Che cosa è il realismo
Quarta Parte (4/4)
L’idealismo hegeliano
L’idealismo colpito dalla Chiesa è certamente quell’idealismo tedesco, il cosiddetto «idealismo trascendentale»[1], che così, soprattutto con Hegel, definì se stesso, quell’idealismo che concepisce l’Idea divina come assolutizzazione dell’idea umana, sicchè, dato che in Dio l’idea coincide con l’essere, l’ideale viene a coincidere col reale o, secondo la famosa formula hegeliana, il «razionale», ossia l’idea, il concetto, il logico «è il reale».
Hegel dichiara apertamente la sua ascendenza cartesiana con queste parole:
«La semplice inseparabilità del pensiero dall’essere è data dal cogito, ergo sum: è del tutto il medesimo che a me nella coscienza si sia immediatamente rivelato l’essere, la realtà, l’esistenza dell’io (Cartesio dichiara espressamente, Princ.Phil.,I, 9 che egli, con la parola pensiero intende coscienza in genere come tale) e che quella inseparabilità sia senz’altro la prima (non mediata, provata) e più certa conoscenza»[2].
Hegel tuttavia ha potuto valersi di una felice triplice distinzione terminologica, propria della lingua tedesca, per esprimere ciò che in italiano chiamiamo realtà: Realitât, Wirklichkeit e Sachlichkeit, che danno al suo idealismo un sapore di realismo, in quanto mentre Realitât dice essenza, quindi l’astratto, semplice idea, e Sachlichkeit, dice cosa nel senso di affare, vedi la res o il reus nel senso giuridico, Wirklichkeit è la realtà effettiva, efficiente, efficace, produttiva, è la causalità, realtà in senso pieno e concreto. Vedi la voce corrispondente in inglese, work, che vuol dire lavoro.
Del resto sappiamo l’importanza che Hegel dà al divenire e alla storia, identificandoli addirittura con l’essere al modo di Eraclito. Ebbene, l’idea hegeliana non è tanto la Realität o la Sachlichkeit, quanto piuttosto la Wirklichkeit. Ma proprio con ciò l’idealismo si aggrava, quanto più assume le sembianze del realismo.
Hegel ha compreso che il principio dell’identità del pensare con l’essere è già presente in Cartesio:
«il concetto della metafisica cartesiana è che essere e pensare sono in sé la stessa cosa; l’essere, il puro essere non è un’effettualità concreta, anzi è la pura astrazione e viceversa il puro pensare, cioè l’autoeguaglianza o l’essenza, da una parte è il negativo dell’autocoscienza e quindi essere e d’altra parte, come immediata semplicità, ancora una volta non è che essere; il pensare è realtà (Saclichkeit) o realtà è il pensare»[3].
Vediamo alcune asserzioni fondamentali di Hegel.
«Il sostanziale o reale, quello che riunisce e assume in sé tutte le determinazioni astratte ed è la loro schietta ed assolutamente concreta unità è appunto la ragione logica»[4].
«La logica è la scienza del pensiero puro, scienza che ha per suo principio il puro sapere, l’unità non astratta, ma concreta e vivente, perciò che in essa è come superata l’opposizione, propria della coscienza» (distinzione fra intelletto e realtà, fra pensiero ed essere), «fra un soggettivo esser per sè ed un secondo essere simile, un essere oggettivo, ed è conosciuto l’essere come puro concetto in se stesso e il puro concetto come vero essere»[5].
«Il concetto come tale non è ancora completo, ma si deve elevare nell’idea, che esso sola è l’unità del concetto e della realtà»[6].
«Il concetto è l’assoluta unità dell’essere e della riflessione, che l’essere in sé e per sé è solo per ciò che esso è insieme riflessione ovvero esser posto» (il pensiero o l’io o la coscienza pone l’essere[7]), e che l’essere posto è l’essere in sé e per sè»[8].
