Le
aberrazioni del culto divino
Importanza
della religione
L’insolita pratica religiosa alla quale il 4
ottobre scorso hanno assistito il Papa insieme con altri prelati nei giardini
vaticani pone con urgenza in primo piano la grave questione dell’atteggiamento,
che, come cattolici, dobbiamo tenere nel confrontare il nostro culto cattolico
con quello delle altre religioni o anche con quello delle altre confessioni
cristiane che sono in disaccordo con le pratiche del culto cattolico.
Dobbiamo ricordare che il render culto a un
falso dio o un culto sbagliato al vero Dio,
è il più grave e dannoso di tutti peccati, in quanto suppone l’adorare
come sorgente prima della nostra felicità ciò che in realtà è la causa della nostra
perdizione, è il puntare tutta la nostra esistenza su di un principio pratico
che ci procura la morte eterna.
Questa questione del culto divino appare ancor più
impellente e di attualità in occasione del presente Sinodo per l’Amazzonia, nel
quale occorrerà appunto, nell’ambito del dialogo interreligioso e nell’intento
di chiamare tutti i popoli al vero culto di Dio in Cristo, dare una prudentissima
valutazione dei culti indigeni per vedere che cosa in essi si concilia col
culto cattolico e che cosa vi contrasta, che cosa assumere e che cosa
correggere, distinguendo modi diversi e quindi leciti e legittimi di render
culto a Dio da modi illeciti e dannosi in quanto culto superstizioso idolatrico
o spiritistico o magico agli angeli, alle bestie, alla natura, alle anime dei defunti, al
demonio o a divinità pagane.
Mostrar riverenza e render culto ed onore a
entità superiori e potenti, dalle quali ci si attende luce, protezione, purificazione,
difesa, guarigione, liberazione, aumento di virtù e potenza, miglioramento di
vita, vittoria sui nemici, pietà, misericordia o remissione delle colpe, ossequiando
o rendendo omaggio a tali superiori
entità con varie pratiche rituali e azioni sacre, devoti gesti o atti simbolici,
in luoghi, vesti e tempi adatti, con cerimonie liturgiche, promesse, giuramenti,
voti, lodi, immagini, artefatti, inni e cantici, suppliche e preghiere, offerte
di sacrifici di espiazione o di riparazione o di riconciliazione, nella
speranza di placarle ed averle benevoli
o, se possibile, di partecipare della loro stessa vita felice, tutto ciò
è spontaneamente presente nelle forme più diverse, semplici o elaborate, sublimi
ma anche aberranti, nei costumi di tutti i popoli della terra, dai più civili
ai più arretrati, che non siano guasti o imbarbariti o accecati a tal punto
nella superbia e stoltezza dall’ateismo o dal panteismo. Tutto ciò costituisce
il fenomeno della religione.
Per riassumere tutto questo discorso in una
breve sintesi possiamo dire che la religione è la forma più sublime analogica
della virtù di giustizia, per la quale l’uomo, consapevole dell’esistenza di
Dio e del fatto di dover riparare alle sue trasgressioni alla legge divina, desideroso
di averLo propizio e di ottenere da Lui perdono e salvezza, gli rende quanto
gli deve compiendo degli atti di culto e offrendo sacrifici e preghiere.
Le diversità
e i contrasti in fatto di religione
Occorre tuttavia osservare che, stante
l’attuale stato di corruzione della natura umana, di fragilità morale, tendenza
al peccato e soggezione all’errore ed
agli influssi del demonio, gli uomini purtroppo errano anche nei massimi valori,
tra i quali c’è appunto il rapporto con Dio nella religione.
Da qui l’esistenza di svariatissimi errori
nelle religioni, fino alle idee più assurde, alle fantasie più morbose, ed alle
pratiche o riti più osceni, orribili ed abominevoli, fino al completo
capovolgimento del culto dato a Dio in culto magico e superstizioso dato
dall’uomo a se stesso (panteismo), al potere politico («culto della
personalità»), agli astri (oroscopo), alla
natura (naturalismo), agli artefatti (idolatria), alle anime dei defunti
(necromanzia), agli spiriti (spiritismo), alle piante (totemismo), agli animali
(sciamanismo) e ai demòni (satanismo).
