Che rapporto intercorre fra lo Spirito Santo e il demonio? La dinamica del cristianesimo - Prima Parte (1/4)

 Che rapporto intercorre fra lo Spirito Santo e il demonio?

La dinamica del cristianesimo

Prima Parte (1/4)

 

Il Figlio sarà sottomesso a Colui

che gli ha sottomesso ogni cosa,

perché Dio sia tutto in tutti

I Cor 15,28

 

Dio ci ha fatto conoscere il disegno

di ricapitolare in Cristo tutte le cose,

quelle del cielo come quelle della terra.

Ef 1,10

 

Egli lo ha esaltato perché

nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra

Fil 2.10

Domande di fondo 

Che rapporto c’è fra la buona volontà di una persona e la cattiva volontà dell’altra? Che rapporto c’è tra la Persona dello Spirito Santo, che è Spirito di verità, di amore, di vita e di santità, con lo spirito della menzogna, dell’odio, della malvagità e dell’omicidio? Qual è l’azione dello Spirito nei confronti di Satana? E qual è l’azione di Satana nei confronti dello Spirito? Esiste un dialogo?

Qual è stata la parte dello Spirito Santo e quella del demonio nell’opera della Redenzione?  Qual è la parte dello Spirito e quella di Satana nella vita della Chiesa? Come dobbiamo pensare la vittoria e il dominio dello Spirito Santo su Satana? Come e perché Dio si serve del demonio per la nostra salvezza e santificazione?

E noi creature umane come dobbiamo atteggiarci nei confronti di questo rapporto, che comporta il fatto che lo Spirito Santo ci attira a Sé con la sua bontà, mentre il demonio ci seduce e ci tenta?

Sono tutte domande enormi, che mi pare raramente ci poniamo e alle quali rispondere sarebbe invece assai utile alla nostra vita spirituale. Ma evidentemente non possiamo rispondere qui nello spazio di un articolo. Limitiamoci ad enunciare alcuni princìpi e indicazioni di massima, dai quali trarre le risposte.

Lo Spirito Santo e il demonio appartengono al mondo dello spirito

Innanzitutto prendiamo in considerazione quella che è la natura dello spirito, dato che evidentemente lo Spirito Santo e il demonio appartengono all’orizzonte dello spirito, suprema attuazione dell’essere, al di sopra del mondo materiale.

Lo Spirito Santo, infatti, e il demonio hanno in comune il fatto di appartenere al mondo dello spirito o della persona. Questo mondo, a differenza del mondo materiale, che comporta la incompenetrabilità o incomunicabilità reciproche dei corpi e quindi un’insuperabile separazione e molteplicità, mediante l’intelletto e la volontà, consente a due persone di essere una cosa sola intenzionalmente, pur restando distinte ontologicamente. 

Esse possono comunicare tra di loro. Ma con ciò non è ancor detto che siano in comunione. Per comunicare basta che l’una capisca che cosa le ha detto l’altra. Per essere in comunione, occorre l’accordo delle volontà nel bene. Il diavolo capisce benissimo che cosa comanda il Signore, ma non intende assolutamente obbedirGli.

Ora però due persone, anche se una è buona e l’altra cattiva, possono mediante la conoscenza e la parola capirsi fra di loro. Ma ciò non vuole ancora dire che si amino. Per questo occorre che entrambe siano d’accordo nella ricerca del bene.  In tal caso l’una può identificarsi intenzionalmente con l’altra non solo nel pensiero, ma anche nel volere. Possono pensare la stessa cosa e volere la stessa cosa, mirare ad un unico fine, desiderare e fare lo stesso bene.

Se l’una pensa all’altra, in linea di principio l’una s’identifica intenzionalmente con l’altra. Ma questo non vuole ancora dire che entrambe vogliano il bene. L’una e l’altra possono perseguire un fine intellettualmente conosciuto da entrambe, ma se perseguono l’una un fine buono e l’altra un fine cattivo, l’accordo delle volontà è impossibile.

