Papa Francesco commenta Dante - Terza Parte (3/3)

Papa Francesco commenta Dante

Terza Parte (3/3)

Ricchezza della personalità di Dante

La figura di Dante presenta una molteplicità di aspetti, che anticipano l’umanesimo e la Chiesa dei nostri giorni. Ben a buon diritto lo si considera un profeta. Egli è l’antesignano di una nuova età della Chiesa, destinata a non tramontare più: quella che contempla accanto alla figura del teologo sacerdote il teologo laico.

Infatti, la cultura filosofica e teologica di Dante, di evidente impronta tomista, è sorprendente in un laico del medioevo, al quale non era concesso di accedere a quegli studi accademici, che invece erano prescritti per la formazione del clero e soprattutto per ottenere l’abilitazione ad insegnare teologia.

Dunque evidentemente Dante, eccezionalmente dotato per la filosofia e la teologia, deve aver potuto procurarsi da sé quell’alta preparazione dottrinale, della quale dà prova nelle sue opere, una formazione che egli certamente si è procurato grazie alla sua amicizia e frequentazione del convento domenicano fiorentino di Santa Maria Novella, allora prestigioso centro di cultura teologica.

Dante è anche colui che, con l’uso letterario della lingua italiana e conservando ad un tempo la lingua latina, inaugura la duplice coscienza del proprio essere italiano e del proprio essere europeo. Dante mantiene il concetto dell’Impero romano accanto alla coscienza della propria italianità etnico-culturale, la quale, però, come sappiamo, giungerà ad esprimersi in unitaria entità politica solo nel 1860.

Dante inoltre si trova alle soglie della crisi dell’Europa unita sotto il Papa e l’Imperatore, crisi che sarebbe stata provocata prima dallo scisma d’Occidente nel sec. XIV e poi, ancora peggiore, dalla Riforma protestante del sec. XVI. L’Europa, come sappiamo tutti, avrebbe perduto la sua unità politica e religiosa, non solo per il diffondersi dell’eresia a macchia d’olio, ma anche per la perdita presso le varie nazioni, della coscienza dello jus gentium e del diritto romano, che fino ad allora le teneva unite e per la nascita dei vari nazionalismi, che in sè fu cosa buona e normale, ma che avvenne in un’atmosfera di accanito antagonismo reciproco, non sotto il segno pacifico ed armonioso dell’universalismo giuridico romano, ma della filosofia irrazionale, individualista ed anarchica di Guglielmo di Ockham.

L’Europa si sarebbe da allora incamminata su di una strada al fondo della quale ci sarebbe stata la rinascita del paganesimo e della barbarie, e alla fine la distruzione e la morte, come lo testimoniano le due terribili guerre mondiali del secolo scorso. Fu alla lezione di questa immane tragedia, che i popoli europei decisero saggiamente di recuperare quella fratellanza universale, che è basata sulla ragione naturale, sul diritto naturale e sullo jus gentium, riconoscendo nel contempo alla Chiesa il diritto di esistere e di insegnare la propria dottrina.

È vero che nacque nel ‘700, con la massoneria, il tentativo degli illuministi, che si basavano sulla morale kantiana, di ricostruire l’unità politica e culturale europea sulla base della semplice ragione. Ma poiché essi pretendevano di costruire questa cultura comune contro la Chiesa giudicata divisiva, fautrice di oscurantismo, fanatismo e superstizione, non fecero affatto il bene dell’Europa, ma, dopo aver scatenato la Rivoluzione Francese, gettarono i germi di uno spirito rivoluzionario e sovversivo, che condusse al comunismo prima e alla dittatura nazifascista poi, con le tragiche conseguenze belliche che ne seguirono nel secolo scorso.

Certamente non si poteva pretendere da un uomo del medioevo l’edificazione di una democrazia europea. Dante non poteva che immaginare un’unione dei sovrani europei attorno all’Imperatore. Tra di essi, come usava allora, potevano esserci i grandi elettori dell’Imperatore. Ma non possiamo chiedere a Dante di andare oltre, anche perché era del tutto impensabile allora l’idea di elezioni politiche europee, benché già nel De Regimine principum S.Tommaso formulasse la dottrina  che il principe è il vicem gerens multitudinis.