Esiste bensì anche l’opposizione alla
religione, che si manifesta nell’indifferenza, nel disprezzo e nell’odio per la
religione e le cose che la riguardano; appare in mille modi nelle false
filosofie, nelle bestemmie, nelle eresie, nelle calunnie, nei motteggi, nelle
beffe, nelle irrisioni, nelle menzogne, nella falsificazione della storia, nelle
varie forme di empietà e di sacrilegio, nella oppressione e persecuzione dei
credenti, nella distruzione della letteratura religiosa, degli oggetti ed edifici
sacri, delle immagini sacre, delle reliquie, dei sepolcri dei santi e delle opere
d’arte sacra.
Si pone oggi un problema particolarmente
difficile e complesso, proveniente dal fatto che oggi come non mai assistiamo al
libero dialogo, al confronto, o all’incontro-scontro tra i fedeli delle più
diverse e avverse religioni, all’incrociarsi, intersecarsi e mescolarsi delle
più diverse, strane ed opposte idee in fatto di religione, al passaggio di
molti da una religione all’altra, o a fenomeni scismatici, ereticali o
apostatici o viceversa di fermezza e fedeltà nella propria religione, o di
cedevolezza e relativismo, oppure al contrario aggressività ed intolleranza.
Papa Francesco insiste nel ricordarci l’importanza,
l’utilità e la bellezza della diversità, che non ha esitato a dire che è voluta
da Dio. Alcuni hanno frainteso, come se
il Papa misconosca gli errori delle religioni o confessioni non-cattoliche. Ma non bisogna confondere il diverso col falso. Di due banconote una vera ed una falsa si può
dire che sono diverse; ma è meglio precisare che una delle due non è solo diversa
ma è falsa. Il diverso legittimo è benefico; il falso è illegittimo e dannoso.
Ciò peraltro non invalida il diritto alla
libertà religiosa, come alcuni credono, perché esso non si riferisce all’autorità
della Chiesa, ma a quella dello Stato.
La Chiesa ha il dovere e l’autorità di mettere in guardia contro le false dottrine
religiose. Ma lo Stato non ha in ciò competenza, a meno che non si tratti di una
formazione religiosa sovversiva o fondamentalista o aggressiva, fatta di
esaltati, che reca danno al buon costume o susciti disordini o manchi di
rispetto alla legge o metta in pericolo il bene comune o la sicurezza dello
Stato.
Così per esempio la Chiesa (e non lo Stato) non
può ammettere che la negazione islamica della SS.Trinità sia un modo semplicemente diverso di credere in Dio,
ma ha il dovere di dire a voce alta con tutta franchezza che è un modo falso. Se
nell’accordo di Abu-Dhabi non si cita la SS.Trinità, questo non vuol dire che
la Chiesa abbia rinunciato ad annunciare Cristo ai musulmani, perché si tratta semplicemente
di un accordo umanitario tra il Vaticano e gli Stati islamici, che mette in
luce comuni valori di umanità, di giustizia e di fratellanza civile.
Così pure la Chiesa non può ammettere che la
negazione luterana della Messa come sacrificio sia un modo semplicemente diverso
di concepire la Cena del Signore, ma è un modo eretico. La dottrina luterana dell’impanazione
non è un modo di intendere la «presenza reale», diverso ma altrettanto
legittimo della transustanziazione, ma è un modo eretico.
L’intendere la Messa novus ordo come inficiata di luteranesimo non è un modo semplicemente
diverso di intendere la Messa, ma è un modo scismatico. Il rifiuto ebraico di
riconoscere Gesù come Messia non è un modo diverso di salvarsi, ma è il modo
per non salvarsi. Il culto amazzonico della «Madre Terra», a quanto pare, non è
un modo diverso di adorare Dio, ma semmai è un culto al demonio.
Due forme di
pluralità
La pluralità delle religioni è effetto in due
modi della volontà di Dio: la pluralità conflittuale, disarmonica e disordinata
è effetto della volontà divina permissiva, è conseguenza del peccato originale
ed è una sventura, alla quale occorre riparare o che occorre al massimo
tollerare; invece la pluralità comportante diversificazione, reciprocità,
varietà ed armonia è stata positivamente voluta da Dio, per cui va conservata e
promossa.