Lo spirito, per sua natura, ha un’esigenza di unità e di accordo; ha una possibilità di comunicazione e anche di comunione con un altro spirito, possibilità di convenienza, che la materia non conosce se non fra gli accidenti di due sostanze. Ma se l’una persona vuole il bene e l’altra vuole il male, il dialogo, se c’era,  s’interrompe e diventa impossibile la comunione. Può restare tutt’al più la comunicazione verbale, ma solo come espressione del disaccordo reciproco.

D’altra parte, mentre due corpi concreti non hanno nulla in comune se non il fatto di essere e di appartenere a una medesima specie di corpi, due spiriti, mediante l’intelletto e la volontà, mantenendo ciascuno la propria irripetibile identità (haecceitas, direbbe il Beato Duns Scoto), possono avere tutto in comune, senza per questo perdere la propria diversa identità. La Bibbia esprime questo fatto con le parole «un solo corpo» (Ef 4,4) o «una sola carne» (Gen 2,24). «Chi aderisce al Signore, è un solo spirito con Lui» (o kollòmenos to Kyrìu en pneuma estin, I Cor 6,16).

Ciò naturalmente non ha nulla a che vedere col panteismo, che identifica l’essere umano con l’essere divino. Nello spirito si può avere un’unità nella distinzione e nella molteplicità, a differenza dal mondo materiale, per il quale due corpi possono essere uniti, ma non possono essere uno.

Lo spirito è il mondo dell’unità, della semplicità, dell’universalità e della totalità. In ciò Hegel ha visto giusto e concorda con le menti filosofiche più alte dell’umanità, come Platone, Aristotele, Sant’Agostino, San Tommaso e i saggi indiani Shamkara e Ramanuja. L’errore di Hegel è stato quello di non afferrare lo spirito nella sua santità, così come è illustrato nel c.7 del libro della Sapienza. Che cosa manca alla concezione hegeliana dello Spirito? L’affermazione del sì e la negazione del no. Invece il sì e il no sono affermati congiuntamente.

Ma questo non è lo Spirito Santo: questo è lo spirito diabolico. Non è lo spirito dell’unità, ma della divisione (dia-bolos), non è lo spirito della semplicità, ma della doppiezza, non è lo spirito dell’amore, ma dell’inimicizia, non è lo spirito della pace ma della guerra, non è lo spirito dell’ordine ma del caos, non è lo spirito della giustizia, ma della violenza, non è lo spirito della luce ma delle tenebre, non è lo spirito della verità ma della menzogna, non è lo spirito della vita ma della morte. Ecco perché San Giovanni Paolo II ebbe a definire il pensiero di Hegel la «filosofia della prepotenza».

Opposizione fra lo Spirito Santo e il demonio

Ebbene, occorre dire però che lo Spirito Santo e il demonio, benché tra di loro nemici, sono uno intenzionalmente, ossia nella conoscenza reciproca, benché distinti ontologicamente e benché la volontà dello Spirito voglia il bene, mentre la volontà del demonio vuole il male. Essi comunicano spiritualmente, si conoscono reciprocante, possono parlarsi, benché non siano in comunione.

Infatti, mentre per la comunicazione spirituale basta la conoscenza e la parola, per la comunione occorre l’unione delle volontà nello stesso fine, occorre la fruizione dello stesso bene, l’amore reciproco, cosa che fra lo Spirito Santo e il demonio non esiste, non perché il primo non ami il secondo nel senso suddetto, ma perchè il secondo non corrisponde all’amore del primo, ma anzi reagisce con l’odio. Lo Spirito Santo vuole il bene del demonio, benché da lui castigato. Il demonio odia lo Spirito Santo, rifiuta quello che Egli vuole e ama quello che Egli non vuole.

Lo Spirito Santo è lo Spirito del sì; il demonio è lo spirito del no. È lo spirito della contraddizione, della disobbedienza e della ribellione. Lo Spirito Santo è lo Spirito dell’amore, della bontà, dell’unione, dell’amicizia, della concordia, della tenerezza, della pace. Il demonio è lo spirito della freddezza, della durezza, dell’odio, della malvagità, dell’inimicizia, della discordia, della divisione, del conflitto.

