La presenza dello Spirito Santo - Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste - Quinta Parte (5/5)

  La presenza dello Spirito Santo

Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste

 

 Quinta Parte (5/5) 
 

La profezia giovannea circa

lo svolgimento degli eventi decisivi e finali

della storia che segneranno la pienezza finale

della presenza dello Spirito nel mondo

Come sappiamo, l’Apocalisse di Giovanni contiene la rivelazione profetica a lui fatta da Cristo, da lui esposta in una serie di visioni simboliche, di quella che sarà la conclusione della storia, ossia la vittoria finale di Cristo e della Chiesa sulle potenze terrene e sataniche che per tutto il corso della storia le fanno una guerra senza tregua nell’intento sempre rinnovato di far trionfare nel mondo il potere di Satana al posto di quello di Dio.

Tutto il succo della rivelazione giovannea si riassume nell’annuncio della Venuta finale di Cristo: «Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà, anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto». E Giovanni fa parlare Cristo stesso: «Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (1, 7-8).

Ci si potrebbe chiedere che ne è dell’era dello Spirito annunciata da Paolo. Lo Spirito sembra a tutta prima assente e campeggiare solo la figura di Cristo giudice terribile dei vivi e dei morti, liberatore e vendicatore degli oppressi. Ma l’opera dello Spirito è certamente sottintesa nella  lotta che il Cristo conduce  contro gli spiriti del male e San Paolo ci insegna che è lo Spirito Santo che vince il demonio (Ef 6, 10-17).

Il trionfo finale di Cristo è dunque anche il trionfo finale dello Spirito. Cristo nell’Apocalisse emerge in primo piano, ma è sottinteso che Cristo opera per mezzo del suo Spirito, che è Spirito di giustizia, di fortezza, d’amore e di unità. E tutti questi valori giocano nel Cristo dell’Apocalisse. Mentre il demonio divide e contrappone, lo Spirito nel giudizio separa i giusti dai reprobi ed unisce i buoni tra di loro e con Dio: ecco la Gerusalemme celeste, vincitrice sulla città di Satana. È questa battaglia finale di Cristo contro Satana che ispira il De Civitate Dei di Sant’Agostino.

Il Padre compare esplicitamente nell’Apocalisse solo al c.4 per consegnare a Cristo un libro sigillato che egli solo riesce a decifrare, simbolo, questo, che Cristo soltanto col suo sacrificio, risolve l’enigma del destino umano e gli dà un senso (5,1-7). Ma è chiaro che entrare nella Gerusalemme celeste significa comunque essere ammessi nella casa del Padre.

Gesù Cristo appare a Giovanni in estasi nel giorno del Signore e gli comanda: «quello che vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese» (1,11). Ha l’aspetto di  

«uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. I capelli della sua testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di molte acque. Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto assomigliava al sole quando splende in tutta la sua forza» (vv.13-16).

Innanzitutto Cristo ordina all’Apostolo di inviare lettere pastorali ai Vescovi delle Chiese dell’Asia minore, che sono le prime Chiese sorte dopo la fondazione della Chiesa di Gerusalemme. Queste lettere costituiscono modelli di lettere pastorali per i Vescovi fino alla fine del mondo. 

Perché lettere alle Chiese? Perché l’Apocalisse è memoria della fondazione della Chiesa, regola dell’azione della Chiesa contro le potenze demoniache sotto la guida dello Spirito Santo, e rivelazione del futuro cammino della Chiesa verso la vittoria finale e il ritorno di Cristo. Queste lettere indicano dunque un modello di condotta del buon pastore nelle principali evenienze che possono capitare alla Chiesa nel corso della storia (cc.1-3).

Potremmo forse qualificare le esortazioni e gli ammonimenti agli Angeli delle sette Chiese, non come semplici direttive pastorali ma come vere e proprie enunciazioni di carattere dogmatico, tali cioè da denunciare e definire le deviazioni che possono affliggere la Chiesa intera allontanandola dalla retta dottrina e quindi null’altro sono che l’illustrazione e la spiegazione di quei fenomeni degenerativi che oggi appaiono evidenti.

