Sulla questione della intelligenza artificiale

 Sulla questione della intelligenza artificiale

Gli idoli hanno le mani e non palpano

Sal 115,7

Una idea sbagliata fondata su di una filosofia sbagliata

Oggi è diventata cosa comune parlare di «intelligenza artificiale» per riferirsi ai servizi forniti dai meccanismi della telematica e dell’informatica, ma, volendo usare le parole nel loro giusto senso, non dovremmo parlare di intelligenza, ma di calcolo, che è ben altra cosa. L’intelligenza è affare del puro spirito; il calcolare non esclude certo l’atto dello spirito, ma si riferisce alla misurazione di semplici quantità, cioè realtà materiali, ben al di sotto della natura dell’intelletto e dei suoi più propri oggetti, che appartengono all’orizzonte dello spirito. Invece le operazioni di calcolo fatte dal computer o dal robot, per quanto razionalmente strutturate e funzionanti, sono meccanismi puramente fisici, anche se possono indirettamente essere finalizzati al soddisfacimento di bisogni spirituali.

Ma il problema è che sotto quell’espressione «intelligenza artificiale» può nascondersi un modo di intendere l’intelligenza, che la confonde col meccanismo della realtà materiale e allora si finisce o per degradare l’intelligenza al livello del senso o per confondere lo spirito con la materia.

Ciò che vien fuori da simili idee non è affatto, come credono i suoi sostenitori, la prospettiva di una specie di superumanità o transumanità guaritrice delle nostre debolezze e fragilità,  ma  quell’uomo carnale, del quale parla San Paolo, per il quale «le cose dello Spirito sono follìa e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito» (I Cor 2,14).

L’idea di poter costruire un’intelligenza artificiale nel senso di una vera e propria intelligenza pensante e giudicante, si basa sulla filosofia di George Berkeley, il quale, nell’intento di confutare radicalmente il materialismo, credette di poter sostenere che la sostanza materiale, intesa come sostanza priva di pensiero e non pensata al di fuori della nostra mente, non esiste, ma essa esiste solo in quanto pensata o percepita da noi: l’essere materiale è l’essere percepito (esse est percipi).

Berkeley sapeva che il pensare implica immaterialità. Così, per poter negare l’esistenza di una realtà materiale fuori della nostra mente, pensò bene di ridurre la materia a pensiero, sicchè per lui non esiste una materia non pensante e non pensata, ma la materia, se esiste, è per essenza pensata e pensante, esiste in relazione alla nostra mente che la pensa. Senza la nostra mente, partecipe della Mente divina nella quale tutta la materia di tutti i corpi è materia da Lei pensata, la materia non esisterebbe.

Ma così che cosa succedeva? Un risultato sorprendente ma logico, del quale Berkeley non si accorse, del tutto contrario alle sue intenzioni e cioè che il suo immaterialismo, il suo ingiustificato disprezzo per la realtà e la dignità della materia, benché essa sia inferiore allo spirito, nascondeva un implicito materialismo e portava al materialismo e al sensismo.

Perché questo? Perché se la materia è pensiero, allora il pensiero è materia. Se il sentire è pensare, allora il pensare è sentire. Se il concepire è immaginare, allora l’immaginare è concepire. Se il volere è passione, allora la passione è la volontà.

C’è un’altra considerazione da fare. L’uomo, col suo ingegno, costruisce macchine. Ma se la materia pensa, allora che ostacolo ci può essere al progetto di costruire una macchina pensante e dotata di volontà e quindi capace di dare ordini al nostro agire? L’uomo può certo guidare una macchina. Ma che cosa ci impedisce, nella visuale di Berkeley, di costruire una macchina così perfetta da evitare i difetti del nostro agire e di guidarci con sicurezza alla nostra felicità?

Differenza fra la macchina e il vivente

Una macchina può fare da promemoria per la nostra smemoratezza, può dirci tra quali diverse possibilità si trova la scelta migliore, può indicarci la via da seguire, vedi il «navigatore» nelle auto, può informarci spontaneamente su rischi, pericoli, vantaggi, benefìci, prospettive, può correggere i nostri errori, può dedurre o calcolare delle conseguenze o delle conclusioni, sulla base di premesse o condizioni poste dall’uomo.