Lo Spirito Santo ama il demonio come sua creatura, ma non ne ama la volontà. Muove la sua volontà dal punto di vista ontologico, perché, come Creatore, ne causa l’essere e l’agire, ma dal punto di vista morale, vuole ciò che il demonio non vuole e non vuole ciò che il demonio vuole. Lo Spirito Santo vuole ciò che è bene, il demonio vuole ciò che è male.

Lo Spirito Santo domina sul demonio

Origene[1] intuì che la ricapitolazione (apokefalàiosis, Ef 1,10), che egli chiamò “apocatastasi” (apokatastasis) è la riunificazione operata dallo Spirito Santo di ciò che all’inizio della creazione era unito e che era stato infranto e diviso dal peccato, ma nel concepire questa riunificazione commise due errori: primo, la concepì platonicamente come semplice ritorno all’unità iniziale e non come superamento  e, secondo, di conseguenza, non tenne conto del fatto che nell’unità finale ossia nella riconciliazione escatologica dell’uomo con Dio, è presente eternamente il male – da qui l’esistenza dell’inferno - , che invece non è presente all’inizio.

Tuttavia nell’inferno non vengono più commessi ulteriori peccati, perché i dannati non meritano più con le loro azioni, ma resta solo la colpa di quelli già commessi dai dannati, uomini ed angeli. Tuttavia le forze dell’inferno combattono la Chiesa per tutto il corso della storia. Il male, comunque, nell’inferno, ossia la malvagità dei dannati, uomini o demòni, resta dominata da Dio, per sempre a Lui soggiogata nella pena eterna.

Quindi escatologicamente, Cristo è Re dell’universo con la potenza del suo Spirito, nel senso che immediatamente è Capo della Chiesa trionfante («in cielo e in terra», Ef 2,11), ossia sovrano del paradiso e della terra nuova della resurrezione. Nel contempo Cristo domina su Satana, principe dell’inferno («sotto terra», Fil 2,11).

Due volontà opposte

Lo Spirito Santo si oppone al demonio perché mentre lo Spirito vuole il bene,  il demonio vuole il male. Ma lo Spirito ordina al bene il male commesso da Satana mediante l’opera del Figlio, Cristo Redentore, per cui il Padre per mezzo del Figlio ricava dal male un bene maggiore.

Ad ogni modo è chiaro che mentre lo Spirito Santo vuole la vita, il demonio vuole la morte. Lo Spirito santifica, il demonio spinge a peccare. Lo Spirito fomenta la gioia, il demonio la tristezza. Lo Spirito crea l’ordine, il demonio il disordine. Lo Spirito dona ed elargisce in abbondanza, il demonio sottrae, rapina, ruba e prende. Lo Spirito arricchisce, il demonio impoverisce. Lo Spirito fomenta il progresso, il demonio il regresso. Lo Spirito incoraggia e consola, il demonio scoraggia e sconforta. Lo Spirito scagiona, rasserena e purifica, il demonio intorbidisce, incolpa ed accusa.

Lo Spirito edifica, il demonio distrugge. Lo Spirito rende umili e obbedienti, il demonio rende superbi e disobbedienti. Lo Spirito rende liberi, il demonio schiavizza. Lo Spirito è Spirito di verità. Il demonio è spirito di menzogna. Lo Spirito rende giusti e misericordiosi, il demonio, ingiusti e crudeli. Lo Spirito istruisce ed illumina, il demonio inganna ed ottenebra. Lo Spirito è Spirito di concordia. Il demonio fomenta la discordia. Lo Spirito unisce, il demonio divide. Lo Spirito distingue, il demonio confonde. Lo Spirito entusiasma, eccita al bene, alla riscossa, alla ripresa. Il demonio spinge alla stasi, all’inerzia, all’accidia. Lo Spirito pacifica, il demonio inquieta. Lo Spirito dona la vita eterna, il demonio spinge alla dannazione eterna.

