Il dogma del paradiso terrestre (Quarta ed Ultima parte - 4/4)

 Il dogma del paradiso terrestre

Quarta ed ultima parte (4/4)

Conseguenze immediate del peccato originale

Il castigo del peccato originale secondo la narrazione biblica fu immediatamente caratterizzato, come spiega il Concilio di Trento, dal fatto che Adamo

 «subito perse la santità e la giustizia nella quale era stato costituito e a causa dell’offesa della sua prevaricazione incorse nell’ira e nell’indignazione di Dio e quindi nella morte, che in precedenza Dio gli aveva minacciato e con la morte nella schiavitù sotto il potere di “colui che” da allora “della morte ebbe il potere” (Eb 2,14), cioè il diavolo e a causa dell’offesa di quella prevaricazione Adamo secondo il corpo e l’anima fu mutato in peggio» (Denz.1511).

A ciò Dio aggiunse la cacciata della coppia dal territorio delle delizie edeniche in un mondo guastato dalla colpa originale, che è la terra nella quale viviamo attualmente. Adamo ed Eva passano da una terra benedetta a un terra maledetta, da una condizione di immortalità alla soggezione alla morte, da una condizione di felicità ad una situazione infelice:

«Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Col sudore della tua fronte mangerai il tuo pane, finchè tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!» (Gen 3, 17-19).

Appena commesso il peccato «tutti e due si accorsero di essere nudi» (Gen 3,7). La nudità non è più principio di un piacere innocente, ma diventa tentazione e turbamento. Non esprime più l’amore, ma la concupiscenza. Non è più via a Dio e segno di Dio, ma soggezione a Satana e alla passione. Nudità inoltre vuol dire spogliazione. La coppia è privata dei doni preternaturali dell’impassibilità, dell’immortalità, della scienza infusa, del dominio della natura, della comunione con Dio. La ragione è offuscata e incline all’errore, la volontà è indebolita e incline al peccato. La natura è infida, pericolosa, ostile, spaventosa.

L’uomo sente Dio come un tiranno. Non accetta di essere castigato. Lo considera ingiusto e spietato. Ha ripugnanza per le sue leggi. Sente Dio come un nemico e come un oppressore. Diventa attaccato al suo io, voglioso di sfruttare gli altri, schiavo dei piaceri del mondo. Non accetta di essere sorvegliato da Dio:

«l’uomo e sua moglie si nascosero dal Signore» (Gen 3,8). Se prima aveva confidenza in Dio, adesso Dio gli fa paura: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto» (Gen 3,10).

L’uomo si accorge dei segni e delle prove dell’esistenza di Dio; ma invece di aprirsi alla sua presenza, tira fuori tutti i pretesti per non accettare l’esistenza di Dio. È in arrivo l’ateismo. Situazione triste, ma non del tutto disperata, perché Dio, già subito dopo la caduta, ha pietà dei progenitori e di tutta l’umanità caduta con loro e così avverte il serpente:

«Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15).

La «stirpe della donna» è il Figlio di Maria, Gesù Cristo. Il diavolo continuerà a crearci dei problemi («ferita al calcagno»). Ma con Cristo e grazie a Cristo l’uomo sarà capace di liberarsi dalle insidie, dalla tirannia e dalle seduzioni del demonio.

Considerando la volontà divina di salvezza universale, non sembra inopportuno vedere in queste parole del Signore un intervento misericordioso e rassicurante dopo tanta tragedia e un così grave peccato. Dio procura alla coppia delle «tuniche di pelli» (Gen 3,21), quasi a significare non tanto una protezione materiale, quanto un conforto spirituale, nel quale potremmo vedere lo stesso battesimo.

Stando al racconto dell’agiografo, Dio, dopo aver cacciato i progenitori dall’Eden, prende le sue misure contro ogni tentativo dell’uomo di ritornarvi e pone a custodia dell’Eden, come si è visto, i cherubini. Con quale intento preciso?

«Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!» (Gen 3,22).

Dio però impedisce l’accesso all’Eden solo temporaneamente, perché esso per sua volontà resta in vigore solo fino alla venuta di Cristo nel mondo. Questi infatti per mandato del Padre, sostituisce all’Eden il «regno di Dio», che è la Chiesa, comunità dei figli di Dio, mossi dallo Spirito Santo, viventi della grazia di Cristo, destinati alla vita eterna, nella resurrezione gloriosa, sotto cieli nuovi e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (II Pt 3,13).

L’opera di Cristo è così stata quella di elevare il paradiso terrestre al rango di paradiso celeste nella visione beatifica della Santissima Trinità. Inoltre, discendendo agli inferi, ha liberato e portato al cielo i progenitori e tutti i giusti di tutto il mondo vissuti da allora fino ai suoi tempi.

