Il principio della guerra - Prima Parte (1/2)

 Il principio della guerra

Prima Parte (1/2)

La nostra condotta dipende dalle nostre idee

È idea oggi diffusa che tutte le guerre siano da condannarsi come stragi organizzate. Non esistono ragioni valide per far la guerra né ci sono guerre giuste, ma il guerreggiare o il muover guerra è sempre ingiustizia, odio, violenza, rapina, omicidio, stoltezza. Tutte le guerre, siano quelle di difesa, di liberazione, di sopravvivenza, di restituzione o siano quelle di conquista, di dominio, di invasione, di sterminio, di rapina, di vendetta, sono parimenti condannate ed esecrate, sono poste al bando come azioni illecite, moralmente colpevoli e proibite.

Questo giudizio negativo, questa condanna assoluta della guerra ha oggi una certa spiegazione psicologica: si cerca di istillare negli animi un orrore assoluto nei confronti dell’abbracciare le armi per qualunque motivo nella consapevolezza oggi qualunque conflitto militare nasca, per quanto circoscritto, si sa come nasce ma non si sa come potrà finire o che cosa può diventare, anzi c’è il fondato timore che possa degenerare in una guerra nucleare.  Infatti la guerra ha senso se c’è la prospettiva della vittoria sul nemico. Ma che senso ha una guerra nella quale non si è difesi dall’attacco del nemico, per cui è impossibile la vittoria?

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, comprendente le grandi potenze nucleari, ha per mandato della comunità internazionale il compito di custodire, procurare e difendere la pace nel mondo, se occorre, anche con l’impiego della forza militare, che però non va più intesa come forza ad esclusiva e sovrana disposizione dei singoli Stati, ma come forze d’ordine internazionale a servizio del bene della Comunità internazionale sotto la direzione del Consiglio di Sicurezza, supremo custode dell’ordine pubblico internazionale, qualificato, mediante il Tribunale dell’Aja a comporre pacificamente le controversie insorgenti fra Stato e Stato della Comunità.

Dunque gli Stati del mondo, con la costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, hanno rimesso nelle mani del Consiglio di Sicurezza le decisioni vincolanti anche di carattere militare di interesse sovranazionale di competenza del Consiglio di Sicurezza incaricato  della custodia e della cura della convivenza giusta e pacifica della Comunità internazionale. Ipotizzare dunque, per esempio. un’eventuale guerra atomica fra Russia e Stati Uniti come soluzione della vertenza in Ucraina sarebbe oggi una pura impensabile follia, senza vinti e vincitori, ma tutti sconfitti, cosa di cui gli stessi attori della vicenda si rendono perfettamente conto.

Ciò non esclude la validità della profezia dell’Apocalisse concernente la battaglia finale fra i figli di Dio e i figli del demonio, dalla quale Cristo risulterà vincitore con la fondazione della Gerusalemme celeste e la cacciata nell’inferno dei reprobi. Ma qui ci troviamo di fronte a un dato misterioso della rivelazione cristiana, oggetto di fede, che non ci esime affatto dal compito, come ci stimolano a fare soprattutto gli ultimi Papi, di adoperarci con ogni mezzo per la pace nel mondo e per promuovere e sostenere l’autorità e le iniziative dell’ONU come unico e supremo legittimo organismo politico deputato alla custodia e alla difesa della pace internazionale contro il flagello della guerra.

Inoltre, un grave inconveniente delle guerre moderne è che sono eccessivamente distruttive. La guerra di per sé dovrebbe limitarsi ad  un confronto fra eserciti; dovrebbe avere solo obbiettivi militari. E invece accade nelle guerre moderne, a causa dell’aumentata potenza delle armi, che vengono colpiti anche obbiettivi civili, impianti, organizzazioni e strutture dell’urbanistica, della politica, dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, delle comunicazioni, dell’educazione, della cultura, della sanità, delle confessioni religiose.

Questo vuol dire che le forze armate sono associazioni a delinquere? Non esiste il valor militare? Il soldato non può essere un eroe? Il militare è un potenziale omicida? Chi intraprende la carriera militare è da paragonarsi a un mafioso o a un terrorista o a un serial-killer? Hitler e Stalin sono da mettere sullo stesso piano di San Luigi IX, di San Alessandro Nevskij, di San Venceslao,  di Costantino o di Carlo Magno? Nessuno osa affermare questo e spingersi a tanto.