Lo Spirito domina sul demonio, gli comanda e lo costringe ad obbedirgli. Si serve del demonio per provare i giusti, per unirli alle sofferenze di Cristo, per confondere ed umiliare i superbi, per richiamare, ammonire, castigare e correggere i peccatori, per custodire e tormentare i dannati dell’inferno.

Il demonio non fa nulla di bene di propria iniziativa, ma tutto quel bene che fa, benché la sua intenzione sia malvagia, lo fa per ordine dello Spirito Santo. Ciò evidentemente non vuol dire che lo Spirito faccia il male servendosi del demonio, ma che lo Spirito sa utilizzare a fin di bene anche il male compiuto dal demonio.

Dio ha voluto non impedire l’esistenza del male

L’esistenza del paradiso e dell’inferno testimoniano del fatto che Dio ha voluto che nel creato esista solo il bene, ma ha voluto non impedire il male. Il bene esiste di diritto e il male solo di fatto, ed entrambi in eterno. Come Dio è eterno, così è giusto che sia eterno il castigo di chi rifiuta l’Eterno.

L’inferno è la sistemazione definitiva ed eterna, organizzata e governata dalla Provvidenza, di quell’insieme di creature umane e demoniache, le quali sono fissate per sempre nella scelta del male e ne subiscono le giuste conseguenze. L’inferno rappresenta il trionfo finale della giustizia divina.

Nell’inferno resta in eterno il peccato e la colpa della cattiva volontà della creatura per sempre ribelle a Dio; ma nel contempo questo male è vinto nel senso che resta per sempre sanzionato e soggetto al bene e ordinato al bene dell’eterna giustizia divina.

Nell’inferno il male non è espulso, non è annullato, come in paradiso, che è il trionfo della misericordia e del perdono. Invece nell’inferno il male resta come male di colpa e di pena, ma siccome la colpa è castigata e il castigo è atto di giustizia e la giustizia è un bene, ecco che anche nell’inferno c’è il trionfo del bene sul male senza che il male scompaia. Ciò ci fa capire in questa luce della giustizia divina, che è bene che ci sia il male.

L’idea di Origene di una futura scomparsa del male sembra a tutta prima un’esaltazione della bontà, della potenza e della misericordia divine, e invece è proprio l’esistenza del male nel senso suddetto che testimonia meglio circa le suddette virtù divine, perché eliminare totalmente il male dimostra meno potenza che lasciarlo sussistere facendolo servire al bene.

Di uno che non ha avversari non sai quanto è forte. Potrebbe anche essere debole. Ma di uno che tiene sottomesso un avversario fortissimo, sai che è potentissimo. Il dire poi che Dio sarebbe stato più misericordioso nel primo caso avanzato da Origene rischia di farci ritenere più misericordiosi di Dio. In ogni caso, accontentiamoci di accettare ciò che la Rivelazione ci dice senza avere l’audacia di sapere meglio di Dio come si deve essere misericordiosi.

 I buonisti che negano l’esistenza dell’inferno e dei dannati, uomini o diavoli, sono obbligati a negare l’esistenza del male, perché l’inferno non è altro che la fruttificazione ultima del peccato e l’esito escatologico della condotta dei malvagi secondo un ordinamento collettivo governato mediante il demonio dalla stessa divina provvidenza.

I buonisti a denti stretti riconoscono l’evidente esistenza degli orrori della sofferenza –, ma ne negano la causa, che è il peccato e quindi ne fanno un assoluto incausato, così da metterla addirittura in Dio. Essi allora si imbattono in  due vicoli ciechi: o ignorare la serietà del male con facezie, come fa Simone Weil che parla della «banalità» del male, o con banalità, come fa Teilhard de Chardin, che vede nel peccato un semplice incidente di percorso, evidentemente ignari di che cosa sia il male; oppure come fa Spinoza, per il quale il male è male per gli uomini, ma non agli occhi di Dio, per il quale tutto è bene: un povero pretesto per infischiarsi del dramma dei sofferenti e di «coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Sal 107, 10).

