Il mito del popolo nel pensiero del Papa


Il mito del popolo nel pensiero del Papa

In un libro-intervista dal titolo “Politique et societé”, curato dal sociologo francese Dominique Wolton, uscito nel 2017, il Papa ha fatto la seguente dichiarazione:

«C’è un pensatore che lei dovrebbe leggere: Rodolfo Kusch, un tedesco che viveva nel nordovest dell’Argentina, un bravissimo filosofo e antropologo. Lui ha fatto capire una cosa: che la parola ‘popolo’ non è una parola logica. È una parola mitica. Non si può parlare di popolo logicamente, perché sarebbe fare unicamente una descrizione. Per capire un popolo, capire quali sono i valori di questo popolo, bisogna entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione. Questo punto è veramente alla base della teologia detta ‘del popolo’. Vale a dire andare con il popolo, vedere come si esprime. Questa distinzione è importante. Il popolo non è una categoria logica, è una categoria mitica».

Francesco individua poi nel popolo l’esistenza degli “scartati dalla società” oppressi dai potenti e preconizza per loro un futuro fatto di terra, di casa, di lavoro per tutti, grazie a un processo di loro ascesa al potere che “trascende i procedimenti logici della democrazia formale».

Dobbiamo dire con franchezza che lascia perplessi questo inserire il concetto di popolo nella mitologia anziché nell’etica politica con la sua propria razionalità. Certo il mito può essere una cosa del tutto innocente; può essere un’immagine  creata dalla fantasia o dalla poesia per simboleggiare un valore morale;  può indicare nel linguaggio corrente qualcosa di grande e di mirabile, dai contorni sfumati ed imprecisi o per designare personaggi di successo – per esempio: «quell’attore è un mito». 

Tuttavia bisogna riconoscere che il mito è originariamente e tradizionalmente connesso con l’immaginazione al servizio della religione, per cui il parlare di «mito» evoca facilmente tale quadro semantico e allora il discorso si fa alquanto delicato, perché, trattandosi di religione, entra in gioco il concetto della divinità. 

Se teniamo conto di questa inevitabile o quanto meno possibile risonanza semantica della parola «mito», ci accorgiamo che il concepire il popolo come «parola mitica», per quanto il Papa si sforzi di chiarire che cosa intende dire, non suona del tutto bene e dà spazio a pericolosissimi equivoci, che abbiamo già ben conosciuto soprattutto in questi ultimi tre secoli con la mitizzazione del popolo propria di quella concezione russoiana, che ha prodotto le peggiori dittature e tragedie del secolo scorso.

È vero che il Papa nella medesima intervista precisa che non bisogna fare del popolo un idolo e che esso, essendo una realtà semplicemente umana,  può avere difetti e compiere sbagli che devono essere corretti. Possiamo concedere, tutto sommato, stando alla descrizione del Papa, di vedere il popolo come una realtà mitica. 

Ma quello che non possiamo accettare è che egli escluda dalla nozione di popolo la componente logica e razionale, perché ciò getta un’ombra sinistra e sfavorevole sul popolo come mito facendo apparire il mito nella peggior luce, come un miraggio irrazionale, uno stimolo al fanatismo, estraneo alla moderazione ed alla saggezza della ragione,  cosa che è essenziale per valutare qualità e difetti di un popolo e per assicurare le basi della sua dignità umana, della democrazia, dei diritti umani e dell’etica di un popolo, perché il popolo sia capace di organizzarsi in società politica, nella coesistenza pacifica con gli altri popoli, rispondendo  alla sua vocazione a diventare per volere divino Dio popolo di Dio, ossia comunità ecclesiale. 

Laddove in un popolo non regna la razionalità, ottengono libero corso tutti i mostri e le sventure che ne derivano: la menzogna, la doppiezza, la piaggeria, la calunnia, la diffamazione, la corruzione, la violenza, il tradimento, la dittatura, il sopruso, la prepotenza, l’oppressione, la congiura, l’ingiustizia, l’avarizia, la miseria, la ruberia, lo sfruttamento, la sperequazione, l’emarginazione, il crimine, l’anarchia, la sovversione, tutti mali ai quali il Papa afferma di opporsi e si oppone, ma poi non è coerente quando esclude la razionalità dal concetto e dalla vita di un popolo. 

A meno che la polemica del Papa non intenda colpire la ragione cartesiana, illuminista, kantiana, hegeliana o marxista. Ma in tal caso dovrebbe distinguere con chiarezza la sana ragione conciliabile con la fede cristiana dal razionalismo arrogante e presuntuoso fonte di infiniti mali.