Nella prima pluralità si ha il falso che si
oppone al vero: non possono e non devono coesistere, ma il vero deve cacciare
il falso. Ovviamente mi riferisco agli errori e non agli erranti. Questi ultimi
infatti vanno trattati con carità e giustizia o tollerandoli o correggendoli ed
apprezzandone i lati buoni. Invece nella seconda pluralità il questo si oppone al
quello, ma non si respingono affatto perchè l’uno completa ed arricchisce
l’altro, per cui non solo possono ma devono coesistere per il vantaggio di entrambi.
L’inclinazione a render culto a Dio, ossia
all’attività religiosa, è essenziale alla natura umana. La sua carenza –
pensiamo all’indifferenza religiosa o all’ateismo o alla tendenza all’empietà o al sacrilegio -
o la sua deformazione – pensiamo alle varie forme della superstizione o
dell’idolatria o del politeismo – in alcuni individui o in intere formazioni
sociali è un grave difetto conseguente al peccato originale, il quale ha frantumato
l’originaria unità e concordia dell’umanità in fatto di religione, provocando una
molteplicità caotica e disordinata di sette e formazioni religiose nate dai rispettivi
fondatori, tutti con la pretesa, tipica della
religione, di essere via e messaggio unici, universali ed obbligatori di
salvezza. Da qui una competizione spesso spietata per il dominio sull’umanità.
Il cristianesimo, religione del Principe della pace, in questo conflitto d’interessi
in cui gli uni vogliono prevalere sugli altri, si distingue per il suo
universalismo, capacità di conciliazione,
apertura agli altri, mitezza e rispetto per il prossimo.
Nello sfascio
conseguente al peccato originale l’originario patrimonio di valori religiosi inizialmente
posseduto in comune da tutti, si è disintegrato e sparpagliato su tutta la
superficie della terra: ad uno è andato un valore, ad un altro un altro. I valori
si sono isolati gli uni dagli altri e si sono contrapposti gli uni agli altri, come
se fossero nemici, quando avrebbero dovuto stare assieme a formare un unico
sistema di valori.
Così sono sorte le differenti religioni della
natura decaduta, le une contrapposte alle altre. L’assioma metafisico caro a Papa
Francesco «tutto è connesso» vale per il piano originario ed escatalogico del Padre,
non purtroppo nella vita presente, dove vige il bellum omnium contra omnes. Ma Dio Padre ha avuto pietà di noi e ci
ha donato Cristo, ricostruttore dell’unità e della concordia originarie, col
fondare la Chiesa affidata a Pietro, promotrice di quella religione i cui sacrifici
non sono solo simbolici o prefigurativi della salvezza, ma la operano effettivamente,
perché attualizzazioni nel tempo e nello spazio dell’unico Sacrificio di
Cristo.
Così il Padre ha scelto un popolo, il popolo
ebraico, perché da esso nascesse il Salvatore dell’umanità, Gesù Cristo,
maestro e sacerdote di una religione divinamente rivelata, la religione
cristiana, la quale, in quanto divina, contiene la pienezza delle verità
salvifiche.
Perché tante
religioni?
A questo punto ci chiediamo qual è la funzione
delle altre religioni. Esse contengono in parte ciò che nella religione cristiana
è completo. Quindi esse non aggiungono nulla di quanto è già contenuto nella
Rivelazione cristiana. Inoltre, mentre il cristianesimo è stato fondato dal
Figlio di Dio, Verità sussistente, le altre, salvo quella ebraica
veterotestamentaria ovvero mosaica, certamente ispirata da Dio, sono sorte da
fondatori semplicemente umani e quindi fallibili. Da qui l’esistenza in esse di
errori o pratiche cattive.
Ma allora ci si potrebbe chiedere che senso
hanno, a cosa servono queste religioni non cristiane, se devono dire meno bene
e solo in parte ciò che già la dottrina cristiana insegna meglio e più compiutamente,
ed oltre a ciò hanno bisogno di essere corrette dal cristianesimo.
Al
riguardo bisogna distinguere accuratamente il
fedele di una data religione dalla dottrina di quella religione. Può
capitare infatti e capita non di rado che un fedele cristiano su di un dato
punto della sua religione o qualche valore umano ad essa connesso, sappia di
meno del fedele di un’altra religione, soprattutto se il primo è un neofita o
scarsamente istruito e il secondo è un esperto o un sapiente.