D’altra parte, è assurdo calcare talmente sulla realtà del male da vederne l’origine addirittura in Dio: un bel pretesto per scaricare su Dio le proprie colpe. Qui abbiamo un Dio del sì e del no, che approva tanto il bene che il male, perché, come ci spiega Hegel, «essendo il male la stessa cosa che il bene, proprio il male non è male, né il bene è bene, ma piuttosto sono tolti e superati ambedue»[2].

 

Ora, possiamo osservare che Dio avrebbe effettivamente potuto impedire l’esistenza del male, che non ha diritto di esistere e invece per una volontà, le cui ragioni ci sfuggono, ma che sono certamente sapientissime, Dio ha voluto non impedire l’ingresso del male in quel mondo che egli, essendo buono, aveva creato buono, comandando peraltro alla creatura, creata buona, di fare il bene e di evitare il male. Il fatto che Dio castighi il peccato, vuol dire che lo odia. Se non lo castigasse, come credono i buonisti, vorrebbe dire che lo ama.

È la creatura che ha inventato il peccato e quindi il male, compreso quello della sofferenza, conseguenza e castigo del peccato. E non vale obiettare che la creatura l’ha creata Dio, quasi a voler attribuire al Creatore la causa prima del peccato esistente nella creatura. Invece, se la creatura ha peccato, la colpa è tutta sua, perché lei è peccabile e non Dio, che pertanto qui non c’entra per niente. Non ha alcuna responsabilità.   

Per questo, chi compie il male, va contro la volontà precettiva di Dio, ma nel contempo comunque la volontà permissiva di Dio si compie nel senso che Dio ha voluto non impedire il male. Per questo dobbiamo dire che, benché il male resti male, è bene che esista il male, perché in fin dei conti tutto ciò che Dio vuole, anche ciò che vuole non impedire, non può non essere bene.

Come agisce lo Spirito Santo nei confronti del demonio

Nel lungo discorso che Cristo fà agli apostoli all’ultima Cena, Gesù promette la venuta dello Spirito Santo dopo la sua salita al cielo e riferendosi al demonio, annuncia che quando lo Spirito sarebbe venuto, avrebbe convinto il mondo circa il giudizio, nel senso di fargli sapere che «il principe di questo mondo è stato giudicato» (Gv 16,11)[3]. Ossia lo Spirito Santo avrebbe mostrato ai discepoli che le trame di Satana ormai sono chiare, per cui il discepolo, grazie all’assistenza dello Spirito Santo, avrebbe disposto del criterio di discernimento e di valutazione delle opere di Satana e del modo di sconfiggerne la potenza.

Se lo Spirito Santo è la luce decisiva per rivelare gli inganni del demonio e la forza efficace per espellerlo dal cuore dell’uomo, è comprensibile che per converso lo Spirito Santo sia il peggior nemico dello spirito diabolico. Per questo Gesù avverte:

«Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno; sarà reo di colpa eterna» (Mc 3, 28-29)[4].

Gesù si riferisce al fatto che i suoi nemici lo giudicavano posseduto dal demonio (v.30), quando, se c’era un uomo che più manifestamente mostrava di possedere lo Spirito Santo era proprio Lui. Dunque un giudizio così maligno non poteva che essere ispirato dal demonio. Ma perché Gesù dice che è l’unico peccato che non può essere perdonato? Per la sua malizia diabolica, che indurisce il cuore del peccatore rendendolo incapace di pentimento, sicché, se viene colto dalla morte, non può che andare all’inferno. Lo Spirito Santo è sempre pronto a perdonare; ma se il peccatore in punto di morte non si pente, è chiaro che si danna.

Lo Spirito Santo altresì combatte il demonio all’interno stesso del cuore umano, in quell’interiore contrasto che Paolo chiama lotta «tra lo spirito e la carne» (Gal 5, 16-17). Lo Spirito Santo che abita nel cuore dell’uomo in grazia si oppone alle inclinazioni cattive delle passioni stimolate dal demonio, benché più sottilmente il demonio sappia insinuarsi nello stesso spirito dell’uomo e lì condurre la lotta contro lo Spirito Santo, giacchè in definitiva, benché le passioni possano essere soggetto del peccato, l’atto del peccato è pur sempre un atto della volontà e non della passione come tale.