Contenendo essa milioni di dati, così pronta ai miei ordini, così veloce nelle sue operazioni, così capace di coprire spazi immensi nel diffondere i miei messaggi, di fare al mio posto e meglio di me tante operazioni meccaniche, così sobria nelle sue necessità di alimentazione a confronto della complessità delle mie, non potrebbe essere che essa mi indichi con sicurezza il cammino e mi protegga da rischi e pericoli della vita?

Così come essa mi indica cosa devo fare per lo svolgimento di certe pratiche burocratiche o amministrative, se io immetto in questa macchina la descrizione dei miei bisogni, non potrebbe essere che essa, in base ai princìpi o agli imput che ho inserito in essa, mi dica cosa devo fare per soddisfarli?

Tuttavia la macchina non è una sostanza, ma un aggregato artificiale ed ordinato di sostanze o parti di sostanze fisiche tra di loro collegate dalla mente umana, secondo le leggi delle meccanica razionale, avente una data stabile configurazione  sensibile e quantitativa, finalizzato al compimento di un dato lavoro in soddisfacimento a bisogni materiali dell’uomo.

La macchina può svolgere diverse funzioni: informare, calcolare, muovere, costruire, registrare, trasformare, produrre opere artistiche o generare energia, trasportare, trasmettere e ricevere messaggi, alimentare, proteggere o curare la salute e il benessere, regolare le attività della natura.

Essa funziona sempre allo stesso modo, per cui, se funziona bene, avviandola, sappiamo già in anticipo che cosa farà, perché non possiede un libero arbitrio che possa riservarci sorprese. Essa dunque è fedele e obbediente, ma a patto che noi per primi rispettiamo le regole del suo funzionamento.

La macchina agisce secondo un’attività puramente fisica, causata in modo fisso da un’energia fisica nella sua essenza immutabile, che genera i moti suoi meccanici e deterministici, sempre identici a se stessi, che quindi producono sempre gli stessi effetti, in ottemperanza a leggi fisiche precise ed immutabili e quindi facilmente conoscibili e quantificabili dalla scienza in formule matematiche.

Ben diversa è dunque la macchina dal vivente non solo spirituale, ma anche fisico, come l’uomo, l’animale la pianta. Il vivente si muove da sé grazie all’azione immanente interna propria dell’anima, che dà al vivente un’unica forma sostanziale, che pervade e vivifica tutto il corpo.

La macchina non si compone di anima e corpo, ma è semplicemente un aggregato artificialmente ordinato di corpi fisici fissi, in relazione ragionata fra di loro, tale da formare un tutto armonioso, le cui parti concorrono al conseguimento dello scopo della macchina, la cui unità non è un’unità di un’unica essenza o di una sostanza come nel caso del vivente organizzato ed unificato dall’anima, ma è l’unione di pezzi adatti gli uni agli altri per il conseguimento del fine della macchina.

La macchina non alimenta se stessa e non riproduce se stessa, come il vivente. Non cura le proprie ferite, ma se si guasta o funziona male, necessita di essere riparata dall’uomo. Essa non è prodotta per generazione, un individuo diverso dall’altro, come il vivente, ma è fabbricata in serie da altre macchine sotto la direzione dell’uomo.  

Essa non è lo sviluppo finale di una cellula iniziale, che si moltiplica provocando la crescita del soggetto fino alla maturità come nel mondo della vita, ma è costruita pezzo per pezzo ed entra in funzione solo quando la sua costruzione è terminata. Certo invecchia anche lei come noi, ma quando non funziona più, la si getta via o si riutilizzano i materiai di cui è fatta.

Non ha come noi un’anima che sopravvive alla morte. Un meccanismo esiste anche nel nostro corpo, ma esso non consiste, come nella macchina, in un insieme di pezzi adiacenti, ma congiunti con connettivi biologici. Lo scheletro, se vogliamo, ha l’aspetto di una macchina. Ma lo scheletro non è più l’uomo. Anche il cervello conosce l’energia elettromagnetica, ma mentre in noi essa è governata dall’anima, nella macchina è governata da un generatore di energia.