Dante fu grande ammiratore dei due Ordini Religiosi di recente fondazione, i Domenicani e i Francescani. Morendo a Ravenna nel 1321 il funerale fu officiato nell’attuale chiesa di San Francesco e fu sepolto nell’attiguo cimitero del convento. Oggi, come tutti sanno, le reliquie di Dante riposano nella cosiddetta «tomba di Dante», che è un tempietto di sapore paganeggiante fatto costruire nel 1865 dall’allora governo massonico, tanto che nel 1965 San Paolo VI fece dono al Custode della Tomba di un Crocifisso da collocare nel tempietto, giacchè non c’era neanche quello. Ciò però ci dice quanto Dante, nella sua grande apertura mentale, nella sua larga umanità, nel suo fervoroso amor di patria, abbia saputo suscitare su di sé la stima della stessa massoneria.

Dante, dunque, figlio spirituale di San Francesco e di San Domenico, ha saputo cogliere i pregi e i limiti di entrambi e la loro reciproca complementarità. Ha capito che questi Ordini recenti rivelavano alla Chiesa e all’umanità un’energia evangelica fino ad allora ignota, inauguravano una fase nuova e più avanzata della animazione evangelica della realtà umana: il passaggio dall’opposizione al mondo alla consacrazione del mondo, dalla fuga dal mondo alla conquista del mondo, dalla difesa dal mondo alla vittoria sul mondo, dal rifiuto del mondo all’evangelizzazione del mondo.

Nel IV cielo del paradiso, è San Tommaso d’Aquino che fa le lodi di Francesco. Accenna anzitutto a Francesco e a Domenico:

 «L’un fu tutto serafico in ardore; l’altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore.  De l’un dirò, però che d’amendue si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, perch’ad un fine fur l’opere sue. (Par XI 39-42). «Ma perch’io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso» (75). «Nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, 
che le sue membra due anni portarno» (108). «A colui ch’a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch’el meritò nel suo farsi pusillo» (111). Invece San Bonaventura fa le lodi di San Domenico: "Domenico fu detto; e io ne parlo sì come de l'agricola che Cristo elesse a l'orto suo per aiutarlo"
 (Par., Canto XII, 72).

Dante mostra una personalità di grande ricchezza: colto nelle varie scienze del suo tempo, filosofo, teologo, poeta e mistico. Padre di famiglia, eppure amante della solitudine e della contemplazione. Egli precorre in pieno medioevo la coscienza della pari dignità personale uomo-donna e della loro mutua reciprocità spirituale, nonchè della moderna concezione cattolica dell’amore fra uomo e donna.

Dante si può anche e si deve considerare, benché non sacerdote, soprattutto mediante la Divina Commedia, tempra di vera e propria guida spirituale per coloro che vogliono riformare la propria vita e riorientarsi verso Dio

Per questo Dante, come sottolinea bene Papa Francesco, è da considerarsi un grande educatore della gioventù, oltre che maestro del ben poetare e del ben scrivere, forte stimolo all’apertura della mente e del cuore nei confronti dei valori più alti, più solidi e più universali dell’umanesimo, della libertà, della morale, della socialità, dell’arte, della fede e della spiritualità È ottima cosa, pertanto, che il suo pensiero sia tuttora insegnato nelle scuole pubbliche italiane.

Dante è grande discepolo di San Tommaso nell’educare la ragione all’incontro con la fede; ma è anche grande discepolo del Serafico nell’aspirazione ardente alla visione amorosa del volto di Dio. Ponendo San Bernardo a guidarlo negli ultimi passi verso la visione di Dio, Dante mostra la giusta stima della superiorità della vita contemplativa su quella attiva degli Ordini Francescano e Domenicano.

L’esaltazione della dignità della donna

Un posto del tutto di rilievo nella vita di Dante,  lo occupa  la celestiale  figura e misteriosa di Beatrice, figura che con quella di Santa Lucia, simbolo della luce della fede e della Madonna, Madre di Dio e mediatrice di tutte le grazie, forma una splendida e sublime triade femminile, che non dimentica le donne peccatrici, come per esempio Francesca e Taide, ma le illumina con la luce di un intelletto d’amore, che vede anche in esse la traccia, seppure offuscata dal peccato, dell’originaria vocazione divina.

Quanto alla stessa Beatrice, è una donna realmente esistita incontrata da Dante ad appena nove anni d’età, morta giovanissima. Dante fu folgorato da questa creatura angelica, fanciulla purissima, di straordinaria bellezza, nella quale vide un raggio della Luce eterna del paradiso.

Fu un’esperienza mistica straordinaria, nella quale la femminilità, ben lungi dall’apparigli come appariva allora ordinariamente, ossia come una realtà meramente terrena o addirittura una tentazione, gli apparve come indissolubilmente unita alla santità.