C’è da notare inoltre che lo Spirito Santo non può convertire il demonio non per un limite alla sua potenza benefica e perdonante, ma perché il demonio per colpa propria le pone ostacolo a causa della sua decisione irrevocabile di opporsi a Dio. Per questo Origene, influenzato da un indiscreto bisogno di riconciliazione cosmica e da un falso concetto della bontà e potenza divine, sbagliava quando affermava che i demòni, dopo aver scontato una certa pena, saranno perdonati.

 Invece lo spirito umano, benché possa in questa vita essere influenzato dal demonio, è sempre in tempo a convertirsi; e tuttavia, finché resta sotto l’influsso del demonio, il suo comportamento assomiglia a quello del demonio. 

L’influenza del demonio nello spirito umano indebolisce la forza dello spirito umano soprattutto in ordine ai valori della morale e della religione, oppure fomenta una spiritualità maligna e capziosa. Il Vangelo chiama il demonio anche «spirito muto e sordo» (Mc 9,5) per dire che il soggetto influenzato dal demonio diventa incapace di parlare di cose spirituali o di capirle; non le sa gustare, non lo interessano ed anzi gli ripugnano. Diventa spiritualmente muto, sordo, cieco e paralitico. Non le cerca, non le indaga, non le desidera, preso com’è da interessi mondani. Interpellato o stimolato, non risponde, né corrisponde. È come un moribondo, un organismo in stato comatoso, manca di vitalità spirituale o addirittura è come un morto: giace inerte senza dare segni di vita.

Lo Spirito Santo è inoltre espressione sia della giustizia che della misericordia di Dio. La misericordia è un moto sollecito, generoso, efficace ed operoso della volontà, che si piega sulle miserie del misero, e lo solleva dalla miseria fisica e spirituale. Non va confuso con una legittimazione del peccato sotto pretesto della buonafede del peccatore o che nemo ad impossibilia tenetur.

Quanto alla giusta ira, essa è un’alternativa, nei casi appropriati, alla misericordia, è una pratica della giustizia eventualmente punitiva, è una forma energica di sollecitazione ad agir bene o a correggersi, rivolta al peccatore, che dà segni evidenti di non poter essere scusato; è un moto della volontà basato sulla verità, motivato dalla carità e finalizzato a respingere o ad aggredire una volontà malvagia, pigra o ribelle.

Lo spirito nell’esercizio della giusta ira non si deve turbare, ma deve restare saldo e sereno.  Invece si turba l’orgoglioso o chi non sa dominare l’ira, perché in tal caso chi si adira non lo fa spinto dalla carità, ma per affermare se stesso.

Non così va concepita l’immagine biblica dell’ira divina, ma come rappresentazione metaforica sensibile della volontà divina di rifiutare o respingere la volontà o intenzione malvagia o di punire il peccato. Il fuoco è immagine dello Spirito Santo. Esso rappresenta il fuoco dell’amore, che può attuarsi come ira, ed ecco il castigo e l’inferno o come amore misericordioso, ed ecco il perdono e il paradiso.

Lo Spirito Santo agisce inoltre nei confronti del demonio di concerto con le altre due Persone della Santissima Trinità. La volontà dello Spirito Santo è una col Padre e col Figlio, perché è la volontà di Dio, che è uno per le tre Persone. Tuttavia la Scrittura appropria a ciascuna delle tre Persone un volere peculiare e distinto da quelle delle altre due. Così il Padre è padre misericordioso ed è giudice e punitore di Satana, a Lui ribellatosi all’inizio della creazione. Il Figlio vince la tentazione di Satana e dà all’uomo questo potere mediante il sacrificio della croce.