Ma tuttavia capita che nel giudicare la liceità o meno della guerra, si presupponga tacitamente uno stato della natura umana esente da quella concupiscenza o da quella inclinazione al peccato, che è conseguenza del peccato originale. Non si riflette al fatto che noi viviamo in un’umanità nella quale, se esistono popoli o ambienti umani pacifici e progrediti nel convivere civile, i quali sanno dominare i loro impulsi aggressivi, sì da esser capaci di risolvere le controversie per via pacifica, altri popoli o ambienti, rimasti indietro nel progresso della convivenza civile e incapaci di dominare gli impulsi dell’aggressività, della superbia, della sopraffazione o della concupiscenza, possono essere fermati o bloccati nei loro assalti solo mediante l’uso della forza e quindi la pratica della guerra.

È chiaro che in un’umanità liberata dalle conseguenze del peccato originale la guerra non esiste, perché non c’è da obbligare nessuno con la forza a rispettare qualche diritto o a compiere qualche dovere. Essa invece è una dolorosa necessità di emergenza relativamente al presente stato di natura decaduta, la quale in certe circostanze può fare quello che deve fare solo se è obbligata con la forza. L’uso della forza e l’omicidio in una guerra non sono un crimine se possono servire a sconfiggere un nemico che diversamente non si risolverebbe a rispettare il diritto dello Stato attaccante.

Una domanda che ci poniamo è la seguente: perché esistono le guerre? La risposta che ci viene immediatamente è che, essendo la guerra un atto umano, per quanto possa sembrare bestiale o diabolico, dipende pur sempre dalla volontà umana, la quale si muove in base a ciò che l’intelletto ha concepito. Ora, supponendo la guerra come un male e dato che l’atto cattivo nasce da una falsa idea del bene, dobbiamo vedere quali sono le false idee o il modo sbagliato di pensare che provocano la guerra. Dopodiché, nel nostro comprensibile e doveroso desiderio di rimediare a tanto male, vedremo quali sono invece le idee e il modo di pensare evidentemente opposti, che impediscono o eliminano la guerra e procurano la pace, supponendo ovviamente la buona volontà di metterle in pratica.

Tutta la nostra vita è una lunga battaglia

Ora dobbiamo tener presente che esiste un concetto lato di guerra, che non è limitato allo scontro degli eserciti, ma ha un significato molto più ampio e profondo e coinvolge tutto il senso della nostra vita, della nostra esistenza, della nostra condotta, del nostro destino.

Tutte le grandi spiritualità e religioni dell’umanità concepiscono il cammino di perfezione e di liberazione dell’uomo come una guerra, una continua lotta o battaglia per un’ardua conquista, che è la grandezza dell’uomo, a prescindere qui dal fatto che questa grandezza sia intesa su sfondo teistico, come nelle tre religioni monoteistiche, cristianesimo, ebraismo ed islamismo o panteistiche, come l’induismo, il buddismo e il taoismo, escludendo le religioni inferiori di tipo idolatrico, come il tantrismo, lo sciamanismo, il vuduismo, il totemismo e il paciamamismo, basate sul culto del piacere.

Per il cristianesimo, poi, la prospettiva ultima del cammino dell’umanità non è quella monista-buonista-panteista dell’unità di tutta l’umanità, sia soggetta teisticamente a Dio (Dio Signore di tutto) o identificata panteisticamente con Dio («tutto è Uno»). Quindi non è quella di una pacificazione o conciliazione di tutti con tutti, ma è quella che risulta dal Giudizio universale di Mt 25, ossia la separazione eterna fra due società: una società celeste di beati – la Gerusalemme celeste – sotto il regno di Dio e la società infernale dei dannati sotto il regno di Satana, che tuttavia cade anch’esso nell’orbita della provvidenza divina.

L’inferno si può concepire senz’altro come organizzato secondo la dialettica hegeliano-marxista e la gnosi esoterica-luciferina massonica. La città celeste invece fruisce di quella pace perfetta ed ineffabile che non è solo frutto degli sforzi umani e della vittoria sui nemici della pace, ma è soprattutto è dono di Cristo e del suo Spirito.

Tra le due società esiste, come è detto in Lc 16, 26: «un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da noi non possono, né di costì si può arrivare fino a noi». Si può pensare all’odio dei dannati per i beati; ma non dei beati nei confronti dei dannati.  Non esiste comunque alcuna relazione reciproca, alcuno scambio, alcuna comunione. Esiste conflittualità? Abbiamo uno stato di guerra? C’è un’inimicizia reciproca? Possiamo pensare al permanere dell’odio dei dannati verso i beati, ma possiamo credere che i beati non disdegnino di amare i dannati non certo nella loro cattiva volontà, ma in quanto creatura di Dio.

