Osservazioni
sull’Instrumentum Laboris
Sguardo
d’insieme
L’Instrumentum
Laboris in preparazione al sinodo dei vescovi sull’Amazzonia è oggetto di
vivaci dibattiti, fino a severe critiche, che arrivano alla stroncatura e a
parlare addirittura di relativismo religioso, di panteismo, di eresia e di apostasia.
Vi sono bensì alcune tesi inaccettabili, che segnalo e correggo; ma
nell’insieme mi sembra un buon documento, ricco di spunti, basato su ampie
informazioni provenienti dalle comunità ecclesiali locali.
L’idea stessa di indire un sinodo apposta per
l’evangelizzazione dell’Amazzonia e la soluzione dei suoi problemi umani ed
ecclesiali mi pare sia stata un’ottima idea. Essa s’inquadra nella pastorale di
Papa Francesco di volgere la nostra attenzione agli «ultimi», alle categorie
umane più emarginate, trascurate, bisognose, sottovalutate e nel contempo
oppresse e sfruttate dagli egoisti e dai prepotenti. Infatti, chi parla mai dell’Amazzonia?
Eppure Cristo è venuto anche per l’Amazzonia. E siccome il Vangelo è annunziato
ai poveri, possiamo senz’altro dire che le popolazioni povere dell’Amazzonia
sono particolarmente vicine al cuore di Cristo.
Ci sono molti buoni suggerimenti per
rimediare ai mali, alle ingiustizie e alla carenze. Si nota la preoccupazione
di donare il Vangelo alle popolazioni indigene secondo un linguaggio da esse
comprensibile ed inculturando il Vangelo
nelle culture locali. Si unisce saggiamente l’opera della promozione umana a quella
dell’evangelizzazione. Si parla, per queste popolazioni, di una cultura e una
saggezza «ancestrale» e «millenaria» e di un vivo senso religioso.
Un importante tema teologico-cosmologico che
viene messo in rilievo è quello della creazione, e quindi la trascendenza,
provvidenza e potenza di Dio da una parte, e la sostanziale bontà e «maternità»
della natura, dall’altra, valori dei quali le popolazioni amazzoniche hanno
consapevolezza e che possono fornire un’ottima base per la loro
evangelizzazione. Qui vediamo come l’accusa di «panteismo» fatta da alcuni è
inconsistente. Si parla di «Terra Madre» non perché sia una dèa, ma in quanto
creata da Dio.
Tuttavia, a parte le osservazioni dottrinali
che farò più sotto, vorrei sollevare fare subito alcune questioni di
opportunità:
1. Eccessiva genericità circa le forme di religiosità
degli amazzonici. Manca un’analisi critica di pregi e difetti;
2. Per converso, troppe e fastidiose
ripetizioni circa la situazione di sfruttamento degli amazzonici da parte di potenze
straniere o nazionali non meglio specificate;
3. Il rapporto degli amazzonici col loro
ambiente naturale, in particolare forestale, sembra esser presentato in maniera
troppo positiva ed ottimistica, come se
essi potessero esser rappresentati come modello di comunione con la natura e di
saggezza ecologica, quando sappiamo come dovunque la natura, a seguito del
peccato originale, presenta sempre, accanto a un aspetto «materno», anche un
aspetto ostile e pericoloso, dal quale occorre difendersi.
E la stessa foresta amazzonica, con la sua enorme
vastità e la sua impenetrabilità, non si può dire proprio che costituisca
l’optimum dell’ambiente fisico adatto all’uomo, tale da favorire o agevolare
gli spostamenti e le comunicazioni interumane.
Per questo, l’isolamento degli amazzonici dal
resto delle altre popolazioni sudamericane, se in parte può esser causato da una
reazione al sentirsi respinte da loro,
in parte non può non dipendere dalla volontà degli stessi amazzonici di vivere
isolatamente dagli altri popoli; e ciò non depone a favore della loro conclamata
saggezza, ma occorre riconoscere onestamente che si tratta di una forma di
asocialità, della quale occorre che essi si correggano.
Per questo, sembra esagerata la polemica dell’Instrumentum contro il disboscamento,
nella misura in cui esso può avvenire in modo tale da assicurare a quelle
popolazione una più facile comunicazione col resto del mondo.