«Il concetto, in quanto è arrivato ad un’esistenza tale, che appunto è libera, non è altro che l’Io, ossia pura coscienza di sé. Io ho bensì dei concetti, vale a dire dei concetti determinati; ma l’Io è il puro Concetto stesso che è giunto come concetto all’esserci»[9].
«Il concetto è, in relazione con l’essere e con l’essenza, determinato così: che esso è l’essenza ritornata come semplice immediatezza all’essere, la cui apparizione ha per tal modo realtà e la cui realtà è, insieme, libero apparire in se stessa»[10].
«Il concetto è ogni determinatezza, ma quale questa è nella sua verità. E perciò, quantunque astratto, esso è proprio ciò che è concreto, il soggetto come tale»[11].
«L’essere ha raggiunto il significato di verità in quanto è l’idea che sola è l’unità del concetto e della realtà; è dunque ormai soltanto quello che è l’idea»[12].
«Il pensiero è anche la cosa in se stessa oppure la cosa in se stessa è insieme anche il puro pensiero»[13].
«L’infinita riflessione in se stesso» (l’autocoscienza), «che cioè l’essere in sé e per sé è solo per ciò che esso è un esser posto, è il compimento della sostanza. Senonchè questo compimento non è più la sostanza stessa, sibbene un che di più alto, vale a dire il concetto, il soggetto»[14].
«L’idea non ha soltanto il senso più generale del vero essere, dell’unità di concetto e realtà, sibbene quello più determinato di concetto soggettivo e dell’oggettività. Il concetto come tale è cioè già esso stesso l’identità sua con la realtà»[15].
«L’intelligenza conosce per sé in lei stessa l’universale, il suo prodotto, il pensiero, è la cosa, identità semplice del soggettivo e dell’oggettivo. Essa sa che ciò che è pensato, è, e ciò che è, è soltanto in quanto è pensato per sè»[16].
«Per oggetto non si usa intendere soltanto un essere astratto o una cosa esistente o in genere alcunché di reale, ma alcunché di indipendente, concreto e compiuto in sé: questa compiutezza è la totalità del concetto»[17].
Cambia la forma ma non la sostanza
Sappiamo come al sistema hegeliano reagirono diverse correnti filosofiche, tra le quali le principali furono il marxismo, l’evoluzionismo di Spencer, il positivismo di Comte, lo psicologismo di Herbart e l’esistenzialismo di Kierkegaard. Tuttavia, lo sfondo cartesiano rimane in tutti e siccome Hegel ne è stato il più consequenziale esplicitatore, ecco che l’idealismo hegeliano non si estinse affatto, sicchè, a partire dal secolo scorso l’idealismo hegeliano ha voluto sopravvivere nel suo spirito di fondo cambiando nome. La pretesa di trasformare la metafisica nella logica è stata abbandonata, se si eccettua Husserl, che però preferisce l’intuizione dell’essenza al concetto dell’essenza.
Il termine «idea» è stato accantonato, e sostituito con altri, come per esempio «io», «soggetto», «pensiero», «esperienza», «coscienza»; ma il principio di fondo è rimasto, ossia l’identità parmenidea del noein con l’einai, del pensiero con l’essere. L’essere è il pensante, il pensato e il pensiero, il cogitatum, come dice Husserl.
In tal modo i modernisti dal primo Novecento fino ad oggi hanno pensato di poter sopravvivere semplicemente sostituendo o declassando il termine concetto o idea con «fenomeno», «immanenza», «subconscio», «sentimento» o «vissuto», sicchè l’idealismo sopravvive e prospera a tutt’oggi in barba alle condanne della Chiesa sin dal secolo XIX[18].