Non può infatti sfuggire l’attualità di quegli ammonimenti essendo facilmente rinvenibile il parallelo tra le tesi moderniste che oggi addolorano la Chiesa e le deviazioni, i difetti e le debolezze riscontrabili in quelle sette Chiese, che rappresentano in qualche modo la Chiesa intera.  

Giovanni ha successivamente una visione di Gesù Cristo, che gli ordina: «scrivi le cose che hai visto, quelle di adesso e quelle che accadranno in futuro» (1,19). Successivamente ha una visione della Santissima Trinità. Appare Dio Padre (4,2), che  ha in mano un libro «sigillato con sette sigilli» (5,2), libro che però nessuno riesce a capire o a interpretare. Si fa avanti Gesù Cristo (5,5), il quale riuscirà a capire e a far capire agli uomini il senso di questo libro che esprime l’arcana volontà escatologica del Padre.

Cristo ha «sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti mandati da Dio su tutta la terra» (5,6). Le corna e gli occhi significano l’intelligenza penetrante. Il corno è simbolo di penetrazione e di difesa: comprensione della verità e confutazione dell’errore. I sette spiriti sono i sette doni dello Spirito Santo che scendono sul Messia (Is 11,2). Cristo dunque interpreta la Parola del Padre alla luce dello Spirito Santo. Cristo svela il contenuto del libro. Contiene l’annuncio dei castighi finali degli empi e della salvezza degli eletti (cc.6-10).

Questa parte si conclude con l’annuncio dei «due testimoni» (11,3-13), probabilmente Pietro e Paolo, fondatori della Chiesa di Roma, che inaugura l’inizio del regno di Dio e la missione della Chiesa nella storia fino alla Parusia (15-19).

Al c.12, Giovanni presenta una sintesi della storia della Chiesa insidiata da Satana, ma che alla fine del suo cammino terreno sarà liberata dall’intervento parusiaco di Cristo. La storia narrata da Giovanni è una storia molto agitata, con una Chiesa combattiva e combattuta. Si vede qui il carattere combattivo di Giovanni e si può capire perché Cristo lo abbia chiamato «figlio del tuono».

Vediamo un Giovanni ben diverso dal pacifico e tenero Apostolo dell’amore del Vangelo e delle Lettere e comprendiamo come l’amore per la giustizia comporti l’odio per l’ingiustizia, la gioia per il bene, la sofferenza per il male. Comprendiamo come la pace non sia un dato di fatto, ma un bene da conquistare combattendo e vincendo i nemici della pace. L’amore per il mondo desideroso di salvezza è il corrispettivo dell’odio per il mondo che rifiuta Cristo. Non si può amare Cristo senza opporsi all’anticristo.

Infatti, quando, per un’apostasia generalizzata (II Ts 2,3; Ap 13,16; 19,19), sembrerà che il demonio abbia la meglio su lei, per il venir meno dell’ostacolo (katèchon) (II Ts 2,6), ossia probabilmente il Papa[1], che si oppone alla venuta dell’anticristo (II Ts 2,3) e apparirà l’anticristo, Cristo stesso rimedierà alla debolezza del Papa intervenendo di persona, e questa sarà la Parusia (II Ts 2,8; Ap 20,21). Non è escluso che un futuro Papa non sia più in grado di governare decentemente la Chiesa. Benedetto non ha forse motivato le sue dimissioni appunto con questa ragione?

Giovanni ricorda al c.12 la fondazione della Chiesa come paradigma dell’azione della Chiesa al seguito dell’azione di Cristo contro Satana. La Chiesa partorisce Cristo e il drago, certamente simbolo del demonio; tenta di ucciderlo (12, 1-6); battaglia protologica in cielo, all’inizio della storia, tra angeli fedeli e angeli ribelli. Questi ultimi sono puniti con l’essere precipitati sulla terra (12,7). La lotta di Cristo contro Satana nel corso della storia giunge alla conclusione con due vittorie decisive. La prima è la vittoria escatologica di Cristo venuto dal cielo contro

 

«la bestia e i re della terra. La bestia viene catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue vengono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri sono uccisi dalla spada che usciva dalla bocca del cavaliere e tutti gli uccelli si saziano delle loro carni» (19, 11-21).

