L’esperienza fisica e l’esperienza della Resurrezione di Cristo

L’esperienza fisica e l’esperienza della Resurrezione di Cristo

Ho il piacere di pubblicare questa conversazione, avviata sulla pagina Facebook, con il filosofo Giovanni Sarruso, conversazione che può interessare i Lettori, dato che si tratta di temi largamente sentiti dal pubblico e che pongono la questione di come noi conosciamo realtà in se stesse materiali, ma che, date le loro speciali condizioni, tali realtà non appaiono direttamente ai nostri sensi, ma, perché ciò avvenga, occorrono speciali mediazioni:

-       nel caso della fisica quantistica e della telematica abbiamo bisogno di apposite apparecchiature tecniche adatte alla ricerca e all’analisi, accompagnate da calcoli matematici;

-       nel caso delle apparizioni di Cristo Risorto, delle quali parlano i Vangeli, l’occhio umano in questa vita mortale necessità di un supplemento di potenza visiva, in modo tale da proporzionare i nostri sensi alla dignità escatologica dell’oggetto, ossia il Corpo di Cristo Risorto.


Prof. Giovanni Sarruso

Facebook - dal 13 gennaio al 9 febbraio 2023

 

Un mio amico ex docente di fisica mi ha informato circa il fatto che in base alla meccanica quantistica le particelle esistono solo in quanto osservate.

Ho replicato dicendo che in fondo non è una novità per i                filosofi.

 

Caro Professore,  

forse il suo amico intendeva dire che noi ci accorgiamo dell’esistenza di queste particelle nel momento in cui le osserviamo.

Ora, questa è una affermazione del tutto accettabile, in quanto suppone l’esistenza di queste particelle, dalle quali noi traiamo la nostra conoscenza, e non siamo noi, con la nostra conoscenza, a causare l’esistenza di queste particelle.

Infatti, bisogna che ci ricordiamo che i corpi fisici, quali che siano le loro dimensioni, esistono in se stessi indipendentemente da noi, ed esistono perché sono creati da Dio.

Anche se non li conoscessimo, esisterebbero comunque, perché la loro esistenza non dipende dal fatto che li pensiamo, ma al contrario noi li pensiamo perché esistono. Indubbiamente in quanto osservate, le particelle esistono per noi.

E ciò è molto importante per noi, perché avendole conosciute possiamo studiare la maniera di utilizzarle per il progresso tecnologico o per trarne qualche vantaggio per la nostra vita.

 

Ok le cose esistono indipendentemente da noi. Però noi vi aggiungiamo qualcosa; mi spiego: una caverna è una caverna, ma per gli uomini primitivi era anche la loro dimora. Oggi è tornata ad essere caverna, ma magari è un'attrattiva turistica.

Indubbiamente noi aggiungiamo alle cose un nostro contributo che le modifica, le migliora, le sviluppa, dà ad esse nuovi significati e le ordina al nostro benessere. Pensiamo soltanto a tutto lo sviluppo dell’arte e della tecnica.

La natura ci offre delle occasioni per mettere in opera la nostra capacità creativa, per utilizzarla per il nostro bene, per ricavare da essa strumenti e mezzi per la nostra sussistenza e miglioramento della nostra vita, per ricavare da essa mezzi per la cura della nostra salute e la soddisfazione del nostro gusto per il bello e per il sublime.

Possiamo ricordare al riguardo che la Scrittura ci narra come Adamo ed Eva nel paradiso terrestre davano il nome alle cose e ai viventi, a significare il fatto che la coppia primitiva veniva a dominare su questi esseri inferiori mediante la conoscenza e la volontà.

 

La fisica quantistica lo ha implicitamente rivalutato. Le particelle esistono solo quando vengono misurate.

Faccio presente che, come ho dimostrato nel mio articolo su Berkeley, la conoscenza umana possiede la percezione del reale in forza del fatto che l’uomo sperimenta il reale che si trova al di fuori della mente, per cui l’essere percepito consegue al percepire il reale esterno, in quanto il percepito è una rappresentazione mentale del reale.

