Che cosa è
il soggettivismo
Le sue radici
storiche e l’intento di fondo
È possibile notare nel magistero pontificio,
nei teologi, nei filosofi, nei moralisti, nei pubblicisti e giornalisti
cattolici del postconcilio una polemica contro il cosiddetto «soggettivismo»,
considerato come un errore tipico della modernità. Esso viene descritto come
individualismo, egoismo, autoreferenzialità, ideologia, interesse privato, tracotanza,
chiusura all’altro, e gli si contrappone come medicina un personalismo
relazionale, l’apertura alla verità, il senso del bene comune, il dialogo, l’accoglienza,
la reciprocità, la fratellanza universale, la fede, la carità, la misericordia,
la concezione cristiana dell’uomo, la comunione ecclesiale, la sinodalità.
Tutti rimedi certamente buoni, ma che, a mio
giudizio, non sono sufficienti a risolvere il problema alla radice, perché non
partono da una definizione del fenomeno che lo colga nella sua radice. Così si
strappano i rami ma non distrugge la pianta, per cui i rami ricrescono. Non si
va abbastanza a fondo. Ci si limita infatti alla denuncia del soggettivismo
come comportamento sociale, politico o ecclesiale, come modo di pensare o
fenomeno del linguaggio, come esaltazione del proprio io o come criterio di giudizio
morale o sociale e non ci si accorge o non si tiene conto del fatto che il
soggettivismo come fenomeno comportamentale o di relazione umana o con se
stessi, sociale o politico, ha la sua base e la sua origine nella storia del
pensiero in una data concezione della conoscenza, della verità, del rapporto
pensiero-realtà, della ragione, del linguaggio, del soggetto umano, della
conoscenza, dell’io.
Siamo dunque davanti ad un insieme di dati e di
fattori intellettuali assai complesso, all’origine del quale hanno dato mano molti
pensatori, già a partire dalla decadenza della Scolastica nel sec.XIV, ma poi
soprattutto a partire dal Rinascimento e dalla Riforma luterana. Ma, per riassumere
e semplificare secondo lo spazio di questo breve articolo, senza venir meno al rigore
dell’analisi, mi fermerò solo su due autori particolarmente significativi, due
capiscuola influenti ancor oggi: Guglielmo di Ockham e Cartesio.
In Ockham c’è il principio volontaristico del
vero non come adeaquatio alla res, ma come effetto dell’onnipotenza e
della libertà divine e dell’arbitrio della volontà, cosa che comporta
l’infrazione del principio di non-contraddizione e per conseguenza la
giustificazione della doppiezza nel linguaggio, e il principio gnoseologico sensistico
della riduzione dell’universale al singolare o dell’astratto al concreto, con
la conseguente soppressione della metafisica. In Cartesio appare il principio del
prevalere dell’io o del soggetto sul reale ovvero sull’oggetto,
l’identificazione della conoscenza diretta con la coscienza o conoscenza
riflessa, e il primato del pensiero sull’essere, che porterà
all’identificazione hegeliana dell’essere con l’essere pensato e col concetto.
Secondo la gnoseologia tanto di Ockham che di
Cartesio l’oggettività ed universalità del giudizio teoretico o morale è praticamente
impossibile, anche se essi non lo dicono, perché secondo loro noi giudichiamo
sempre in relazione e in ordine a un presupposto interiore, un apriori
soggettivo, ideale in Cartesio (il cogito),
pratico in Ockham (la volontà), presupposto magari inconscio, che ci porta ad adattare
o modificare l’oggetto in ordine alle esigenze del nostro io. In fondo, le famose
«forme a priori» dell’intelletto kantiano, che cosa sono di fatto, anche se non
nelle intenzioni di Kant, un’interferenza arbitraria del soggetto nell’oggetto?