La seconda battaglia è narrata al c. 20. Dopo che Satana è stato incatenato da un angelo sceso dal cielo e rinchiuso nell’abisso per mille anni, perché non seduca le nazioni, al compimento dei mille anni, 

 

«Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città eletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo che li aveva sedotti, fu gettato vivo nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli» (20,vv.7-10).

 

L’era dello Spirito è l’era della Chiesa inaugurata dalla Pentecoste, che durerà fino alla fine del mondo e alla Parusia, allorchè Cristo con i suoi angeli e i suoi eletti vincerà le forze di Satana e dei figli del diavolo. Egli è il cavaliere chiamato fedele e verace, che in groppa a un cavallo bianco giudica e combatte con giustizia.  La bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati muovono guerra contro colui che era seduto sul cavallo bianco e contro il suo esercito.

Dopo la vittoria del c.19, seconda e definitiva vittoria di Cristo risorto tornato dal cielo sulla terra («Parusia») (20, 9-10; Cf II Ts 2,8), segue il Giudizio universale (20, 11-14) e la Gerusalemme celeste (21-22,15). Termina l’Apocalisse con la certificazione di Giovanni circa la propria testimonianza.

 

Lo Spirito di Dio non è nel mondo

né come la forma è nella materia

né come il pensante contiene in sé il pensato,

ma come un pastore è in mezzo al suo gregge

o Dio tra il suo popolo, che è la Chiesa.

Quando oggi si parla di Dio come Spirito e quindi di Dio Spirito Santo, non sempre è chiaro il rapporto dello spirito con la materia e quindi col mondo. La visione hegeliana idealista, che rivisse con Gentile, della risoluzione del mondo nello Spirito ha alle sue spalle una lunga tradizione, che risale a Plotino[2] e ad Origene. Tale visione prevede per la fine del mondo la riconciliazione universale ed il ritorno di tutto all’Uno.

Lo spirito è concepito come un moto circolare nel quale c’è una partenza, un’uscita e un ritorno al punto di partenza. L’dea non è del tutto sbagliata, perché è vero che l’atto della coscienza è caratterizzato da questa circolarità. Ma l’idealismo e Plotino vanno fuori strada quando dimenticano che, se il mondo esce da Dio e deve tornare a Dio, questa uscita e questo ritorno non sono un movimento di Dio, ma del mondo. Se dall’Uno esce il molteplice, non è che per tornare all’Uno deve ridiventare Uno, ma resta semplicemente molteplice unito all’Uno. Non è che Dio esca da se stesso e torni a se stesso. Dio crea il mondo, che è fuori di Dio, e il mondo torna a Dio senza diventare Dio, ma restando mondo.

Da questa falsa idea monista-pacifista sorge la tesi odierna della salvezza universale e la negazione dell’esistenza dell’inferno. Viceversa l’escatologia cattolica prevede la separazione finale del grano dal loglio, dei giusti dai reprobi.

Nell’origenismo la materia, che non sembra creata da Dio, ma sembra essere l’origine del male, è assorbita, risolta e dissolta alla fine della storia nello Spirito. E così dovrebbero scomparire per sempre il male e il castigo infernale. Ma le cose non sono così semplici.

Di fatti Origene non dimostra mai di accettare serenamente, con piena convinzione la corporeità e la sessualità, ma solo per così dire a denti stretti, sforzandosi di attenuarle in ogni modo, perché conosce benissimo il dogma della resurrezione del corpo. L’origenismo, pertanto, che comunque non poteva ignorare del tutto l’esistenza della materia e della corporeità, e non poteva non fare i conti con esse, non è mai riuscito a trovare né in terra né tanto meno in cielo una chiara conciliazione fra spirito e corpo.

Nel medesimo tempo la sua tendenza monistica di origine plotiniana lo porta a voler cancellare l’esistenza del male, del resto per lui congiunta all’esistenza della materia. Da qui nell’origenismo lo sforzo supremo quanto vano di superare almeno in sede escatologica, per un indiscreto pacifismo, l’opposizione bene- male, per lasciare in essere solo il bene.

