Gott mit uns - Le origini della dottrina del nazionalsocialismo - Seconda Parte (2/5)

Gott mit uns

Le origini della dottrina del nazionalsocialismo

Seconda Parte (2/5)

La coscienza soggettiva come regola della verità

Le origini prime del nazismo stanno in una concezione errata della coscienza sotto la spinta del volontarismo di Guglielmo di Ockham. Il via a tale concezione è dato dalle famose fatali parole che Lutero pronunciò alla Dieta di Worms del 1521, quando dichiarò di non potersi ritrattare perché vincolato dalla propria coscienza della Parola di Dio. Non era in gioco il principio che la coscienza errante è vincolante, già ammesso da San Tommaso, ma appariva la coscienza come principio assoluto di verità.

Qui appare un concetto di coscienza come la «mia» coscienza alla quale Dio parla direttamente perché è in me. Vien meno il dovere della coscienza di informarsi e di adeguarsi ad una verità oggettiva esterna alla coscienza, sia essa umana o divina, correggendosi o ritrattandosi in caso di errore, perchè la verità è concepita come aderenza alla propria coscienza o, come dirà Kant, «coerenza dell’intelletto con se stesso».

La verità non è più adeguazione dell’intelletto al reale esterno, come aveva insegnato San Tommaso, ma rivelazione interiore dell’essere che appare a me, l’essere-per-me, l’essere-fenomeno di coscienza, come dirà poi Husserl e come espliciterà Heidegger quattro secoli dopo[1].

Non più l’io che si adegua al reale, ma è il reale che ruota attorno all’io manifestandosi interiormente all’io. Abbiamo già un nuce la «rivoluzione copernicana» di Kant. Il criterio della verità non è più l’ente, ma l’io. Cartesio nel fissare il suo concetto di coscienza come principio della verità, non farà che riprendere il principio luterano della coscienza, trasponendo alla ragione quello che Lutero aveva detto della fede. È quello che Maritain chiamò «l’avvento dell’io».

Non più il soggetto umano che si regola sull’oggetto reale esterno – le cose, gli altri, il mondo, Dio -, ma l’oggetto che è regolato dal soggetto. Esser nel vero, d’ora innanzi, non vorrà più dire essere oggettivi, cosa impossibile o volgare o ipocrita, ma essere soggettivi col pretesto del primato della coscienza spirituale sulle cose materiali. È quella che Rahner chiamerà «svolta al soggetto» dopo che Hegel aveva detto: «il soggetto» - cioè il cogito cartesiano, «sostituisce la sostanza» intesa come ente extramentale, materiale o spirituale.

È il trionfo della gnoseologia di Ockham: il senso sostituisce l’intelletto, l’esperienza sostituisce la concettualizzazione, l’intuizione sostituisce la rappresentazione, il particolare sostituisce l’universale, il concreto sostituisce l’astratto: l’esatto rovesciamento della gnoseologia di Aristotele e di San Tommaso. Nasce l’ideologia: una particolare idea elevata all’ordine dell’assoluto, l’individuale al posto dell’universale, la parte al posto del tutto, ciò che è privato al posto di ciò che è comune.

È il ritorno di Protagora dell’«uomo misura di tutte le cose», al quale già Platone obiettava che non è l’uomo ma Dio misura di tutte le cose. Aristotele osserva che il sapere umano è misurato dalle cose o, se proprio vogliamo dire che le misura, possiamo riferirci all’operazione dell’agronomo, il quale facendo uso di un’unità di misura, misura l’ampiezza di un campo, impara quali sono le dimensioni di un campo. Ma queste dimensioni non le ha fatte lui: c’erano già nel campo prima che lo misurasse.

È chiaro che su queste basi la comunicazione intellettuale e verbale diventa impossibile. Non ci sono che due alternative, entrambe distruttrici della comunicazione, del dialogo e della stessa dignità umana: 1.  imporre agli altri sotto minaccia la propria idea o con la violenza o con l’astuzia (stile coranico); 2. oppure cedere tutto, per amore o per forza, per ingenuità, per convenienza o per paura alle idee dominanti, per esempio quelle modernistiche, che pensano per tutti (pluralismo postconciliare).

