Appartenenza spirituale e appartenenza giuridica a un Istituto religioso - Dedicato ai giovani alla ricerca della loro vocazione - Prima Parte (1/3)

 Appartenenza spirituale e appartenenza giuridica

a un Istituto religioso

Dedicato ai giovani alla ricerca della loro vocazione

Prima parte (1/3)

 

Ne costituì dodici

Mc 3,16

Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto

Gv 1,11

Che cosa è un Istituto religioso?

 

Un Istituto religioso è un’associazione di fedeli guidata da legittimi superiori, intenzionati a praticare i consigli evangelici secondo una determinata finalità fissata dal fondatore dell’Istituto con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, la quale garantisce che la regola dell’Istituto è una via autentica di perfezione evangelica.

Un Istituto religioso nasce sempre da un movimento spontaneo avviato dal fondatore nel perseguire un fine di carità per il bene della Chiesa. Questi fini variano a seconda del progetto del Fondatore. Per avere la certezza che questa iniziativa operi effettivamente per la salvezza delle anime, il Fondatore o suoi successori chiedono e, quando va bene, ottengono dopo un tempo più o meno lungo di attesa, l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, che può essere il vescovo del luogo per le iniziative locali e può essere la S.Sede per quelle iniziative che intendono mettersi al servizio della Chiesa intera.

La sorte comune a lungo andare a tutti gli Istituti religiosi in questa vita terrena segnata dal peccato, anche di quegli Istituti che maggiormente si distinguono per la santità eminente del fondatore, per la bontà del loro mezzi, del loro fine e della loro regola, per la saggezza delle sue osservanze, nonché per la forza e  fervore del loro slancio iniziale, vanno, col passar del tempo, soggetti a un calo del fervore, ad un annebbiamento ed abbassamento dell’ideale perseguito, che perde la sua purezza mescolandosi ad impurità, ad una diminuzione dello zelo, ad un indebolimento della loro efficacia apostolica, ad un imbarbarimento dei costumi, ad una trascuratezza delle osservanze, a compromessi col mondo.

Grande responsabilità hanno superiori e formatori nel mantenere l’Istituto nella fedeltà al carisma del fondatore e in comunione con la Chiesa, nell’esplicitarne le virtualità a seconda delle necessità dei tempi e dei luoghi, nel promuoverne la santità nel correggere deviazioni ed abusi.

In particolare devono vigilare con molta prudenza al fine di accogliere nell’Istituto elementi veramente degni ed adatti, mettendoli sapientemente alla prova, e nel respingere richieste inopportune. Devono saper promuovere le vocazioni presentando l’Istituto in modo da renderlo attraente senza nasconderne le difficoltà e le austerità.

In particolare devono saper opportunamente correggere i membri dalla cattiva condotta o dalle idee sbagliate e dimettere gli elementi in formazione che si rivelano inadatti e, quando è il caso e per gravi motivi, espellere o far espellere dall’Istituto i membri che abbiano gravemente tradito gli ideali o contravvenuto alla regola dell’Istituto o commesso gravi delitti o nel campo dottrinale o nel campo morale.

Cartina di tornasole per la verifica della bontà di un Istituto religioso è la carità fraterna che vige fra i suoi membri, è l’unione dei cuori nella comune ricerca di Dio e volontà di servire il prossimo secondo il fine dell’Istituto. Tutte le regole, le osservanze, tutta la disciplina operante in un Istituto sono finalizzati alla promozione della carità fraterna, che è «il vincolo della perfezione» (Col 3,14).

Purtroppo la debolezza umana si manifesta negli Istituti col raffreddarsi della carità fraterna. Essa rischia di inaridirsi in un freddo, monotono e ripetitivo ritualismo o giuridismo liturgico o comunitario, dove abbonda l’individualismo, è frequente la proprietà privata, mancano la stima e la sopportazione reciproche, scarseggiano le virtù umane, oppure si insiste troppo sull’umano e poco sul soprannaturale, sicchè si finisce nel secolarismo e nella mondanità.

Vengono in mente le tremende e sarcastiche osservazioni di Voltaire sulla vita dei religiosi: «s’incontrano senza scegliersi, convivono senza amarsi, si lasciano senza rimpiangersi». Purtroppo a volte c’è del vero. Ed è chiaro che una condotta del genere non è precisamente la migliore per attirare vocazioni, poiché è noto che i giovani oggi sono comunemente attratti dall’aggregazionismo e dallo stare assieme.