Ma in tal modo il conflitto materia-spirito non solo non è sanato, ma è aggravato, tanto più quanto c’è la pretesa di ignorare le esigenze del corpo. Oggi tuttavia il problema non è tanto quello di questo spiritualismo rigorista, quanto quello che nasce da un’opposizione estremista ad esso, cioè dal materialismo che concepisce un Dio che non può fare a meno della materia e del mondo.

Infatti, la visione prevalente oggi è quella hegeliana storicista, legata a Schelling ed originata da Lutero, del completamento o realizzazione di Dio nell’uomo e nel mondo. È una concezione dello spirito e quindi di Dio o di tipo immanentista o di tipo panteista.

Nel primo caso manca l’idea di un puro spirito che sussista senza materia, per cui, secondo questa concezione, l’essenza divina non è completa senza la materia; Dio, come dice Hegel non è Dio senza il mondo. Dio, come sembrano sostenere Kasper e Forte, non è Dio senza la storia. Dio, la Santissima Trinità sono una realtà storica. Anzi Dio, nell’Incarnazione, come sostengono Küng e Rahner, è spirito che diviene materia, e per converso, come sostiene Teilhard de Chardin, Dio è materia divenuta spirito. Bisogna osservare il tempo è un accidente della sostanza materiale. Se si pensa che Dio muti, lo si confonde con la sostanza materiale.

Presentando la teologia trinitaria di Schelling in connessione con quella dell’Incarnazione, Walter Kasper mostra di condividere la concezione di Dio tipica dell’idealismo tedesco, come Dio la cui eternità non precede ab aeterno, ante omnia saecula, il fatto storico dell’Incarnazione, ma questa viene considerata come proprietà dell’essenza divina, sicchè Dio perde la sua immutabilità metastorica e diventa un ente mutevole mezzo spirito e mezza materia. La temporalità entra nell’essenza di Dio.

Dice infatti Kasper:

 

«Teologicamente non ci si deve rappresentare in modo semplicemente (inconsapevolmente) cronologico il rapporto tra dottrina immanente della Trinità e dottrina economica, come se l’eterna generazione del Figlio fosse anteriore alla nascita nel tempo, come se il dado fosse tratto nell’eternità molto tempo prima che la storia della salvezza sia anche soltanto iniziata. La storia in questo modo verrebbe completamente svalutata. L’eternità di Dio non sta prima, dietro e oltre il tempo, ma piuttosto ne è la dimensione profonda»[3].

Qui Kasper sbaglia mostrando non solo di non capire la distinzione fra la nascita eterna del Figlio e la nascita temporale, ma di non saper neppure distinguere la materia dallo spirito e di concepire un Dio come se fosse un ente materiale, composto di materia e forma o tutt’al più, come se fosse un uomo, composto di spirito e corpo, giacchè caratteristica dello spirito rispetto alla materia è precisamente quella di esistete al di sopra dello spazio e del tempo, senza che questi costituiscano affatto ingredienti della sua natura. Tutti infatti conosciamo le parole che Cristo rivolge al Padre prima dell’estremo sacrificio: «glorificami davanti a te con quella gloria che avevo presso di te prima della fondazione del mondo» (Gv 17,5).

Ridicolo è pensare a un’esistenza del tempo prima dell’inizio del tempo e dell’esistenza del mondo. È chiaro che quel prima non è un prima temporale, ma trascendentale. È quindi Kasper che s’immagina la Trinità come un fatto cronologico considerando l’essenza divina come un’entità temporale in vicenda, come qualsiasi altro ente di questo mondo.

Quindi Dio per Kasper è immanente nel mondo, non come la causa è attivamente presente nell’effetto, non come una persona si trova in un luogo, non come la Santissima Trinità inabita nell’anima del giusto, ma come il pensato o l’idea è immanente alla mente - secondo la concezione cartesiano-kantiana di Dio -, come la forma è immanente alla materia, come l’intelletto è immanente al corpo umano.