La macchina non si mette in moto da sé, ma comincia ad agire o a muoversi solo se l’uomo avvia il motore o mette in funzione l’energia che l’alimenta. Altrimenti la macchina resta inerte. L’automovimento della macchina è ben diverso da quello del vivente. Nel caso di questo il soggetto compie un’azione immanente su tutto se stesso o su di un organo autonomamente originato dall’anima. Nel caso della macchina, in essa alcuni elementi direttivi meccanicamente azionati dall’esterno agiscono fisicamente nello spazio interno alla macchina mettendo a contatto elemento con elemento della macchina.

È vero che l’animale possiede il cervello, la cui funzionalità è regolata da un’energia elettromagnetica. Ma questa non basta a determinare il comportamento dell’animale, perché, affinchè ciò avvenga, occorre che sia l’anima stessa dell’animale – bestia o uomo – a parte le funzioni neurovegetative, a muovere le membra dell’animale mediante l’intenzionalità immateriale della sensibilità e dell’appetitività. Nel caso poi dell’uomo, il cervello, mantenendo i suoi determinismi neurofisiologici, diventa strumento del potere vitale ancora più elevato che è quello dello spirito, ossia dell’intelletto e della volontà.

Il funzionamento dell’intelletto e il funzionamento del computer

Per affrontare e risolvere questo problema dobbiamo far ricorso a due princìpi di soluzione: il primo è il rapporto dell’uomo con la macchina; il secondo è il rapporto fra la conoscenza, l’informazione e la prescrizione.

La macchina è un prodotto della tecnica umana, per cui l’arte umana è la causa efficiente e formale estrinseca dell’artefatto, la cui attività pertanto non potrà valere di più ed esser modello di condotta per la mente, ossia l’intelletto e la volontà dell’uomo. L’uomo pertanto non potrà mai aspettarsi da qualcosa di inferiore alle sue capacità e alle sue forze un vantaggio o un beneficio superiore  a quello che potrebbe ricevere da una causa superiore e trascendente, come può essere la provvidenza divina.

Indubbiamente il computer gli è di aiuto prezioso nella sua attività tecnica, nonché per l’incremento del suo sapere, per una migliore comunicazione interumana, per l’espletamento di attività pratiche, dirigenziali, amministrative, burocratiche, organizzative, educative, culturali, artistiche, sanitarie, lavorative politiche e religiose, ma si tratta di un aiuto che gli facilita il lavoro e non può trattarsi di un aiuto nella comprensione dei fini della sua esistenza o delle norme morali del suo agire.

Se esiste il computer è perché esso è stato ideato dall’intelletto umano, pianificato dalla ragione, basato sulla scienza, plasmato dalla tecnica, realizzato dalla volontà, prodotto dall’industria, propagandato dall’educazione, utilizzato dalla politica, finanziato dall’economia.

È il buon funzionamento dell’intelletto umano che assicura il buon funzionamento del computer, così come è la virtù dell’anima che assicura la salute e il benessere del corpo. È la medesima ragion pratica, illuminata dall’intelletto, che regola l’agire morale (recta ratio agibilium) e l’agire tecnologico (recta ratio factibilium). Se il computer serve al bene dell’uomo non è perché il computer gi dice cosa deve fare, ma perché l’uomo sa servirsene per il proprio bene stabilito da Dio e non dal computer.

A tal riguardo bisogna dire che l’antropologia dualistica cartesiana di res cogitans e res extensa apre la porta al materialismo informatico. Infatti, se è vero che la res extensa è esterna alla res cogitans, non si tratta di vera corporeità sensibile, ma di corporeità pensata, in quanto ipostatizzazione dell’estensione, che non è sostanza ma accidente del corpo.

Da questo corpo matematizzato alla materia pensata e pensante di Berkeley non c’è molta distanza. Ma allora siamo daccapo, secondo il rovesciamento già visto: se il meccanismo è proprietà del corpo e il corpo è corpo pensato e pensante, perché l’intelligenza non potrebbe essere meccanismo?