Sappiamo d’altra parte come nella storia il popolo è stato una massa di manovra, come inganna se viene adulato, come è feroce se viene aizzato, come Machiavelli insegni ad illuderlo e a strumentalizzarlo, come esso sia volubile ed infido, benchè la Chiesa nei processi per le cause dei Santi, parli a proposito della fama sanctitatis, di «vox populi, vox Dei» e indubbiamente lo Spirito Santo operi nel popolo di Dio e sappiamo del coraggio di certe sollevazioni popolari contro la tirannide.

Il popolo è una collettività umana di grande dignità e importanza morale, solitamente con una sua unità etnica, ma non necessariamente. Ha una sua omogeneità sociale, anche se può conoscere forti differenziazioni interne. E normalmente risulta da una pluralità o aggregazione di gruppi, famiglie, classi o ceti diversi. 

Ha tuttavia una sua identità nazionale, riconoscibile e distinguibile da quella di altri popoli, ha qualità e difetti, ha un suo territorio, una sua storia, sue tradizioni, epopee, lingua, istituzioni, credenze, usi e costumi, un’etica comune, una religione comune, ma non sempre, potendo ospitare fedeli di varie religioni, compresi agnostici, atei ed increduli. 

Dal punto di vista storico esistono popoli antichi e popoli recenti, popoli estinti e popoli viventi, popoli in formazione e popoli in decadenza. Dal punto di vista civile esistono popoli primitivi e popoli civili, popoli arretrati e popoli progrediti, popoli sviluppati e popoli sottosviluppati. Per valutare il grado di umanità o di civiltà di un popolo occorre un modello di umanità e di vita sociale. Esso ci viene dall’antropologia sociale arricchita dalla dottrina sociale della Chiesa. La scienza e le fede ci danno una visione oggettiva e universale, applicabile a tutte le culture e alle qualità ed indoli di tutti i popoli. 

La visione universale, razionalmente e scientificamente fondata della natura umana personale, morale sociale, quindi il concetto universale di «popolo» è stata data all’umanità dalla civiltà greco-romana, i cui concetti la Chiesa cattolica ha fatto suoi, dovutamente purificati dagli errori, utilizzandoli per l’interpretazione del concetto cristiano dell’uomo, del popolo e dell’ordine morale. 

Il concetto cristiano di popolo, benché abbia utilizzato il concetto greco di demos e quello romano di popolus, ovviamente ha radici bibliche. Il NT preferisce laòs a demos, per collegarsi al termine ebraico am, «moltitudine», convocazione sacra  (qahal) di chiamati da Dio sotto la signoria di Dio, mentre il populus o demos, che potremmo definire congregatio ordinata civium sub uno regimi adunata non ha di per sè un riferimento teologico e tanto meno monoteistico, ma soltanto alla polis o alla res publica, anche se naturalmente è presente la sottomissione agli dèi della civitas o della polis

Ma nella Scrittura, con l’elezione divina del popolo d’Israele, emerge chiara l’idea di un «popolo di Dio», ossia del vero ed unico Dio, in contrapposizione agli dèi delle nazioni (goyìm), ognuno dei quali aveva il suo dio.  Raccogliendo Israele attorno al culto di Dio Padre, Gesù convocherà poi il nuovo popolo di Dio, ossia la Chiesa. Nascono allora nel cristianesimo due concetti di «popolo»: popolo nel senso umano, politico e razionale (ea quae sunt Caesaris), che sta poi a fondamento nel sec.XX (Pio XII), del regime democratico; anche se già nel sec.XIII S.Tommaso d’Aquino intendeva il governante politico come vicem  gerens multitudinis.
 
E popolo nel senso religioso, come popolo di Dio, che è la Chiesa (ea quae sunt Dei). Dunque vediamo che nella concezione cristiana ed autenticamente democratica di popolo non c’è posto per un «popolo mitico al di fuori della logica»; ricordiamo infatti che ciò che è al di fuori della ragione o è al di sotto, e allora siamo al livello dell’animalità o è contro, e allora siamo nell’assurdo e nel peccato, o è al di sopra e allora siamo nel sovrarazionale o soprannaturale. Scartando  due prime possibilità, resterebbe la terza.  Ma la terza non è altro che la Chiesa, mentre qui si tratta di popolo nel senso umano o politico. Dunque dobbiamo scartare anche il soprannaturale. Che cosa resta? Un mito o contro o al di sotto della ragione.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 11 dicembre 2019


4 commenti:

  1. Commenter les divagations sémantiques (pour être gentil) du père François, n'est-ce pas perdre son temps ? N'y a-t-il pas mieux à faire ?

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    1. Caro Anonimo, si tratta semplicemente di un mio modesto parere intenzionato ad offrire al Santo Padre una alternativa pastorale, che mi sembra migliore.

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  2. E' una vera grazia leggere i suoi articoli, caro p. Cavalcoli. Auguri. EV

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