Vicino all’idealismo ed anch’esso condannato dalla Chiesa, come per esempio nella famosa enciclica Pascendi di San Pio X, è l’immanentismo, che consiste nel ritenere la realtà non come dato oggettivo esterno al soggetto o al pensante, ma come essenzialmente interno al pensiero, compresa la stessa realtà divina, come se Dio fosse Dio proprio in quanto immanente allo spirito dell’uomo, né potesse esistere indipendentemente dallo spirito umano: Dio nell’uomo non per libera volontà, ma per essenza. L’immanentismo non ha l’audacia di trasformare Dio in un’idea e tuttavia erra sempre gravemente nel credere che Dio non possa essere Dio senza esistere nell’uomo, come se l’uomo fosse un attributo dell’essenza divina.
Per Bontadini il pensiero non ha bisogno di essere regolato da una realtà esterna, perché «esso è già per se stesso garanzia del proprio valore, la propria misura, la propria fondazione»[19]. La distinzione fra pensiero e realtà, fra pensiero ed essere, è per Bontadini un «pregiudizio» ed è frutto dell’«immaginazione». Egli pertanto irride sulla possibilità di un accordo del pensiero con l’essere. Non occorre alcun accordo, del resto impossibile da realizzare, perché per lui, «l’essere è pensato e perciò, lungi dal costituire una sfera estranea al pensiero, è effettivamente incluso nel pensiero»[20].
Per Heidegger la realtà è data dalla «precomprensione dell’essere», (Vorverständnis des Seins), la quale è «esperienza» (Erfahrung) e al contempo «progetto» (Entwurf), «trascendenza» (Transzendenz) e «apertura» (Offenheit), al di là dell’ente (Seiende), all’essere (Sein) «esistenziale», come «fenomeno», (Erscheinung), «manifestazione» o «apparizione» (Offenbarung) o «presenza del presente» (Vorhandessein), «diradamento» (Lichtung) e «domanda sull’essere» (Frage über das Sein), nel che consiste l’essenza dell’uomo, io autocosciente (cogito cartesiano), in «angoscia» e in «preoccupazione» (Sorge), uomo come «essere-per-la-morte» (Sein-zum-Tode), uomo come «ci» temporale dell’«Esserci» (Dasein), uomo confinante col Nulla (Nichts) e davanti al «Dio divino» (der göttlich Gott), espresso nel silenzio e nel linguaggio poetico.
L’idealismo di Severino
Anche Severino ignora completamente l’enfasi con la quale Hegel fa girare il suo sistema attorno alla dottrina dell’Idea assoluta, ma ciò non gl’impedisce affatto di riprendere il parmenidismo che è al fondo della concezione hegeliana dell’essere, liberandolo dalle commistioni eraclitee e storiciste, con la pretesa di un autentico recupero dell’essere parmenideo, nel rifiuto del nichilismo hegeliano del divenire dialettico, e per una riscoperta, sempre alla luce di Parmenide, del principio di non-contraddizione, barbaramente violato da Hegel. Dunque l’istanza di un recupero dell’Identità dell’Essere, dell’Uno, del Necessario, dell’Immutabile, dell’Eterno. Tutto è Uno: essenza ed essere, pensiero ed essere, essere e apparire.
Severino si può qualificare come idealista in quanto egli non è solo univocista in gnoseologia, ma monista in metafisica. Per lui il concetto dell’essere è uno perché identico all’essere che è uno. In questo senso per lui il pensiero s’identifica con l’essere. Per Severino ogni essere è l’Essere.
Per Scoto è uno il concetto dell’essere, ma non l’essere stesso. Scoto non ha difficoltà ad ammettere l’analogia fra gli enti e fra di loro e Dio sommo Ente. L’Essere sommo è ben distinto dagli esseri e ne è il creatore. Invece Severino estende il suo monismo dal pensiero all’essere: l’essere è uno così come il pensiero, pensiero dell’essere, è uno. E la molteplicità non è molteplicità di enti contingenti diversi l’uno dall’altro, ma è molteplicità di diverse limitate e temporanee apparizioni e scomparse del solo ed unico Essere, che è l’Essere, che non può non essere.