D’altra parte Cristo ha istituito l’inferno per coloro che prima di Lui non lo hanno atteso, per tutti gli ingiusti di tutto il mondo e per coloro che da allora in poi si sarebbero opposti alla sua opera redentrice (cf Eb 10,29) e la visione beatifica in cielo con prospettiva di risurrezione escatologica per tutti i giusti, anche coloro che vivono onestamente pur senza esser giunti ad una conoscenza esplicita di Dio.

Per questo, nella Gerusalemme celeste, che rappresenta il compimento escatologico della Chiesa e con ciò stesso del regno di Dio, l’albero della vita ricompare (Ap 22, 2 e 14) ed è a piena disposizione dei beati, perché sanno usarlo con saggezza senza la pretesa di ottenere da sé quella vita divina, della quale sono già in possesso in forza della grazia di Cristo.

Il peccato originale secondo Hegel[1]

Secondo Hegel, con la frase «ecco l’uomo è diventato come uno di noi», Dio non intende ironizzare, ma parla seriamente ed appropriatamente: Hegel sostiene che col peccato originale l’uomo ha acquistato la libertà ed ha effettivamente acquistato il potere di diventare Dio, solo che lo voglia. Ne segue logicamente, sempre secondo Hegel, che il serpente non ha ingannato i progenitori assicurando che mangiando del frutto proibito sarebbero diventati come Dio (cf Gen 3,7), ma ha detto la verità.

Infatti per Hegel l’uomo è l’extraposizione di Dio nei confronti di Sé stesso, è l’alienazione di Dio da Sé stesso. È - per usare il linguaggio fichtiano – il non-io posto dall’Io.  Infatti per Hegel l’Assoluto, ossia Dio, non è identitario, sempre identico a Sé, ma è una circolarità «dialettica», ossia oppone Sé a Sé, nega la negazione di Sé e quindi fa tornare il non-Sé al Sé.

In questa visuale Hegel vede nell’uomo edenico, che si oppone a Dio, non tanto un ente finito distinto da Lui che si oppone a Lui, ma è Dio stesso, che nell’uomo e come uomo, oppone Sé a Sé. Quindi ciò che l’uomo fa, proprio questo opporsi a Dio, è voluto da Dio stesso. È Dio stesso che oppone Sè a Sé. Ma con ciò stesso l’uomo si realizza come Dio e perciò diventa Dio.

E il serpente che parte ha in tutto ciò? Il serpente, secondo Hegel, non è altro che la comunicazione della volontà di Dio all’uomo di opporsi a Dio, affiché l’uomo sia Dio e Dio torni a Sé riconciliandosi con Sé. Un’invenzione gnostica veramente ingegnosa, ma diabolica, assolutamente smentita dal contesto biblico. 

Che ci fa il demonio nel paradiso terrestre?

Una cosa che sorprende nel paradiso terrestre è la presenza del demonio, sotto forma di serpente, come egli abbia potuto entrare nell’Eden e tentare i progenitori. Dobbiamo pensare – per quanto ciò possa turbarci – che sia stata voluta da Dio stesso per metterci alla prova, prova che purtroppo, come sappiamo bene, non è stata superata. La presenza di Satana nell’Eden significa peraltro che la caduta degli angeli ribelli era già avvenuta. Quando? All’inizio della creazione, quando Dio creò la «luce», simbolo della creatura puramente spirituale, cioè dell’angelo.

Gli angeli furono creati in «cielo», ossia vicini a Dio, quindi al di sopra della terra, abitazione delle creature materiali, compreso l’uomo. E questo era l’Eden. Ma a un certo punto Dio, subito dopo averli creati, prima di creare l’uomo, deve averli sottoposti ad una prova di fedeltà, alla quale accennano l’Apocalisse, San Pietro e San Giuda. Giovanni infatti ha la seguente visione:

«scoppiò una guerra in cielo: Michele i suoi angeli combattevano contro il drago – gli angeli ribelli -. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli» (Ap 12, 7-9).

E San Pietro:

«Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio» (II Pt 2,4; cf Gd 6).

Giovanni allude non solo alla prova protologica degli angeli, ma anche al castigo dei ribelli, umiliati nel dover lasciare il cielo ed obbligati a vagare in quel mondo materiale, che essi guardano con sussiego e considerano spregevole rispetto alla sublimità della loro spiritualità. Tuttavia Dio ha voluto impiegarli prima per la prova dell’Eden e poi per castigare e purificare, come Giobbe, l’uomo peccatore.

Dov’era il paradiso terrestre?