Occorre osservare al riguardo che il pensare o credere o dire tutti la stessa cosa è cosa bellissima, utilissima ed edificante, se si tratta della medesima verità, da tutti compresa e condivisa. Infatti la vera comunicazione umana si basa sul ritrovarsi tutti assume nell’accogliere la medesima verità – lumen publicum, come la chiamava Sant’Agostino -. e non nel ripetere tutti a pappagallo la medesima parola d’ordine o pregiudizio comune perchè manca lo sforzo del pensare e prevale l’interesse per il quieto vivere.

Lutero ha presente il detto paolino: «Se Dio è con noi, chi è contro di noi?». D’accordo. Ma sei certo che Dio sia con te? Anche i nazisti erano convinti che Dio fosse con loro. Eppure di nessuno di essi viene proposta la causa di beatificazione.

Il fatto è che per essere ragionevolmente e fondatamente convinti che Dio sia con noi dobbiamo fare riferimento (adaequatio intellectus et rei) alla realtà esterna sensibile ed intellegibile, di ragione o di fede, naturale o soprannaturale e non fare della nostra coscienza l’Assoluto, come se essa fosse Dio. Solo a questa condizione, se erriamo siamo scusati; se no, no.

Quanto a Cartesio, è chiaro che se penso, esisto. Ma questo principio non può precedere l’altro precedente veramente primo che l’oggetto primo ed iniziale dell’intelletto umano sono le cose sensibili, dalla conoscenza delle quali si ricava la nozione dell’ente e la coscienza del proprio esistere. Ora il mio esistere non è l’esistere. Non esisto solo io, ma esistono anche le cose, esistono gli altri, esiste Dio.

Ora nel principio luterano e in quello cartesiano della coscienza c’è un’indebita interferenza della volontà soggettiva, che si sostituisce all’intelletto. La decisione di ciò che è vero nel primo come nel secondo caso non dipende da un’adeguazione dell’intelletto al reale esterno, sia la natura, siano gli altri o sia l’autorità umana o divina, ma dalla mia volontà che decide così.

Lutero non si arrese davanti alla dimostrazione che gli avevano fatto di aver sbagliato, perché aveva deciso che il suo criterio di giudizio non dovevano essere gli argomenti o le obiezioni che gli avevano presentato, ma l’ascolto della propria coscienza, nella quale parlava direttamente Dio. Gott mit uns.

Cartesio, non molto dissimilmente, si convinse che il suo cogito era il vero principio primo del filosofare non perché lo avesse dimostrato, perché i tomisti gli dimostrarono che  aveva torto, ma perché così aveva deciso lui.

Cartesio con suo cogito che pone l’essere introduce il concetto bastardo di causa sui, accolto da Spinoza, Leibniz, Fichte, Schelling e ed Hegel, concetto del quale Tommaso aveva mostrato l’assurdità e che pure avrà enorme successo nell’idealismo tedesco fino all’«autoctisi» di Giovanni Gentile.

Il volontarismo di Kant.

La ragion pratica come attuazione pratica dell’«io penso» è il principio motore della ragione speculativa. Per Kant essa è autonoma rispetto alla volontà solo nelle scienze sperimentali della natura. Ma nella questione di Dio e dei valori morali, è la ragion pratica che detta la verità.

Essa coglie la verità etica e razionale in quel campo dello spirito, al quale la ragione speculativa, legata ai fenomeni, da sé non riesce ad elevarsi. Quanto alla conoscenza della ragione da parte di se stessa, questo è compito dell’autocoscienza o «io penso» o «appercezione», che Kant chiama «ragion pura».

La legge morale è quindi decisa a priori dalla ragione e voluta dalla volontà. La legge non è ricavata dall’esperienza della natura umana, ma è a priori nella coscienza morale. La legge morale è universale ed è universalmente obbligatoria per ogni essere ragionevole.

La legge morale non comanda ciò che è prescritto dalla natura umana e voluto da Dio, ma ciò che è comandato dalla ragione come universalizzabile e praticabile. Dio non è più il legislatore dell’uomo, ma solo il garante della ragion pratica e  l’uomo è legge a se stesso. Non interessa sapere; interessa agire. L’io penso si risolve nell’io voglio.