Leibniz, che pure è nella linea di Cartesio e di Berkeley nel risolvere l’essere umano nell’autocoscienza, si accorge della possibilità che dall’immaterialismo criptomaterialista di Berkeley si possa ricavare l’idea del pensare ridotto a meccanicismo. E del resto l’illuminismo francese materialista elabora già, sulla scorta della res extensa cartesiana, l’idea dell’uomo-macchina precorrendo i sovraumanisti di oggi. Osserva Leibniz:

«La percezione e quel che dipende da essa non è spiegabile per mezzo di ragioni meccaniche, cioè mediante figure e mediante movimenti. Immaginiamo che vi sia una macchina, la cui struttura produca pensieri, sentimenti, percezioni: mantenendo le stesse proporzioni, contempliamola tanto grande da potervi entrar dentro, come in un molino. Ebbene, ciò supposto, visitandola all’interno, non vi si troverà che pezzi che si spingono tra di loro e mai vi si troverà di che spiegare una percezione. Per cui la percezione bisognerà cercarla non già nel composto o nella macchina, ma nella sostanza semplice»[1].

Un conto sono i concetti e un conto sono i segni fisici simbolici del linguaggio del computer. Un conto è la voce registrata del computer e un conto è la voce volontaria della persona viva. Un conto è il ragionamento e un conto è la connessione meccanica dei segni, la quale, avviata dell’uomo, produce necessariamente il risultato previsto dalla macchina. La causalità efficiente nel computer è quella dell’energia elettrica, la causa efficiente dell’agire umano è la volontà.

Un computer non è capace di autocoscienza perché la materia non è capace di riflettere su se stessa; ma l’autocoscienza è un privilegio dello spirito. Lo spirito conosce l’essere, l’universale, la totalità, l’eterno, l’assoluto, l’infinito, Dio. Il computer non sa nulla di tutto questo, se non si tratta di notizie che noi stessi abbiamo inserito in esso. Noi conosciamo la giustizia e il peccato. Il computer non ha colpe o meriti, ma fa sempre il suo dovere obbedendo alle leggi della fisica. Noi possiamo vivere in grazia di Dio. Il computer è un ente solo naturale.

 Un conto è la necessità fisica dei moti del computer e un conto è la necessità logica dei moti della ragione. Un conto sono le onde elettromagnetiche che attraversano lo spazio e un conto è la potenza del pensiero indipendente dallo spazio. Un conto è il discernimento intellettuale e un conto è il calcolo di una certa quantità di dati fisici prefissati. Un conto è il linguaggio umano come espressione di concetti e un conto il linguaggio del computer, frutto deterministico di un’azione meccanica di dati fisici registrati. Un conto è il giudizio e un conto la sintesi meccanica di segni convenzionali.

Attendersi dal computer la realizzazione di un’umanità superiore o la liberazione da mali, difetti o deficienze della nostra volontà è un gravissimo scarico di responsabilità e il segno di una stolta megalomania o di un atteggiamento idolatrico nei confronti del computer paragonabile all’idolatria dei popoli più arretrati e primitivi. Questo atteggiamento è segno di una grave ignoranza della superiorità dello spirito sul corpo, e quindi della differenza che corre fra il dinamismo della vita e il meccanicismo della natura fisica. Esprime una visione grossolanamente materialistica della vita umana, che però può essere lo sbocco di uno spiritualismo estremista e dualista.

La macchina certamente può eseguire certe attività di computo, di enumerazione, di memorizzazione, di elencazione, di documentazione, di informazione, di conservazione, di correzione, di sistemazione di contenuti matematici, scientifici, letterari o culturali in genere. Ma non potrà mai sostituire l’attività inventiva o creativa della mente umana, né la voce della coscienza, né la funzione decisiva della volontà e del libero arbitrio nel determinare con responsabilità il contenuto degli atti morali, né guidare l’uomo sulla via della virtù, della salvezza e della santità.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 5 febbraio 2023

La macchina non è una sostanza, ma un aggregato artificiale ed ordinato di sostanze o parti di sostanze fisiche tra di loro collegate dalla mente umana, secondo le leggi della meccanica razionale, avente una data stabile configurazione sensibile e quantitativa, finalizzato al compimento di un dato lavoro in soddisfacimento a bisogni materiali dell’uomo.