Solitamente infatti l’associazionismo piace ai giovani, i quali, però, alla disciplina ed organizzazione giuridica degli Istituti preferiscono i cosiddetti «movimenti» o gruppi spontanei, che hanno una certa fluidità, senza regole o membri fissi, con capi che non sono frutto di elezioni, ma s’impongono spontaneamente per le loro doti di leader e di organizzatori, ma non sono eletti dai membri, persone che attirano la simpatia e sono abili nel coagulare attorno a loro il consenso generale della maggioranza. Non sono richiesti impegni stabili, formali o espliciti: uno entra quando vuole ed esce quando vuole. Esiste eventualmente una cassa comune, ma senza obblighi fissi e senza controlli. Ciò dà ai giovani una sensazione di libertà.

Non c’è dubbio che anche questi movimenti o gruppi – sono a volte gruppi parrocchiali – fanno del bene e sono educativi, soprattutto se i dirigenti sono persone sagge e capaci. Però è chiaro che dal clima e dallo stile dei movimenti al livello dell’Istituto religioso c’è un bel salto. Nei movimenti non si parla di vocazione, benché possano essere animati da spirito cattolico e da amore alla Chiesa. Il pensare a un Istituto nasce nel cuore del giovane, quando comincia a pensare di fare proprio sul serio, quando si pone seriamente il problema del senso della sua vita davanti a Dio. È a questo punto che il giovane si pone il problema della sua vocazione ed eventualmente una vocazione religiosa. 

Ora indubbiamente un Istituto religioso efficiente nella sua testimonianza concreta nella Chiesa, nella società e nella storia, è un segnale, un richiamo, un’occasione, una chance, un appello, un’opportunità, un invito per i giovani alla ricerca della loro vocazione.

Esso deve saper proporre occasioni d’incontro, deve saper impiegare membri particolarmente capaci nel far conoscere l’Istituto e nell’attirare i giovani con iniziative a loro adatte, deve offrire possibilità di accoglienza e di ospitalità per brevi esperienze di come vivono le comunità dell’Istituto.

Che cosa è la vocazione religiosa

 Molto importante far sapere ai giovani in ricerca che cosa è la vocazione religiosa o sacerdotale, come nasce, quali sono i segni di riconoscimento, quali sono i criteri per il suo discernimento, a quali condizioni e che cosa fare per dare ad essa un’adeguata risposta, come si diventa membri effettivi di un dato Istituto o del clero diocesano, come essa vada coltivata e quali sono i mezzi per esserle fedeli.

Mi fermerò qui a trattare l’argomento specifico che mi sono proposto: che cosa significa appartenere a un Istituto religioso, e come un giovane può giungere a tale appartenenza e come la si può perdere. Quanto dirò si potrà applicare, mutatis mutandis, anche all’ingresso in Seminario, ma per ragioni di concretezza, mi limiterò a trattare della vocazione religiosa, che è quella che corrisponde al mio stato di vita di Domenicano dal 1971.

Infatti la semplice chiamata al sacerdozio non coincide con la chiamata alla vita religiosa, perché si può essere sacerdoti senza essere religiosi e si può essere religiosi senza essere sacerdoti. Parlerò pertanto della vocazione religiosa, che è quella conosco per esperienza da 50 anni, sia essa sacerdotale sia essa non sacerdotale. A questo proposito l’esegesi tradizionale parla di «consigli evangelici» e di «voti». Ma bisogna capire bene di che cosa si tratta.

Episodio emblematico è il famoso dialogo di Gesù col giovane ricco (Mt 19, 16-22). In questo episodio appare il caso di un giovane che osserva i comandamenti, ma che Gesù non giudica ancora «perfetto». Il giovane comprensibilmente si stupisce e chiede a Gesù che cosa gli manca. Ed abbiamo la famosa risposta di Gesù: «Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (v.21).

Sembra dunque che Gesù chieda a questo giovane di fare qualcosa di più dell’osservare i comandamenti. Ma ecco che questo qualcosa di più è in realtà fondamentale: seguire Cristo, senza di che uno non solo non è perfetto, ma neppure si salva. Che cosa intende dire Gesù? Infatti, se io fossi stato quel giovane, avrei detto al Signore: «Ma Maestro, il seguirti non consiste appunto nel seguire i comandamenti?».

A questo punto l’esegesi tradizionale immagina che Gesù intenda dire: «Sì, caro giovane. Ma io ti do solo un consiglio, non un ordine». E il giovane avrebbe potuto dire: «Come!? Seguirti sarebbe solo un consiglio e non la condizione per salvarsi?», A questo punto ci accorgiamo che in questa tesi dei «consigli» c’è qualcosa che non funziona. In realtà Gesù non dà a questo giovane un consiglio, ma un ordine.