Per i soggettivisti non esistono giudizi oggettivi,
disinteressati o spassionati, ma tutti i giudizi sono soggettivi, ossia influenzati
e mossi da interessi egoistici o di parte, che con ciò stesso non sono più
egoistici ma normali. Secondo il soggettivista, ognuno dei nostri giudizi parte
sempre da un presupposto relativo a un nostro particolare interesse o punto di vista,
chiamato eventualmente in modo eufemistico «precomprensione», nell’affermare o
negare una data cosa, interesse (Ockham) o visuale (Cartesio), ai quali siamo assolutamente
attaccati, in modo tale che l’oggetto che concepiamo e affermiamo non è un puro
oggetto così com’è in se stesso, ma un oggetto modificato dalla nostra soggettività
affettiva (Ockham) o cogitante (Cartesio) o per aver la meglio sugli altri o per
sfruttarli a nostro vantaggio.
Il soggettivista, col pretesto che la realtà
è singolare e concreta – ecco il sofisma di Ockham - restringe, relativizza coarta e soffoca l’universale
nel particolare e l’astratto nel concreto, col risultato di perder di vista i valori
universali speculativi e morali. Così nella pratica del soggettivismo scompare e
viene deriso come «fondamentalismo» il pensiero comune - l’una fides - fondato sulla comune
condivisione di una verità oggettiva ed universale. La parte eretta a tutto e
scambiata per il tutto o il tutto abbassato a parte, è il sopruso, è la caratteristica
ingannevole propria dell’ideologia nel senso deteriore del termine.
Succede così che nella convivenza sociale la
conflittualità e la contraddizione diventano un costume e sono erette a sistema
e la comunità dei pensanti, compresa la Chiesa stessa, diventa il teatro di una
guerra generalizzata e spietata, senza esclusione di colpi, un bellum omnium contra omnes, un caos di
opinioni irrazionali ed ostinate tra loro inconciliabili, dove la tesi che prevale
non è quella vera contro la falsa, ma la sintesi dialettica della tesi e
dell’antitesi, il mezzo tra il sì e il no, dove la tesi vincente non è più motivata
dalla ragione, ma imposta dalla forza, dalla suggestione, dall’emotività, dal
capriccio, dalla propaganda, dall’intimidazione, dall’astuzia, dell’inganno, dal
potere economico o politico e dall’interesse privato.
Il soggettivismo giustifica quindi l’egoismo,
la falsità e la doppiezza e li ritiene inevitabili, normali ed anzi doverosi.
Considera invece illuso o ipocrita chi pretende di essere nei giudizi oggettivo
e disinteressato. Il pensiero onesto e lineare è considerato o una risibile ingenuità
propria di menti medievali e premoderne o la grettezza e presunzione di chi
vuole imporre agli altri le proprie idee ristrette e sorpassate. E non si accorgono,
i poveri soggettivisti, di essere proprio loro a volere l’imperialismo dell’ideologia
o, come si dice oggi, il «pensiero unico» o la «dittatura del relativismo».
Il soggettivismo si può definire brevemente come
quella concezione della conoscenza, per la quale, invece che essere il soggetto
ad adeguarsi all’oggetto, il soggetto pretende che l’oggetto si adegui a lui.
Occorre però che definiamo i termini «oggetto» e «soggetto». Essi sono
caratteristici della filosofia moderna e ormai dello stesso linguaggio corrente
moderno, tanto che li troviamo nello stesso Magistero della Chiesa. «Oggetto»,
in generale o «cosa» è l’oggetto materiale; per «soggetto», invece, s’intende la
persona. Derivano dal latino: obiectum
e subiectum, ma nella filosofia
scolastica hanno un diverso significato. Partiamo da questo confrontandolo con quello
moderno.
Soggetto e
oggetto
Nella filosofia scolastica, qui tuttora
attuale, l’ob-iectum è ciò-che-mi-è-posto-davanti
(ob). S’intende, nel caso in esame,
davanti alla mia potenza conoscitiva, davanti al mio intelletto. È una categoria
logico-psicologica. Nel linguaggio moderno invece l’oggetto è comunemente la
cosa sensibile o il fenomeno. È una categoria cosmologico-fisica.
Nel linguaggio scolastico l’obiectum è la cosa (res), che può essere materiale o immateriale, in quanto oggetto
dell’intelletto. Per questo, nel linguaggio moderno si dice per esempio che la
persona umana o Dio non sono «oggetti», non sono «cose», perché sono entità o
«soggetti» spirituali. Invece nel linguaggio scolastico non c’è difficoltà a
dire, anzi si deve dire che la persona umana e Dio sono «res», realtà, oggetti
rispettivamente dell’antropologia e della teologia.
