Da che cosa nascono le guerre?

 Da che cosa nascono le guerre?

La duplice inclinazione dell’uomo

La guerra è un fenomeno umano collettivo ricorrente molto complesso, che presenta nella storia una ricca fenomenologia, e che di volta in volta dev’essere spiegato e valutato con prudenza e saggezza, sulla base di buone informazioni, e facendo uso di buoni criteri di giudizio, con un grande sforzo di obbiettività ed imparzialità, rimuovendo passioni e pregiudizi e qualsiasi forma di odio, aggressività, prepotenza, rivalsa, spirito di parte, interessi meschini, violenza, viltà, doppiezza, falsità, opportunismo, codardia. 

La Scrittura c’insegna che nell’uomo preso come collettività esistono due tendenze, una buona e una cattiva: esiste una tendenza alla socialità, alla fraternità, alla coesistenza pacifica, alla solidarietà e alla collaborazione reciproca, all’amicizia, alla comunione.

Questa tendenza profonda ed inestirpabile è posta da Dio nel cuore di ogni uomo e lo rende veramente felice suscitando in lui tutte le virtù sociali: la mitezza, la giustizia, la benevolenza, la misericordia, lo spirito di pace e di fratellanza, la disponibilità a perdonare e a chiedere perdono, la sincerità, l’obbedienza, la tolleranza, la fedeltà, il rispetto degli altri e del bene comune.

Ma esiste purtroppo anche un’altra tendenza corruttrice e malvagia per nulla naturale, ma sopraggiunta a seguito del peccato originale, verso tutto ciò che compromette, ostacola, impedisce, falsifica, infrange i suddetti valori e stimola a tutti quegli atti cattivi e perversi ai quali ho sopra accennato. Questa tendenza certo non è stata voluta da Dio, ma è la conseguenza del fatto che i nostri progenitori hanno ascoltato le parole del demonio.

È nata allora fra gli uomini una tendenza alla faziosità, all’egoismo, alla conflittualità, alla divisione, alla menzogna, al disprezzo dell’altro, all’offesa reciproca, al sopruso, alla violenza, all’ingiustizia, al sadismo, all’omicidio, alla competizione sleale, all’antagonismo sistematico, alla vendetta crudele, alla sfiducia, all’odio ed all’incomprensione reciproci, alla sopraffazione, all’oppressione e al dominio sull’altro, ad una permalosità esagerata, all’intolleranza, al disprezzo del dialogo, della pace e della concordia, al gusto del conflitto, al rifiuto della misericordia e del perdono.

Da questa tendenza perversa, come ci spiega la Scrittura, avviene la nascita della guerra intesa come cosa peccaminosa ed abominevole, non certamente voluta dal Dio ma dal diavolo, il divisore e l’omicida per eccellenza. La cosa terribile della guerra è che suppone la perdita della fiducia reciproca tra i due contendenti. Il rancore acceca il giudizio e non si ascolta più la coscienza. Gli uomini perdono la loro dignità e si scontrano come fossero due forze fisiche contrarie, come lo scontro fra due corpi celesti nello spazio. Può restare l’astuzia di come sconfiggere il nemico o come sottrarsi ai suoi attacchi, ma entrambi i contendenti hanno perso di vista ciò che li unisce, abbacinati da ciò che li divide.

Non ci si ascolta più perchè l’uno non si fida dell’altro, l’uno non crede all’altro e lo ritiene un falso e un impostore. È inutile parlare ed è inutile ascoltare.  L’unica soluzione sembra allora quella di far parlare le armi. Si crede di far sentire la propria ragione non con la parola ma con l’uso della forza. Farò sentire al mio nemico che ho ragione io vincendolo in guerra e magari distruggendolo. Non importa che egli capisca la lezione, l’importante è che sia sconfitto. Se non capisce il giudizio della parola, capirà il giudizio delle armi. Senonchè, come la storia dimostra, può vincere chi ha torto e può perdere chi ha ragione.

Tuttavia bisogna distinguere

Ad ogni modo, a questo punto bisogna fare molta attenzione per evitare un atteggiamento superficiale e sbrigativo e in  fondo di comodo, che fa fare bella figura a poco prezzo ma al prezzo di offendere la giustizia e tutto sommato di impedire il mantenimento e la conquista della pace: quello che possiamo chiamare pacifismo assoluto naturalmente connesso con l’indiscriminata e incondizionata condanna morale della guerra, ossia del conflitto militare come tale, quindi di qualunque guerra, quale che di essa possa essere il motivo.

