Nota in preparazione alla recezione del prossimo documento post-sinodale del Santo Padre


Nota
in preparazione alla recezione
del prossimo documento post-sinodale del Santo Padre

Nell’attesa della pubblicazione del documento, ho ritenuto bene fermarmi su di un punto importante, circa il quale siamo in attesa di un’eventuale decisione di Papa Francesco e cioè quello se ammetterà o non ammetterà al sacerdozio uomini sposati. Espongo ciò che sto per dire in una serie di punti:

1.   La legge del celibato ecclesiastico non discende necessariamente dall’essenza del sacramento dell’Ordine o in altre parole la pratica del celibato non entra nella sostanza del sacramento così come lo ha voluto ed istituito Nostro Signore Gesù Cristo.

2.   La  legge del celibato ecclesiastico, quindi, non è una legge divina, ma una legge canonica o norma della Chiesa, basata sul potere giurisdizionale conferito da Cristo a Pietro, il cosiddetto «potere delle chiavi», che comporta la facoltà e il dovere di regolare la pastorale e la disciplina della confezione e dell’amministrazione dei sacramenti a seconda dei tempi e dei luoghi.

3.   Non bisogna quindi confondere il valore della legge ecclesiastica con quello della legge divina o del divino comandamento. Questo ha valore assoluto e perenne per tutti i tempi e i luoghi, senza eccezioni. La Chiesa non ha che da riconoscerlo, interpretarlo ed insegnarlo infallibilmente, in ciò assistita dallo Spirito Santo. Invece, la Chiesa per sua autorità e sotto sua responsabilità, applica la legge divina legiferando più dettagliatamente nel campo di sua competenza, nell’ambito del quale essa esercita quell’autorità e quel potere che Cristo ha conferiti a Pietro, tanto che in questo campo è sua facoltà, in qualunque circostanza, a sua discrezione, benchè non infallibilmente, non solo far leggi, ma anche mutarle, assoggettarle ad eccezioni, sospenderle o abrogarle.

4.  La Chiesa non ha assolutamente alcun potere di mutare la sostanza del sacramento, ma può mutarne i rivestimenti liturgici accidentali o contingenti, o modalità e condizioni della loro amministrazione, o anche associarli a pratiche convenienti, tra le quali c’è appunto, per il sacramento dell’Ordine, l’osservanza del celibato.

5. La retta pratica del celibato è per il sacerdote cosa talmente preziosa, utile, spiritualmente vantaggiosa e sublime, che mai la Chiesa rinuncerà ad esigere in linea di massima il celibato dagli aspiranti al sacerdozio e, pur potendo affiancare, se, quanto, quando, dove e come crede,  un sacerdozio coniugato al sacerdozio celibatario, manterrà sempre una superiore stima per quest’ultimo, perché maggiormente e meglio esprime la sua conformità sacramentale con Cristo vergine e sommo sacerdote della Nuova Alleanza.

6.    Con tutto ciò si deve far notare che sacerdozio celibatario e sacerdozio coniugato sono dal punto di vista umano, psicologico, spirituale e pastorale, reciprocamente complementari. Infatti, mentre il primo meglio esprime la spiritualità sacerdotale, il secondo meglio esprime la sua umanità e, mentre il primo apprezza meglio la femminilità nella luce della fede, la Beata Vergine Maria, il secondo conosce ed apprezza meglio, per esperienza, cosa vuol dire “non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6).

7.  Il sacerdozio coniugato non dev’essere affatto presentato o motivato come rimedio alla scarsità dei sacerdoti o per invogliare di più i giovani a farsi sacerdoti o come sfogo legalizzato («remedium concupiscentiae») di una passione irresistibile («meglio sposarsi che ardere», I Cor 7,9) o liberazione da un giogo insopportabile, come credeva Lutero, né tanto meno può essere presentato, sempre nella linea di Lutero, come necessaria e piena attuazione dell’umanità del sacerdote.

8. Tutte queste false e pretestuose motivazioni sono assolutamente estranee alle vere ragioni, per le quali la Chiesa può ammettere ed approvare un sacerdozio coniugato. Che invece sono le seguenti:
1. La mutua reciprocità di cui al n.6;
2. Il dovere di una testimonianza esemplare dei valori del matrimonio e della famiglia;
3. La promozione di stati sacerdotali di questo tipo;
4. mostrare al mondo che se il sacerdote ha scelto di guidare una comunità di fedeli piuttosto che farsi una famiglia, non lo ha fatto per una specie di ripiego o compensazione psicologica, perché non era capace di essere a capo di una famiglia, ma al contrario per mostrare che è capace di governare una comunità di fedeli, perchè dà prova di saper guidare esemplarmente una famiglia (cf I Tm 3, 1-5).

9.  La vera e fruttuosa promozione delle vocazioni sacerdotali e quindi la grazia di avere buoni e santi sacerdoti, liberi dalle insidie di questo mondo, si ottengono curando una buona formazione sacerdotale, il che significa fondamentalmente una corretta visione del sacerdozio, libera dai numerosi errori correnti.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 2 febbraio 2020
  

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.