Per Severino l’essere è l’essere assoluto ed eterno. Esiste solo l’essere che è l’Io assoluto. Per questo Severino loda l’Io Sono della Scrittura[21], non però come espressione di un Dio personale al vertice degli enti, che sono solo limitatamente, ma come espressioni limitate dell’Essere, che è il solo essere, per cui ogni ente è, come Dio È.
Per Severino è l’essere come tale che è identità di essenza ed essere, pensiero ed essere. Sembra dunque essere lo stesso Essere originario di Rahner. L’essere che è identità di essenza ed essere non è un Essere sussistente che trascende tutti gli altri enti come loro creatore, ma è l’essere in quanto essere, quindi l’essere di tutti gli enti e di ogni ente, che pertanto è divino. Così per Severino tutto è eterno, tutto è Dio, tutti gli enti sono eterni come apparizioni diverse e successive dall’unico Essere, che è l’Essere totale, di tutto e di tutti.
L’idealismo di Rahner
Rahner affetta di evitare l’idealismo dichiarandosi nemico dell’idealismo dialettico hegeliano. Ed effettivamente si nota come egli non parli mai del valore delle idee o dell’ideale, non ammette mai esplicitamente un primato dell’idea sulla realtà, tanto meno afferma che il reale è prodotto dalle nostre idee.
Non concepisce affatto, come Hegel, Dio come Idea assoluta. Non parla mai di coincidenza dell’ideale col reale come fa Schelling. Non parla mai di idea dell’essere come fa Rosmini. Non parla mai di ideale come modello del reale, come fanno Socrate, Platone ed Agostino. Con ciò Rahner vorrebbe darci ad intendere di non essere un idealista.
Ma col termine «idealismo» la Chiesa non intende solo l’idealismo hegeliano, ma quel grave vizio di identificare il pensiero con l’essere, proprietà che non è quella dell’essere come tale, ens ut ens, dell’essere metafisico, ma dell’essere divino e quindi dell’essere assoluto, teologico. Che dalla metafisica si possa passare alla teologia non c’è dubbio, ma ciò si può fare solo passando dalla nozione analogica dell’ente a quella univoca dell’essere assoluto o divino.
Quindi Rahner, respingendo Hegel ma mantenendo l’identità di pensiero ed essere, non può credere di ripararsi così facilmente dall’accusa di idealismo, ma in realtà lo è nella sua essenza più profonda[22], al di là dell’uso di certi termini come il termine «idea». Anche quando esso è sostituito col termine «pensiero», «coscienza», «autocoscienza», «categoriale», «trascendentale», «spirito», «io», «apriori», «soggetto» e simili, che cosa cambia? Non si tratta forse di termini intercambiabili o per lo meno connessi tra di loro?
Basta leggere alcune proposizioni di Rahner per provare ciò che dico. Innanzitutto egli parte da due espressioni improprie. Parla di «essere in genere» e di «essenza dell’essere» e con ciò pretende di riferirsi all’oggetto della metafisica, ignorando che in realtà non è questo il suo oggetto.
Non si tratta dell’essere generico della logica, ma dell’essere reale: e poi non esiste un’«essenza dell’essere». Ma semmai è l’essenza che ha l’essere come suo atto. Certo, possiamo tentare di dire o descrivere che cosa è l’essere, ne abbiamo certamente un concetto, ma non ne possiamo formare una definizione per genere e differenza, perchè in questo caso non esiste un genere superiore al definiendum, in riferimento al quale definirlo. Tutti d’altra parte sanno semplicemente che cosa è l’essere senza bisogno di definirlo, dato che tutti noi usiamo il verbo essere nei nostri giudizi.
Ma veniamo alla sostanza delle tesi di Rahner.
