La stravagante Messa di Don Mattia Bernasconi

La stravagante Messa di Don Mattia Bernasconi

Tutti sappiamo del grande rumore che ha sollevato la notizia della Messa celebrata da Don Mattia Bernasconi nelle acque della spiaggia di Crotone. Il fatto ha provocato un intervento di disapprovazione della Curia crotonese opportuno, ma secondo me troppo blando, che non lascia trasparire la situazione di profondo disagio spirituale che fa da sottofondo a fenomeni del genere, disagio che oggi sta colpendo in modo drammatico, con impressionanti lacerazioni intestine, il cuore stesso della vita cattolica ecclesiale, l’esercizio della liturgia e del culto divino.

Tutti sono al corrente della dolorosissima divisione che da 60 anni contrappone i seguaci del vetus ordo ai fedeli frequentanti il novus ordo secondo le direttive infinite volte ripetute dai Papi del postconcilio. È mai possibile che proprio al cuore della pietà cattolica, fons et culmen totius vitae christianae, dobbiamo assistere a questo strazio, al quale tuttora non si riesce a trovare rimedio, tanta è l’ostinazione e la presunzione da una parte degli «indietristi», come li chiama Papa Francesco e dall’altra parte dei modernisti falsificatori del novus ordo?

Don Mattia, dal canto suo, ha pubblicato un comunicato nel quale professa le sue buone intenzioni e motiva la scelta col bisogno di trovare un rimedio al grande caldo; ma io mi domando quale rimedio è stato lo stare sotto il sole cocente di Crotone per tutta la durata della Messa ed oltre. Buona è stata l’idea di chiedere perdono ai fedeli, ma è difficile allontanare il forte sospetto che obbiettivamente, a parte la buona fede di Don Mattia, egli abbia voluto fare l’originale ed abbia mancato di quella prudenza che avrebbe dovuto fargli prevedere le reazioni dei fedeli al suo gesto.

Celebrare o ascoltare Messa non è un dovere tale che possa giustificare la messa in atto o la presenza di iniziative o circostanze così insolite o strane da far apparire la Messa come uno spettacolo bizzarro privo di quella compostezza, serietà, sacralità e dignità che si addicono ad un atto liturgico o di culto divino. Non si trova un posto decente per celebrare Messa? Si rinuncia alla Messa! Meglio nessuna Messa che il prendere in giro la Messa!

Per giustificare forme di celebrazione che si discostano profondamente dalle norme del cerimoniale o impediscono l’osservanza delle rubriche, salvando l’essenziale, occorrono motivazioni estremamente gravi, pari alla responsabilità di allontanarsi così profondante dall’osservanza delle norme liturgiche. 

Così per esempio si narra delle circostanze eccezionali nelle quali il Beato Giuseppe Girotti celebrava nel campo di sterminio di Auschwitz o Don Gnocchi tra i prigionieri in Russia o un mio confratello Padre Giorgio Vesely in una prigione nazista. Ma qui siamo di fronte all’eroismo. Quale eroismo troviamo nel gesto di Don Mattia? Quale eroica impresa è stata quella di celebrare una simile Messa, ammesso che fosse valida?

O non abbiamo piuttosto l’impressione di una bravata, tanto più biasimevole in quanto messa in ridicolo di quel Sangue col quale Cristo ha lavato i peccati dell’umanità? Ha capito la sconvenienza del gesto la Procura di Crotone e non l’ha capito colui che più di ogni altro dovrebbe essere in grado di giudicare della dignità della celebrazione della Messa, dico Don Mattia?

Dall’epoca di Lutero la Messa all’interno della Chiesa è sotto gli attacchi dell’empietà provenienti dall’eresia. La Messa, come è noto, ha cominciato ad essere oggetto di disprezzo e fraintendimento come atto magico e di superstizione da parte di una setta ereticale sorta dall’interno stesso della Chiesa cattolica. Lutero, però, dopo aver giudicato che la Messa non è l’attualizzazione del sacrificio di Cristo, ma un atto idolatrico di presunzione umana, ha coerentemente cessato di dir Messa. Ma oggi ci sono preti, teologi e liturgisti che sulla Messa hanno le stesse idee di Lutero. Con quale coerenza continuano a dir Messa?