E del resto Dio stesso continua ad amarli in quanto sue creature, le quali, in quanto creature, sono buone ed amabili. La guerra comunque degli empi contro i giusti è cessata non nel senso che abbiano fatto pace, ma in quanto essi sono prigionieri nell’inferno, non possono più nuocere. Come insegna l’Apocalisse, la guerra tra giusti ed empi si concluderà con la venuta vittoriosa di Cristo alla fine del mondo e la vittoria definitiva di Cristo su di loro (Ap 20, 8-10).

La prospettiva di vincere il nemico in combattimento è un aspetto essenziale della vita cristiana. Componente del conseguimento del fine ultimo e della beatitudine è la vittoria definitiva sul nemico. Coloro che vorrebbero togliere alla vita cristiana questo aspetto agonistico, le toglierebbero una componente essenziale della sua natura. S.Tommaso ritiene che un aspetto della beatitudine comporti il fatto che i beati dal cielo vedono con soddisfazione i dannati dell’inferno non perché godano fella loro pena, ma perchè vedono realizzata in loro la giustizia divina[1]: Dio li ha sconfitti e fatti prigionieri.

Le grandi spiritualità monoteistiche dell’umanità, più specificamente, concepiscono la lotta di conquista della perfezione come lotta contro la carne, contro il mondo e contro il demonio.  Bisogna vincere la carne con l’astinenza, il sacrificio, lo sforzo e l’ascetica. Bisogna vincere il mondo fugando le tenebre e diffondendo la luce, sottraendosi alle sue seduzioni, scovando i suoi tranelli, convertendo i peccatori, cacciando i demòni, irridendo alle sue minacce, liberando con la forza gli oppressi dagli oppressori, castigando i malvagi o assoggettandolo a Cristo anche con la guerra in senso militare.

Bisogna vincere Satana strappandogli le anime prigioniere e riscattandole col sangue di Cristo, liberando il mondo dal suo dominio e restituendolo a Dio suo legittimo proprietario e creatore, confutando le dottrine diaboliche che allontanano da Dio e rendono servi del demonio.

La guerra nel senso corrente della parola

Chiediamoci però adesso che cosa è la guerra nel senso corrente e stretto del termine. La guerra è l’uso che uno Stato fa delle proprie forze armate per costringere lo Stato nemico al quale muove guerra ad accettare mediante la vittoria sulle forze nemiche ciò che lo Stato che muove guerra vuole che il nemico accetti ossia gli obbiettivi che si propone muovendo guerra.

La guerra in quanto delitto nasce da un misconoscimento o falsificazione di quelle verità morali sacre e salutari, di quei «valori non negoziabili» e dalla violazione di quelle norme pratiche che ne sono l’applicazione e rendono possibile e reale una pace giusta e fondata sulla giustizia.

Qualunque Stato che muove guerra ad un altro Stato dichiara sempre che lo fa o per difendere la pace o per il bene comune della pace  o per poter vivere in pace o per ripristinare condizioni di esistenza che consentono la pace o per rimediare a situazioni di ingiustizia che impediscono la pace o per togliere ostacoli alla pace.

Purtroppo non sempre questi Stati sono sinceri in queste dichiarazioni, che in realtà possono nascondere intenti peccaminosi come una volontà imperialistica o espansionistica o il desiderio di impossessarsi delle ricchezze della nazione aggredita o una volontà di vendetta per umiliazioni subìte in passato dalla nazione aggredita o la volontà di imporre con la violenza il credo della propria religione.

Occorre osservare altresì che far guerra o guerreggiare è ad un tempo un’arte in rapporto a come vanno usate le armi e un atto umano soggetto di qualifica morale, in relazione al fine che si propone l’azione bellica. È possibile essere abilissimi nella guerra e anche rispettare le regole del codice militare, ma nel contempo combattere per mire peccaminose. Si tratterà allora senz’altro di una guerra ingiusta. A seconda infatti che vengano rispettate o non rispettate le regole dell’arte militare, una guerra sarà ben condotta o mal condotta. A seconda invece della bontà o cattiveria dei fini che l’attaccante si propone nel muover guerra, la guerra sarà giusta o ingiusta.

Non ogni comportamento è consentito al militare in guerra per il semplice fatto che combatte per una giusta causa. È infatti da ricordare che in ogni situazione, anche la più drammatica, deve avere la forza d’animo di rispettare i diritti del nemico, deve avere quel senso di umanità che lo porta ad evitare la crudeltà, l’ira incontrollata o lo sfoghi dell’odio. È vero che l’azione di guerra  comporta l’uccisione del nemico; ma il precetto dell’amore del nemico vale anche per il militare che vuol compiere veramente con onore un vero servizio della patria.