«Nel problema metafisico dell’essere si indaga in primo luogo l’essere in generale. Ciò però significa che l’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza («soggettività», «conoscenza») dell’essere di ogni ente. È questa la prima proposizione dell’ontologia generale che qui c’interessa. … La natura dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in un’unità originaria. … L’essere dell’ente e il conoscere costituiscono un’unità originaria. … L’essere dell’ente e conoscere sono dunque correlativi, perchè nel loro fondo sono per sé tutt’uno. ... L’essere, nella misura in cui è e appare … è il conoscere stesso dell’essere in originaria unità con esso, che “è” poi lo stesso soggetto conoscente. … La natura dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che chiamiamo, dal punto di vista gnoseologico, coscienza di sé. … Essere è per sé conoscere e conoscere è la capacità che ha l’essere, per sua stessa costituzione, di riflettere su se stesso, è la sua soggettività»[23].
Rahner sembra ammettere un essere originario assoluto e divino, nel quale il pensiero coincide con l’essere e un essere derivato, che lascerebbe supporre una distinzione fra pensare ed essere, come avviene nel nostro pensare; quindi un conoscere originario divino e un conoscere derivato di carattere creaturale.
Se così fosse, la tesi rahneriana sarebbe giusta: effettivamente l’essere originario divino, Dio stesso, come unità di conoscere ed essere, dà origine per creazione alla creatura intellettuale, uomo e angelo, per la quale vale la distinzione tra pensiero ed essere.
Ma Rahner lascia il suo discorso aperto sia ad un’interpretazione realistica, analogistica, partecipativa e creazionista e sia ad un’interpretazione monista, univocistica, idealista, panteista o quanto meno immanentista o emanatista.
In che consiste l’essere derivato? È l’ente creato? E l’essere originario chi è? È Dio creatore? E come il derivato deriva dall’originario? Per causalità? Per creazione? Per degradazione? Per esplicitazione? Per affievolimento? Per finitizzazione? Per emanazione? Per discesa? Per rivelazione? Per apparizione? Come l’acqua scaturisce dalla fonte o come i raggi del sole escono dal sole o come semplicemente come il sole appare o come l’artefatto è prodotto dall’artefice?
Rahner non lo spiega. Ma se andiamo a vedere in altri suoi scritti, come egli concepisce la conoscenza umana, eccolo proporci la sua famosa «esperienza trascendentale inconscia preconcettuale dell’essere, di sé e di Dio», che non è altro che l’esplicitazione idealistica, influenzata da Heidegger, del cogito cartesiano, modello che del resto Rahner richiama come paradigma della filosofia moderna, al quale egli ammonisce la Chiesa di attenersi, se non vuole restare indietro nel progresso della storia.
La nozione dell’essere è necessaria
all’edificazione della teologia cristiana
L’opposizione di Scoto a Tommaso circa la questione dell’univocità o analogicità del concetto dell’essere, è estremamente seria, perché la questione è in fin dei conti quella di sapere se e come si può fare di Dio oggetto del nostro pensare e parlare, questione di fondo per due Ordini religiosi, quale quello Domenicano e quello Francescano, entrambi dediti alla predicazione del Vangelo.
L’opposizione fra i due Dottori prima facie non potrebbe essere più netta. Mentre Tommaso afferma che «è impossibile predicare qualcosa di Dio e della creatura univocamente»[24], secondo Duns Scoto se non si fa uso di un concetto univoco dell’essere, è impossibile concepire Dio e parlare di Lui: «Deus non est a nobis cognoscibilis naturaliter nisi ens sit univocus creato et increato» (Ordinatio, I, 3, 1, 3, n.139, pp.86-87).
Probabilmente Scoto non ha capito che cosa intendeva dire Tommaso, mentre questi certamente avrebbe compreso l’istanza di Scoto di evitare l’equivocità. Le ragioni che porta Tommaso per sostenere la predicazione analogica sono pienamente comprensibili e non possono non avere incontrato il favore di Scoto, giacchè Tommaso intende sostanzialmente dire che Dio non possiede le virtù spirituali allo stesso modo e nella stessa misura con i quali li possiede l’uomo: cosa evidente per qualunque uomo ragionevole, se si escludono i panteisti, le cui idee sono la conseguenza in metafisica dell’idealismo.