4. Le lodi ai loro costumi morali, piuttosto
generiche e non documentate, sembrano avere un tono propagandistico, anche se
non si vuol dubitare della sincerità degli informatori. Ma si ha l’impressione,
come si suol dire, di cicero pro domo sua. Sarebbe utile sentire il parere di studiosi
dei costumi e delle religioni.
Per quanto riguarda il problema se sia il
caso di ordinare sacerdoti uomini sposati, mi sono già espresso di recente nel
blog di Libertà&Persona.
Osservazioni
critiche
Passiamo
in rassegna le tesi criticabili contrassegnate dal rispettivo numero di appartenenza.
39.
L'apertura non sincera all'altro, così come un
atteggiamento corporativo che riserva la salvezza esclusivamente al proprio
credo, sono distruttivi di quello stesso credo.
Sembra che si parta da un concetto di «credo»
religioso come una specie di opinione collettiva di una data corporazione. Ora
ogni credo religioso, per sua natura, si riferisce alla salvezza dell’uomo e
quindi pretende ad una verità assoluta, universale ed obbligatoria, senza la quale
l’uomo non si salva. Ora la fede cristiana ci dice che tra tutte le religioni,
senza negare i valori in esse contenuti, soltanto il Credo cristiano soddisfa
pienamente, efficacemente e senza errori
il bisogno che l’uomo ha di salvezza.
Per questo, il cristiano che ha fatto proprio
il Credo della Chiesa cattolica, può e deve proporre il proprio Credo con umile
sicurezza come l’unico pienamente vero, salvifico ed efficace, senza temere di
fare alcuna violenza ai non-cattolici o di mancare di rispetto alle altre religioni,
perché il Vangelo è universale salvezza. L’evangelizzazione non è altro che
questo.
La distruzione del Credo cristiano e di qualunque
altro credo religioso nasce proprio dal relativismo, che sembra esser presente
nella tesi suesposta, ossia la negazione dell’universalità di ogni credo
religioso e la sua riduzione ad una particolare opinione privata tra le altre.
Per superare l’inevitabile conflitto e la
competizione fra le religioni, che si contendono la salvezza dell’umanità, non
si deve cadere nello scetticismo o nel relativismo, ma occorre saper dimostrare
qual è tra di esse quella che è dotata di vera universalità, efficienza ed obbligatorietà.
Occorre recuperare l’ufficio di una sana apologetica non solo difensiva, ma
soprattutto propositiva. Questo è il compito del missionario: dimostrare che Cristo
è l’unico Salvatore.
75.
Dialogo con gli spiriti.
Si resta perplessi davanti a un riferimento
del genere, soprattutto per la mancanza di un qualsiasi giudizio, commento o spiegazione
circa una materia così delicata e notoriamente connessa con lo spiritismo, la magia
o la divinazione. Non si dà alcuna valutazione e si passa oltre, come se si
trattasse di cosa normale, sulla quale non occorre fermarsi.
È, questo, secondo me, un segno di superficialità
e di imprudenza, in un elaborato patrocinato dalla S.Sede, che vuol essere
approfondito e documentato, quando invece si ripetono fino all’eccesso rilievi
di carattere economico e sociologico, che potrebbero essere trattati
altrettanto bene da istituzioni od organismi politici od umanitari.
Invece
nessuna istituzione umana come la Chiesa è notoriamente qualificata e competente
in maniera insostituibile a trattare delicati argomenti come i suddetti, chiaramente
connessi con quella vita dello spirito, circa la quale la Chiesa è somma
maestra.
È quindi assolutamente doveroso chiarire che cosa
s’intende dire o di quali spiriti si tratta o in che cosa consiste questo
«dialogo con gli spiriti», perché è del tutto legittimo sospettare che si
voglia far passare come normali dei fenomeni superstiziosi, ben noti dalla storia
delle religioni, e che il cristianesimo, nel suo diffondersi nel mondo nel
corso dei secoli, ha sempre avuto cura di togliere di mezzo o quanto meno di purificare.
76.
disprezzo per il popolo e i costumi del territorio amazzonico, definendoli
addirittura “selvaggi” o “primitivi”.