Si comprende come con simili premesse in politica il dovere non è altro che quello di obbedire alla volontà del capo, qualunque cosa comandi, perché egli è l’espressione razionale empirica dell’universalità della legge morale e del dovere.

Questa tesi sarà mantenuta anche da Hegel nella sua dottrina dello Stato, con l’aggiunta che lo Stato rappresenta la volontà di Dio e quindi nessuna volontà può essere al di sopra di quella dello Stato[2], che del resto costituisce la Soggettività assoluta del singolo cittadino.  Si prepara lo Stato totalitario nazista.

Il volontarismo di Fichte[3]

L’io pone il non-io nell’Io. Il pensiero pone l’essere col voler-essere. L’Io è voluto da se stesso. Non esiste una cosa in sé esterna all’Io, ma è l’Io stesso che pone davanti a sé e in se stesso la cosa (l’«oggetto»), che è prodotto dello stesso Io.  Per Fichte il tedesco è destinato a dominare il mondo servendosi della massoneria.

Fichte interpreta il cogito cartesiano nel senso del fare, del produrre, del volere. Ancor più di Kant, che limita il cogito al voler essere, Fichte esplicita le potenzialità prometeiche contenute nel cogito cartesiano, che si manifesteranno pienamente in Nietzsche con il concetto di essere come volontà di potenza. Per Fichte l’io «pone» il suo essere non nel senso logico, ma ontologico.

Il volontarismo di Schelling[4]

In uno studio su Schelling[5] Heidegger ha notato come per Schelling la libertà è un principio ontologico, sicchè il volere non è posto dall’essere, ma è l’essere che è effetto del volere. Ne consegue che Dio per Schelling pone il proprio essere volontariamente e liberamente[6], quasi che Dio, se non avesse voluto, avrebbe potuto non esistere, senza tener conto che la domanda ha senso nel caso dell’essere contingente, ma non in quello dell’essere necessario, che è Dio.

Questo è l’assurdo di chi concepisce la possibilità dell’esser «causa sui». Così Schelling confonde il necessario col contingente o viceversa assolutizza il contingente.  Si tratta di una teologizzazione del cogito cartesiano, che resterà in Hegel, in Nietzsche e nella teologia nazista.

Il volontarismo di Hegel

Il pensiero è assoluta onnipotenza ed è precisamente il «potere magico del negativo»[7]. La volontà vuole se stessa ed è l’Assoluto. Il Dio di Hegel è in fondo quello di Ockham, il cui attributo principale non è la sapienza, un Dio mediato da quello di Böhme, che vuole sia il bene che il male. Da qui l’apologia della guerra, che per Hegel è la legge del progresso storico. La conciliazione dialettica non toglie il conflitto ma lo supera.

Hegel ha in odio il diritto romano, che giudica tirannico, a favore del diritto germanico, che favorirebbe la libertà spirituale. Hitler in un suo discorso programmatico annuncerà la sostituzione del diritto germanico a quello romano. Del resto, Lutero non brucerà il codice di diritto canonico? Per sostituirlo con che cosa?

Hegel considera gli Ebrei un popolo servile, abietto e schiavo di un Dio dispotico ed astratto.  Hitler ordinò ai giuristi di sostituire il diritto germanico al diritto romano.

Così pure similmente Hegel, influenzato da Marcione, disprezza il Dio trascendente e, come egli dice, «astratto» dell’Antico Testamento, che egli considera il Dio degli Ebrei, per storicizzare e immanentizzare Dio nell’uomo e nel mondo, conformemente a quello che crede essere il Dio cristiano, che però propriamente è il Dio di Lutero. Gli Ebrei per lui sono il popolo deicida. Il vero Dio è il Dio «concreto», Cristo, non è il Dio dell’Antico Testamento.

Il volontarismo di Heidegger

Sit pro ratione voluntas. 