Da qui la necessità di distinguere il reale, in quanto percepito, dal reale in se stesso. La facoltà di percepire l’idea del reale prima dell’esistenza del reale non appartiene alla mente umana, ma alla mente divina, la quale, in base all’idea del reale, crea la realtà.

Venendo quindi al suo discorso sulla fisica quantistica, non possiamo assolutamente dire che le particelle esistono per il fatto che le misuriamo, ma noi le possiamo misurare in base al fatto che esistono. È solo la mente divina che fa esistere le particelle con le loro dimensioni. Se invece lei intende dire che la possibilità di misurare le particelle è il segno della loro esistenza, allora il discorso è accettabile.

 

Non sono io a dire che le particelle esistono perché le misuriamo, ma i fisici. Sto leggendo un libro su questo, perciò ho detto che Berkeley è stato, da loro non da me, rivalutato.

Come le ho già detto, se i fisici intendono dire che le particelle esistono nel senso che si viene a sapere della loro esistenza per il fatto che le possiamo misurare, il loro discorso è certamente credibile.

Quello che intendevo dire, è che il principio di Berkeley, secondo il quale la realtà non esiste in se stessa al di fuori di noi come condizione perché noi la possiamo pensare, ma si risolve in ciò che di essa pensiamo, è un principio per il quale la mente umana pretende di sostituirsi alla mente divina, perché è la mente divina che concepisce la realtà prima che essa esista, mentre noi la concepiamo nella supposizione che essa esista.

 

Le particelle subatomiche non hanno massa, non sono realtà materiali, perciò i fisici dicono che ci sono solo se le evidenziamo.

Faccio presente che tutta la realtà creata, sia secondo la ragione che secondo la fede, è composta di due generi di sostanze: la sostanza spirituale e la sostanza materiale.

Ora, la scienza fisica si interessa del mondo materiale, ossia anche di quelle sostanze che di per sé sono sensibili, ma per la loro piccolezza, come per esempio le particelle subatomiche, sfuggono alla nostra possibilità di contattarle direttamente con i nostri sensi, come invece per noi è cosa normale fare esperienza di tutte quelle cose fisiche macroscopiche, le cui dimensioni si prestano ad essere sperimentate dai nostri sensi.

Esiste però tutto un mondo materiale del quale non percepiamo la sostanza, ma del quale conosciamo l’esistenza direttamente o indirettamente, per mezzo dei nostri sensi o di apposite apparecchiature tecniche o calcoli matematici, che si riferiscono agli accidenti di queste sostanze, vale a dire alla loro attività, quantità e qualità, per esempio l’elettromagnetismo, le onde radio, i raggi luminosi, la diffusione del calore, i raggi Röngten (raggi x), i raggi laser, le onde sonore, le emanazioni gassose o i vapori atmosferici, nonché le attività microfisiche e subatomiche.

Ora, dato che queste sostanze si manifestano in questo modo indiretto alla nostra sensibilità, è evidente che si tratta di sostanze materiali e non sono sostanze spirituali, le quali, per loro essenza non sono colte dai sensi, ma dall’intelletto. Il fatto che i fisici le evidenziano e le misurano dimostra il fatto che esistono indipendentemente dal nostro percepirle, perché la nostra percezione non crea l’oggetto, ma avviene se l’oggetto esiste.

Quindi non è la nostra percezione che fa esistere l’oggetto, ma è l’oggetto creato da Dio e non da noi, che è la condizione di possibilità del fatto che noi lo percepiamo. Il che conferma la falsità del principio di Berkeley, ossia dell’esse est percipi, perché al contrario l’essere è indipendente e prima del percipi, per cui il percipi non è l’essere, ma l’essere percepito.

Ora, l’essere percepito vuol dire che noi possiamo avere l’immagine mentale del reale, che esiste al di fuori della nostra mente. E questo reale può essere o materiale o spirituale.

 

Purtroppo i fisici dicono diversamente. A me pure sembra strano, ma ne prendo atto.

Io sto cercando di confutare ciò che sostiene la fisica quantistica.