Indubbiamente il termine «selvaggio», col
significato che ha oggi, è offensivo. Ma
non si vede che cosa ci sia da scandalizzarsi del termine «primitivo», che si
oppone ad «evoluto », o «progredito», così come fanciullo si oppone ad adulto,
o apprendista corrisponde a provetto.
Altrimenti si rischia di riesumare la teoria
russoiana del buon selvaggio, libero dal peccato originale, teoria tanto
utopistica quanto ingannevole, che ignora l’importanza della disciplina educativa
e della cultura ascetica, fiacca la volontà, genera un imbelle buonismo e
sentimentalismo, snerva il carattere, spegne la tensione ideale, imprigiona
negli istinti, lascia il primitivo nell’ignoranza e fa decadere l’evoluto nel
primitivo.
84.
Gli abitanti dei villaggi amazzonici hanno diritto alla salute e a
‘vivere in salute’, il che presuppone un’armonia «con ciò che la ‘Madre Terra’
ci offre».
La presentazione di questi popoli in permanente
armonia con madre natura non convince, quando sappiamo bene che, come già sentì
Leopardi, la natura non è sempre madre, ma anche matrigna. Anche qui ricompare il
mito russoiano dell’uomo «naturale», che poi in pratica vuol dire schiavitù degli
istinti e della natura. Si ripete l’ignoranza delle conseguenze del peccato originale,
tra le quali c’è l’ostilità della natura (Gen 3,18).
In realtà anche questi popoli, come tutta l’umanità,
soffrono della tirannia di una natura pericolosa,
ribelle, indomabile e minacciosa. Le lodi della loro medicina sembrano una
forzatura, se la paragoniamo alla medicina dei paesi più avanzati. E quindi gli
amazzonici vanno aiutati non solo a dominare, rispettare ed utilizzare la
natura, ma anche a difendersi dalle insidie, dai percoli e dai danni che
procura all’uomo.
120.
Ascolto rispettoso che non imponga formulazioni di fede espresse da altri
riferimenti culturali che non rispondono al loro contesto vitale. Ma al
contrario, ascolta “la voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di
Dio” (EC 5).
Le formulazioni della fede, soprattutto i
dogmi e gli articoli del Credo, non utilizzano particolari culture, così che
possano risentire di una data cultura e non di un’altra, ma esse utilizzano la
cultura umana sic et simpliciter,
ossia categorie universali della ragione come tale. Che queste categorie siano state
elaborate dalla filosofia greca o dal diritto romano, ciò non le restringe affatto
alla grecità o alla romanità, ma non impedisce affatto ad esse di essere
universali e accettabili da ogni popolo, quale che sia la sua cultura.
Riguardo, allora, all’uso che la Parola di
Dio fa della cultura umana, bisogna distinguere accuratamente la sua
utilizzazione per formulare il dato
rivelato ovvero il dogma e quella per comunicarlo
ai vari popoli e alle varie culture. Per il primo scopo la Chiesa, come è noto,
utilizza la cultura, che le hanno fornito la Grecia e Roma.
Questa operazione si chiama acculturazione. L’acculturazione,
infatti, è un processo culturale col quale un popolo acquisisce la cultura di un
altro popolo per interpretare la propria cultura [1].
Così Israele, e poi il popolo di Dio, la Chiesa, nella Sacra Scrittura, acquisisce
la cultura greco-romana per formulare il
dogma.
Invece, per comunicare il dogma ai popoli e
alle varie culture, vale il processo dell’inculturazione: un popolo fruisce
della propria cultura come mediazione del dogma acculturato, ossia espresso
nella cultura greco-romana, che è servita alla Chiesa per la formulazione dei
dogmi della fede.
In tal modo l’opera dell’evangelizzazione comporta
la proposta delle formule dogmatiche e degli articoli del Credo, frutto
dell’acculturazione, ma espresse, spiegate e comunicate mediante l’uso delle
categorie proprie di quella cultura, alla quale l’evangelizzatore si rivolge. E
questa è l’opera dell’inculturazione.
Quindi
l’acculturazione della Parola di Dio è la condizione della sua inculturazione.