Vi sono dei casi nei quali entrare in guerra può essere giusto e doveroso e in tal senso non è sbagliato esprimersi col linguaggio biblico, come quando la Scrittura parla di guerre di Israele volute dal Signore. Se per esempio uno Stato conviene con un altro Stato di soccorrerlo col suo esercito nel caso che quello Stato venga aggredito da un altro Stato, e il primo Stato non sta ai patti evitando di entrare in guerra, è chiaro che commette una colpa di slealtà e mancata solidarietà.

Le guerre nascono dal pensiero conflittuale

Nel chiarire quali sono le cause di una guerra dobbiamo evitare due errori: il semplicismo e la superficialità. Il semplicista è colui che riduce il fatto della guerra a uno schema logico e facile da intendere, ma, alla fine, ingannevole o comunque inadeguato.

Egli riduce ogni conflitto bellico a quanto avviene nei rapporti privati: un borsaiolo ruba il portafoglio a un passante, un lussurioso usa violenza nei confronti di una[H1]  donna. È evidente qui la distinzione fra l’aggressore e l’aggredito e per conseguenza è facile determinare chi ha ragione e chi ha torto. Per conseguenza è facile ristabilire almeno in linea di principio il diritto leso: il borsaiolo deve restituire il maltolto e lo stupratore deve ottenere perdono dalla donna. Così tra i due si ristabilisce la pace.

Ora, il fenomeno della guerra è qualcosa di enormemente più complesso ed intricato, che coinvolge masse enormi di persone, popoli, classi e nazioni, coinvolge interessi vitali comuni di svariato genere, dai più materiali, come nelle guerre per il dominio dei mercati o per il possesso di fonti di energia o di ricchezze naturali, alle guerre per motivi spirituali, come le guerre di religione o patriottiche o di liberazione. La guerra può essere voluta dal dittatore o dal popolo, può nascere da un bisogno di rivalsa o di vendetta, può nascere dal fanatismo di imporre a tutti con la forza la propria religione o dall’idea che la propria nazione sia destinata a dominare l’umanità. Bisogna vedere caso per caso.

Non è sempre detto che una guerra sia scatenata da un aperto aggressore contro un popolo pacifico e innocente. Essa può nascere da un’aggressione reciproca. Infatti la colpa di iniziare una guerra non è solo l’invasione plateale di un altro Stato, come fecero i nazisti con la Polonia, la Cecoslovacchia e la Francia.

La donna provocante non si lamenti se poi viene violentata. Così similmente esistono maniere subdole di aggredire un altro Stato, che non necessariamente comportano l’invasione militare, ma consistono nel creare con pressioni varie e vari mezzi di propaganda in quello Stato la percezione di essere minacciato nella sua sicurezza e libertà.

Se la Russia da trent’anni si è accorta che la NATO anno per anno ha realizzato un piano di accerchiamento coinvolgendo anche l’Ucraina, certo la Russia non manca di preoccupare l’Occidente, ma d’altra parte come non poteva essa non  avere la sensazione di sentirsi minacciata?

Nessuno nega che la reazione dei Russi del febbraio dell’anno scorso sia stata eccessiva e crudele. Ma non è un’ipocrisia scaricare tutta la colpa sui Russi? Lo stesso Papa Francesco ebbe a dire in un suo discorso che i Russi sono stati «provocati». Così similmente l’usuale condanna della cosiddetta «guerra preventiva» è così valida in ogni caso? Se io mi accorgo che uno sta tramando o complottando contro di me, devo lasciarlo fare fino a che egli mi metta nel sacco o posso fermarlo subito prima che mi salti addosso? Se la massoneria oggi, servendosi dei modernisti, finge di rispettare la Chiesa, ma in realtà la vuol distruggere, devo aspettare che la Chiesa ritorni nelle catacombe come ai tempi dell’Impero romano? Uno potrebbe dire: perché allora Cristo non si è difeso contro Giuda? Io posso permettere come Cristo che i miei nemici approfittino di me per lo sconto dei miei peccati e per offrirmi in sacrificio per la remissione dei loro peccati. Ma se sono capo di governo, non posso permettere che la nazione affidata alle mie cure perda la sua libertà per accontentare le voglie di un tiranno o gli assalti dei barbari o la prepotenza di un popolo dominatore e crudele.