Invece le guerre, come appare chiaramente dalla Scrittura, nascono da due tendenze insite nell’uomo collettivo: c’è una tendenza sana, unificante e costruttiva, voluta da Dio ed è un bisogno di pace, di libertà, di fratellanza e di concordia nella giustizia e nell’uguaglianza, la tendenza ad un benessere comunemente condiviso, e una tendenza cattiva, disgregatrice e distruttiva, disapprovata da Dio, alla discordia, all’egoismo, alla sopraffazione, all’opprimere e sfruttare gli altri, al prevalere sui deboli, a sottomettere i fragili, a derubare il prossimo, a imporre le proprie idee politiche o religiose, a creare un’unione con la violenza.

La guerra come grave peccato contro l’amore del prossimo, nasce da quell’inclinazione all’odio, alla violenza e all’omicidio, che è conseguenza del peccato originale, testimoniata dalla Bibbia sin dall’origine dell’umanità decaduta col tragico episodio di Caino ed Abele. La guerra non è altro che la massima espressione ed estensione di quella tendenza alla conflittualità che è insita in ognuno di noi in quanto figli di Adamo e che purtroppo si manifesta sin dall’infanzia con la ben nota litigiosità dei bambini.

La guerra è legata all’esperienza dell’odio: odiare ed essere odiati. Odiare danneggia prima l’odiatore che l’odiato. Essere odiati certo non è un’esperienza piacevole, soprattutto se si è innocenti. Ma sta peggio di noi chi ci odia, dato che noi possiamo restare uniti a Dio e patire con Cristo, ma l’odiatore difficilmente potrà restare in pace con Dio e con se stesso. A questo punto Cristo peraltro ci comanda perentoriamente di soffocare l’eventuale tendenza che possiamo sentire a ripagare l’odio con l’odio e a rispondere invece con l’amore, benchè non corrisposto, tentando anche di scusare il nemico, se è possibile.

La tendenza sana, invece, come insegna la Bibbia, suscita la guerra giusta, voluta da Dio, perché Dio vuole liberare i popoli dai loro oppressori, vuole, come dice il Magnificat, «rovesciare i potenti dai troni ed innalzare gli umili». Approva la liberazione di un popolo oppresso, il recupero o la conquista di territori appartenenti alla propria nazione, occupati da nemici, la cacciata dello straniero dal proprio territorio nazionale, il sacrificio della propria vita per la salvezza della patria, l’abbattimento di un regime tirannico e la restituzione della libertà ad un popolo oppresso.  Dio è vindice degli oppressi e castiga severamente gli empi, i superbi e i prepotenti che li opprimono e li sfruttano.

Con tutto ciò la Bibbia non ha alcuna difficoltà a riconoscere che spesso le guerre sono causate dal desiderio di rapina, dalle mire espansionistiche dei sovrani,  dalla cupidigia di ricchezze, dalla voglia di dominare gli altri o di imporre un falso universalismo, da odii razziali, dalla volontà di imporre le proprie idee politiche o religiose.

Non sempre il vincitore in guerra ha avuto dalla sua la forza del diritto, ma spesso ha preteso valersi del falso diritto della forza e della violenza. Viceversa è successo molte volte che chi ha perso aveva il diritto dalla sua o è stato trattato ingiustamente dal vincitore ed amaramente umiliato. Ciò può gettare nell’animo del popolo sconfitto un bruciante desiderio di rivalsa, che può portarlo ad una nuova guerra, come successe alla Germania nella seconda guerra mondiale.

E possiamo dire che difficilmente si può trovare un sufficiente motivo di giustizia allo scoppio della prima guerra mondiale come rivendicazione d’indipendenza dei popoli soggetti all’Impero austro-ungarico, tutto sommato di tradizione cattolica, immane tragedia che è costata parecchie decine di milioni di morti. Ne valeva la pena?

Certo l’esercito italiano nella prima guerra mondiale registrò molti episodi di eroismo, e la vittoria fu meritata. Tuttavia comprendiamo le famose amare – forse troppo amare – parole di Benedetto XV, che la definì un’«inutile strage».