Avviene allora che la distinzione fra Dio e mondo non è distinzione reale tra la sostanza divina e un insieme di sostanze materiali (uomini e cosmo) e spirituali (gli angeli e le anime separate). La distinzione fra Dio e l’uomo viene ad essere non distinzione tra Persona infinita e increata e persona finita e creata, ma è distinzione ideale – come sostiene anche Gentile – nell’unico Spirito tra lo Spirito come uno e lo Spirito come molteplice o moltiplicato.

Ma allora, se le cose stanno così, se l’essenza divina, di per sé astratta, è completata e concretizzata, «fatta carne», fatta storia, dal mondo o dalla natura o dall’uomo o dalla materia, ciò vorrà dire che il mondo e tutte le cose sono in Dio – panenteismo – non nel senso che siano fondate in Lui, sorrette da Lui nel loro essere, senza il quale sostegno e conservazione cadrebbero nel nulla; non vuol dire che esse hanno su questa base divina la ragione, il principio e la possibilità stessa della loro esistenza. Non vuol dire che sono create da Lui dal nulla, ma vuol dire che esse sono in Dio come la proprietà di un soggetto si trova in quel soggetto, come l’intelletto e la volontà si trovano nell’anima, come un accidente si trova nella sostanza – secondo la visione di Spinoza -, come la forma si trova nella materia – secondo la concezione di Giordano Bruno.

Dobbiamo accogliere lo Spirito

non per volgerci al mondo

ma per salire al Padre per mezzo di Cristo

Nell’Apocalisse c’è una forte accentuazione della nostra lotta con Cristo per vincere il potere delle tenebre e si annuncia la separazione finale dei giusti dai reprobi. I primi entreranno nella Gerusalemme celeste, mentre i secondi saranno cacciati nell’inferno.

Ma la cosa curiosa dell’Apocalisse è che la funzione del Padre e dello Spirito sembra essere in sordina, mentre sappiamo quanta parte nel Vangelo di Giovanni hanno lo Spirito Santo e il Padre: Cristo, mandato dal Padre, viene fra noi nel mondo per donarci il suo Spirito, accolto il quale, possiamo conoscere a fondo il Figlio che ci conduce a vedere il volto del Padre. Questa è la vita eterna.

Questo schema trinitario è chiarissimo anche in San Paolo, che parla di più della nostra finale risurrezione. Ma anche per Paolo la vita presente dev’essere una vita secondo lo Spirito, che ci consente di liberarci dalle conseguenze del peccato originale e di conoscere a fondo Cristo, il quale, con la sua morte e risurrezione ci ottiene la giustificazione e il perdono del Padre, ci riconcilia con Lui, Cristo ricapitolatore di tutte le cose, il quale ci conduce alla casa del Padre e ci consente di chiamarLo Padre.

L’impronta giovannea nell’Apocalisse si riconosce certamente nella lotta della Chiesa contro il Drago, nell’opposizione fra i figli di Dio e i figli del diavolo, presente nel Vangelo di Giovanni. Ma è strano che non si parli mai dello Spirito Santo e della prospettiva di vedere il Padre. L’azione dello Spirito la si legge solo nella forza che Cristo dona ai suoi nel martirio e nella lotta contro i malvagi.  L’azione del Padre è adombrata nei flagelli finali e la sua presenza finale beatificante è adombrata nei nella Gerusalemme celeste, la quale non è altro che la casa del Padre.

Per capire dunque l’attuale era dello Spirito occorre avere ben presente un duplice movimento chiarissimo nel Vangelo di Giovanni: da una parte l’iniziativa del Padre di mandare il Figlio nel mondo, la discesa e la presenza salvifica del Figlio tra noi, l’accoglienza che facciamo dello Spirito donatoci dal Figlio, la conoscenza amante del Figlio nello Spirito, la nostra ascesa al Padre nello Spirito per mezzo del Figlio,

Il pericolo che abbiamo visto, nel quale cade l’idealismo tedesco è la conseguenza estrema dell’impostazione dell’età dello spirito di Gioachino da Fiore, il quale ha voluto trovare l’età dello Spirito in una falsa interpretazione del «Vangelo eterno» del c.14.