Dai tempi di Lutero la Messa, con l’avvento dell’illuminismo settecentesco, ha cominciato ad essere oggetto d’irrisione e di disprezzo anche da parte di un mondo razionalista dichiaratamente contrario alla fede cristiana.  Ma alle radici di questo fenomeno, ancor più a monte del rigetto della fede cristiana, che pur resta in Lutero, possiamo notare l’estinguersi dell’idea di religione come virtù.

Si può dire peraltro che le prime avvisaglie di questa disistima per la religione in se stessa, a prescindere dal suo essere cristiana o non cristiana,  si notano già in Lutero quando egli rifiuta la Messa come sacrificio. Ora l’offerta del sacrificio è la caratteristica di tutte le religioni sin dall’antichità, siano pagane o si tratti del popolo d’Israele di biblica memoria.

Lutero e ancor più l’illuminismo concepiscono un’etica dove la religione, nel suo proprio significato di culto divino o di offerta a Dio del sacrificio espiatorio, non ha più posto, è vista come segno di soggezione a un Dio crudele o arbitrario  o come azione servile, autolesionista o come scarico di coscienza meschinamente adulatrice ed interessata[1].

Io penso che nel modo di celebrare la Messa, a parte le iniziative personali del celebrante che utilizzano spazi consentiti dalle rubriche, cose senz'altro ammissibili, si possano accettare o comprendere anche gesti che denotano distrazioni, dimenticanze, errori o fretta o scarso fervore o eccessive lungaggini o inutili sdilinquimenti, sempre nel rispetto delle norme essenziali della celebrazione.

E' chiaro che una celebrazione può benissimo essere valida e fruttuosa anche in assenza, per giustificati o comprensibili motivi, di elementi convenienti ma accidentali come per esempio il luogo, certi oggetti liturgici e le vesti sacre o la solita forma delle oblate o la presenza del Messale.

Ma è altrettanto chiaro che in queste assenze esiste un limite invalicabile di decenza, legittimità, convenienza o sacralità, al di sotto del quale diventa ipocrisia la pretesa di salvare la sostanza rinunciando alla forma, perchè qui va perduta e la forma e la sostanza.

Infatti gli accidenti contingenti o convenzionali di una sostanza - qui un'azione liturgica - possono mancare senza che manchi la sostanza.  Ma se la loro assenza supera un certo limite, non può nascere il timore che l'azione liturgica, se non proprio invalida, divenga illecita, sconveniente e addirittura scandalosa e controproducente?

E qual è questo limite? E' un minimo di elementi convenzionali ufficiali e tradizionali, al di sotto dei quali non è più possibile parlare di celebrazione eucaristica valida o quanto meno lecita e la celebrazione si trasforma in uno spettacolo profano o in una presa in giro della Messa o in una buffonata.

Penso pertanto che la degradazione o deformazione del modo di celebrare possa scendere ad una soglia di tollerabilità, al di sotto della quale può sorgere l'impressione o il sospetto che il celebrante non celebri per convinzione ma per esibizionismo, non creda a quello che fa ma finge, non abbia il dovuto rispetto per la Messa ma se ne prenda gioco, trasformi il sacro in profano ed anzi cada nel sacrilegio, l’impressione che alla pietas sostituisca l'empietas, così da offendere il comune senso religioso e lo stesso diritto alla libertà religiosa, sì da recare vilipendio alla religione, secondo gli estremi che sono stati ravvisati dalla magistratura conformemente al dettato del codice penale italiano.

Ma a questo punto secondo me il giudizio  del vescovo, ben più importante, dovrebbe affiancare quello del magistrato e dargli il dovuto fondamento teologico, che non si può pretendere dal magistrato, e cioè il vescovo dovrebbe chiedersi se per caso una sceneggiata come quella di Don Mattia o casi simili, che sono in aumento, non sia dovuta al fatto che il prete non ha un retto concetto della Messa o è stato invalidamente ordinato in base per esempio al concetto rahneriano eretico di sacerdozio.