 Bisogna riconoscere che l’autore sacro su ciò non aveva le idee chiare: come e dove fosse esattamente il paradiso terrestre gli riusciva misterioso come a noi, per cui si mise a mettere in opera la fantasia, certo non a caso, bensì facendo uno sforzo per immaginare, in base alle conoscenze di allora, un territorio il più bello possibile allora concepibile. Egli in Palestina aveva sentito parlare dell’Armenia come di una vasta regione di favolosa e misteriosa bellezza.

E l’Eden dov’è adesso? Esiste ancora? Per rispondere a questa domanda occorre ricordare qual è stata l’opera di Cristo. Cristo strappa l’uomo dalla schiavitù della presente natura corrotta dal peccato e lo riporta nell’Eden a sua volta rinnovato e migliorato. Il nuovo Eden è la Chiesa, la Gerusalemme celeste, i «nuovi cieli e la nuova terra» della resurrezione.

 Dove sono andati Adamo ed Eva lasciando l’Eden?

La coppia dopo il peccato lasciò l’Eden. Ma in quale luogo essa trovò una residenza? L’autore sacro non lo dice. Non lo sa. Quello che ci racconta è che Dio caccia bensì la coppia dal paradiso terrestre, però ha pietà di lei: «Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì» (Gen 3,21). Questo vuol dire che Adamo ed Eva, uscendo dal paradiso terrestre, vengono a trovarsi in un mondo certo non più paradisiaco, ma ostile e pericoloso; e tuttavia ricchissimo di risorse benefiche per l’uomo, che però occorre sfruttare con un duro lavoro (Gen 3,23). 

Altra importante considerazione. La coppia primitiva, cacciata dall’Eden, venne a trovarsi da sola in un’immensa terra disabitata, piena sì di favolose ricchezze e bellezze, ma anche di svariati e gravi pericoli ed insidie: dalle bestie feroci, alle incertezze del clima, dal rischio delle malattie e delle sciagure, ai cataclismi, alle alluvioni, agli incendi, alle siccità, ai terremoti, alle frane, ai maremoti e alle carestie. Come la coppia poté cavarsela? Possiamo immaginare una coppia ancora molto sana e longeva – l’autore sacro dice che Adamo visse 930 anni (Gen 5, 3-4)

La coppia primitiva dovette avere una prodigiosa capacità di sussistenza, di adattamento e di soddisfacimento dei bisogni materiali ed umani, considerando che non visse in una società articolata e diversificata come la nostra, risultante dalla congiunzione e collaborazione di una molteplicità di formazioni umane specializzate nello svolgimento di tutti i vari servizi che sono necessari ai bisogni di ciascuno.

I progenitori dovettero assai probabilmente conservare un ricordo e un avanzo a livello meramente razionale della superlativa scienza infusa che possedevano nell’Eden. Essa fu per loro utilissima per potersela cavare nella nuova disgraziata valle di lacrime nella quale erano venuti a trovarsi.

Che cosa significa la storia di Caino ed Abele?

Per quanto riguarda la vicenda di Caino ed Abele, il racconto prosegue con la famosa storia dell’uccisione di Abele da parte di Caino. La vicenda è narrata nei dettagli. Si tratta evidentemente di una ricostruzione. Tuttavia è un fatto storico e di grande importanza per comprendere le prime tristi conseguenze del peccato originale: il fratello uccide il fratello. Si potrebbe, al riguardo, avere l’impressione che esistessero già altri esseri umani, considerando le parole di Caino: «chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere» (Gen 4,14), benché potrebbe essere una pura enunciazione di principio.

Così pure si parla di Caino che «si unì alla moglie» (Gen 4,17) e dà il via a una discendenza dettagliatamente descritta (Gen 4, 17-24). La domanda, quindi, che possiamo porci è semmai come spiegare l’esistenza di altri esseri umani oltre Caino e i suoi genitori, se il genere umano ha appena avuto inizio. Occorre ammettere che a quel tempo l’incesto fosse lecito, data la scarsità di persone. E comunque dobbiamo immaginare una forza riproduttiva di straordinaria potenza e vitalità che nel giro di qualche centinaio di migliaia d’anni, per giungere ai nostri giorni, riuscì ad espandersi in tutto il modo, dando origine poi alle diverse razze umane, sorte dal formarsi spontaneo ed inevitabile di una molteplicità di agglomerati umani, separati gli uni dagli altri e quindi ciascuno dotato di una propria autoriproduzione fisicamente diversa da etnia ad etnia – i futuri popoli della terra - .

L’autore sacro non parla altresì dei nonni di Caino ed Abele, perchè per lui Adamo ed Eva non hanno avuto genitori umani e tanto meno l’autore pensa a dei nonni-scimmie. Ne avrebbe avuto orrore. Adamo ed Eva sono stati creati immediatamente da Dio con «polvere del suolo» (Gen 2,7), nella quale ispira un soffio vitale spirituale (rùach). L’autore sacro si limita quindi a dire che il corpo deriva dalla terra, mentre l’anima è creata ed infusa da Dio.