È facile infatti che un cattolico sappia meno
della liturgia di S.Giovanni Crisostomo di uno zelante prete ortodosso; o che
un parroco cattolico non aggiornato sappia meno del metodo storico-critico biblico
di un esegeta protestante di Tubinga; o che un industriale cattolico
indaffarato conosca meno la meditazione trascendentale di un asceta indiano.
S.Tommaso imparò la filosofia da Aristotele. S.Agostino fu spinto a convertirsi
da Cicerone. Jacques e Raissa Maritain furono scossi da Plotino e così via. Gli
esempi non si contano.
Il semplice fatto che un protestante viva in modo diverso il medesimo valore – per
esempio Cristo crocifisso o una certa Parola della Scrittura –, che già vive un
cattolico, non impedisce al cattolico di gustare
questo modo e di farlo suo nella sua vita spirituale. Quale cattolico può
dire di non aver nulla da imparare da un Kierkegaard o da un Bonhöffer o da un
Pannenberg o da un Moltmann o da un Cullmann o dallo stesso Lutero?
Per venire ai ricordi personali, ricordo che
io ebbi un incitamento a farmi religioso da un amico fervente cattolico, il quale,
dopo aver perso la fede, era stato convertito da un calvinista, il quale lo aveva
spinto a farsi cattolico considerando che proveniva da un ambiente cattolico.
Il Concilio Vaticano II, nel dare una certa legittimazione
alla pluralità delle religioni, non le pone per nulla tutte allo stesso
livello, quasi fossero tutte, compresa quella cristiana, gli ingredienti parziali
di una superreligione sincretistica mondiale, come crede Schillebeeckx.
La Dichiarazione
della CDF Dominus Iesus del 2000, pronuncia
al riguardo una severa condanna: «È contraria alla fede della Chiesa la tesi
circa il carattere limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù
Cristo, che sarebbe complementare a quella presente nelle altre religioni»
(n.5).
Il primato
della religione cristiana
Il Concilio ribadisce invece con chiarezza il
primato della religione cristiana e ciò proprio nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà
religiosa:
«Il sacro Concilio
anzitutto professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via,
attraverso la quale gli uomini, servendoLo, possono in Cristo divenire salvi e
beati. Crediamo che questa unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica
e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il compito di comunicarla
a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: “Andate, dunque, istruite tutte le
genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
insegnando loro ad osservare tutto quello che io vi ho comandato” (Mt 28,
19-20)» (n.1).
Da notare che con l’espressione «unica vera
religione» il Concilio non intende dire, come si pensava spesso prima del Concilio,
che le altre religioni siano un cumulo di errori, ma che la religione cristiana
è la più perfetta fra tutte, senza quindi negare che anche le altre, sia pur
tra errori, contengano verità salvifiche, che come tali vanno utilizzate, come emerge
chiaramente da questa dichiarazione del Concilio:
«La Chiesa
cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera
con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle
dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa
propone e crede» - come a dire che contengono lacune ed errori -, «tuttavia non
raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini.
Essa però annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo, che è la
“via, la verità e la vita” (Gv14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza
della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con Sè tutte le cose (II Cor
5, 18-19)»[1].
La Dominus
Iesus, riservando la fede teologale alle sole verità della Rivelazione
cristiana, parla tuttavia di «credenze nelle altre religioni»:
«La credenza
nelle altre religioni è quell’insieme di esperienza e di pensiero, che costituiscono
i tesori umani di saggezza e di religiosità, che l’uomo nella sua ricerca della
verità ha ideato e messo in atto nel suo riferimento al Divino e all’Assoluto»
(n.7).
Il documento della CDF mette in rapporto le
altre religioni con Cristo. In quanto di vero e di buono esse contengono,
vengono certamente da Cristo e a Lui conducono, sebbene, al fine di raggiungere
veramente Cristo, occorra che Cristo stesso
le elevi a Sé nell’animo di quei loro
fedeli, i quali senza loro colpa non Lo conoscono e si sforzano di seguire la
loro retta coscienza. Dice la Dichiarazione:
«I libri
sacri di altre religioni, che di fatto alimentano e guidano l’esistenza dei loro
seguaci, ricevono dal mistero di Cristo gli elementi di bontà e di grazia in
essi presenti» (n.8).
