La visione beatifica - Prima Parte (1/2)

 

La visione beatifica

Prima Parte (1/2)

Premessa

Oggi si parla molto di salvezza, ma si dice poco in che cosa consiste. Essa consiste essenzialmente nella salvezza dal peccato che ci è ottenuta dalla redenzione di Cristo, al fine per noi tutti di “andare alla casa del Padre”, come si esprime Gesù. Che cosa vuol dire qui Gesù? Lo dice Egli stesso: incontrare e “vedere il Padre”.

Ora, questo incontro amoroso col Padre, il Papa Benedetto XII nel 1332 lo definì “visione beatifica ed immediata dell’Essenza divina”, essenza naturalmente trinitaria.

Perché si tratta di un “vedere”? Perché San Giovanni si esprime così: “Lo vedremo così come Egli è” (1 Gv 3,2).

Questa destinazione è voluta dal Padre per tutti gli uomini, a qualunque religione appartengano, a condizione che la loro coscienza sia in buona fede e patisca soltanto una ignoranza non colpevole.

La visione beatifica è garantita anche per coloro che non sono nati o che sono stati uccisi nel seno della madre. Che cosa succede a questi bambini, ancora incapaci di ragionare? Che la loro anima viene illuminata da Dio direttamente e immediatamente dopo la morte.

La visione beatifica secondo Tomas Tyn, OP

Il fine ultimo dell'uomo

          Padre Tyn ha trattato della visione beatifica in più occasioni. Qui faccio riferimento al corso scolastico del 1986[1], presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese. Egli, svolgendo un corso sul fine ultimo, che occupa le prime cinque questioni della Prima Secundae della Somma Teologica di S.Tommaso, ha commentato, nelle lezioni VIII, IX e X, a riguardo della visione beatifica, le questioni terza, quarta e quinta, con piena fedeltà alla dottrina dell'Aquinate, questioni di non facile comprensione, tanto che su questo delicato tema, di somma importanza[2], esiste notoriamente anche il pronunciamento dogmatico di Papa Benedetto XII del 1336[3], che definisce in che cosa consiste la visione beatifica.

          Il Servo di Dio non si ferma ad un mero commento del testo tomistico, ma espone anche sue opinioni e svolgimenti o personali o presi dalla Scolastica posteriore, discutendo anche la famosa controversia tra Domenicani e Francescani sull'essenza e sulle cause della visione beatifica. Ma non ci fermeremo su questo, che ci porterebbe al di là dei limiti di questa conferenza.

          Padre Tomas, seguendo San Tommaso e il dogma di Papa Benedetto, definisce l'essenza della visione beatifica come visione intellettuale intuitiva ed immediata dell'Essenza divina; beatifica perchè tale visione rende beati.

          Egli giunge a questa definizione dopo aver compiuto due passi. Innanzitutto dimostra con San Tommaso che esiste un fine ultimo dell'agire umano (q.1, a.2). L'uomo, tuttavia, non si dirige verso questo fine per inclinazione naturale in modo deterministico, come tutti gli agenti infraumani, ma guidato dal libero arbitrio.

          Dio come fine ultimo, osserva Padre Tyn, si presenta sotto due aspetti: oggettivo e soggettivo. Dio fine oggettivo è Dio in se stesso, in quanto appunto fine, finis qui. Dio come fine soggettivo è Dio in rapporto all'anima che ne gode; è la stessa visione beatifica come fine, mezzo e modo di godere di Dio, il cosiddetto finis quo.

          Dice il Servo di Dio: "Riguardo al fine ultimo oggettivo dell’uomo, non c’è dubbio: nè l’anima, nè le sue perfezioni sono fine. Però il fine ultimo soggettivo è effettivamente qualche cosa nell’anima. Qui San Tommaso ci tiene a precisare che ex parte subjecti, c’è il finis quo; c’è il fine tramite il quale ci si impossessa dell’oggetto beatificante. Ora, il finis quo è un qualche cosa nell’anima; insomma è l’anima che è beata. Quindi è l’anima che entra nel possesso del fine ultimo oggettivo" (Lezione VIII).