Se dunque l’oggetto è la cosa, ovvero la
realtà (res), risulta evidente che la
verità del conoscere comporta un’adeguazione dell’intelletto alla cosa. Essere
oggettivi allora vuol dire avere questo rispetto per l’oggetto, come così da accoglierlo
come è senza modificazioni o mutamenti.
Il sub-iectum
nella filosofia scolastica è qualcosa-che-è-posto-sotto. Può avere un senso
logico – soggetto della proposizione -; o un senso ontologico: soggetto attivo:
soggetto di una potenza o di una facoltà, o soggetto passivo: una potenza recettiva,
soggetto a ricevere. La potenza conoscitiva è un soggetto attivo e passivo:
attivo, in quanto elabora i concetti; passivo, in quanto riceve le cognizioni
delle cose adeguandosi alla loro realtà.
Il
soggetto del conoscere è dunque la potenza intellettuale, che si attua
intenzionando le cose mediante la produzione delle rappresentazioni concettuali
e dei giudizi. A partire da Cartesio,
invece, l’intelletto non è più concepito come la potenza dell’anima forma della
sostanza umana, potenza attuabile grazie all’esperienza sensibile delle cose
esterne, ma è concepito essenzialmente e costitutivamente come spirito in atto
di riflessione su sé stesso, il cogito
o autocoscienza cartesiana, per cui l’uomo per Cartesio, che d’ora in avanti
coincide con l’io, è una res cogitans.
Con Cartesio sorge il concetto dell’«io», in quanto è la persona pensata da sé
stessa.
In Cartesio allora il subiectum, il sussistente umano, viene a coincidere con l’atto del
pensare o dell’autocoscienza. I seguaci di Cartesio, a cominciare da Hegel e Schelling,
denomineranno l’io cartesiano «soggetto». Ora questo soggetto per definizione
ha come primo oggetto sé stesso, ma se stesso in quanto pensante Dio, e molte
altre cose. Dunque questi contenuti soggettivi, secondo Cartesio e il
susseguente idealismo trascendentale tedesco, che da esso trarrà origine nel
sec.XIX, vengono a costituire un patrimonio nozionale previo all’esperienza ed al
contatto stesso del reale.
Ecco allora fondato il soggettivismo: il soggetto,
già prima di contattare l’oggetto esterno nell’esperienza, possiede in sé
stesso a priori contenuti intellettuali propri, soggettivi, i quali all’atto
del conoscere, modificano o mutano l’oggetto secondo le esigenze o le modalità
dei contenuti apriorici del soggetto. È nata quella che Rahner ha celebrato
come la grande conquista della filosofia moderna: la «svolta al soggetto» e che
Walter Kasper descrive laudativamente in questi termini: «il principio moderno
della soggettività, il processo durante il quale l’uomo diventa cosciente della
propria libertà come autonomia, e se la rende punto di partenza, misura e mezzo
per un’intera concezione del reale»[1].
Ne seguiranno invece purtroppo talune incresciose conseguenze, che guasteranno
la nozione e la pratica della conoscenza e l’unità stessa del genere umano
attorno alla nozione della verità. Il soggettivismo è il principio modernistico
della «libertà di coscienza».
Ma il soggettivismo si può ricondurre ad un
principio molto più antico di Ockham e Cartesio, e cioè alla gnoseologia di
Protagora, come è già segnalato da Aristotele[2],
il quale cita il principio protagoreo, secondo il quale «tutto ciò che appare è
vero». Questo si può considerare certamente il principio del soggettivismo.
Infatti, secondo questo principio, ciò che
appare a Tizio è vero come è vero ciò che appare a Caio, benché le apparenze
possano essere contradditorie. In tal modo tutto è vero e tutto è falso. Tutti
hanno ragione e tutti hanno torto. Da qui viene, osserva Aristotele, la
negazione del principio di non-contraddizione. L’universale scompare e tutto è
ridotto ad una guerra tra individui. La verità è ciò che appare a me. L’essere
è l’essere-pensato-da-me. Io ho sempre ragione. Tutto il mondo gira attorno al
proprio io. Il capo pensa per tutti. Il soggettivismo è un mostro con molte
teste. Vediamone alcune.