Alcuni esempi storici

Come è noto, il Beato Pio IX si rifiutò di unire le sue truppe alle nostre contro l’Austria adducendo il motivo che egli era padre di tutti i cattolici, e non poteva parteggiare per gli uni contro gli altri. In passato però i Pontefici non avevano esitato a guerreggiare a fianco di potenze cattoliche contro altre. Ma potevano esserci motivi validi.

È interessante notare peraltro che nel passato gli uomini onesti a qualunque popolo o nazione abbiano appartenuto, hanno sempre sentito in coscienza il valore obbligante della legge naturale, come principio regolatore e giudicante nelle controversie tra popoli e nazioni.

Benchè non esistesse ancora come oggi con le Nazioni Unite un’autorità sovranazionale giudice delle controversie tra i popoli e moderatrice delle forze belliche dei singoli Stati, deputata a mantenere l’ordine e la pace all’occorrenza anche con l’uso delle armi, non era impossibile alle nazioni ed agli Stati comporre pacificamente i loro dissidi  e determinare le ragioni di una giusta guerra appellandosi alla ciceroniana lex non scripta o alla paolina legge naturale per determinare chi nel contrasto avesse ragione e chi avesse torto.

La concezione hegeliana della guerra

Il concetto, ancora presente in Hegel, che le nazioni e gli Stati godono di una tale sovranità, che nessun principio universale di giustizia possa fare da criterio comune di discernimento vincolante in coscienza per la determinazione giuridica della giusta guerra, per far valere con la forza i diritti conculcati  e per la soluzione concordata delle controversie internazionali, in modo tale che ognuna è autorizzata a farsi giustizia da sé con la guerra, sicchè la guerra sarebbe la normale ed inevitabile espressione dialettica della vitalità dei popoli e segno del progresso storico, in realtà non è altro che un avanzo tremendo di rozzezza barbarica nella pur raffinata intelaiatura concettuale della filosofia hegeliana.

Questa stima di Hegel per la guerra come fattore di progresso storico non è del tutto sbagliata, perché è una legge della vita che il vivente si rafforza vincendo forze contrarie. Ma il guaio di Hegel è dato dal fatto che la sua visione della realtà e quindi della vita umana non è basata sul principio di non-contraddizione, ma al contrario è basata sulla contraddizione, quella che egli chiama «dialettica». Ne segue che per lui il conflitto tra due forze opposte non è un difetto della vita sociale, che va tolto con l’opera di pace, ma al contrario costituisce l’essenza stessa del rapporto sociale. Per questo per lui è cosa vana ed inutile, anzi dannosa, tentare di risolverlo e di trovare un accordo fra le parti.

Non è che Hegel si dica contrario alla pace fra i due contendenti, solo che egli concepisce la pace sul modello di quella che egli chiama «sintesi», la quale dovrebbe creare l’unità fra la «tesi» e l’«antitesi». E in che cosa consisterebbe questa unità? Non nella eliminazione del conflitto, cosa impossibile, ma al contrario nella posizione di un terzo termine, appunto la sintesi, che si pone al di sopra del conflitto come legittimazione del conflitto senza toglierlo, ma confermandolo come strutturale al rapporto sociale. Ora è evidente che la vera pace è tutt’altro da questa ipocrita mistificazione. La vera pace è la soluzione del conflitto e l’accordo sincero fra le parti.

Con queste idee di Hegel, riprese peraltro da Marx in chiave materialista, siamo davanti a un atteggiamento di vera e propria doppiezza, che il Vangelo condanna severamente come «servizio a due padroni». L’hegeliano non punta solo al sì, perché pensa che non gli basti, ma punta anche al no, pensando di trarre vantaggio sia dal sì che dal no, da Dio e dal diavolo. E invece finisce tra quei «tiepidi, né freddi né caldi, che Dio vomita dalla sua bocca» (Ap 3, 16). 

Così l’istinto di guerra nasce nell’hegeliano e nel marxista da questa concezione perversa del rapporto sociale, improntata non ad una sincera volontà di pace, ma al contrario alla volontà sistematica della guerra, ed è chiaro che qui non c’è certamente spazio per la guerra giusta.