Quando infatti diamo un consiglio ad uno, gli diciamo: ti consiglio di fare così, tuttavia non sei obbligato. Decidi tu. Fa’ come preferisci. Se invece ci teniamo a che egli faccia quello che vogliamo per il suo bene, soprattutto come superiori, insegnanti o educatori, gli diamo un comando: se vuoi salvarti l’anima, devi fare così!

Ora in realtà questa parola «consigli» per designare la vocazione religiosa, secondo me, è equivoca, inadeguata e infelice, perché il giovane che avverte veramente di essere chiamato alla vita religiosa, sente la voce di Dio non come un consiglio, ma un comando perentorio: fa’così, se vuoi salvarti l’anima.

È vero che Gesù dice al giovane ricco: «se vuoi essere perfetto»; ma è come se gli dicesse: se vuoi salvarti. Altri magari si salveranno anche senza ricevere quel comando «vieni e seguimi». Ma Gesù aveva capito che quel giovane aveva la vocazione. E per questo gli rivolge un comando, che non rivolge ad altri, anzi altri che gli promettono di seguirlo dovunque, li respinge (Mt 8,20). Si vede che non avevano vocazione e che si illudevano.

In sostanza Gesù intendeva dire al giovane: «Sì, certo, è vero che chi non mi segue, non si salva. Ma quello che io intendo dire a te in modo speciale e privilegiato è che se tu non mi segui in questo modo eccelso che io ti propongo e questa è la vocazione religiosa, tu non ti salvi». Per questo il parlare di consiglio è sviante e sarebbe meglio parlare di ordine perentorio, naturalmente nel caso particolare di quel giovane e non per tutti gli uomini.

Lutero qui fraintende. Egli capisce che seguire Cristo in modo assoluto non è affatto un consiglio, ma è questione di eterna salvezza. Solo che alcuni, sentendosi chiamati da Cristo, decidono di seguirlo. A questo punto appare evidente il fatto che Lutero ha respinto o ripudiato, proprio lui monaco, la vita religiosa, che è un modo superiore di seguire Cristo, ed è solo per alcuni prediletti da Dio, e non per tutti. Perché?

Innanzitutto vediamo il fatto, enunciato da Gesù stesso nella casistica degli eunuchi (Mt 19, 11-12). All’obiezione di Pietro che, viste le ardue condizioni del matrimonio, ritiene che non conviene sposarsi, Gesù non ribatte dicendo che non è vero e che è ottima cosa sposarsi, ma prende l’occasione per dire che alcuni sono chiamati a rinunciare al matrimonio per il regno dei cieli.

A questo punto Lutero osa contraddire Cristo ed obbietta: «Perché mai? Non ha forse Dio creato l’uomo e la donna perché siano una sola carne?». Ma Gesù gli risponderebbe: «Caro Martino, vuoi che io non lo sappia? Li ho creati io! Ma io mi riferisco al fatto che, a causa della concupiscenza conseguente al peccato originale, che tu conosci bene, purtroppo spesso uomo e donna, invece di integrarsi vicendevolmente, sono l’uno per l’altra una tentazione alla lussuria, per cui chi vuol essere più libero da queste tentazioni e seguirmi più da vicino, sente il bisogno di rinunciare al matrimonio. Del resto essi potranno essere felici assieme alla risurrezione, dove, cessata la riproduzione della specie, il loro unico compito sarà quello di volersi bene».

Gesù fa un’ulteriore precisazione quando dice: «Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, toglilo» (Mt 5,29). Come a dire: siccome il vederci è cosa buona e necessaria alla vita, nel caso che il tuo occhio non ti scandalizzi o tu sia capace di superare lo scandalo, mi raccomando: conserva pure il tuo occhio e godi del piacere della vista!  Similmente, la limitazione del rapporto uomo-donna proprio della vita religiosa è motivata dal bisogno di una maggiore libertà dalle tentazioni della lussuria, ma proprio in vista di un più intimo rapporto spirituale reciproco fra uomo e donna[1].

Invece Lutero è rimasto chiuso in una visuale puramente terrena dell’amore fra uomo e donna, semplicemente orientato alla riproduzione della specie e non si è accorto, come San Tommaso[2] aveva intuìto tre secoli prima, che l’amore fra uomo e donna splenderà più vivo che mai alla futura risurrezione, quando sarà cessata la riproduzione della specie.