In base a ciò il vescovo dovrebbe prendere gli opportuni provvedimenti sospendendo per esempio temporaneamente il prete a divinis e ordinandogli di partecipare ad un opportuno corso di aggiornamento liturgico. Nel contempo dovrebbe proporre a preti e fedeli degli esempi di celebrazioni come quelle fatte da preti Santi, come per esempio San Pio da Pietrelcina o San Giovanni Maria Vianney.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 luglio 2022


 

Lettera all’Arcivescovo, ai Vicari episcopali, ai miei confratelli e a tutti i fratelli e sorelle nella Fede:

Chiedo scusa: 

https://www.parrocchiasanluigi.it/2022/07/27/chiedo_scusa/ 


Immagine da Internet

[1] Cf E. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Editori Laterza, Bari 1985, pp.110, 126,187, 191, 199.

8 commenti:

  1. Caro padre, del Vescovo lei scrive giustamente: "Nel contempo dovrebbe proporre a preti e fedeli degli esempi di celebrazioni come quelle fatte da preti Santi, come per esempio San Pio da Pietrelcina o San Giovanni Maria Vianney...". Ma questi che lei suggerisce sarebbero esempi di Vetus Ordo, celebrazioni ovvero oggi del tutto neglette nonostante che Benedetto XVI ne riconoscesse la ricchezza e ne auspicasse un recupero finalizzato ad un corretto rinnovamento liturgico, ipotizzando una "riforma della riforma". È noto che già da Cardinale, Ratzinger aveva maturato la convinzione che si dovesse cogliere quanto di meglio offriva il rito latino in uso da secoli per restituire profondità al rito celebrato nelle lingue nazionali, e ciò anche al fine di correggere gli arbitri e gli abusi. Ma, come è noto, il celebrare come San Pio da Pietralcina o come S.Giovanni Maria Vianney oggi lo si considera insano e ben più scandaloso che celebrare in mezzo al mare, e dunque assistiamo al definitivo abbandono della liturgia, della lingua e della cultura latina e in cambio abbiamo le conseguenze liturgiche che ci meritiamo.

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    1. Caro Stefano,
      gli esempi che io ho portato non sono tanto da riferire al Vetus Ordo, ma alla maniera di celebrare la Messa e alla coscienziosità e devozione con le quali quei santi la celebravano.
      Dobbiamo infatti ricordare che, al di là del Vetus Ordo e del Novus Ordo, la Messa è sempre la Messa. Questa è la cosa che conta. L’attuale polarizzazione Vetus Ordo-Novus Ordo non è segno di ecclesialità e di rispetto per la liturgia, ma denota uno spirito fazioso, che stride profondamente con quella unità di cuori, che è il frutto più bello della liturgia.
      Aggiungo che, come si possono addurre esempi del Vetus Ordo, ugualmente ed ancor più bisognerebbe addurre esempi del Novus Ordo. Tra questi voglio citare l’esempio del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, il quale ordinariamente celebrava in modo esemplare nel Novus Ordo, ma una volta alla settimana, per incarico dei Superiori, ai quali si era rivolto il card. Biffi, arcivescovo di Bologna, celebrava nel Vetus Ordo.

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    2. Scusi, padre Cavalcoli: lei dice che "come si possono addurre esempi del Vetus Ordo, ugualmente ed ancor più bisognerebbe addurre esempi del Novus Ordo".
      Ma ho una difficoltà al riguardo: la Chiesa ha ufficialmente proposto come modelli beati e santi che hanno celebrato nel Novus Ordo. Uno di loro è il beato Enrique Angelelli, beatificato da papa Francesco. Mons. Angelelli ha celebrato la messa accanto alla bandiera dell'Organizzazione Montoneros, nota organizzazione terroristica argentina, negli anni '70. Come capire che la Chiesa propone ufficialmente questo tipo di modelli? Oppure un Papa può sbagliare nella beatificazione di un fedele?

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    3. Caro Massimo,
      non conosco il Beato Angelelli e ho solo un vago ricordo del Montoneros.
      Ad ogni modo, la Chiesa non può sbagliare nelle beatificazioni e nelle canonizzazioni, perché non è pensabile che possa proporre un modello di condotta contrario al Vangelo.
      Quanto all’episodio specifico, che lei mi cita, la Messa è sempre la Messa, tanto più se è stata celebrata da un Beato.
      Che ci fosse stata accanto la bandiera di questa associazione, non significa che il celebrante appoggiasse la sua azione. C’è piuttosto da supporre che abbia pregato per essa, affinchè si comportasse onestamente.