Il problema, per quanto riguarda la conoscenza fisica, è un problema filosofico, cioè che cosa sia la conoscenza, a prescindere dal fatto che si tratti di conoscenza sensibile, fisica, filosofica, metafisica o teologica.

Nel dibattito per esempio tra Einstein e Bohr si notano chiaramente le due possibili soluzioni del problema della conoscenza: quella realistica e quella idealistica. Einstein è chiaramente realista, perché sostiene che la realtà fisica esiste indipendentemente dalla misurazione che ne facciamo, mentre Bohr sostiene che la misurazione della realtà coincide con la stessa realtà.

Ora, questo dibattito è chiaramente filosofico, perché spetta a noi filosofi definire la natura della conoscenza. Il fisico è naturalmente realista e sa benissimo che le sue teorie le ricava, su base sperimentale, dalla misurazione di una realtà materiale, che non ha creato lui, ma che trova già esistente indipendentemente da lui.

Infatti, quando si parla di “scoperte”, la parola stessa fa capire che si compie un atto nei confronti di qualcosa che c’è già, mentre noi non siamo gli autori di questo qualcosa. Come per esempio all’inaugurazione di un monumento, colui che lo scopre non è l’autore del monumento, così la scoperta del fisico non vuol dire che il fisico crei quella realtà che scopre, ma la suppone già esistente.

Il compito del fisico è quello di farci conoscere la realtà fisica, elaborando delle teorie per mezzo delle quali noi conosciamo le leggi della natura e, conoscendo queste leggi, possiamo utilizzare la natura per scopi che riguardano il benessere della nostra vita.

 

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Secondo San Tommaso d'Aquino la resurrezione di Gesù si può dimostrare con la ragione o fa parte della Fede?

Esiste indubbiamente in noi un desiderio di vivere per sempre e un rifiuto spontaneo della morte. Platone si è accorto che la nostra anima è immortale, perché il nostro intelletto è capace di contemplare le idee.

Tuttavia non ha pensato alla resurrezione, perché si è fatto un concetto della corporeità come qualchecosa di ostile all’anima, che tende ad allontanarla dalla verità e che le impedisce di agire liberamente.

In tal modo Platone ha concepito l’uomo non come una unica sostanza composta di anima e corpo, ma come uno spirito desideroso di liberarsi dal corpo e di elevarsi alla contemplazione delle idee.

Per quanto riguarda Aristotele, con la sua teoria dell’ente fisico, composto di materia e forma, comprende che non solo la forma, ma anche la materia è buona, per cui l’uomo non è un puro spirito, ma è un composto di anima e corpo.

Aristotele mantiene la dottrina platonica dell’immortalità dell’anima, ma non vede il corpo come ostile all’anima ed anzi lo vede necessario per raggiungere la conoscenza intellettuale, perché, come è noto, secondo lui il concetto si ottiene soltanto astraendo dall’immagine sensibile, proveniente dai sensi.

Per questo Aristotele è il fondatore della scienza sperimentale della natura, perché, a differenza di Platone, l’ente fisico, benchè mutevole e apparentemente contraddittorio, in realtà ha una sua identità e una sua essenza e quindi è possibile oggetto di scienza.

È interessante peraltro notare che Aristotele, seguendo Tolomeo, e ripreso in ciò da San Tommaso, aveva la convinzione che i corpi celesti fossero incorruttibili, perché in essi la materia prima conservava sempre la sua forma sostanziale, la quale soddisfaceva pienamente la potenzialità della materia.

Bisogna allora dire che di fatto i filosofi pagani non sono giunti a concepire la resurrezione dei corpi, ed anzi o non ne hanno parlato oppure, come i platonici, l’hanno vista come una cosa ripugnante, perché partivano dal concetto di corporeità come forza nemica dell’anima.

Stando così le cose, la Resurrezione di Gesù è stato un fatto storicamente verificabile e documentabile, però non era stata prevista in base alla ragione, ma solo da coloro che avevano creduto alle parole di Gesù che sarebbe risorto dai morti.

 

Bene ma oggi la ricerca storica a mio avviso si ferma al fatto certo che gli apostoli hanno visto Gesù risorto ed lo hanno annunciato. Non mentivano, questo è sicuro.