Aggiungo che non occorre fare studi speciali per giudicare circa un furto o uno stupro. Invece per capire perché è scoppiata una guerra, quali sono le ragioni o i torti che la muovono, quali sono le mire degli avversari, quali sono i sentimenti, gli impulsi e le idee che li spingono, le attenuanti o le aggravanti della loro azione, la sincerità o meno delle loro dichiarazioni, quali interessi esattamente sono in gioco, occorre fare uno sforzo d’intelligenza, applicarsi a studi opportuni, vagliare le notizie che si ricevono, conoscere a fondo l’animo umano, possedere buoni criteri di giudizio, grande equilibrio, prudenza e avvedutezza nei suggerimenti, nei consigli, nelle direttive, nei rimproveri e nei richiami da dare, per sciogliere i nodi, chiarire le questioni, appianare i contrasti, evidenziare il positivo, svelare le ipocrisie, appoggiare gli onesti, riconoscere gli eroi, smascherare i traditori e gli abbietti.

Alla presenza di un conflitto bellico nessuna autorità che non abbia un prestigio straordinario presso entrambi i contendenti può intervenire efficacemente con tono imperativo come potrebbe fare la mamma che vede Pierino e Paoletto litigare e comanda ad essi perentoriamente: «smettetela! Fate la pace!». Ma bisogna che l’autorità statale, valendosi di esperti conoscitori e giudici di quanto sta accadendo, animata da grande imparzialità, senso della giustizia, con idee chiare su cos’è la pace, sincero desiderio della pace, dottrina fautrice di pace, si adoperi amorevolmente, pazientemente, instancabilmente, fiduciosamente e scientificamente nella ricerca della pace.

Occorre inoltre evitare la superficialità. Vi sono alcuni, i quali, credendosi esperti dell’animo umano e della sua tendenza a fingere, chiusi in una visione materialistica della vita, pensano che tutte le guerre siamo motivate da interessi esclusivamente economici, per cui considerano sistematicamente come ipocriti tutti coloro che dichiarano di combattere in ossequio ai loro doveri religiosi o in nome della volontà di Dio.

Capita che fra coloro che ritengono sistematicamente che la motivazione religiosa nasconda una motivazione politica o economica, che vi siano anche credenti, i quali però si rifiutano di ammettere che Dio possa volere una guerra perché – essi dicono – Dio non vuole la morte di nessuno.  Ma la questione è sempre quella, spinosa ma ineludibile, se possa esistere un omicidio lecito e se possa esistere una guerra giusta. Ora, se è vero che Dio vuole la giustizia, non c’è da scandalizzarsi a parlare, come fa la Bibbia, di guerre volute da Dio.

Ma da che cosa nasce la guerra giusta e quella ingiusta? E potremmo anche allargare la domanda fino a chiederci: da che cosa nascono le guerre? Infatti in qualunque guerra, anche la più giusta, c’è sempre una dose di ingiustizia non solo perché anche chi ha ragione non sempre si comporta secondo giustizia, ma soprattutto perché la ragione di chi combatte per la giusta causa si oppone evidentemente al torto per chi combatte per una causa sbagliata o sostiene una causa sbagliata. Se non esistesse il torto non ci sarebbe neppure motivo di combattere affinchè chi ha torto sia condotto con la forza alla ragione. Certo, l’ideale sarebbe persuaderlo. Ma se non vuol sentir ragione, occorre obbligarlo con la forza, sempre che chi ha ragione possegga una forza militare superiore e conosca l’arte militare.

Ebbene, la guerra è scatenata dal pensiero conflittuale. Il pensiero conflittuale è quel modo di pensare che erige il conflitto e il litigio a sistema, avendo sfiducia per principio nella possibilità di un pensare comune nella verità. Il che è il principio della pace.

Fine Prima Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 luglio 2023


Ora dobbiamo tener presente che esiste un concetto lato di guerra, che non è limitato allo scontro degli eserciti, ma ha un significato molto più ampio e profondo e coinvolge tutto il senso della nostra vita, della nostra esistenza, della nostra condotta, del nostro destino.

Per il cristianesimo, poi, la prospettiva ultima del cammino dell’umanità non è quella monista-buonista-panteista dell’unità di tutta l’umanità, sia soggetta teisticamente a Dio (Dio Signore di tutto) o identificata panteisticamente con Dio («tutto è Uno»). 

Quindi non è quella di una pacificazione o conciliazione di tutti con tutti, ma è quella che risulta dal Giudizio universale di Mt 25, ossia la separazione eterna fra due società: una società celeste di beati – la Gerusalemme celeste – sotto il regno di Dio e la società infernale dei dannati sotto il regno di Satana, che tuttavia cade anch’esso nell’orbita della provvidenza divina.


Immagine da Internet:
Francesco Cozza – San Michele Arcangelo in lotta con il demonio, XVII sec.


[1] Sum. Theol., Suppl., q.94, a.3.


 [H1]n

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