La macchina non si compone di anima e corpo, ma è semplicemente un aggregato artificialmente ordinato di corpi fisici fissi, in relazione ragionata fra di loro, tale da formare un tutto armonioso, le cui parti concorrono al conseguimento dello scopo della macchina, la cui unità non è un’unità di un’unica essenza o di una sostanza come nel caso del vivente organizzato ed unificato dall’anima, ma è l’unione di pezzi adatti gli uni agli altri per il conseguimento del fine della macchina.


Un computer non è capace di autocoscienza perché la materia non è capace di riflettere su se stessa; ma l’autocoscienza è un privilegio dello spirito. Lo spirito conosce l’essere, l’universale, la totalità, l’eterno, l’assoluto, l’infinito, Dio. Il computer non sa nulla di tutto questo, se non si tratta di notizie che noi stessi abbiamo inserito in esso. Noi conosciamo la giustizia e il peccato. Il computer non ha colpe o meriti, ma fa sempre il suo dovere obbedendo alle leggi della fisica. Noi possiamo vivere in grazia di Dio. Il computer è un ente solo naturale.

Immagini da Internet

[1] Monadologia, tesi XVII, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1985, p.142.

4 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    tutto ciò che ha scritto sull’I.A. rispetto all’intelligenza della persona è assolutamente condivisibile.
    Non è forse inopportuno richiamare i rischi che l’I.A., in quanto potente strumento nelle mani dell’uomo presenta, se il suo uso non viene sottoposto a criteri etici sui quali la Chiesa può e deve dire la sua. A tal proposto riporto alcune considerazioni tratte da un articolo pubblicato nel 2020 da Civiltà cattolica
    (https://www.laciviltacattolica.it/articolo/intelligenza-artificiale-e-giustizia-sociale/#_ftn22):

    «La vera e propria esplosione dell’IA ha un forte impatto sui nostri diritti nel presente e sulle nostre opportunità future, determinando processi decisionali che, in una società moderna, riguardano tutti […].
    Bisogna capire che l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida e un’opportunità anche per la Chiesa: è una questione di giustizia sociale. Infatti, la ricerca pressante, avida e non trasparente dei “big data”, cioè dei dati necessari ad alimentare i motori di apprendimento automatico può portare alla manipolazione e allo sfruttamento dei poveri: «I poveri del XXI secolo sono, al pari di chi non ha denaro, coloro che, in un mondo basato sui dati e sulle informazioni, sono ignoranti, ingenui e sfruttati». Inoltre, gli stessi scopi per i quali vengono addestrati i sistemi di IA possono portarli a interagire in forme imprevedibili per garantire che i poveri vengano controllati, sorvegliati e manipolati.
    Attualmente i creatori di sistemi di IA sono sempre più gli arbitri della verità per i consumatori […].
    Silenziosamente ma rapidamente, l’IA sta rimodellando per intero l’economia e la società: il modo in cui votiamo e quello in cui viene esercitato il governo, la polizia predittiva, la maniera in cui i giudici emettono le sentenze, il modo in cui accediamo ai servizi finanziari e la nostra affidabilità creditizia, i prodotti e i servizi che acquistiamo, le abitazioni, i mezzi di comunicazione che utilizziamo, le notizie che leggiamo […].
    La crescente dipendenza della socio-economia dall’IA conferisce un enorme potere a coloro che ne programmano gli algoritmi: un potere di cui costoro potrebbero anche non essere consapevoli, così come del danno potenziale che può derivare da un algoritmo compilato con un codice scorretto […].
    L’IA può essere distorta attraverso specifici interessi commerciali e politici che influenzano l’inquadramento del problema; preconcetti di selezione o distorsione/corruzione nella raccolta dati; parzialità negli attributi di selezione per la preparazione dei dati; pregiudizi nella codifica […].
    L’intelligenza artificiale cambia il nostro modo di pensare e i nostri giudizi fondamentali sul mondo. Scegliendo a quali domande rispondere e controllando strettamente la comprensione di ciò che in effetti rappresentano i dati di riferimento, chi possiede l’IA è l’arbitro della verità per i «consumatori» […].
    L’evoluzione dell’IA contribuirà in grande misura a plasmare il XXI secolo. La Chiesa è chiamata ad ascoltare, a riflettere e a impegnarsi proponendo una cornice etica e spirituale alla comunità dell’IA, e in questo modo a servire la comunità universale. Seguendo la tradizione della Rerum novarum, si può dire che qui c’è una chiamata alla giustizia sociale. C’è l’esigenza di un discernimento. La voce della Chiesa è necessaria nei dibattiti politici in corso, destinati a definire e ad attuare i princìpi etici per l’IA».

