sempre finita, ma di una possibilità, che può essere infinita.

[6] Qui per «filosofo» Padre Tomas non intende evidentemente il dottore in filosofia o il filosofo di professione, ma colui che avverte la propensione naturale della mente umana verso la ricerca della sapienza, frutto spontaneo della ragione naturale o del senso comune, per usare un’espressione cara a Mons. Antonio Livi.

[7] Noi siamo capaci di fare oggetto del nostro pensare l’infinito divino, perché anima est quodammodo omnia. Ciò vuol dire che noi, col pensiero finito possiamo pensare un pensiero infinito, che è Dio stesso. Padre Tomas, dunque, intende dire che noi, pensando il Pensiero infinito, diventiamo intenzionalmente lo stesso Pensiero infinito. Quindi, benché il nostro essere e la nostra capacità di comprensione siano finiti, nel pensare a Dio noi ci infinitizziamo non certo ontologicamente ma intenzionalmente, appunto nel pensiero. Infatti, tra il nostro essere finito e l’essere infinito divino resta un’abissale differenza.

[8] Invece secondo l’idealismo il soggetto conoscente, la res cogitans, per esprimerci in termini cartesiani, è lo stesso essere oggetto del suo conoscere. Da qui il concetto idealistico dell’essere o del soggetto come autocoscienza: io sono l’essere come essere conosciuto da me. Da qui l’identità di essere e pensiero, principio fondamentale della gnoseologia idealistica.

[9] C’è però anche qui una differenza fra noi e Dio. Certamente sia noi che Lui sappiamo pensare all’Infinito, che è Lui stesso, ma la differenza consiste nel fatto che mentre noi abbiamo il pensiero dell’Infinito, Egli è lo stesso Pensiero infinito sussistente pensante l’Infinito, e quindi pensante Se stesso.

[10] Filone ammetteva in Dio un Logos endiàthtos, ossia interno a Dio, ma non nel senso di una vera Persona distinta da Dio Padre. Poi ammette un Logos proforikòs, ossia che esce da Dio; il che fa pensare al Figlio, ma più probabilmente si tratta di un influsso pagano.

[11] Non sappiamo, in base alla semplice ragione, che in Dio, oltre alla distinzione fra pensiero e amore propria della natura divina, il Pensiero è una Persona (il Figlio) e l’amore è un’altra Persona (lo Spirito Santo).

[12] Dio Padre

[13] L’eresia di Sabellio è caratterizzata dal monarchianismo, per il quale il Padre appare come Figlio e soffre come Figlio.

[14] Un Dio per adozione non può essere realmente Dio, ma evidentemente siamo qui davanti a una concezione pagana della divinità

[15] In realtà la Trinità, essendo Dio e dato che Dio non ha termine, ma è infinito, non può costituire un termine asintotico di intelligibilità. Perché la mente umana non può arrivare a comprendere e dimostrare il mistero trinitario? Per il semplice fatto della finitezza della sua comprensione e dell’infinità del medesimo mistero. Non possiamo dimostrarne la necessità logica perché non possiamo ricondurre il mistero a princìpi razionali immediatamente evidenti. Tuttavia dal dato di fede possiamo dedurre conseguenze logiche, le quali aumentano e rafforzano la nostra conoscenza del mistero. E questa deduzione è opera della teologia.

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