Però a mio avviso, trattandosi di un fenomeno soprannaturale non basta il loro sincero annuncio, occorre anche il dono della fede.

Nelle apparizioni di Gesù Risorto bisogna distinguere due cose: il corpo del Signore e la sua Persona divina. Il corpo del Signore era il suo vero corpo e tuttavia era il corpo glorioso e cioè immortale.

Questo duplice aspetto del corpo del Signore giustifica il fatto che nei Vangeli c’è un duplice racconto delle apparizioni. Alcune volte Gesù viene subito riconosciuto e ciò significa che egli ha voluto mostrare che il suo era veramente il suo corpo.

Altre volte invece non è stato riconosciuto per significare che il suo era un corpo glorioso, non proporzionato alla vista dei nostri occhi mortali. Per quanto riguarda la fede è fuori dubbio che Gesù Risorto è stato anche oggetto di fede, ma in riferimento al mistero della sua Figliolanza divina.

Per quanto riguarda noi oggi, la fede nel Risorto la riceviamo dalla Chiesa, attraverso la successione apostolica e la tradizione, per cui possiamo fruire di quella beatitudine della quale parla Gesù Risorto, allorché dice: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 Febbraio 2023

La natura ci offre delle occasioni per mettere in opera la nostra capacità creativa, per utilizzarla per il nostro bene, per ricavare da essa strumenti e mezzi per la nostra sussistenza e miglioramento della nostra vita, per ricavare da essa mezzi per la cura della nostra salute e la soddisfazione del nostro gusto per il bello e per il sublime. 

Assensione al cielo, Luca della Robbia

 L’essere percepito vuol dire che noi possiamo avere l’immagine mentale del reale, che esiste al di fuori della nostra mente. E questo reale può essere o materiale o spirituale.

Nelle apparizioni di Gesù Risorto bisogna distinguere due cose: il corpo del Signore e la sua Persona divina. 

Il corpo del Signore era il suo vero corpo e tuttavia era il corpo glorioso e cioè immortale.

 Immagini da Internet

1 commento:

  1. Caro Don Vincenzo,
    complimenti per l’ottima esposizione del metodo realistico della conoscenza.
    Nella seconda parte del suo scritto lei presenta il pensiero di Vittorio Marchi. Lo trovo certamente degno di considerazione, ma ho notato subito una impostazione di carattere panteistico-idealista, come dice lei. Provo a farne una analisi critica.
    Questa coscienza universale informatrice della materia mi fa venire in mente la forma sostanziale di Aristotele, la quale a sua volta è l’immanentizzazione nella materia dell’idea di Platone.
    La differenza tra Aristotele e Marchi, è che, mentre Aristotele distingue realmente forma e materia e quindi spirito e materia, Marchi sembra avere un orientamento berkeleyano, per il quale lo spirito si risolve nella materia, per cui la materia perde la consistenza propria e diventa una specie di percepi, come è nella gnoseologia di Berkeley.

    L’osservazione che si può fare al riguardo è che l’universo non è una totalità formata da un’unica forma universale, che Marchi chiama coscienza universale, ma è una pluralità di enti, ciascuno dei quali è composto di materia e forma.
    Marchi fa bene a sottolineare l’origine spirituale dell’universo, ma questo spirito riformatore non è immanente all’universo, come se l’universo fosse un tutto sostanziale, ma, come ho detto, l’universo è un insieme di sostanze materiali in movimento e dotate di varie forme di energia, come l’energia elettromagnetica, quella luminosa, quella calorifica e quella atomico-nucleare.
    Lo spirito organizzatore dell’universo deve pertanto essere sì unico, per poter unificare la molteplicità, ma deve essere trascendente, perché l’universo è composto di enti contingenti, ciascuno dei quali non ha in se stesso la ragione sufficiente della sua esistenza, ma rimanda ad uno spirito assoluto ed infinito, ideatore e programmatore dell’universo, lo spirito che deve essere un ente assolutamente necessario, cioè che abbia in se stesso la ragione del proprio esistere.
    E questo ente la filosofia lo chiama Dio.

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