          Non essendo l'uomo indirizzato da Dio per essenza al fine ultimo come gli altri enti infraumani, ma, proponendoSi Dio come Fine alla libera volontà dell'uomo, questi pertanto ha il dovere o l'obbligo morale di agire per questo Fine, che è il suo sommo bene. In questa vita Dio, benchè sia in Se stesso il sommo bene dell'uomo, gli si offre come possibile oggetto di scelta.

          Se Dio, tuttavia, Si propone all'uomo come oggetto di scelta, Egli non è un bene facoltativo tra gli altri, la cui assenza sarebbe priva di conseguenze; al contrario, l'eventuale rifiuto di Dio da parte dell'uomo comporterebbe la sua perdizione eterna. L'uomo non può non agire per un fine ultimo; sta a lui fare o non fare di Dio questo fine.

          L'uomo in ogni caso non può non agire per un fine ultimo (a.6), perchè, se questo non esistesse, l'azione sarebbe impossibile, così come, se non si fosse la causa prima, non ci sarebbero le cause seconde.

          Inoltre, e questo è il secondo passo, l'uomo, fa notare il Servo di Dio, desidera spontaneamente e necessariamente la beatitudine, perchè essa coincide col fine ultimo verso il quale, come abbiamo detto, non può non dirigersi. Ora, come egli può costituire fine ultimo ciò che non lo è, così può credere di trovare la beatitudine in ciò che non è vera beatitudine.

          L'agire umano, infatti, ha un aspetto di necessità e un aspetto che è libera scelta. Nell'agire non può non cercare un fine ultimo ed una beatitudine, ma sta al suo libero volere scegliere il bene da considerare come fine ultimo e come beatificante.

          Seguendo Tommaso, Padre Tyn concepisce la beatitudine in generale come l'affluenza, il possesso e il godimento di quel bene che sazia totalmente l'appetito, sì che il soggetto si sente totalmente soddisfatto e non sente il bisogno di desiderare o cercare altro (q.4, a.1).

          Per questo, Padre Tomas, al seguito di San Tommaso, passa in rassegna una serie di beni o di fini indagando per ciascuno se in essi si trova la beatitudine, come a dire quale di essi è il vero fine ultimo: le ricchezze, gli onori, la fama, la gloria, il potere, la salute, il piacere, la virtù, la scienza, la creatura. E fondandosi sul principio che la beatitudine deve dare ogni bene ed escludere ogni male, Padre Tomas con Tommaso dimostra che nessuno di questi beni possiede, per varie ragioni, questi requisiti.

Essenza della beatitudine

          A questo punto, compiendo il terzo passo, Padre Tomas con San Tommaso si chiede in che consiste la vera beatitudine dell'uomo. E risponde: la visione beatifica, ossia la visione intellettuale immediata, da parte dell'anima separata in grazia, dopo la morte, senza rappresentazioni intermedie, dell'Essenza divina, col conseguente gaudio e la fruizione della volontà sazia in eterno per il Bene posseduto ed amato. Come dice Padre Tomas: " Dio visto faccialmente, cioè visto con evidenza, la visione quidditativa di Dio". È il "possesso di Dio" stabile, definitivo, perfetto ed inamissibile.

          Visione beatifica, dice Padre Tyn (Lezione IX), vuol dire "contemplare l’essenza di Dio, quel mistero nascosto dai secoli eterni in Dio, come dice San Paolo, avere la visione essenziale di Dio, dell'essenza appunto misteriosa di Dio, non di Dio in quanto appare come autore della natura, ma di Dio in quanto è nascosto in Sè nel mistero della sua essenza".

          Padre Tyn distingue un'essenza metafisica della beatitudine da un'essenza fisica. La prima ne è il costitutivo formale nella sua purezza e specificità. La seconda è ciò che vi entra per conseguenza immediata e necessaria, tanto che senza di essa la beatitudine, non esisterebbe.