Per questo Dante non ha difficoltà a vedere nella donna una via di salvezza e di elevazione spirituale, senza che ciò lo sentisse in contrasto con l’onesto piacere sessuale, anche se apprezzava senza riserve la pratica della castità consacrata, tanto che egli ebbe tra i Religiosi, Francescani e Domenicani, i suoi migliori amici.

Nel contempo aveva ben chiaro il valore dell’ideale del matrimonio, tanto che fu sposo di Gemma di Manetto Donati, dalla quale ebbe quattro figli, tra i quali Beatrice, che si fece monaca nel monastero domenicano di Ravenna, della cui cappella la facciata esiste ancora.

Circa l’alta stima che Dante aveva per la dignità della donna, il Papa osserva:

«Appare significativa la presenza femminile. All’inizio del faticoso itinerario, Virgilio, la prima guida, conforta e incoraggia Dante a proseguire perché tre donne intercedono per lui e lo guideranno: Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, simbolo della speranza; Santa Lucia, immagine della fede.

Così, con parole commoventi, si presenta Beatrice: “I’ sono Beatrice, che ti faccio andare: / vegno del loco ove tornar disìo; / amor mi mosse, che mi fa parlare” (Inf. II, 70-72), affermando che l’unica sorgente che può darci salvezza, è l’amore, l’amore divino che trasfigura l’amore umano. Beatrice rimanda poi all’intercessione di un’altra donna, la Vergine Maria: “Donna è gentil che nel ciel si compiange/ di questo impedimento ov’io dimando, / sì che duro giudicio là si frange” (94-96). Quindi interviene Lucia, che si volge a Beatrice: “Beatrice, loda di Dio vera, / chè non soccorri quei che t’amò tanto, / ch’uscì per te de la volgare schiera?” (103-105)».

«San Bernardo mostrando i beati collocati nella mistica rosa, invita Dante a contemplare Maria, che ha dato le sembianze umane al Verbo incarnato: “Riguarda omai la faccia che a Cristo / più si somiglia, chè la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo” (Par., XXXII, 85-87). Il mistero dell’Incarnazione è ancora una volta evocato dalla presenza dell’arcangelo Gabriele. Dante interroga San Bernardo: “Qual è quell’angel che con tanto gioco /guarda ne li occhi la nostra regina, / innamorato sì che par di foco?” (103-105); e quegli risponde: “elli è quel che portò la palma / giuso a Maria, quando’l Figliuol di Dio /carcar si volse della nostra salma” (112-114).

Il riferimento a Maria è costante in tutta la Divina Commedia. Lungo il percorso del Purgatorio, è il modello delle virtù che si contrappongono ai vizi; è la stella del mattino, che aiuta a uscire dalla selva oscura per incamminarsi verso il monte di Dio: è la presenza costante, attraverso la sua invocazione – “il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera” (Par XXXIII, 88-89) – che prepara all’incontro con Cristo e col mistero di Dio».

Papa Francesco ricorda la figura dantesca di San Francesco e la rievoca con efficaci accenti, mettendo in luce le caratteristiche dell’ideale francescano di povertà, amore a Gesù Crocifisso, austerità, semplicità, umiltà, fraternità, amore alla natura, alla Chiesa e alla e contemplazione.

«Infine, al centro della visione ultima, nell’incontro col Mistero della Santissima Trinità, Dante scorge proprio un Volto umano, quello di Cristo, della Parola eterna fatta carne nel seno di Maria: “Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvemi tre giri / di tre colori d’una contenenza. …

Quella circulazion che si concetta / pareva in sé come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circumspetta, /dentro da sé, del suo colore stesso, /mi parve pinta de la nostra effige” (Par., XXXIII, 115-117. 127-1319). Solo nella visio Dei si placa il desiderio dell’uomo e termina tutto il suo faticoso cammino: “la mia mente fu percossa/ da un fulgore in che sua voglia venne / a l’alta fantasia qui mancò possa” (140.-142)».

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 luglio 2021


 Così, con parole commoventi, si presenta Beatrice: 

“I’ sono Beatrice, che ti faccio andare: / vegno del loco ove tornar disìo; / amor mi mosse, che mi fa parlare” (Inf. II, 70-72), 

affermando che l’unica sorgente, che può darci salvezza, è l’amore, l’amore divino che trasfigura l’amore umano.

Immagine da Internet: Dante e Beatrice

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