L’etica di Karl Rahner
Alle radici
della crisi
Per
comprendere le cause dell’attuale degrado morale e delle deviazioni dottrinali
nella Chiesa in fatto di morale, un grave fenomeno che crea forte
preoccupazione in quei cattolici, laici, pastori e teologi, che zelano il bene
delle anime, il progresso morale e l’avanzamento delle virtù, nonchè
l’estirpazione dei vizi e la vittoria sulle forze del male, è molto utile
conoscere le idee morali di Karl Rahner, senza per questo togliergli gli
indubbi meriti.
L’etica
rahneriana è evidentemente la conseguenza della sua antropologia[1],
che abbiamo esposto in un precedente articolo. Se l’uomo è per essenza spirito
nella storia, termine della grazia perdonante, soggetto dell’esistenziale
soprannaturale, giusto e peccatore, aprioricamente, ed inconsciamente e
preconsciamente orientato a Dio come orizzonte della trascendenza umana, ne
viene che l’atto morale fondamentale in base all’esperienza trascendentale[2]
è l’opzione fondamentale per Dio come
assoluto ed innominabile Mistero che si autocomunica nella grazia.
Da questa
antropologia scaturisce, come si può immaginare, un’etica tracotante ed
autoreferenziale – ne vedremo gli aspetti essenziali - basata sulla convinzione
del soggetto di essere espressione permanente dell’Assoluto e quindi
autorizzato a considerare la natura e il prossimo come massa di manovra delle
sue manipolazioni ecclesiali e platea che gli fornisce gli applausi per la soddisfazione
del suo protagonismo.
Il Papa
Emerito Benedetto XVI fu all’epoca del Concilio collega, collaboratore e amico
di Rahner nllo svolgimento del loro incarico di periti. Ma alla fne del
Concilio e negli anni seguenti il cammino dei due teologi si divaricò perché
mentre Ratzinger si mantenne fedele, sia pur sempre in posizione progressista, all’autentica dottrina del Concilio, Rahner
dette inizio a quella interpretazione hegeliano-modernista del Concilio, che
purtroppo riuscì ad ottenere un grande successo,
che ancora perdura.
Ratzinger,
al notare questo tralignamento di Rahner, cominciò ad opporglisi apertamente.
Ciò gli procurò da parte di S.Giovanni Paolo II la nomina a Cardinale Prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede nl 1981, mentre i rahneriani non
gliela perdonarono e dettero inizio ad un’ostinata opposizione che si protrasse
per tutto il pontificato di Benedetto e che con ogni probabilità è stata tra i
fattori principali della situazione insostenibile che ha indotto Benedetto a
dare le dimissioni da Pontefice.
Negli
«Appunti» che il Papa Emerito ha recentemente pubblicato, interrogandosi sulle cause profonde
dell’attuale dilagare della corruzione sessuale nella Chiesa, egli cita, da
esperto teologo qual è, quei moralisti, che già sin dagli anni ’60 del secolo
scorso hanno minato le basi metafisiche e teologiche della morale, traviando e
conducendo molti all’ateismo, alla dissolutezza ed all’apostasia dalla fede.
Tra costoro
emerge certamente Karl Rahner, sulla morale del quale l’allora Card.Ratzinger
pronunciò questo severo giudizio:
«Fondamentalement Rahner
a très largement repris le concept de la liberté propre à la philosophie
idéaliste – un concept de liberté qui en réalité ne convient qu’à l’Esprit
absolu – à Dieu – et nullement à l’homme»[3]. È, questo,
quello gnosticismo, che Papa Francesco ha recentemente condannato.
A questa
falsa libertà allude S.Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor , dove egli parla di una «libertà fondamentale,
più profonda e diversa dalla libertà di scelta. Il ruolo chiave della vita
morale sarebbe allora da attribuire ad una “opzione fondamentale”, attuata da
quella libertà fondamentale mediante la quale la persona decide globalmente di
se stessa non attraverso una scelta determinata e consapevole, ma in forma
“trascendentale” ed “atematica”. Gli atti particolari derivanti da questa
opzione costituirebbero solamente tentativi parziali e mai risolutivi per
esprimerla. Oggetto immediato di questi atti, si dice, non è il Bene assoluto
(di fronte al quale si esprimerebbe a livello trascendentale la libertà della
persona), ma sono i beni particolari (detti anche “categoriali”)» (n.65).
La libertà,
secondo Rahner, è il potere che l’uomo ha di plasmare e determinare la propria
natura[4],
di per sé variabile, indefinibile ed illimitata, perché secondo lui sarebbe
impossibile alla Chiesa stessa definire in modo definitivo ed immutabile Egli
dunque non si trova davanti una natura umana, distinta in anima e corpo tra di
loro separabili, una natura oggettiva, e da noi antecedente ed indipendente,
già precostituita con propri limiti essenziali e caratteri definiti fissi ed
immutabili. Da qui la negazione che l’agire umano debba essere regolato da una
legge naturale oggettiva, fissa, universale ed immutabile.
Dice Rahner:
«La
libertà non è anzitutto la facoltà di scegliere un oggetto qualsiasi, o un
determinato tipo di comportamento di fronte a qualcuno o a qualcosa[5];
è invece la libertà di comprendere se stessi, la possibilità di annuire o di
opporre un rifiuto a se stessi. … Non si attualizza mai come pura e semplice
scelta tra oggetti singoli; è invece un’autorealizzazione dell’uomo che
oggettivate sta scegliendo»[6].
«Dove
si ha una persona, ivi si ha una libertà, un unico centro personale di
attività. Di fronte ad esso ogni altra realtà (natura, nature) non può essere,
in questa persona e per lei, che materiale strumento, che riceve ordini e
manifesta quest’unico centro personale e libero»[7].
«Ove
esiste la persona, ivi c’è la libertà, cioè potere di disporre della propria
realtà e di plasmare il proprio essere e la propria vita per mezzo di una
decisione intima»[8].