Per questo l’hegeliano non solo non si cura di sanare i conflitti, ma li provoca ed esaspera ad arte, nella convinzione di favorire la dinamica sociale, la potenza della vita e il progresso storico. Si tratta, come dicono i marxisti, di «far esplodere le contraddizioni». L’hegeliano non unisce ciò che è diviso, ma divide ciò che è unito perché ritiene che il conflitto sia la legge della vita. In questo senso il principio del suo agire non è la volontà di pace, ma la volontà di guerra.

Dio permette la guerra affinchè impariamo a cercare la pace

È utile su questo tema della pace e della ricerca della pace una considerazione ascetica. La Scrittura presenta la sventura di subire i danni di una guerra come castigo di Dio ed occasione per esercitare una maggiore carità. Anche questo è un insegnamento del quale facciamo bene a tener conto. Dio permette le guerre, anche quelle giuste, affinchè approfittiamo dell’emergenza drammatica  e delle sofferenze che esse procurano a noi e agli altri per consolare e confortare, per curare e riparare, per stare particolarmente vicini ai sofferenti, soccorrere i bisognosi, accogliere i profughi, per far penitenza dei nostri peccati e convertirci a pensieri di riconciliazione, di giustizia, di misericordia, di concordia e di pace.

Un’ultima parola sul tema della pace. Essa è un bene personale e sociale sommo ed assoluto, è armonia e tranquillità interiore, prima di essere il sommo bene della società. La guerra, quando è giusta, è finalizzata ad ottenere la pace. La pace è effetto della verità, della riconciliazione, della giustizia e dell’amore. È fonte di libertà, di felicità e di gioia. La pace è impossibile senza l’obbedienza a Dio e l’unione con Dio.

La pace è fine a stessa.  È pacificamente che occorre ottenere la pace, ma quando non vi sono altri mezzi, si può ricorrere alla guerra. Non è necessariamente ingiusta e non turba necessariamente la pace la guerra di chi comincia per primo, perché può servire a spegnere focolai di guerra. A volte la pace può essere solo apparente e celare princìpi di guerra che devono essere spenti sul nascere anche con la forza.

La guerra può nascere dal fatto che la pace è stata turbata. La guerra può servire a difendere la pace o conquistare la pace. In tal caso è chiaro che si tratta di una guerra giusta. Ingiusta invece è quella che turba la pace. La pace non è semplice assenza di guerra, ma è un bene molto più profondo.

Cristo ci assicura che la pace che Egli ci dona, guadagnata per noi col suo sacrificio, è superiore e contraria a quella che dà il mondo, che illude col suo fascino ingannevole. È anzitutto pace nei cuori, prima che essere ordine sociale nella giustizia. È pace con se stessi, anche se la carne freme. È anzitutto pace con Dio, anche se il prossimo è contro di noi. È pregustazione del cielo, anche se siamo sulla terra.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 28 febbraio 2022 

Un’ultima parola sul tema della pace. Essa è un bene personale e sociale sommo ed assoluto, è armonia e tranquillità interiore, prima di essere il sommo bene della società. 

La guerra, quando è giusta, è finalizzata ad ottenere la pace. La pace è effetto della verità, della riconciliazione, della giustizia e dell’amore. È fonte di libertà, di felicità e di gioia.


La pace è impossibile senza l’obbedienza a Dio e l’unione con Dio.  

La pace è fine a stessa. 

 

 

 

 

Immagini da internet 

2 commenti:

  1. In sintesi, chi non crede più in Dio afferma anche che ogni guerra é sbagliata (dimenticando quella per la propria difesa) pensando che l'uomo da solo possa creare il paradiso e la pace in Terra.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Alessandro,
      effettivamente esistono delle concezioni etiche, come quella di Rousseau, che ignorano le conseguenze del peccato originale, le quali pensano che la soluzione delle controversie e l’eliminazione dell’ingiustizia si possano sempre ottenere soltanto per via pacifica.
      Invece l’esperienza e la stessa dottrina della Chiesa insegnano che in casi gravi la giustizia può essere realizzata solamente per mezzo della coercizione.
      Per quanto riguarda gli atei, certamente l’ateismo, comportando il rifiuto di Dio, Signore della giustizia, è un principio di ingiustizia, che si può manifestare sia con un pacifismo assoluto, sia con una condotta guerrafondaia.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.