Gioachino non volle affatto con questa sua interpretazione sottrarsi alla soggezione al Figlio mediante il Papa. E tuttavia la indiscreta esaltazione dello Spirito si prestava ad una simile idea. Ne approfittò Lutero, il quale, contro il Papa, dette senz’altro un primato dello Spirito sul Figlio, rappresentato dal Papa, e sul Padre, da lui considerato il Dio severo dell’Antico Testamento, superato dal Dio misericordioso del Nuovo Testamento.

L’impostazione di Lutero fu ulteriormente estremizzata dall’idealismo panteista   di Schelling e di Hegel, i quali avviarono uno gnosticismo per il quale la conoscenza dello Spirito è meglio di quella del Figlio e del Padre. Nel secolo scorso arriverà poi Gentile, il quale farà sparire il Padre e il Figlio per lasciare solo lo Spirito, come Spirito nel mondo[4] o Assoluto nella storia[5] o Trinità come storia: la Trinità non trascende la storia, non è una realtà immutabile, ma diviene nel tempo[6].

L’Atto puro di Gentile non è l’actus essendi di Tommaso, atto senza potenza, ma al contrario è divenire, è movimento, è passaggio dalla potenza all’atto, per cui, misto di potenza, non è più puro spirito, ma è sintesi di materia e spirito. E si capisce allora che non trascenda la storia, ma sia esso stesso storia, se la storia implica la materialità.

Dopo tuttavia la tragedia della seconda guerra mondiale alla quale dette luogo il millenarismo nazista, la filosofia sembra aver abbandonato la tematica e l’interesse per lo spirito, anche se continua ad interessarsi di certi suoi aspetti come la scienza, la coscienza, l’esperienza, la soggettività, l’assoluto, il pensiero, la libertà. Con Sartre, Heidegger, Bontadini e Severino è rispuntata la tematica dell’essere, ma a causa del linguaggio esoterico col quale è stata trattata, è stata oggetto d’interesse solo da parte di ristretti circoli accademici e del tutto ignorata dalla gente comune e da altre correnti filosofiche.

Quanto invece sarebbe importante un’opera di rieducazione della gente alla stima per la metafisica! Essa darebbe alla gente, spesso sviata e sedotta da visioni materialiste, scettiche o soggettiviste o relativiste, quelle certezze e quei solidi ed universali princìpi di cui ha bisogno per fondare, orientare e giustificare l’agire morale così da raggiungere la vera felicità sulla terra e in cielo. È la nobile impresa nella quale da un secolo si sono messi valorosi pensatori soprattutto domenicani, come Maritain, Garrigou-Lagrange, Sertillanges, Fabro, Possenti e Tomas Tyn, impresa purtroppo ostacolata dall’attuale modernismo imperante nella Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha promosso indubbiamente una vita secondo lo Spirito, conciliando con chiarezza la libertà che lo Spirito concede al laico con l’obbedienza che egli deve al Papa, egli pure guidato dallo Spirito. Infatti quello Spirito che agisce nel Papa è il medesimo che agisce in ciascuno di noi e pertanto non può contraddire se stesso.

Se dunque lo Spirito ispira il laico, come per esempio successe a S.Caterina da Siena, per correggere il Papa nella pastorale, il Papa è tenuto ad ascoltare il laico. Se invece il Papa insegna il Vangelo mosso dallo Spirito, è il laico a dover ascoltare il Papa eventualmente correggendosi dall’errore. Lo sbaglio di Lutero in fondo, al di là del fumo negli occhi che i luterani vogliono gettarci per giustificare il loro maestro, è stato tanto semplice quanto grave: voler correggere il Papa laddove non può essere corretto e non lasciarsi correggere dal Papa laddove sbagliava. Se Lutero avesse accettato le correzioni che Leone X gli faceva con la Bolla Exsurge Domine del 1520, tutti gli immani conflitti nella Chiesa, che sarebbero sorti da quella ribellione da allora sino ad oggi provocati, non ci sarebbero stati[7].