          Ebbene, con San Tommaso Padre Tyn ritiene che a costituire la beatitudine secondo l'essenza metafisica, ossia la visione beatifica, sia sufficiente l'atto intellettivo; mentre l'atto del volere, il godere, il fruire, l'atto d'amare entra nella definizione fisica. E l'intelletto che consegue il fine. La volontà ne gode una volta che l'intelletto ha raggiunto la visione.

Intelletto e volontà nella beatitudine

          Dice il Servo di Dio: "per quanto riguarda la proprietà costitutiva della beatitudine formale, essa è l’atto dell’intelligenza, l’atto di visione, non già l’atto di amore o di godimento di Dio, non un atto di volontà, ma un atto dell’intelletto. Quindi San Tommaso dice chiaramente che la beatitudine non consiste metafisicamente e primariamente in un atto della volontà, intendendo il consistere come costitutivo metafisico" (Lezione IX).

          Padre Tyn, sulla scorta di San Tommaso, fa notare come nella visione beatifica la volontà, proprio perché è la facoltà per cui operiamo il bene o agiamo bene, non può avere per oggetto il bene della volontà, ossia la buona volontà, ma un altro bene; "quindi, - nota Padre Tyn - un bene soggettivamente diverso dall'atto della volontà, quindi un atto, che non è della facoltà volitiva, ma un atto dell’intelletto" (Lezione IX).

          La volontà certamente aspira al bene ed è chiaro che la visione è sommo bene. Nessuno nega che Dio sia fine ultimo e sommo Bene oggettivo per la volontà, meritevole di immenso amore. Ma la visione in se stessa, come è chiaro dal suo concetto, è il bene dell'intelletto, il cui bene ed oggetto è appunto il vero.

          La volontà certamente consegue ed afferra il bene oggettivo, in questo caso Dio, se ne impossessa e lo possiede. Ma resta sempre che il bene oggettivo e soggettivo della volontà nella visione beatifica non è il vedere, ma bensì il godere della stessa visione, volontà unita a Dio nell'amore. Se dunque il fine della nostra vita è vedere Dio, e se vedere Dio è conoscenza della verità, e se fine dell'intelletto è la conoscenza della verità, è chiaro che la facoltà che consegue il fine è l'intelletto.

          "Quindi - osserva Padre Tomas (Lezione IX) – San Tommaso non svaluta affatto l’aspetto volitivo; anzi ne fa una perfezione, se volete. Perché? Perché il costitutivo metafisico determina l’essenza, ma la perfezione dell’essenza comporta tutte le sue proprietà, anche quelle aggiunte. Quindi, sotto un certo aspetto c’è un secondario primato della volontà anche in San Tommaso, nel senso che il gaudium è il complemento della visione beatifica".

Fine Prima Parte (1/2)


P. Giovanni Cavalcoli, OP
Varazze, 26 maggio 2015
Fontanellato, 13 ottobre 2023

Se dunque il fine della nostra vita è vedere Dio, e se vedere Dio è conoscenza della verità, e se fine dell'intelletto è la conoscenza della verità, è chiaro che la facoltà che consegue il fine è l'intelletto.

"Quindi - osserva Padre Tomas (Lezione IX) – San Tommaso non svaluta affatto l’aspetto volitivo; anzi ne fa una perfezione, se volete. Perché? Perché il costitutivo metafisico determina l’essenza, ma la perfezione dell’essenza comporta tutte le sue proprietà, anche quelle aggiunte. Quindi, sotto un certo aspetto c’è un secondario primato della volontà anche in San Tommaso, nel senso che il gaudium è il complemento della visione beatifica".

Immagine da Internet



[1] Il corso non è stato ancora pubblicato in forma cartacea.  È però reperibile al sito www.arpato.org., rubriche: lezioni e bibliografia.

-        http://www.arpato.org/lezioni.htm

-        http://www.arpato.org/fine_ultimo_indice.htm 

[2] Consiglio la lettura del pregevole studio di Andrea Vaccaro, Il dogma del paradiso, Lateran University Press, Roma 2006.

[3] Denz.,1000.

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