Non si devono confondere i due processi metodologici. In passato si tendeva a
limitarsi all’acculturazione col rischio di rendere incomprensibile il dogma
presso le varie culture. Il rischio di oggi è quello di dimenticare l’acculturazione,
ossa l’universalità dei concetti dogmatici per un’eccessiva e sbagliata preoccupazione
di calarli nelle varie culture.
In passato l’acculturazione era a danno
dell’inculturazione. Le formule erano troppo astratte. Oggi l’inculturazione è
a danno dell’acculturazione. Le formule sono troppo concrete. La vera
evangelizzazione consiste nel collegare l’astratto del dogma col concreto del
linguaggio pastorale inculturato.
121.
È necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi
popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore.
Non è chiaro che cosa sarebbe questo «Dio
Padre-Madre». Papa Luciani disse che Dio non è solo Padre, ma anche Madre, usando
una metafora riferita a Dio Padre come Persona della SS.Trinità. Ma che ne sanno
gli amazzonici aborigeni della SS.Trinità? C’è dunque il rischio che questo Dio
«Madre» sia un segno di politeismo. A meno che il documento non faccia
riferimento ad amazzonici credenti.
121.
I riti e le espressioni religiose.
Espressioni troppo vaghe. Occorrerebbe
chiarire e valutare.
122.
L'inculturazione della fede non è un processo dall'alto verso il basso o
un'imposizione esterna, ma un arricchimento reciproco delle culture in dialogo
(interculturalità).[57] Il soggetto attivo dell'inculturazione sono
gli stessi popoli indigeni. Come ha affermato Papa Francesco, “la grazia
suppone la cultura” (EG 115).
L’inculturazione del Vangelo – di ciò si deve
trattare - non è un semplice interscambio culturale, ma è invece una discesa
della Parola di Dio dal cielo sulla terra, similmente al processo dell’Incarnazione,
per il quale il Verbo si è fatto carne scendendo dal cielo.
123.
d) sarebbe opportuna una predicazione omiletica che risponda alle
esperienze vitali e alla realtà socio-ambientale (cf. EG 135-144) in uno stile
narrativo.
L’omelia è il commento della Scrittura
finalizzato ad accendere il desiderio delle cose celesti e la volontà di
mettere in pratica le cose ascoltate. La narrazione va bene per portare degli
esempi e proporre delle parabole. Ma non basta. Da sola non fa spiccare il
volo, ma ci vuole la forza dell’intelletto e della ragione. Essa dev’essere
congiunta con l’argomentazione, che illumina la ragione ed eleva l’intelletto
alla contemplazione e al gusto dei misteri del regno e stimola alla ricerca del
volto di Dio.
129
d 3. Proporre ai religiosi e alle religiose che vengono dall'estero di
essere disponibili a condividere la vita locale con il cuore, la testa e le
mani per disimparare modelli, ricette, schemi e strutture prefissate e per
imparare lingue, culture, tradizioni di saggezza, cosmologie e mitologie
autoctone.
Perché mai il missionario dovrebbe «disimparare
modelli, ricette, schemi e strutture prefissate»? Il modello evangelico che propone
non è un modello prefissato? Occorre dunque fare un discernimento. Non è che il
missionario debba rinunciare a qualunque modello prefissato, ma solo a quei
modelli umani e relativi, che ostacolano l’opera della evangelizzazione.
144.
Nell'ascolto del dolore, il silenzio diventa necessario per poter ascoltare la
voce dello Spirito di Dio.
Nell’ascolto del dolore il missionario deve saper
offrire la risposta che viene dalla fede, aperto all’ispirazione dello Spirito
Santo. Egli, davanti al dramma della sofferenza, non deve – in linea di
principio - far la figura di non sapere cosa dire, giacchè un dato fondamentale
della Rivelazione cristiana è proprio la risposta al problema della sofferenza,
anche se deve saperla porgere con delicatezza e prudenza e in certi casi il silenzio
è indubbiamente preferibile alla parola.
In conclusione, io ritengo che il documento,
sostanzialmente buono ed opportuno, abbia bisogno di queste correzioni. Il
Santo Padre, al quale spetta di trasformare questo documento in atto del magistero
pontificio, saprà lui cosa è meglio fare.
P.Giovanni Cavalcoli
Pinarella di Cervia, 19 luglio 2019
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