«L’uomo
è l’essere completamente affidato e soggetto alla propria libertà e questa
“crea” l’uomo nella dimensione del
definitivo. Quindi l’inizio voluto da Dio per la storia della libertà (noi
diciamo l’essenza dell’uomo) non è un’entità fissata una volta per tutte, non è
un’entità essenzialmente intangibile. È invece la possibilità di libertà, di
disposizione, di configurazione libera e senza istanze intermedie di una
situazione definitiva»[9].
«Se
è vero che l’uomo ha una natura di cui deve tener conto nelle azioni, è vero
anche che egli è l’essere che attraverso la cultura e la civiltà … forma e
configura attivamente questa sua natura e non può semplicemente presupporla
come un’entità categorialmente fissata in assoluto»[10].
«L’atto
libero dell’uomo … non può venire inteso come un epifenomeno estrinseco,
sotteso, ma solo dall’esterno, da un’essenza sostanziale ed immutabile, mentre
diviene invece la determinazione più profonda e più vera di tale essenza, …
L’uomo comincia come essenza radicalmente aperta e non definita e quando la sua
essenza è completata, ciò è avvenuto attraverso la sua libera azione»[11].
Dobbiamo
obiettare che un conto è l’essenza dell’uomo e un conto è la condotta morale
dell’uomo. Non sta alla libertà umana determinare neanche in parte e neanche
perfezionare l’essenza dell’uomo. Essa, nella sua perfezione e completezza
ontologica, creata da Dio, preesiste già alle scelte dell’uomo con una sua precisa
e specifica natura, e sue inclinazioni e leggi inviolabili di condotta morale
fissate da Dio – la legge naturale - , antecedentemente all’esercizio della
libertà.
Compito
dell’uomo è quello di apprendere la verità sulla natura umana e sulle leggi
stabilite da Dio, che devono regolare la sua condotta morale ed esser messe da
lui in pratica mediante il retto uso della libertà. Compito della cultura e
della civiltà non è quello di modificare o completare la natura, ma è quello di
attuare le sue potenze e facoltà
intellettuali e morali, acquistando le virtù e aspirando al possesso di
Dio, sommo bene e fine ultimo dell’uomo.
La Chiesa,
secondo Rahner, erra nel voler sostenere l’esistenza e l’essenza di tale legge.
E per questo erra Paolo VI nell’enciclica Humanae
vitae a voler appoggiare la proibizione degli antifecondativi su di una
legge naturale, che non esiste. Ma se per Rahner non esiste legge naturale, è
perché per lui non esiste una natura
umana fissa, immutabile e determinata, soggetta alla legge naturale. Dice
egli infatti:
«Non
è lecito respingere per principio come progetto immorale l’idea di una
“manipolazione genetica” dell’uomo. Agli occhi dell’antropologia cristiana,
l’uomo non si limita unicamente ad essere un prodotto della “natura”, La quale
avrebbe in esclusiva la possibilità e il potere effettivo di determinarlo e
configuralo nella sua essenza»[12].
«Se
il teologo comincia a introdurre l’idea di auto-determinazione, come essenza
dell’uomo, nel corso dell’indagine forse risulta più chiaro chcsa s’intenda
quando si parla di “natura”»[13].
«L’uomo è l’essere che non si limita a fare qualcosa “d’altro”, a “sopportare”
se stesso, ma si fa invece da sé. Ora, siccome ciò va direttamente a toccare la
sua essenza, egli è anche in grado di operare questa “auto-manipolazione”, se
si ammette che la moralità è un agire cnforme all’essenza»[14].
«Anche
il concetto metafisico più raffinato di natura umana, come ogni altro, resta
“storico”. Esiste, cioè, ed è appreso solo in una sintesi, già precedentemente
realizzata e mai totalmente dissolubile»[15].
«Esiste per davvero questa inalterabile
“essenza dell’uomo”, prendendo la quale come parametro, qualcosa come una
determinata manipolazione genetica si possa valutare in base all’intrinseca
conformità o contrarietà alla sua natura? Con tutte le nozioni che oggi abbiamo
circa la sconfinata mutabilità dell’uomo sotto l’aspetto biologico,
psicologico, culturale e sociale, abbiamo ancora noi il coraggio di richiamarci
alla “natura” dell’uomo? Sappiamo poi esattamente dove corrano questi confini
essenziali dell’uomo? La perplessità si acuisce ulteriormente, quando sappiamo
che egli è realmente l’essere che non solo si trova coinvolto in un divenire
storico-culturale, ma cambia e deve cambiare se stesso, obbligato com’è a
prendere coscienza di sé, raggiungendo e plasmando così la sua vera natura?»[16].
«Se
questa “essenza” davvero esiste, se essa risulta sperimentata o sperimentabile
– in maniera tematica o atematica – a un dipresso nell’idea che l’uomo si fa di
sé, dove mai troviamo questa essenza, se non in una determinata figura storica,
senza avere poi la possibilità di fare una distinzione chiara e netta fra
l’essenza “presa in se stessa” e la sua configurazione concreta, ma variabile?»[17].
La negazione
rahneriana dell’esistenza e conoscibilità della legge naturale e della stessa
natura umana non solo scalza le basi della morale, ma ha per conseguenza o come
presupposto la negazione di Dio come Autore e Legislatore della natura umana. E
qui ha ragione Benedetto, quando afferma che la radice dell’attuale corruzione
morale e dell’attuale apostasia dalla fede è l’ateismo.
Giova a
questo punto notare come il S.Offizio in un decreto del 2 febbraio 1956,
descrive bene ante litteram la
sopradescritta maniera rahneriana di concepire l’agire morale, quando parla di
coloro che
«sostengono che la decisiva ed ultima norma
dell’agire non è il retto ordine oggettivo determinato dalla legge di natura,
ma è un certo intimo giudizio e lume della mente di ciascun individuo, per il
quale, posto nella situazione concreta, gli si rende noto che cosa deve fare.