Gli aspetti
del soggettivismo
Il relativismo. Non c’è una verità in sé,
universale, oggettiva, una per tutti, un lumen
publicum, direbbe S.Agostino, ma ciò che è vero per me non lo è per te e
viceversa. Tutto è opinabile e soggettivo. La verità è come le scarpe e gli
occhiali: ognuno ha le sue scarpe e i suoi occhiali. E tu non puoi imporre a me
ciò che è vero per te senza farmi violenza. L’unico modo dunque per diffondere
un messaggio è l’astuzia, l’inganno e la violenza. Non esiste un’unica
interpretazione del messaggio, ma ognuno interpreta secondo la propria
precomprensione. Non essendo possibile un’unica interpretazione, verranno
inoltre a giustificarsi interpretazioni tra loro contradditorie. Immaginiamo
che ne sarà del Magistero della Chiesa. E infatti Rahner applica proprio questo
principio a tal riguardo.
Il fenomenismo. Esso è condannato nella Pascendi di S.Pio X. Se l’oggetto è
modificato dal soggetto, ciò vuol dire la verità viene a confondersi con l’apparenza
soggettiva. Nel soggettivismo, inoltre, è facile la tentazione del soggetto di
chiudersi nell’orizzonte dei fenomeni, soprattutto se interferisce l’affettività,
come nell’occamismo, per cui la mente non sa elevarsi al sovrasensibile ed allo
spirituale, come denuncia il Papa nel famoso documento.
Lo storicismo. È naturale al soggettivismo negare l’immutabilità
della verità, con conseguenze disastrose per quanto riguarda l’immutabilità del
dogma e della legge morale. Infatti, come variano i soggetti nello spazio, è
chiaro che variano anche nel tempo. E così ciò che era falso ieri diventa vero
oggi e viceversa. Veritas filia temporis.
L’idealismo. Papa Francesco ha più volte ripreso
le passate condanne pontificie dell’idealismo, associandolo strettamente allo
gnosticismo, le cui caratteristiche sono molto simili, mostrandosi l’uno e
l’altro come espressione della superbia dell’uomo, che vuol pareggiare la
scienza divina, illudendosi di poterla racchiudere negli schemi astratti del
concetto umano.
La condanna dello gnosticismo, peraltro, più
che opportuna, è un novum assoluto
nella storia del magistero pontificio, nel momento in cui il Pontefice
ripropone il perenne valore del realismo gnoseologico, così intimamente
connesso col concetto biblico della conoscenza e della verità. Se ci è consentito
di esprimere un voto, suggeriremmo al Santo Padre di ribadire anche la condanna
del panteismo, anch’esso già più volte condannato dai Papi, che è il frutto
estremo dell’idealismo dello gnosticismo, oggi ancor sempre attuale e
pericoloso.
Con le suddette condanne e il richiamo al
realismo il Papa si riallaccia evidentemente alla plurisecolare stima dei Papi
per il pensiero di S.Tommaso d’Aquino, raccomandato, come sappiamo, anche dal
Concilio Vaticano II.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato, 21 dicembre 2019
[1] Cf Gesù
il Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1981, p.253.
[2] Metafisica,
l.III., c.V, 1009a6-15, Edizioni Luigi Loffredo, Napoli 1969, Vol.I,
pp.307-308; vedi il commento di S.Tommaso: In
XII libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, l.IV,c.V, lect.XI,
nn.669-671, Edizioni Marietti, Torino-Roma 1964, pp.184-185; cf anche In Aristotelis librum De anima commentarium,
l.III, lect.IV, n.625, Edizioni Marietti 1959; lect.II, n.595; cf Summa Theologiae, I, q,85, a.2. È
interessante, a questo riguardo, il giudizio di Heidegger sul rapporto di
Protagora con Cartesio: «La tesi di Descartes viene continuamente associata al
detto di Protagora e in quest’ultimo è vista l’anticipazione della metafisica
moderna di Descartes; infatti, in entrambi i casi viene espresso quasi
tangibilmente il primato dell’uomo», cit.da Nietzsche
Adelphi, Milano 1994, p.646.
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