Il fine ultimo infatti nella visione immanentistica modernista, erede di Hegel, non è più il Padre ma il mondo. Dio stesso non è più concepito come trascendente il mondo,  ma come immanente al mondo, tanto che Dio non è Dio senza il mondo. Non più Dio come scopo del mondo, ma il mondo come scopo di Dio. Se questa non è idolatria, mi dica il lettore che cosa è l’idolatria.

Nell’attuale modernismo lo Spirito stesso non è pura forma sussistente, puro Spirito separato dalla materia, ma è un sinolo di materia e forma come la realtà materiale di Aristotele. Allora lo Spirito non è più lo Spirito del Padre ma lo Spirito del mondo. E sappiamo chi è per San Paolo lo spirito del mondo.

Dunque la vera vita cristiana non è un vivere secondo lo Spirito come se conoscere lo Spirito ed essere uno con Lui sia meglio che essere uniti al Figlio e al Padre. La vita secondo lo Spirito corrisponde certo alla perfezione e pienezza della vita cristiana, ma proprio in quanto nello Spirito conosciamo il Figlio che ci conduce al Padre.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 giugno 2023

Quando oggi si parla di Dio come Spirito e quindi di Dio Spirito Santo, non sempre è chiaro il rapporto dello spirito con la materia e quindi col mondo. La visione hegeliana idealista, che rivisse con Gentile, della risoluzione del mondo nello Spirito ha alle sue spalle una lunga tradizione, che risale a Plotino e ad Origene. Tale visione prevede per la fine del mondo la riconciliazione universale ed il ritorno di tutto all’Uno.

Lo spirito è concepito come un moto circolare nel quale c’è una partenza, un’uscita e un ritorno al punto di partenza. L’dea non è del tutto sbagliata, perché è vero che l’atto della coscienza è caratterizzato da questa circolarità.

Ma l’idealismo e Plotino vanno fuori strada quando dimenticano che, se il mondo esce da Dio e deve tornare a Dio, questa uscita e questo ritorno non sono un movimento di Dio, ma del mondo.

Se dall’Uno esce il molteplice, non è che per tornare all’Uno deve ridiventare Uno, ma resta semplicemente molteplice unito all’Uno. Non è che Dio esca da se stesso e torni a se stesso. Dio crea il mondo, che è fuori di Dio, e il mondo torna a Dio senza diventare Dio, ma restando mondo.

Per capire dunque l’attuale era dello Spirito occorre avere ben presente un duplice movimento chiarissimo nel Vangelo di Giovanni: da una parte l’iniziativa del Padre di mandare il Figlio nel mondo, la discesa e la presenza salvifica del Figlio tra noi, l’accoglienza che facciamo dello Spirito donatoci dal Figlio, la conoscenza amante del Figlio nello Spirito, la nostra ascesa al Padre nello Spirito per mezzo del Figlio,


Immagini da Internet:
- Adorazione dello Spirito Santo, Brescia
- I quattro Evangelisti e lo Spirito Santo, Roma



[1] Paolo non nomina il Papa probabilmente per proteggerlo, dato che la Chiesa è perseguitata dall’Impero romano.

[2] Werner  Beierwaltes, Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, vita e Pensiero, Milano 1991.

[3] L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986, p. 343.

[4] Cf Karl Rahner, Spirito nel mondo,Vita e Pensiero, Milano 1989.

[5] Vedi il già citato libro di Kasper.

[6] Bruno Forte, Trinità come Storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizioni Paoline, Torino 1985.

[7] Il Movimento neocatecumenale di Kiko Arguello non è al riparo dallo stesso errore di Lutero di voler correggere il Papa dal punto di vista dottrinale in nome dello Spirito Santo. S.Giovanni Paolo II, con atto di grande benevolenza e forse una certa ingenuità, ha concesso uno statuto al Movimento: ma quanto poi nei fatti esso dimostra di rispettare il Magistero della Chiesa? Sulla grave questione, vedi Enrico Zoffoli, Eresie del movimento neocatecumenale, Edizioni Segno, Udine 1993; Ariel S.Levi di Gualdo, La setta neocatecumenale. L’eresia si fece Kiko e venne ad abitare in mezzo a noi, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019.

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