Dunque, questa ultima decisione, secondo loro,
non è l’applicazione della legge oggettiva al caso particolare, dopo aver
considerato e ponderato i caratteri particolari della situazione secondo le
regole della prudenza, ma è quell’immediato lume e giudizio interno»[18],
ossia l’opzione fondamentale[19],
che è l’espressione pratica dell’esperienza trascendentale atematica. «Secondo
questi autori, il concetto tradizionale di natura umana non basta, ma bisogna
far ricorso al concetto di natura umana esistenziale, che per lo più non ha un
valore oggettivo assoluto, ma relativo e pertanto mutevole»[20]
.
E difatti
per Rahner, l’atto morale non è la semplice applicazione della legge universale
al caso concreto, ma
«possiede
una caratteristica ed una individualità positiva, che non si lascia più
tradurre in un’idea o norma generale, che non si può più esprimere mediante una
frase formata da concetti universali»[21].
Si tratta di un’«ineffabile individualità morale»[22].
Sarebbe
quella che Rahner chiama «norma esistenziale», propria di un’«etica
esistenziale»[23],
fondata sulla natura umana esistenziale, ossia l’individuo concreto. Insomma,
per dare all’azione la sua concretezza, il soggetto, secondo Rahner, deve
aggiungere un fattore individuale deciso da lui, che avrebbe il compito di
superare l’astrattezza della legge per renderla operativa nel concreto. Ci
troviamo qui nella tesi condannata dal S.Offizio.
Bisogna
dire, allora, che è vero che l’azione è qualcosa di concreto; per cui è vero
che il soggetto ha il compito di concretizzare, far passare nei fatti l’astrattezza
della legge. Ma resta il fatto che la legge ha già un contenuto sufficiente per
conto suo per dirigere l’azione, e che l’azione deve restare intellegibile e
non ha bisogno di arricchire il suo contenuto con un apporto proveniente dal
soggetto. Infatti, l’azione non può essere intellegibile, se non può essere
concettualizzata. E neppure il soggetto deve aggiungere alcunché di proveniente
da se stesso, perchè ciò comporterebbe un mutamento della legge e quindi una
disobbedienza alla legge.
L’aberrante
sistema teologico di Rahner ha i suoi fondamenti primi nella sua metafisica
esposta in Uditori della parola: una
concezione dell’essere univoca e ad un tempo equivoca. Univoca, perché l’essere
è uno sì da negare gli enti, che sono solo fenomeni dell’essere. Una concezione
equivoca, perché sono respinti i gradi analogici dell’essere, che si confondono
fra di loro.
Insomma,
manca l’analogia, che assicura la somiglianza, la diversità e la proporzione
nell’unità, l’unione nella distinzione, e il primato dell’uno sui molti,
secondo il titolo della famosa opera magistrale di Maritain: Distinguer pour unir. Ricordiamo gli avverbi di Calcedonia: adiairètos, achoristos, atreptos,
asynchitos.
Rahner confonde il distinguere col separare e
col contrapporre. E allora, per non separare, confonde. Per questo i distinti
sono inseparabili. Così l’essere si confonde col pensiero, con l’agire e col
divenire. La materia diventa spirito e lo spirito diventa materia. Il corpo
diventa anima e l’anima diventa corpo. La natura si trascende nella grazia e la
grazia si concretizza la natura. L’uomo è divino e Dio è umano. In Cristo Dio
si muta nell’ uomo e l’uomo si muta in Dio. Cristo è il vertice dell’uomo e
l’uomo è diventare Cristo. L’antropologia è la cristologia e la cristologia è
la teologia. Tutto diventa tutto e tutto è tutto.
Prendendo a
pretesto la nozione biblica dell’unità dell’individuo umano, Rahner non ammette
una separabilità dell’anima dal corpo, che per lui sarebbe un infausto lascito
del «dualismo greco». Invece per lui il
corpo è il materializzarsi dell’anima, così come l’anima è lo spiritualizzasi
del corpo.
«Il corpo,
per Rahner[24],
è ciò in cui l’anima raggiunge l’attuazione della sue essenza». Ma le cose non
stanno così. L’anima non è o non ha un’essenza incompleta che abbia bisogno di
essere attuata e tanto meno dalla materia. L’anima come forma è già completa in
se stessa. E per questo può sussistere da sé senza il corpo. Nei confronti del corpo
l’anima non attua la propria essenza, ma svolge la funzione informante, che è
quella di dare forma al corpo o essere forma del corpo.
Si può dire
semmai che l’anima è un’essenza umana
incompleta, perché è parte dell’essenza dell’uomo, essenza che si completa con
l’aggiunta del corpo. Ma l’anima in se stessa è un’essenza compiuta e completa,
per cui l’essenza dell’anima si definisce indipendentemente dalla sua unione col
corpo, anche se si deve precisare che è
fatta per unirsi al corpo. Ma l’anima dei defunti è veramente anima anche senza il corpo.
Partendo da questo
presupposto fallace che anima e corpo si completano a vicenda, appare
inspiegabile il conflitto o contrasto fra carne e spirito conseguente il
peccato originale, scompaiono gli obblighi universali dell’etica e in
particolare della disciplina sessuale, non hanno più senso la rinuncia e il
sacrificio, nulla è assolutamente proibito; ognuno, essendo «diverso»
dall’altro, è libero di scegliere il proprio «orientamento sessuale», fosse
pure la sodomia o la pedofilia; i peccati carnali sono semplici fragilità o debolezze
e scompare il dovere e lo sforzo della volontà
di dominare le passioni col soccorso della grazia, il dovere delle
pratiche ascetiche e di lottare contro la concupiscenza, fino al dovere
dell’astinenza sessuale nel voto di castità, dato che tutti siamo in grazia ed
essendo tutti oggetto della divina misericordia, tutti ci salveremo.
Se l’uomo
può liberamente plasmare e manipolare il suo corpo solo perchè ne ha le
possibilità tecniche, senza tener conto di alcuna legge naturale, giudicata
illusoria, appare allora chiarissimo come qui abbiamo una gravissima
mistificazione, abbiamo quella giustificazione atea ed ereticale dell’attuale
dilagare della lussuria, che Benedetto XVI ha drammaticamente denunciato nei
suoi Appunti, uscendo dal suo
silenzio in soccorso alla pastorale di Papa Francesco, che proprio di recente
ha pubblicamente espresso la sua gratitudine alla saggezza dell’anziano
vegliardo.