Lo Spirito Santo smaschera la falsità di Satana e volge a vantaggio dell’uomo la stessa cattiva volontà del demonio. Acconsente a che il demonio metta alla prova la santità dei fedeli, ma impedisce a Satana di nuocere oltre un certo limite. Permette che il demonio agisca nei perversi, in quelli che San Giovanni chiama «figli del diavolo», permette che compia malefìci e che agisca saltuariamente e per periodi limitati di tempo nell’intimo di certe persone – i cosiddetti «indemoniati» - sottraendo ad esse il dominio delle loro facoltà psicospirituali sul loro corpo e governando il loro corpo al posto dell’anima, provocando, cioè, le cosiddette possessioni diaboliche.

Lo Spirito Santo regola il buon ordine della città infernale e sorveglia a che ad ogni dannato il diavolo assicuri il trattamento che gli spetta secondo le disposizioni della divina giustizia, nel rispetto della persona del dannato, similmente a come la direzione di un carcere organizza la vita carceraria e fa sì che essa si svolga regolarmente. Lo Spirito Santo odia il peccato del demonio, ma rispetta la persona del demonio stesso in quanto creatura di Dio.

Il demonio, dal canto suo, odia lo Spirito Santo e si ostina a contrapporre la sua volontà a quella dello Spirito Santo. Da questa contrapposizione o conflitto nasce, però, per opera dello stesso Spirito Santo, una sintesi o relazione positiva e benefica a favore del dannato e dello stesso demonio, i quali entrano così nell’ordine della Provvidenza, che è sempre benèfica anche quando castiga.

D’altra parte, lo Spirito Santo nella Chiesa e nelle anime le guida alla pienezza della verità, dà loro la certezza della fede, mantiene desta la beata speranza,  alimenta la forza dell’annuncio del Vangelo, rende feconde le loro opere, le purifica, incentiva lo spirito di penitenza, le santifica, le perfeziona nella carità, le governa,  fomenta il progresso spirituale, crea l’unione fra gli spiriti, li ripara dai pericoli, li libera dalle tentazioni, dalle insidie e dalle seduzioni del demonio, li riempie dei suoi doni, li consola, li conforta, li fortifica, li accende di fervore e di zelo, fa loro gustare la dolcezza del Signore, fa pregustare le primizie della vita futura.

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 maggio 2021


Origene intuì che la ricapitolazione (apokefalàiosis, Ef 1,10), che egli chiamò “apocatastasi” (apokatastasis) è la riunificazione operata dallo Spirito Santo di ciò che all’inizio della creazione era unito e che era stato infranto e diviso dal peccato, ma nel concepire questa riunificazione commise due errori: primo, la concepì platonicamente come semplice ritorno all’unità iniziale e non come superamento e, secondo, di conseguenza, non tenne conto del fatto che nell’unità finale ossia nella riconciliazione escatologica dell’uomo con Dio, è presente eternamente il male – da qui l’esistenza dell’inferno -, che invece non è presente all’inizio.




Spinoza, per il quale il male è male per gli uomini, ma non agli occhi di Dio, per il quale tutto è bene: 

un povero pretesto per infischiarsi del dramma dei sofferenti e di «coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Sal 107, 10).


D’altra parte, è assurdo calcare talmente sulla realtà del male da vederne l’origine addirittura in Dio: 

un bel pretesto per scaricare su Dio le proprie colpe. 

Qui abbiamo un Dio del sì e del no, che approva tanto il bene che il male, perché, come ci spiega Hegel, «essendo il male la stessa cosa che il bene, proprio il male non è male, né il bene è bene, ma piuttosto sono tolti e superati ambedue».

 

 Immagini da internet 

 


[1] Cr H.Crouzel, Origene, Borla, Borla, Roma 2000.

[2] Cit. da Vito Mancuso, Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del «Principe di questo mondo», Piemme, Milano 1996, p.179.

[3] Vedi il commento a questo passo fatto da S.Giovanni Paolo II nell’enciclica Dominum et vivificantem del 18 maggio 1986, nn.27-28

[4]Dominum et vivificantem, n.46.