In tal senso Cristo dice che allora non si sarà più matrimonio (Mt 22,30). Ma Egli non esclude affatto che permanga anche lassù la differenza dei sessi.  Per questo, una delle finalità della vita religiosa è appunto quella di presentare alle coppie sposate di questo mondo il modello, sin da quaggiù, di come sarà l’amore fra uomo e donna lassù.  Lassù anche gli omosessuali saranno liberati dal loro vizio e potranno aver chiara la loro vera identità sessuale di uomo o donna, creati e fatti l’uno per l’altra  e goderne per tutta l’eternità.

Occorre allora fare una verifica

Questo è un fatto può capitare ad alcuni prediletti da Dio, per cui è bene che il giovane incerto su questo punto o che ha il sentore che sia il suo caso, faccia un’attenta verifica sotto la guida di un buon sacerdote o in un apposito centro vocazionale. Deve misurare le sue forze. Se sente un’alta aspirazione, è una bella cosa, ma se si accorge che Dio non gli ha dato le forze per soddisfarla, si accontenti quanto può fare, perchè questa sarà per lui la via della perfezione e della santità.

Indubbiamente, soprattutto in passato, ci sono stati numerosi casi di ragazzi di 12 o 13 anni, i quali – a sentire il loro racconto – hanno deciso di farsi frate come se la cosa dipendesse solo da loro, senza pensare al fatto che per essere certi non dico della vocazione, ma di diventare giuridicamente frati in quell’Ordine, avrebbero dovuto poi essere vagliati ed ufficialmente accolti in quell’Ordine. E il bello è che alcuni di questi hanno fatto un’ottima riuscita restando fedeli per  tutta la vita. Ma certo, queste grazie sono molto rare, soprattutto al giorno d’oggi.

Il giovane inoltre deve sapere che la scelta religiosa non è una via semplicemente diversa, ma è, per espresso insegnamento della Chiesa,[3] superiore a quella laicale, matrimoniale o secolare. Superiore vuol dire che in se stessa è una via più spedita, benché richieda maggiori sacrifici, e più spiritualmente gratificante perché purifica la sguardo dello spirito, fortifica la fede, aumenta la carità, libera maggiormente dai legami col mondo, dalle tentazioni della carne e dalle insidie del demonio, facendo meglio gustare sin da questa vita le primizie della risurrezione.

Il fermarsi a parlare di «diversità» non basta a capire la vera differenza, perché diversità si ha semplicemente tra vocazioni allo stesso livello di perfezione e ed efficacia santificante, come per esempio tra Francescani e Domenicani e Gesuiti. Ma qui si tratta di due livelli, uno inferiore, quello secolare e l’altro, superiore, di mezzi per ottenere una più alta fecondità e libertà spirituali.

Esistono diverse forme di vita religiosa

Semmai si potrà e si dovrà  parlare, con S.Gregorio Magno, all’interno della vita religiosa della superiorità della vita contemplativa su quella attiva per il fatto che la prima si concentra maggiormente sull’Unum Necessarium, ossia Dio (cf Lc 10, 38-42), mentre la vita attiva si pone nell’orizzonte della molteplicità («ti preoccupi e ti agiti per molte cose», Lc 10,41), sia pur naturalmente ordinandole a Dio.

La finalità di Ordini monastici come quello di S.Benedetto, di S.Agostino, di S.Bernardo e del Carmelo[4] è quindi superiore a quella di Ordini di vita attiva come i Domenicani e i Francescani o quella di un Istituto come la Compagnia di Gesù. Infatti, mentre i primi Ordini o Istituti hanno per fine quello di condurre le anime alla contemplazione di Dio, che è il fine ultimo della vita umana, gli altri hanno per fine l’evangelizzazione intesa come predicazione teologica (Domenicani) e predicazione morale (Francescani), oppure la promozione dell’azione e della civiltà cattoliche (Gesuiti), che è solo l’introduzione alla divina contemplazione.

Invece, mentre di San Domenico si dice che o parlava di Dio o parlava con Dio, di Sant’Ignazio si dice che era contemplativus in actione. Per questo San Tommaso dice che mentre è riprovevole tradire la propria professione religiosa per tornare nel mondo, è lodevole passare dalla vita religiosa attiva a quella contemplativa.

Importante è anche la differenza-reciprocità tra i «due polmoni» per dirla con San Giovanni Paolo II, fra monachesimo orientale di San Basilio e monachesimo occidentale di San Benedetto: il primo, accessibile anche al cattolico, accentua maggiormente l’apofatismo mistico di Dionigi l’Areopagita; il secondo accentua maggiormente l’ospitalità e il lavoro: «ora et labora». Al giovane che aspira alla vita monastica, sono aperte, in linea di principio, queste due possibilità.