Rahner
concentra tutta l’attenzione della morale nell’opzione fondamentale
sottovalutando l’importanza morale essenziale degli atti categoriali e particolari
del libero arbitrio, che concernono i singoli atti ed oggetti concreti
dell’agire, i fini immediati o secondari, nonché le singole specie delle virtù e dei vizi.
Sottovaluta, in quanto egli parla di una pluralità o ripetitività meramente materiale
degli atti, che non darebbero ad essi alcun valore formale in rapporto alla
legge divina, per cui non valgono moralmente per se stessi, ma solo in quanto pressioni
effimere ed inadeguate dell’opzione fondamentale, come è segnalato dall’enciclica
Veritatis splendor, la quale fa
chiaro riferimento a Rahner, anche se non è nominato (n.65).
Inoltre, mentre
in Rahner la dinamica del libero arbitrio, dell’adempimento della legge,
dell’acquisto delle virtù e della lotta al vizio e al peccato sembra
irrilevante e sparire, e l’intellegibilità e la determinabilità del valore morale
– merito o colpa – dal canto loro paiono impallidire o sfumare nella nebbia dell’incerto
o del semplicemente probabile, tutto il campo della vita morale sembra essere
invaso e occupato da una presenza ingombrante della grazia, che fa da padrona incontrastata
spingendo irresistibilmente il soggetto verso l’eterna salvezza morale. Per amore o per forza tutti vanno in paradiso[25].
Per quanto
riguarda il rapporto dell’amore di Dio con l’amore del prossimo, Rahner sostiene
una tale unità fra i due comandamenti[26],
che sembra che egli non distingua più i due oggetti l’uno dall’altro, che
invece sono ben diversi, dato che Dio è Bene infinito, mentre il prossimo è
bene finito, per cui sembra che confonda il prossimo con Dio.
Egli insiste
nel dire che chi ama sinceramente il prossimo, implicitamente ama già Dio e non
può non farlo per Dio. È vero; ma egli trascura di mettere in luce l’infinta
superiore amabilità d Dio rispetto a quella del prossimo. Da qui il primo e
sommo dovere di amare Dio per Se stesso come Fine ultimo e sommo Bene. Insomma
l’amore per Dio ha una sua specificità insostituibile, che per quanto possa
essere implicita nell’amore del prossimo, bisogna che in qualche emerga alla
coscienza, per non finire con l’amare il prossimo al posto di Dio.
Amare il
prossimo come fosse Dio è il peggior modo di amare il prossimo che si possa
immaginare. Occorre saper accettare anche l’ostilità da parte del prossimo per
amore di Dio. Chi si fa schiavo degli altri approvandoli in tutti i loro
capricci col pretesto della carità fraterna, non è un vero evangelico servitore
del prossimo, ma è un ambizioso in cerca di potere o di successo mondano o un
meschino leccapiedi preoccupato solo di
stare a galla e di salvare la pelle.
È vero che
ci può essere anche il rischio contrario idealistico di amare Dio disprezzando il
prossimo col pretesto che il prossimo è ben poca cosa rispetto a Dio. Lo
spirito non è superiore alla materia? La Verità non è nell’intimo della mia
coscienza? Che me ne importa degli altri? E forse o anche senza forse Rahner
manca anche qui, quando viene fuori col discorso della natura «plasmabile» e
«manipolabile» in nome della «libertà della persona» in contatto diretto con
l’Assoluto dato aprioricamente nell’esperienza trascendentale.
Una
particolare difficoltà nell’etica rahneriana è inoltre data dal fatto che è carente
per quanto riguarda l’etica delle passioni a causa del suo ridurre l’essere
spirituale a quello corporeo e per conseguenza l’attività spirituale a quella
sensitivo-emotiva. Ciò appare particolarmente evidente per esempio nel campo
dell’etica sessuale, dove non si può parlare di
armonizzare volontà e passione, a causa della confusione della volontà
con l’istinto sessuale. Per cui l’unica
alternativa è o confusione od opposizione.
Allora non
ci sono che due possibilità: se si vuole affermare la volontà si cade nel rigorismo
e se si vuole il rispetto del piacere si
cade nel lassismo. Si capisce allora il perchè di fondo inconfessato
dell’opposizione che Rahner fece alla Humanae
vitae[27]:
dietro le altisonanti motivazioni filosofico-psicologico-sociali non è difficile
rintracciare la sostanziale istanza edonistica liberale.
Rahner concepisce
l’agire morale come moto continuo ed inarrestabile del volere in possesso
dell’«esistenziale soprannaturale»[28],
cioè la grazia, verso Dio inteso non come trascendente, ossia al di sopra
dell’uomo, ma come «orizzonte ultimo dell’autotrascendenza umana», sicchè
l’uomo in ogni atto categoriale delibero arbitrio tende sempre
trascendentalmente, lo sappia o non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, verso
Dio, che poi non è colui che compie
l’uomo, ma è il compimento dell’uomo.
Questa
concezione comporta sei gravi inconvenienti.
Primo. La confusione
della natura con la grazia[29].
Si deve dire che la grazia non è il vertice l’attuazione suprema, e necessaria
ed inevitabile della natura affinchè l’uomo sia pienamente uomo. La natura è la
semplice disponibilità del soggetto ad essere attuato dalla grazia. La grazia, contrariamente
a quanto crede Rahner, non è Dio, ma è un dono creato di Dio, amissibile col
peccato mortale. L’uomo può distruggere
la grazia. Se la grazia fosse Dio, non la potrebbe distruggere. Allora la
grazia non è, come sostiene Rahner, un’«autocomunicazione divina»[30]
all’uomo, perché Dio Padre comunica Se stesso, ossia la propria divinità solo
al Figlio, ma è una partecipazione analogica e quaggiù contingente della vita
divina all’uomo.