Si può inoltre osservare che probabilmente Scoto non si è espresso bene e c’è da pensare che la sua intenzione di elaborare un concetto dell’ente che consenta di concepire Dio e di parlare convenientemente di Lui era la medesima di quella di San Tommaso. Attestano queste cose la sapienza dei suoi scritti di teologia e la santità della sua vita.
Se infatti egli avesse veramente concepito Dio in un senso univoco a quello delle creature avremmo avuto un panteista come Spinoza o Fichte o Schelling o Hegel o Gentile o Severino. La nozione dell’ente, presa come suona, si presta effettivamente ad un’applicazione panteistica, cosa invece del tutto impossibile alla nozione analogica di San Tommaso. Non per nulla i panteisti e gli atei hanno in abominio l’analogia dell’ente e vedono con simpatia quella univocista perché dà spazio alle loro aberrazioni.
Quello che meraviglia in Scoto è come mai non gli è venuto in mente di badare allo stesso insegnamento biblico molto chiaro in proposito, là dove nel libro della Sapienza si nota come «dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore» (Sap13,5) e dove si parla dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Oltre a ciò infiniti sono i paragoni che la Scrittura fà tra l’essere divino e quello delle creature, in particolare tra le virtù umane e quelle divine. E che cos’è tutto ciò se non l’applicazione del metodo dell’analogia?
Altra cosa che stupisce in Scoto è come mai non ha pensato di studiare a fondo la ricca dottrina di San Tommaso sull’analogia, come facevano i suoi discepoli e come avrebbero fatto fino ai nostri giorni con sviluppi fecondi di questa dottrina, utilissimi per il lavoro teologico e per la predicazione[25].
Ci si può inoltre domandare come a Duns Scoto possa esser venuta in mente l’idea dell’univocità dell’ente in un clima come quello cristiano, la cui ispirazione biblica ha sempre favorito l’analogia dell’essere. Da dove o da chi lo Scoto abbia tratto quell’idea pericolosa. Può essersi trattato di una reazione eccessiva a certe tendenze esageratamente apofatiche di certi teologi del suo tempo. Ammiratore com’era di Avicenna, è possibile che l’abbia ricavata dalla sua concezione dell’essenza. Ma avrebbe dovuto essere più prudente, trattandosi di un musulmano la cui mistica facilmente può condurre al panteismo. Certo anche Aristotele era un pagano; tuttavia nella concezione dell’ente egli si trova in speciale consonanza con la Bibbia. E Tommaso se ne era accorto.
La tesi dell’univocità dell’essere impedisce a Scoto di concepire Dio come puro essere, atto puro non misto a potenza[26]. Infatti per Scoto la purezza non appartiene in primis all’essere divino, ma al concetto dell’essere come tale, concetto effettivamente semplicissimo, ma che nella sua indifferenza può essere applicato sia a Dio che all’ente finito.
Per questo a Scoto, per distinguere l’essere divino da quello creato, non basta la nozione dell’essere, che per lui è univocamente comune sua a Dio che alla creatura, ma sente il bisogno di aggiungere l’attributo dell’infinità. Questo è un atto certamente lodevole di Scoto, che lo preserva dall’accusa di panteismo (l’essere è uno solo ed è Dio, quindi tutto è Dio), e tuttavia testimonia che Scoto non si rende conto che per definire l’essere divino non c’è bisogno di aggiungere l’infinità alla nozione dell’essere, perché Dio è l’Essere sussistente e quindi puro Atto d‘essere, come aveva spiegato bene San Tommaso, commentando Es 3,14. Per questo Tommaso osserva come l’attributo fondamentale ed esclusivamente proprio dell’essere divino è la sua semplicità, ossia il non essere composto come noi di essenza ed essere, e di potenza ed atto.