Secondo Heidegger nel suo Nietzsche, Nietzsche svela l’anima volontarista dell’idealismo tedesco e pone il principio della dottrina nazionalsocialista. Egli cita Nietzsche: 

 

«L’intima essenza dell’essere è volontà di potenza»[8]; «la credenza “è così e così” deve essere trasformata nella volontà “così e così deve diventare”»[9]. E commenta: «Se il pensiero della volontà di potenza in Nietzsche è il pensiero fondamentale della sua metafisica e l’ultimo della metafisica occidentale, allora, l’essenza della conoscenza, cioè l’essenza della verità, dovrà essere determinata partendo dalla volontà di potenza»[10].

Il pensiero metafisico di Nietzsche è «l’ultimo della metafisica occidentale». Non si va oltre. È la strada giusta. Ciò riecheggia quanto – a quanto riferisce Colombo nel libro citato[11] - Heidegger aveva già scritto nel 1933 nei Quaderni neri, e cioè che Hitler «ha risvegliato una nuova realtà che mette il nostro pensiero sulla strada giusta e gli conferisce forza d’urto».

Hitler maestro di metafisica alla scuola di Nietzsche. Chi l’avrebbe detto? Per questo, continua Heidegger[12], «urge creare una vera nobiltà spirituale, che sia forte abbastanza da configurare la tradizione del tedesco in base a un grande futuro». Hitler aveva promesso un Reich di mille anni. Ne sono trascorsi due zeri di meno.

Fine Seconda Parte

P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 15 agosto 2021
Memoria di Santa Teresa Benedetta della Croce.
Martire, Patrona d’Europa e Dottore della Chiesa


 

Le origini prime del nazismo stanno in una concezione errata della coscienza sotto la spinta del volontarismo di Guglielmo di Ockham. 

Il via a tale concezione è dato dalle famose fatali parole che Lutero pronunciò alla Dieta di Worms del 1521, quando dichiarò di non potersi ritrattare perché vincolato dalla propria coscienza della Parola di Dio.

Non era in gioco il principio che la coscienza errante è vincolante, già ammesso da San Tommaso, ma appariva la coscienza come principio assoluto di verità.

 

È il ritorno di Protagora dell’«uomo misura di tutte le cose», al quale già Platone obiettava che non è l’uomo ma Dio misura di tutte le cose. 

Aristotele osserva che il sapere umano è misurato dalle cose o, se proprio vogliamo dire che le misura, possiamo riferirci all’operazione dell’agronomo, il quale facendo uso di un’unità di misura, misura l’ampiezza di un campo, impara quali sono le dimensioni di un campo. 

Ma queste dimensioni non le ha fatte lui: c’erano già nel campo prima che lo misurasse. 


Immagini da internet: Guglielmo di Ockham e Protagora



[1] Cf Bertrand Rioux, L’être et la vérité chez Heidegger et Saint Thomas d’Aquin, Presses Universitaires de Montréal, 1963; G.Bertuzzi, La verità in Martin Heidegger, Edizioni ESD, Bologna 1991.

[2] Benito Mussolini sarà in perfetta linea con questa concezione dello Stato, quando dichiarerà: «nulla al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato, nulla al di sopra dello Stato».

[3] Luigi Pareyson ,Fichte, Edizioni di «Filosofia», Torino 1950.

[4] Cf Michele Lo Sacco, Schelling, Editore Remo Sandron, Milano 1915; Adriano Bausola, Lo svolgimento del pensiero di Schelling, Editrice Vita e Pensiero, Milano 1969; Pasquale Salvucci, I grandi interpreti di Kant. Fichte e Schelling, Edizioni S.T.E.U., Urbino 1958.

[5] Schellings Abhandlung über des Wesen des menschlichen Freiheit (1809), Niemeyer, Tübingen, 1971.l

[6] La stessa cosa è illustrata da Luigi Pareyson nel suo libro Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza,Einaudi Editore, Torino 1995.

[7] Julius Evola ha avuto l’intelligenza e il coraggio di svelare l’aspetto magico dell’idealismo, in quanto dottrina che ha la pretesa di plasmare la realtà sulla base di un concetto magico dell’operare umano: Saggi sull’idealismo magico, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.

[8] Nietzsche, op.cit., p.407.

[9] Ibid., p.452.

[10] Ibid., p.413. 

[11] I maledetti, p.65.

[12] Ibid., p.66.

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