Si deve dire
inoltre che la grazia serve anzitutto (grazia sanante) per la remissione dei
peccati e per guarire la natura dalle ferite del peccato originale. Per un ulteriore
superiore beneplacito della bontà divina la grazia serve ad elevare la natura allo
stato soprannaturale della figliolanza divina ad immagine del Figlio sotto la
mozione dello Spirito Santo (grazia elevante).
La natura
non è una semplice astratta possibilità, ma un ente sostanziale compiuto e
concreto, che ha già da sè per fine ultimo Dio, per cui, se Dio avesse voluto,
avrebbe potuto limitare la felicità umana al solo conseguimento di Dio come
fine ultimo naturale (Pio XII, enc. Humani
generis).
In base a questi
presupposti sembra che per Rahner l’essere cristiano sia una specie di innalzamento
dell’umano al divino, sicchè il cristianesimo appare come un umanesimo portato alla
sua massima perfezione. Dice: «il cristiano è semplicemente l’uomo che accetta
senza riserve tutta la vita umana»[31];
«il compito vasto, veramente totale del cristiano in quanto cristiano è quello
di essere un uomo, naturalmente un uomo con quella profondità divina che è inevitabilmente
presente e dischiusa nella sua essenza»[32].
Un’umanità non può avere una «profondità
divina», ma solo una profondità umana, anche se è vero che la grazia può in
certo modo divinizzare l’uomo; ma allora propriamente la grazia si aggiunge
alla natura e non la trasforma in divina.
Secondo. La
confusione fra agire morale ordinario ed esperienza mistica[33].
Per Rahner tutto l’agire di ogni cristiano è effetto di uno stato mistico
necessario e permanente, benché possa essere inconscio[34].
E questo discende logicamente dal suo principio secondo il quale ogni uomo,
anche non credente («cristiano anonimo»)[35]
tende sempre volontariamente a Dio con tutto se stesso, sostenuto dalla grazia,
che non gli manca mai. Anzi l’essenza stessa dell’uomo sta in questo tendere
soprannaturale a Dio, per cui appare qui evidente una confusione dell’essere
con l’agire.
L’esperienza
mistica si distingue dall’agire morale ordinario guidato dalle virtù per il fatto che la detta
esperienza è causata dall’atto dei sette
doni dello Spirito Santo, che muovono intelletto e volontà ad atti morali più
perfetti non precedentemente deliberati, ma mossi direttamente dallo Spirito[36].
Terzo.
Negazione della vera natura e della dannosità del peccato[37].
Rahner non nega l’esistenza del peccato, ma lo dichiara innocuo perché esso è
perdonato dalla misericordia divina e dall’autocomunicazione che Dio fa di Se
stesso a tutti gli uomini, lo sappiano o non lo sappiano. Il peccato non toglie
la grazia, ma coesiste con essa, che comunque è sempre presente ed operante. Il
peccato, secondo lui, tocca solo il piano «categoriale» dell’empirico,
dell’incerto, dell’opinabile, del fallibile e del caduco, dove non esiste una
verità certa e non si decide del destino eterno dell’uomo, che è invece il
piano «trascendentale» dove tutti optano per Dio e sono orientati a Dio.
Il peccato,
quindi, per Rahner, è semplicemente un’azione malriuscita, abortita, che si
distrugge da sola. Oltre a ciò è impossibile sapere con certezza che peccati abbiamo fatto[38],
così come è impossibile conoscere con certezza la legge morale, che si suppone che
il peccato abbia trasgredito. I concetti e gli stessi dogmi mutano. Quindi, per togliere il peccato non c’è bisogno
di alcun sacrificio, alcuna espiazione, alcuna riparazione, ma basta la fede nella
misericordia divina[39].
Invece è possibile un’esperienza della grazia, che ci garantisce che Dio è con
noi e che ci salveremo. Il concetto del bene e del male non è dato dal piano
categoriale e concettuale, ma dall’«esperienza trascendentale», preconcettuale,
coscienziale, atematica ed ineffabile dell’Assoluto
divino.
Quarto. Negazione
del peccato originale[40].
Per Rahner ogni uomo è peccatore perdonato,
per cui in fin dei conti, tutti sono buoni e vanno in paradiso[41].
Non esistono i dannati. Il peccato originale non è stato un peccato realmente
commesso da una coppia all’origine dell’umanità per tentazione del demonio, per
cui la colpa si trasmette per generazione (contro l’enc.Humani generis), ma è un mito eziologico, che rappresenta il peccato
del mondo, è il male radicale naturale, che la misericordia incondizionata di di
Dio in Cristo ha perdonato senza toglierlo, perché serve: iustus et peccator.
Per Rahner come non c’è essere senza non-essere, come non c’è Dio senza mondo,
così non c’è bene senza male. Tuttavia per lui il demonio non esiste, ma non
esiste come persona: esiste come simbolo del male.
Quinto.
Negazione della contingenza della grazia. Per Rahner la grazia non è mai persa da
nessuno. Tutti sono sempre in grazia. Cosa del tutto falsa e contraria alla fede ed all’esperienza del cristiano
onesto ed umile. In realtà la grazia, che pure è di essenza divina, non è proprietà
essenziale dell’uomo, ma in quanto gratuito dono divino in aggiunta alle
semplici esigenze della natura, è una semplice qualità accidentale dell’anima[42],
ha nell’uomo un’esistenza fragile e precaria, anche nei cosiddetti «santi confermati
in grazia».
Segno di santità
è proprio il timore di perdere la grazia
o di non possederla. Il che non toglie ai santi la pace della loro coscienza e
la parresia della loro testimonianza, che però è frutto di umiltà e non di arroganza. In realtà la grazia può
essere quaggiù persa da chiunque. Ed effettivamente ciò ogni tanto accade in questo o in quegli.
Ma può essere riacquistata ed anzi rafforzata col pentimento, la confessione della
propria colpa e l’ottenimento del perdono divino.
Sesto.