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    1. Caro Bruno,
      le considerazioni della Civiltà Cattolica nel loro insieme sono molto giuste e condivisibili.
      Non c’è dubbio che questi mezzi tecnici raffinatissimi e potentissimi nelle mani di un potere politico, economico, finanziario e culturale non dedito al bene comune, ma concentrato su interessi privati, o peggio ancora ispirato da ideologie pericolose per il bene dell’umanità, possono impedire il rimedio alle ingiustizie sociali e aggravare il dislivello tra ricchi e poveri.
      Tuttavia avrei una osservazione da fare e cioè che l’articolista si allarma in un modo esagerato dando alla macchina addirittura un potere sul pensiero dell’uomo, come è dimostrato da questa considerazione: “L’intelligenza artificiale cambia il nostro modo di pensare e i nostri giudizi fondamentali sul mondo”.
      Bisogna innanzitutto distinguere il potere dell’intelligenza artificiale dall’uso che l’uomo può fare di questa IA, cioè del computer. Nell’uno e nell’altro caso è impensabile e assurdo, che sia una macchina come tale che l’uso di questa macchina, possano influire sull’attività del pensiero umano e addirittura su quelli che sono i giudizi fondamentali concernenti la realtà. Ciò che in realtà influisce sul pensiero è soltanto il pensiero.
      Affermare quindi quanto ha detto l’articolista è segno di una mentalità materialistica, che subordina lo spirito alla materia. La realtà è molto diversa: se esiste l’intelligenza artificiale è perché essa è stata progettata e voluta dal pensiero umano, per cui essa, in quanto effetto di questo pensiero, non può a sua volta agire su questo pensiero, perché l’effetto dipende dalla causa e non può agire sulla causa.
      Tutto ciò significa che l’articolista, forse senza rendersene conto, è influenzato dall’ideologia del transumanesimo, la quale sostiene appunto la possibilità che l’IA governi la condotta umana, così da condurre l’uomo alla felicità. Tuttavia, riflettendo sulla natura di questo progetto, ci accorgiamo della sua assurdità, perché esso è in contrasto col principio di causalità, che è un principio fondamentale della ragione e quindi della vita umana normale.
      Su questo tema della massima importanza ed urgenza, cito alcune dichiarazioni del Santo Padre *, che dà le indicazioni di fondo che devono fare da criterio per l’elaborazione di una dottrina morale adatta a questa situazione, in modo tale da poter trovare concretamente il modo di utilizzare questi meravigliosi strumenti, che l’uomo ha creato, non per l’oppressione dell’uomo sull’uomo, ma perché l’uomo singolarmente e collettivamente possa essere in cammino verso Dio.

      *
      https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/january/documents/20230110-incontro-romecall.html
      DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL' INCONTRO "ROME CALL" PROMOSSO DALLA FONDAZIONE RENAISSANCE - Sala Clementina - Martedì, 10 gennaio 2023

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  2. Caro padre. Non ho alcuna domanda da farvi oggi, né alcuna obiezione da sollevare. Li segnalo solo, a proposito dei suoi articoli sull'intelligenza artificiale, un articolo apparso oggi sul blog di Sabino Paciolla, scritto da Nicola Lorenzo Barile, che credo sia stato un tempo suo interlocutore sul suo blog:

    https://www.sabinopaciolla.com/un-tipo-piuttosto-lungimirante-san-tommaso-daquino-e-lintelligenza-artificiale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=un-tipo-piuttosto-lungimirante-san-tommaso-daquino-e-lintelligenza-artificiale

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    1. Caro Don Sabino,
      la ringrazio per l’articolo su San Tommaso, che mi sembra fatto abbastanza bene.

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