Pericolosa invece è l’attrattiva esercitata su alcuni giovani dalla spiritualità induista, buddista, taoista o zen, per il fatto che qui il monaco vive una vita semplice, sobria e regolata, si esercita nella rinuncia a desideri dannosi, cerca la libertà dello spirito e il dominio delle passioni, è compassionevole verso le miserie del prossimo, rifugge dalla violenza ed ama la pazienza e la mitezza.

Tuttavia l’impostazione di fondo della spiritualità è sbagliata perché il monaco non si avverte come la creatura di un Dio trascendente, legislatore della sua condotta, donatore della grazia e rivelatore della via della sua salvezza. Non si avverte come creatura creata ad immagine di questo Dio, un Dio personale col quale entrare in colloquio, ascoltarlo e parlargli.

No. Ma se di Dio si può parlare, questo Dio non è altro che il fondo assoluto, infinito ed ineffabile del proprio io empirico, il quale pertanto, non è un io personale materiale, distinto da Dio, col quale entrare in un rapporto interpersonale, ma non è altro che l’apparire effimero e transeunte, apparenza  illusoria e passeggera, del proprio vero Io, che è l’Io assoluto, mentre l’io corporeo fatto di polvere, è destinato a tornare in polvere.

Ciò sembrerebbe avere un sapore biblico, ma non è così, perchè in queste spiritualità non esiste la risurrezione del corpo, anzi occorre liberarsi dal corpo, perché esso è ostile allo spirito, e quindi l’io corporeo del monaco è destinato al nulla o ad essere riassorbito dall’Io assoluto, unica vera realtà, della quale l’io corporeo non è che un’apparizione concreta, storica, sensibile e contingente.

Dal sec. XVI che vede Sant’Ignazio fondare la Compagnia di Gesù non è più sorto nessun grande fondatore di nuovi Istituti religiosi. Cionondimeno i suddetti Istituti mantengono oggi più che mai pienissima la loro ragion d’essere in considerazione dei gravissimi mali dai quali oggi è afflitta la Chiesa e delle immense possibilità di progresso che sono offerte dagli insegnamenti e dalle direttive del Concilio Vaticano II, il quale conferma in pieno i carismi di tutti questi grandi Fondatori ed ordina semplicemente di ravvivarli e renderli maggiormente operativi, conformemente alle necessità e alle possibilità del nostro tempo.

L’unica grande novità dell’epoca moderna in fatto di consacrazione religiosa sono gli Istituti secolari sorti nel secolo scorso ed approvati da Pio XII sotto il titolo della consecratio mundi, come l’Opus Dei fondato dal Beato Escrivà de Balaguer, il Movimento dei Focolari fondato dalla Serva di Dio Chiara Lubić o il Movimento di Comunione e Liberazione fondato da Don Luigi Giussani.

Queste grandi associazioni di persone consacrate a Dio e alla Chiesa mostrano la conciliazione della laicità con la santità e in particolare la possibilità e il dovere di costruire il regno di Dio iniziando già da questo mondo, senza con ciò affatto escludere il dovere di guardarsi da questo mondo e d vincere il mondo, che è una nota più caratteristica degli Ordini precedenti al sec. XVI.

Tutto ciò naturalmente non vuol dire che ogni religioso sia più santo di ogni laico, perché può capitare benissimo che il laico che sa utilizzare al massimo e con zelo i mezzi che ha a disposizione, superi nella «corsa allo stadio» (cf I Cor 9,24) il religioso pigro, negligente, neghittoso, accidioso, tiepido e trascurato, che non usa o usa male i preziosi mezzi che ha a sua disposizione. In tal modo questi arriva a mani vuote, mentre quegli consegna i frutti del suo lavoro.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 23 marzo 2021

Episodio emblematico è il famoso dialogo di Gesù col giovane ricco (Mt 19, 16-22). 

In questo episodio appare il caso di un giovane che osserva i comandamenti, ma che Gesù non giudica ancora «perfetto». 

Il giovane comprensibilmente si stupisce e chiede a Gesù che cosa gli manca. 

Ed abbiamo la famosa risposta di Gesù: «Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (v.21).

Immagine da internet


[1] Cf il mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2008.

[2] Cf il mio articolo LA CONDIZIONE DELLA SESSUALITA’ UMANA NELLA RESURREZIONE SECONDO S.TOMMASO, Sacra Doctrina, 92, 1980, pp.21-146.

 

[3] Già nel 390 Papa Siricio condannò Gioviniano che negava la superiorità della verginità sul matrimonio.

[4] Fondato dal Alberto di Vercelli, vescovo latino di Gerusalemme, agli inizi del sec.XII.

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