L’autocertezza di essere permanentemente ed immancabilmente in grazia crea nel
disgraziato soggetto un’intollerabile sicumera e presunzione di essere
continuamente infallibile strumento di Dio, maestro universale di
verità salvifica, che si esprime in un
insopportabile dogmatismo ed odio nei
confronti degli avversari, come appare evidente negli eretici, per
esempio in Lutero.
Infine,
punto importante dell’etica rahneriana
la sua dottrina della morte della resurrezione[43].
In conformità alla sua antropologia, per la quale con la morte «tutto l’uomo
muore», per cui nega l’immortalità dell’anima e la sua sopravvivenza dell’anima
dopo la morte, ben consapevole che il dogma
cristiano ammette la resurrezione del corpo alla parusia finale di
Cristo, per conciliare l’inconciliabile, adotta il seguente espediente, del
tutto incurante se esso sia o non sia
conforme alla rivelazione biblica:
sostiene che al momento della morte tutto l’uomo muore e tutto simultaneamente
risorge, quindi non dopo la morte, ma
nella stessa morte. Il che lo porta a concepire la morte non come il momento
in cui il soggetto perde l’esercizio della libertà a causa della corruzione del
corpo, ma al contrario come il compimento della scelta suprema e decisiva per
la libertà. È il compimento finale e
definitivo del movimento dell’autotrascendenza umana fondato sull’esperienza
trascendentale e l’opzione fondamentale.
Certo,
è l’incontro con Dio, del resto, come abbiamo visto, assicurato a tutti, ma
inteso come? Come l’inabissarsi del soggetto nell’oscurità impenetrabile,
nell’infinità incomprensibile e nell’intellegibilità ineffabile del Mistero
assoluto e senza nome[44].
Però ricordiamoci che questo «Mistero assoluto» non è altro che l’ultimo
«orizzonte della trascendenza umana». E
dunque?
Rahner
precisa che egli vede qui la morte non in riferimento alla morte sacrificale di
Cristo – il che potrebbe avere una qualche plausibilità -, ma proprio in riferimento alla morte in quanto morte;
il che ci conferma nella convinzione suffragata da molte prove, che la base della metafisica rahneriana si
ispiri alla dialettica hegeliana. Dunque, come non c’è essere senza non-essere,
come non c’è essere senza divenire, positivo senza negativo, vero senza falso, bene
senza male, così non c’è vita senza morte, nel mondo come in Dio.
Alcune
considerazioni conclusive.
Certo a
questo punto, dopo questo impressionante e vorremmo dire sconvolgente panorama,
che passa dall’assurdo al ridicolo al blasfemo all’eretico, dopo questa
accurata e documentata disamina che fa rizzare i capelli, sorge spontanea e preoccupata
la domanda come mai S.Paolo VI o chi per lui non abbia mai avuto una parola di
condanna di questi ed altri errori di Rahner, Paolo VI che ha parlato di «magistero parallelo», di
«autodemolizione della Chiesa» e del «fumo di Satana» in essa penetrato.
Il Santo
Pontefice ha ritenuto meglio e più utile limitarsi alla presentazione ed alla
difesa della sana dottrina. Durante il suo pontificato la CDF ha condannato
errori che potevano collegarsi a Rahner; mail suo nome non è mi stato fatto.
Evidentemente grazie a potenti protezioni, è sempre riuscito a farla franca,
benché confutato da illustri e dotti teologi, come per esempio il Padre Perini,
il il Padre Alberto Galli, il Padre Fabro, i Cardd.Siri e Parente e il Von
Balthasar. Ma evidentemente ha lasciato a noi oggi il compito di affrontare
questo grave problema niente affatto risolto, ma che si è aggravato, perché
oggi come non mai ci rendiamo conto dei frutti velenosi del rahnerismo. Eppure ci
si lamenta, ma ci si ostina a non capire da dove viene il male. Dunque allora:
Primo.
Occorre nei confronti del rahnerismo assumere
un atteggiamento veramente critico, ossia di selezione scientifica comprovata e
definitiva, per quanto è possibile, del grano dal loglio. Accanto a
stroncature che rivelano ignoranza, fraintendimento, faziosità e
conservatorismo preconciliare; troppe sono le interpretazioni ingenue, che non
vedono l’insidia, sicchè l’incauto cade nella rete. Ancora peggio è l’ostinazione di chi non vuol
vedere, perché ciò fa comodo ai suoi vizi o disturba la sua carriere
accademica.
È ovvio che
bisogna interpretare, per quanto è possibile, in bonam partem. È chiaro che non
si deve aver fretta di giudicare. Ma quando, dopo attento esame e l’uso di
opportuni criteri di valutazione, l’errore appare manifesto, allora non ci si
deve lasciar intimidire dalla fama o dal prestigio dell’Autore, ma con umiltà,
prudenza, fermezza e parresia, soprattutto se si hanno incarichi scientifici o
pastorali o di docenza o educativi, l’errore deve essere denunciato alla Chiesa
con la stessa serietà e lo stesso senso di responsabilità e con lo stesso
spirito di servizio, dei quali danno normalmente prova le autorità sanitarie,
le quali, approntati i rimedi adatti, avvertono la cittadinanza del diffondersi
di un’epidemia, senza inutili allarmismi e dannosi ritardi.
Ora, sono
cinquant’anni che esiste il problema Rahner. Il Padre Fabro, da par suo, già
nel 1974[45]
segnalava il pericolo che veniva dai princìpi metafisico-gnoseologici
rahneriani, fatti passare da Rahner per tomistici, ma in realtà hegeliani,
soprattutto se tradotti poi nella teologia e nella prassi morale, come
purtroppo di fatto avvenne. E il dottissimo filosofo e teologo non mancò di
segnalare anche questo grave pericolo[46],
allora solo agli inizi, al quale certamente allude Benedetto nei suoi Appunti.
Dunque, il
persistente rifiuto di prendere atto da parte dei seguaci di Rahner delle
conseguenze disastrose, che, dalla sua teologia e dalla sua morale, si possono
trarre e di fatto sono state tratte su larga scala, per esempio nelle
istituzioni educative della Chiesa e nella formazione dei sacerdoti, appare ogni giorno di più il segno di una
sorprendente cecità sempre meno scusabile e sempre più colpevole, come ebbe a
dire il compianto Card.Caffarra: «solo un cieco non si rende conto della
confusione che oggi regna nella Chiesa». E il Porporato, illustre moralista, si
riferiva soprattutto agli attuali costumi morali.