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  2. Sono perfettamente d'accordo:
    "L’attuale polarizzazione Vetus Ordo-Novus Ordo non è segno di ecclesialità e di rispetto per la liturgia, ma denota uno spirito fazioso, che stride profondamente con quella unità di cuori, che è il frutto più bello della liturgia".
    Quello che padre Cavalcoli chiama "spirito fazioso" io lo chiamerei "spirito scismatico", che, a quanto ho capito, sono espressioni sinonimi se si riferiscono all'unità nella Chiesa.
    In questo senso, e anche sulla linea di quanto più volte ha espresso padre Cavalcoli, ci sono oggi nella Chiesa scismi formali e scismi virtuali. Gli scismi formali sono ben noti: gli ortodossi orientali, i luterani e protestanti in generale, ei lefebvriani. Nei loro confronti e con loro la Chiesa cattolica deve sviluppare l'opera dell'ecumenismo.
    Lo scisma virtuale più noto è quello dei neomodernisti, che da sessant'anni interpretano male le dottrine del Concilio Vaticano II, ma agiscono all'interno della Chiesa, senza prenderne formalmente le distanze, volendo trasformarne l'essenza dall'interno (come se ciò fosse possibile).
    Vorrei qui richiamare l'attenzione su un altro scisma virtuale di cui si parla poco: quello dei passatisti, detti anche filo-lefebvriani, che, senza separarsi formalmente dai dogmi della Chiesa e dall'obbedienza al Papa, come i lefebvriani fare, agire all'interno della Chiesa, più o meno mascherati, ritenendosi cattolici. Nomi? Ce ne sono tanti e non è bello nominarli, per esempio: Roberto de Mattei, Aldo María Valli, mons. Vigano, mons. Schneider, e tanti altri, che hanno in comune un rifiuto più o meno ampio delle dottrine del Concilio Vaticano II, del Novus Ordo Missae e dell'obbedienza al Papa (in misura diversa per ciascuno di essi).
    Per fare solo un esempio, si veda il recente articolo di De Mattei sullo stesso argomento dell'articolo di padre Cavalcoli: https://www.corrispondenzaromana.it/la-messa-sul-materassino-o-il-rito-romano-antico/
    Per affermare qualcosa del genere: "Non sarà possibile che la dissacrante liturgia post-conciliare venga abrogata da un nuovo Pontefice, che definisca la Messa detta di san Pio V o tridentina, come l’unica espressione del Rito romano della Chiesa? Questo è quello che si augurano decine di migliaia di cattolici, che in tutto il mondo affollano in numero sempre crescente la Messa tradizionale..." capisco di essere praticamente scismatico.

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    1. Caro Silvano,
      la dissacrante liturgia postconciliare non è per nulla effetto della riforma liturgica promossa dal Concilio, ma è effetto di una colossale manovra di mistificazione della medesima riforma portata avanti dai modernisti da 60 anni, una specie di tsunami che i Papi del postconcilio non sono riusciti a fermare.
      Quello che allora possiamo attenderci dal prossimo Papa è che riprenda il discorso di Benedetto XVI, il quale distingueva una vera da una falsa riforma, la prima in continuità con la liturgia precedente; la seconda in una posizione di rottura.
      Ora, Papa Francesco su questo punto mi sembra che faccia un discorso troppo semplice. Egli dice che esistono fedeli del Concilio e fedeli contro il Concilio. Questa cosa è vera, ma Benedetto non si fermava a questa constatazione e faceva una ulteriore distinzione, che è molto importante al fine di chiarire le cose e di riportare la pace nella Chiesa.
      Qual era questa distinzione? Era quella tra coloro che sinceramente accettano il Concilio e coloro che fingono di accettarlo per strumentalizzarlo per le proprie idee. Ora, l’atteggiamento di costoro equivale a chi rifiuta il Concilio e quindi in questo senso rientriamo nella opposizione denunciata da Papa Francesco.