La vicenda di Caino ed Abele mostra quella che è stata l’origine drammatica della religione: fin dagli inizi dell’umanità sorge il conflitto fra teismo ed ateismo, pietà ed empietà, religione e superstizione. Da una parte l’uomo che si assoggetta a Dio nell’osservanza dei suoi comandamenti, dall’altra l’io che assolutizzando se stesso, vuol farsi il centro del reale e il vertice dell’esistenza.

Che valore storico hanno le genealogie provenienti da Adamo ed Eva?

È interessante come l’autore sacro fa dei nomi precisi di prolifici patriarchi che fruirono di una vita lunghissima, fino al famoso Matusalemme, vissuto 969 anni, quasi che l’autore sacro disponesse del registro dell’anagrafe. Importante è la figura di Noè, padre di Cam, Sem e Iafet (Gen.5,32), capostipiti, dei camiti, dei semiti e dei giapeti.

L’autore sacro descrive la genealogia di Abramo (Gen 4, 25-26 e c.5). Importanti sono la nascita di Ismaele (Gen12,16) e di Isacco (Gen 21, 1-7), capostipiti rispettivamente degli Arabi e degli Ebrei.  È interessante mettere a confronto la famosa questione abramitica della terra promessa col dogma del paradiso terrestre.

Per quale motivo Abramo ha lasciato la sua patria per approdare alla Palestina?  Senza mettere in dubbio che egli sia stato ispirato da Dio ad attuare questa non facile impresa di immigrato, nulla ci impedisce di rintracciare, anzi è nostro dovere farlo, i motivi umani che mossero Abramo a mettersi in questa fortunata impresa che avrebbe dato origine al popolo d’Israele come popolo di Dio, dotato di una sua terra ed organizzato politicamente, con capitale Gerusalemme.

Per quale motivo Abramo ha scelto proprio la Palestina? Crediamo per il fatto che la terra palestinese offriva oltre alla possibilità di migliori condizioni di vita anche la presenza di una popolazione aperta a quel monoteismo in nome del quale Abramo aveva rifiutato il politeismo della propria patria d’origine.

Il progetto di Abramo fu quello di fondare in Palestina un popolo monoteista e questo fu il popolo ebraico, che già era in possesso della tradizione monoteistica risalente ad Adamo ed Eva e ai patriarchi antidiluviani. Abramo non pensò di riproporre il modello universalistico edenico, ma ebbe l’ispirazione di fondare un popolo monoteista, il popolo ebraico, dotato della propria terra. Soltanto con Cristo Israele proporrà a tutto il mondo non solo il monoteismo, ma un modello di umanità che supera quello edenico per elevarsi a quello della figliolanza divina e della resurrezione escatologica.

È ammirevole la diligenza dell’agiografo nel riferire queste genealogie, un forte interesse sempre esistito in Israele fino ai nostri giorni. Evidentemente doveva disporre di ricordi e documenti. Comunque l’aggancio con Adamo non è diretto e quindi non va preso alla lettera; e tuttavia si può dire valido, perché, anche se l’autore salta innumerevoli generazioni succedutesi nel corso di centinaia di migliaia di anni, ha del miracoloso il ricordo della coppia primitiva e dei suoi figli, cosa che in fin dei conti rende reale l’aggancio ad essa.

Fine Quarta Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 28 novembre 2020


 

L’uomo si accorge dei segni e delle prove dell’esistenza di Dio; ma invece di aprirsi alla sua presenza, tira fuori tutti i pretesti per non accettare l’esistenza di Dio. È in arrivo l’ateismo. Situazione triste, ma non del tutto disperata, perché Dio, già subito dopo la caduta, ha pietà dei progenitori e di tutta l’umanità caduta con loro e così avverte il serpente:

«Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15).


 

 E l’Eden dov’è adesso? Esiste ancora? 

Per rispondere a questa domanda occorre ricordare qual è stata l’opera di Cristo. 

Cristo strappa l’uomo dalla schiavitù della presente natura corrotta dal peccato e lo riporta nell’Eden a sua volta rinnovato e migliorato.  

Il nuovo Eden è la Chiesa, la Gerusalemme celeste, i «nuovi cieli e la nuova terra» della resurrezione.

 

       Cappella palatina Aquisgrana  

Immagini da internet


[1] Lezioni sulla filosofia della Religione, Zanichelli Editore, Bologna 1974, vol.II, pp.328-335; sulla linea di Hegel, cf E.Fromm, Voi sarete dei. Un’interpretazione radicale del Vecchio Testamento e della sua tradizione, Ubaldini Editore, Roma 1970.

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