Secondo.
Occorre chiarire ulteriormente qual è stato il contributo positivo di Rahner
alle dottrine ed alla pastorale del Concilio, e sviluppare questo contributo.
Occorre dimostrare ai lefevriani che gli apporti di Rahner al Concilio non
hanno introdotto nessun modernismo nelle dottrine del Concilio. Occorre però anche confutare la falsa
interpretazione, di orientamento modernistico,
data da Rahner a certe dottrine conciliari[47].
Terzo. I
rahneriani hanno creduto di poter sostituire S.Tommaso nell’educazione
cattolica, nella formazione del clero e nella promozione della teologia,
nonostante gli avvisi del Concilio. In questi cinquant’anni si sono
impiegati mezzi ingentissimi in questa
impresa per nulla raccomandata dal Concilio. Quali sono i risultati?
Li abbiamo
sotto gli occhi: disobbedienza al Magistero della Chiesa, sbandamento dei
giovani, degrado della teologia, accentuazione dei conflitti intraecclesiali e
sociali, apostasia dalla fede, calo delle vocazioni, della pratica religiosa e
dei sacramenti, scandali dei pastori, diffusione del vizio, aumento
dell’empietà, della delinquenza, dell’egoismo individuale e sociale e della
povertà.
Bisogna
attuare il Concilio riguardo ai punti suddetti, dove si è voluto accantonare
S.Tommaso. Occorre invece rimetterlo in onore. Di Rahner conservare i lati
buoni e rifiutare il resto.
Quarto.
Suggerire al Santo Padre di favorire le prescrizioni del Concilio riguardanti
S.Tommaso e di promuovere un più attento e approfondito esame critico del
pensiero rahneriano[48].
Sintesi
riassuntiva
Rahner
concepisce l’agire morale sostanzialmente in chiave di libertà, come processo
di autotrascendenza verso Dio dello spirito nella storia e nel mondo, sorretto
e prevenuto dalla grazia divina perdonante già da sempre, necessariamente,
dovunque e comunque, benché atematicamente, preconcettualmente, implicitamente ed inconsapevolmente, spirito o soggetto o persona, che nella sua
libertà di autodeterminazione, è agente di un’opzione fondamentale per Dio, nel
quale si risolve e si struttura l’essere stesso
esistenziale e concreto dell’uomo.
Presupposto
metafisico dell’etica rahneriana è la sua concezione dell’essere: identità di
essere e pensiero, di essere e di agire, di essere e divenire. Sintesi
dialettica dei contradditori. L’essere è confuso con l’essere divino, quindi
panteismo.
Ciò comporta naturalmente l’identità di tutto
con tutto, in particolare: essere e non-essere (divenire): nulla è immutabile;
vero e falso: nulla è certo; bene e male: nulla è solo bene; vita e morte:
nulla è solo vita; peccato e giustizia: nessuno è solo giusto.
L’uomo, per
Rahner, è «trascendenza e storia». È costituito dall’«esperienza trascendentale
apriorica, preconcettuale, inconscia ed atematica» (Vorgrff) soprannaturale di Dio, dell’io e dell’essere. Dio è
l’orizzonte della trascendenza umana. Dio è autocomunicazione di sé all’uomo.
Dio in Cristo diviene uomo e l’uomo diviene Dio. La creazione e l’Incarnazione
sono Dio che diviene uomo. Lo spirito diventa materia (Hegel) e la materia diventa
spirito (Teilhard de Chardin).
L’uomo è
originariamente nel peccato e nella grazia. Il peccato originale non è fatto
storico riguardante una coppia umana nel passato, la cui colpa si trasmette per
generazione, ma è il peccato attuale del mondo.
Il peccato
non è tolto dalla grazia, ma coesiste con la grazia. Iustus et peccator. Cristo non ha soddisfatto al Padre per noi[49],
non ha pagato nessun debito al Padre, ma ci ottiene dal Padre un perdono divino
universale («per tutti»), gratuito ed incondizionato. Non placa l’ira del
Padre, perché il Padre non è affatto adirato, ma da sempre è volto
misericordiosamente verso l’uomo. L’immagine del Dio adirato sarebbe una
vecchia immagine superata e negata dal Dio cristiano. Abbiamo qui una traccia
di marcionismo. Oggi invece va di moda il Dio che «diviene» e che «soffre» o il
Dio «debole», ma anche queste immagini sono di origine rahneriana.
Non esiste per
Rahner una legge naturale certa, precisa ed immutabile, istituita da Dio,
fondata sulla natura umana, perché di questa natura, sempre mutevole, non
conosciamo i confini.
L’atto
morale non è semplice applicazione della legge al caso particolare, ma
applicazione di una legge individuale esistenziale e non-concettualizzabile,
aggiuntiva a quella universale, in aggiunta e concretizzazione della legge
universale astratta, per iniziativa e decisione irripetibile della persona. In
base a ciò non possiamo sapere e valutare con certezza quali peccati abbiamo
fatto, ma non importa, perchè comunque siamo perdonati.
Siccome
l’unità di spirito e corpo è inscindibile, e il corpo è espressione dello
spirito, e lo spirito è corpo autotrasceso, non c’è da mortificare o vincere o domare
gli impulsi della carne, e quindi
non c’è bisogno dell’ascetica, ma la
vita cristiana, in forza dell’opzione fondamentale, è immediatamente mistica, sintesi di carne
spirito.
Il libero
arbitrio vale solo per questa vita, ma è inutile alla salvezza. Non si tratta
di dire sì o no a Dio, perché ogni uomo tende essenzialmente ed originariamente
a Dio, anche inconsciamente, anche gli atei, in forza dell’esperienza
trascendentale e della conseguente opzione fondamentale, ed è oggetto
dell’amore perdonante divino, per il
quale l’uomo nella morte raggiunge che è il pieno compimento della libertà. Le
scelte categoriali non impediscono l’opzione fondamentale per Dio.