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  3. Caro Padre Cavalcoli:
    Li ringrazio per la risposta e cerco di capirlo. Consentitemi di fare un ulteriore commento su ciò che dite e alcune nuove domande.
    In primo luogo, vi chiederei la vostra generosità, mi indichereste (se ricordate) in quale discorso o documento papa Benedetto ha menzionato coloro che fingono di accettare il Concilio ma in realtà lo usano a beneficio proprio idee.
    Capisco che papa Benedetto non abbia mai usato il termine "modernisti" per riferirsi a loro, e nemmeno papa Francesco, sebbene entrambi abbiano usato altre espressioni più o meno equivalenti (relativisti, soggettivisti, gnostici, ecc.). Ricordo in particolare quel discorso di chiusura del Sinodo del 2014, dove papa Francesco parlò chiaramente contro i progressisti e contro i tradizionalisti, usando anche altri aggettivi. E, proprio in riferimento alla liturgia, nella sua recente lettera apostolica Desiderio desideravi ha ricordato ancora una volta gli abusi che si commettono nella celebrazione del Novus Ordo.
    Ora, cercando di capire la sua risposta al mio precedente commento, capisco che quello che intendi è che papa Francesco (o il papa che gli è succedesse) dovrebbe tornare su quella distinzione fatta da papa Benedetto, tra chi accetta sinceramente il Concilio e chi che fingono di accettarlo. Di conseguenza, trasferito nell'ambito della Liturgia, significa che il Papa deve opporsi a coloro che, celebrando abusivamente oggi il Novus Ordo, in pratica si oppongono all'autentica riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II e dai Papi del postconcilio , che fingono di accettare.
    Di conseguenza, cerco di capire ora, in questa linea, la sua ultima espressione: "Ora, l’atteggiamento di costoro equivale a chi rifiuta il Concilio e quindi in questo senso rientriamo nella opposizione denunciata da Papa Francesco".
    Pertanto, ciò che traggo come conclusione è che lei vorrebbe dire che, in pratica, ciò che il Papa dovrebbe fare è prendere con coloro che in nome del Concilio abusano del Novus Ordo, un atteggiamento simile a quello con cui il Papa Francesco ha portato (in Traditionis custodes) con coloro che abusano del Vetus Ordo per respingere il Concilio, usando il Vetus Ordo come vessillo di rifiuto del Concilio, dei Papi postconciliari e del Novus Ordo.
    In conclusione, e già nell'ambito delle scelte pastorali e dei modi personali di papa Francesco, penso che alla fine si cada nella consueta critica a papa Francesco: la sua tendenza ad essere rigoroso con i passatisti e benevolo con i modernisti. Pertanto: dovrebbe avere un atteggiamento pastorale e disciplinare più equilibrato, uguale a entrambi, o ugualmente benevolo, o ugualmente rigoroso.

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    1. Caro Silvano,
      non sono in grado di citare le parole precise di Benedetto XVI, tuttavia il senso è questo: egli contrappone una esegesi del Concilio secondo il criterio del progresso nella continuità, che è il criterio giusto, a una esegesi secondo il criterio del progresso nella discontinuità, che è il criterio sbagliato, proprio dei modernisti.
      Questa tesi di Papa Benedetto mi si è talmente impressa nella mente e mi è parsa talmente feconda di considerazioni che nel 2011 ho scritto addirittura un libro per esplicitarne le implicazioni e le conseguenze: “Progresso nella continuità”, edizioni Fede&Cultura, Verona, 2011.
      Il mio discorso è molto simile a quello che fa l’Arcivescovo Agostino Marchetto, dotto storico del medioevo: “con Benedetto XVI, non parliamo del Concilio come di una rottura nella discontinuità, ma di una riforma, rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa. Il Papa emerito, poi, non è il primo Pontefice a dare l’indirizzo della corretta ermeneutica conciliare: infatti, già Paolo VI, durante il Concilio medesimo, aveva dato questa direzione e, così, anche San Giovanni Paolo ii si è posto sempre in questa linea. C’è quindi una importante, costante continuità anche nell’insegnamento, nel magistero dei Papi circa tale questione. Benedetto xvi, comunque, durante tutto il suo Pontificato ha insistito su questo punto.”
      https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwiNn9fY9LH5AhXTIMUKHX9ECt4QFnoECCYQAQ&url=https%3A%2F%2Fbrill.com%2Fdownloadpdf%2Fjournals%2Fahc%2F48%2F2%2Farticle-p377_377.xml&usg=AOvVaw2zZCrsQIyFGEC1kEze4uA0

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