È chiaro, osserva l’Aquinate, che Dio è infinito. Ma da dove nasce questa infinità? Che cosa significa? Significa appunto che Dio è puro essere, non è altro che essere non limitato da una data e determinata essenza (poter-essere Giovanni e non Francesco), come avviene in noi, essenza limitata che restringe l’illimitata vastità della ratio essendi, secchiello, che, per così dire, non può contenere tutta l’acqua del mare, ma solo quanta ne è capace di contenere.
Non c’è alcun dubbio comunque che esiste un concetto univoco dell’essere, che nulla ha a che vedere con quello parmenideo o spinoziano o severiniano o hegeliano, principio di panteismo o monismo metafisico, una nozione dell’ente dal significato unitario, notissimo, semplicissimo e indeterminato, il più ampio di tutti i concetti, predicabile di tutto, astratto da tutto.
Si tratta dell’ente comune generico, che però dev’essere ben distinto dall’ente in quanto ente, trascendentale, sovragenerico, sovracategoriale, tendenzialmente uno (pros en), proporzionalmente e gradualmente plurimo e diversificato (pollacòs legomenon). Questa è la nozione analogica dell’ente. La prima serve come nozione originaria, come ente di ragione, introduttiva alla seconda funzionale alla realtà, la nozione fondamentale del realismo.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 5 dicembre 2022
Severino si può qualificare come idealista in quanto egli non è solo univocista in gnoseologia, ma monista in metafisica.
Per lui il concetto dell’essere è uno perché identico all’essere che è uno. In questo senso per lui il pensiero s’identifica con l’essere. Per Severino ogni essere è l’Essere.
È chiaro, osserva l’Aquinate, che Dio è infinito. Ma da dove nasce questa infinità? Che cosa significa?
Significa appunto che Dio è puro essere, non è altro che essere non limitato da una data e determinata essenza (poter-essere Giovanni e non Francesco), come avviene in noi, essenza limitata che restringe l’illimitata vastità della ratio essendi, secchiello, che, per così dire, non può contenere tutta l’acqua del mare, ma solo quanta ne è capace di contenere.
[1] Così lo definì Schelling nel suo trattato Sistema dell’idealismo trascendentale, Edizioni Laterza, Bari 1990.
[2] Enciclopedia delle scienze filosofiche. Op.cit., in compendio, Edizioni Laterza, Bari 1968, p.83.
[3] Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze, vol. II p. 120.
[4] Scienza della Logica, Edizioni Laterza, Bari, 1984, p.29.
[5] Ibid., p.43.
[6] Ibid., p.663.
[7] È il cogito cartesiano interpretato da Fichte.
[8]Logica, op.cit., p.652.
[9] Ibid., p.658.
[10] Ibid., p.143.
[11] Ibid., p.148.
[12] Ibid., p.859.
[13] Ibid., p.31.
[14] Ibid., p.654.
[15] Ibid., p.860.
[16] Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Edizioni Laterza, Bari 1968, p.430.
[17] Ibid., p.167.
[18] Sotto forma di panteismo, al Concilio Vaticano I, in quanto il panteismo è lo sbocco metafisico della gnoseologia idealista.
[19] Introduzione a Cartesio, Discorso sul Metodo, Editrice La Scuola, Brescia 1957, p. XVII.
[20] Ibid.
[21] L’essenza del nichilismo, Edizioni Adelphi, Milano 1995, p.58.
[22] Tutti gli idealisti dichiarati riconoscono che il principio fondamentale dell’idealismo è l’identità o unità del pensiero con l’essere. Per questo, chi sostiene questa identità è con ciò stesso un idealista, anche se non lo vuol riconoscere o non lo sa.
[23] Uditori della parola, Edizioni Borla, Roma 1977, pp.66-70.
[24] Sum. Theol.,I, q.13,a.5.
[25] Cf per esempio il poderoso lavoro di Padre Tomas Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.
[26] È, questa, la Seconda delle famose XXIV Tesi della filosofia tomista preparate da Guido Mattiussi,SJ, approvate da S.Pio X come regola per l’insegnamento del tomismo nelle scuole della Chiesa, edizione dell’Università Gregoriana, Roma 1947.
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