Conseguenze
per l’azione missionaria
Questo rapporto del cristianesimo con le
altre religioni è la base per il rinnovamento dell’azione missionaria promosso
dal Concilio. È il principio dell’inculturazione, secondo il quale l’azione missionaria
deve svestire il messaggio evangelico dai rivestimenti particolari propri del
cristianesimo del missionario europeo, e rivestirlo della cultura propria
dell’evangelizzando, non importa se meno evoluta di quella europea.
È, questa, l’opera propria
dell’inculturazione del messaggio, promossa da S.Giovanni Paolo II,
diversamente da un certo uso preconciliare, per il quale il missionario cominciava
col far piazza pulita della cultura e delle idee religiose dell’evangelizzando,
e poi passava a trasmettere il messaggio evangelico insieme col rivestimento culturale
europeo proprio del missionario. Sicchè l’evangelizzando era obbligato a sorbirsi,
insieme col Vangelo, anche il modo europeo di concepirlo e di esprimerlo, cosa
niente affatto necessaria per lui ed anzi piuttosto ostica per l’evangelizzando,
il quale, oltre alla fatica di dover imparare il Vangelo in un linguaggio e
modi espressivi a lui estranei, doveva imparare anche questo linguaggio e
questi modi ed abbandonare la religione natìa,
alla quale magari era affezionato per certi valori che conteneva.
Questa cosa la imparai interrogando un mio confratello
indiano che stava a Roma, il quale possedeva una cultura totalmente occidentale,
che non aveva nulla dell’indiana. Gli chiesi come mai era così digiuno di
induismo, per il quale mostrava di non avere alcuna stima, mentre io, che ne sono un ammiratore, lo conoscevo meglio
di lui. E mi rispose appunto dicendomi che quando era istruito nella dottrina cristiana,
il missionario gli aveva imposto di abbandonare tutti i concetti induisti dei quali
era in possesso.
Ma oggi il rischio è quello contrario: per un
eccessivo timore di imporre forme europee, capita che si pretenda di scorporare
dal contenuto di fede certe nozioni della cultura greco-romana, che la Chiesa,
per la loro universalità, ha assunto e saldato
al dogma, proprio al fine di intenderlo meglio, sicchè tentare di scorporarle e
rigettarle col pretesto che provengono dall’Europa, sarebbe offesa al dogma e uno
stolto arcaismo.
Quelle nozioni infatti sono in realtà proprie
della ragione umana come tale e non
sono particolari fisime della mentalità europea. Se Euclide ha scoperto la
geometria, non vuol dire che la geometria non sia patrimonio dell’umanità. Se
Aristotele ha elaborato il concetto di natura e di sostanza, ciò non autorizza ad
abbandonare le nozioni del Figlio consostanziale al Padre o della
transustanziazione o della natura umana o della legge naturale, perché Aristotele
era greco. Quelle nozioni vanno bene anche per l’America Latina e per la Cina.
Occorre aggiungere un’ultima cosa, che ci viene
dal Papa. Come spesso egli ci esorta, occorre che i fedeli delle varie
religioni si abituino a convivere e a collaborare pacificamente come esseri
ragionevoli, da buoni fratelli, accettandosi e tollerandosi gli uni gli altri,
pronti anzi ad imparare e a correggersi vicendevolmente, nel preciso senso suddetto, secondo ciò che la propria coscienza religiosa
ritiene sacro, anche se erra in buona fede, in conformità al principio della
libertà religiosa, senza rinunciare affatto a testimoniare il proprio credo e i
propri costumi, a costo della vita.
Ciò non toglie peraltro e non diminuisce il sacrosanto dovere dei cristiani, come pure
ci ricorda il Papa, di annunciare Cristo
unico Salvatore del mondo fino agli estremi confini della terra, e a prezzo anche
della propria vita, anche in Amazzonia, utilizzando, secondo il metodo
dell’inculturazione, concetti, linguaggi, segni, riti, simboli, immagini,
canti, gesti o forme poetiche della cultura o della religione indigena, nei
quali o coi quali sia possibile tradurre, trasporre o esprimere fedelmente il
messaggio del Vangelo.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
8 ottobre 2019
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