6 commenti:

  1. E' vero che certi teologi, biblisti e presbiteri del nostro tempo sembrano davvero *spiriti muti e sordi": non si riesce a credere a quello che dicono (quando si fanno capire). Lo posso testimoniare anche nel mio piccolo. A farci poi caso, davvero non parlano mai degli angeli e del mondo spirituale; il soprannaturale sembra non esista per loro, tutto si spiega con la ragione umana ed il filosofare. Per questo anche sentirLa solo parlare delle proprietà dello spirito desta meraviglia e gioia: se ne vuole sapere di più e, sebbene non siamo in grado di arrivare a capire davvero tutto, si sente che si apre una porta verso una realtà altissima che ci attira.

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  2. Caro Alessandro,
    la tua analisi è perfetta. L’unica cosa che ti raccomando è: sforzati di attingere a buoni teologi, che grazie a Dio ci sono ancora oggi, come per esempio i seguaci di San Tommaso o di Sant’Agostino o dei Padri della Chiesa o del Maritain o di Congar o di Ratzinger.
    Preghiamo perché la situazione migliori e anche per il Papa, perché promuova la buona teologia e ponga freno agli errori teologici, oggi purtroppo molto diffusi.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    le sue parole: "è bene che ci sia il male" mi hanno un po' disturbato.
    Di per sé, tale espressione sembra eccessivamente generica, molto ampia, troppo ampia.
    Suppongo che debba essere compreso nel contesto di ciò che stai spiegando, cioè il trionfo finale della giustizia divina.
    Dunque, la frase non dovrebbe forse essere riformulata così: "è bene che esista il male dell'inferno"?
    Grazie.

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    1. Caro Anonimo,
      per la verità io non mi riferivo soltanto al male di pena, ma proprio anche al male di colpa e mi rendo conto che questa mia affermazione faccia problema.
      Vedrò adesso di chiarire le cose. Innanzitutto teniamo presente che è bene che esista l’inferno, in quanto espressione della giustizia divina. E quindi è bene che ci sia il male di pena.
      Per quanto riguarda il male di colpa, i dannati non peccano più, perché con la morte cessa la possibilità della scelta del nostro fine ultimo, per cui i dannati sono eternamente fissi nell’odio contro Dio, senza peraltro poter compiere altri peccati, perché il loro arbitrio è eternamente fisso nella scelta compiuta.
      Un principio di soluzione, al problema da lei posto, lo troviamo nella famosa antifona «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» del Sabato Santo. Queste parole ci vogliono dimostrare che Dio sa trarre il bene anche da quel peccato che Egli assolutamente non ha voluto, essendo bontà infinita.
      Infatti, se avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo libero dal peccato. Invece Dio ha voluto non impedire il peccato per mostrare la sua bontà e misericordia ad un livello maggiore di quello che ci sarebbe stato se il peccato di Adamo non ci fosse stato.
      Infatti, come è noto, Dio ha voluto prendere occasione dal peccato per donarci suo Figlio, il Quale, morendo sulla croce, non solo ci ha riscattati dal peccato, ma ci ha elevati ad una condizione superiore ossia a quella di figli di Dio, la quale non era presente nel paradiso terrestre.
      Se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo felice senza il peccato, con l’aggiunta dell’Incarnazione del Figlio e del nostro stato di figli di Dio. Se ci poniamo la domanda: come mai Dio ha preferito che il male fosse presente nel mondo? A questo punto siamo davanti a un mistero impenetrabile, per il quale non abbiamo risposta, ma che comunque dobbiamo adorare, perché riguarda un decreto della volontà divina, che Cristo non ci ha rivelato, perché è totalmente al di sopra della nostra capacità di comprendere.

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    2. Grazie mille, Padre Giovanni, per la sua generosa risposta.
      Comprendere e meditare su ciò che ci è stato rivelato, e adorare anche Dio in ciò che non ci ha rivelato, il suo insondabile Mistero.
      Quando ho fatto il commento precedente, a un certo punto ho avuto paura di infastidirlo con le mie domande, ma ora mi rendo conto che i suoi chiarimenti possono aiutare anche altri lettori modesti come me.
      Grazie ancora.

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    3. Caro Anonimo,
      sono contento che lei abbia trovato soddisfazione nelle mie considerazioni, che ho cercato di trarre da quanto di meglio ci offrono i tesori della nostra fede.

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