La natura
umana può essere intesa o come essenza dell’uomo o come parte materiale
dell’uomo. L’essenza può esser considerata o astrattamente o concretamente.
Astrattamente considerata, come pura natura, è la potenza obbedienziale, ossia
il soggetto come possibilità astratta della vita di grazia, di fatto sempre
attuata come esistenziale soprannaturale, sicchè ogni uomo, anche se
implicitamente ed atematicamente (cristiano anonimo), è in grazia, la quale
pertanto è il compimento ultimo ed il vertice della natura.
Concretamente
considerata, la natura umana, ossia l’uomo, s’identifica con la persona
concreta nella storia. Qui la natura umana come parte materiale della persona
non è regolata da leggi prefissate, che noi siamo obbligati a rispettare, ma è liberamente plasmabile o manipolabile
dalla libertà della persona.
Per quanto
riguarda la morte e la resurrezione, Rahner non ammette una sopravvivenza
dell’anima dopo la morte separatamene dal corpo. Tutto l’uomo muore e tutto
l’uomo risorge. Ma che vuol dire «risorge»? Non è l’anima che riassume il
proprio corpo, ma si tratta del fatto, secondo Rahner, che nella stessa morte
avviene la resurrezione.
La morte,
per Rahner, non è fallimento, ma – e si noti: non la morte di Cristo, ma
proprio la morte come morte - è il
momento supremo della libertà, è il compimento positivo-negatvo dell’uomo,
dove, nel Mistero incomprensibile ed innominabile di Dio, coincidentia oppositorum, essere e non-essere, essere ed apparire, essere e divenire, sì e
no, vero e falso, bene e male, attivo e passivo, vita e morte, anima e corpo,
tutto e nulla si sintetizzano per sempre nell’Eterno. È l’apoteosi dell’iustus et peccator.
La morte
nella vita, la vita nella morte. È l’antico principio dell’esoterismo
massonico: «Kein Leben ohne Tode, kein Tode ohne Leben». Resurrezione non dopo la morte, ma nella morte. Non nel futuro, ma
adesso. La vita presente è la vita eterna.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato, 7 ottobre 2019
[1] Cf KARL RAHNER E IL CRISTIANESIMO, Sacra Doctrina, 1, 1989,
pp.93-135; L’ANTROPOLOGIA DI KARL RAHNER, Sacra Doctrina, 1, pp.28-55; pubblicato anche
negli Atti del IX Congresso Tomistico Internazionale, vol.III, Antropologia tomista, a cura della
Pontificia Accademia di S.Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, pp.382-400.
[3] Les principes de la théologie
catholique,Téqui, Paris 1982.
[4] L’essenza dell’uomo, in Karl
Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura,Verona
2009, pp.108-120.
[5] Cf Il libero arbitrio, in Karl
Rahner. Il Concilio tradito, op.cit., pp,315-330.
[6] Nuovi saggi, I, Edizioni Paoline, Roma 1968, p.338.
[8] Saggi di spiritualità, Edizioni Paoline,Roma 1969, p.115,
[10] Ibid., p.322.
[11] Ibid., pp.317-318
[12] Nuovi saggi, III, op.cit.,p.341.
[13] Ibid., p.342.
[14] Ibid., p.343.
[15] Saggi di antropologia soprannaturale, Edizioni Paoline,Roma 1969,
p.50
[16] Nuovi saggi, III, op.cit., pp.345-346.
[17] Ibid., p.346.
[18] Denz.3918.
[19] Cf Nuovi
saggi, I, op.cit,, p.340.
[20] Denz.3919.
[21] Saggi di antropologia soprannaturale, Edizioni Paoline, Roma 1969,
p.483.
[22] Ibid.
[23] Padre Tomas Tyn, Saggio sull’etica formale esistenziale di
Karl Rahner, Edizioni Fede&Cultura,Verona 2011.
[24] Saggi di Spiritualità, Edizioni Paoline, Roma 1969, p.148.
[25] La
questione dell’inferno, in Karl
Rahner, op.cit., pp.299-303; cf anche il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni
Fede&Cultura,Verona 2010, pp.70-84; LA NEGAZIONE DELL’INFERNO
NELLA TEOLOGIA DI K.RAHNER E DI E.SCHILLEBEECKX, in Inferno e dintorni. E’ possibile un’eterna dannazione?, Atti
del Convegno Teologico Internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata,
a cura di P.Serafino M.Lanzetta, FI, Edizioni Cantagalli, Siena, 2010, pp.223-251.
[26] Cf Unità e dell’amore di Dio e del prossimo, in Nuovi saggi, I, Edizioni Paoline, Roma 1968, pp.385-412; Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline,
Roma 1978, p.521.
[28] Cf il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito,
Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, pp.47-60.
[29] Cf La grazia in Karl Rahner,
op.cit, pp.223-232.
[30] Cf Peter
Paul Saldanha, Revelation as «Self-Communication
of God», Urbanian University
Press, Rome 2005.
[31] Corso fondamentale sulla fede, op.cit., p.511.
[32] Ibid., p.512.
[33] Vedi il mio articolo La falsa mistica di Karl Rahner in
questo blog.
[34] Cf Esperienza dello Spirito Santo, in Dio e Rivelazione, Edizioni Paoline,Roma 1981, pp.277-377.
[35]
I cristiani
anonimi, in Karl Rahner, op.cit, pp.285-289; LA RADICE
TEORETICA DELLA DOTTRINA RAHNERIANA DEL CRISTIANESIMO ANONIMO, in Fides Catholica, 2,
2008, pp.289-314; ripubblicato in: Karl
Rahner – Un’analisi critica – La
figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984), a cura
di Padre Serafino M.Lanzetta, Ed.Cantagalli, Siena, 2009, pp.51-71.
[36] Cf S.Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.68.
[37] Cf Karl Rahner, op.cit., Il peccato, pp.232-243; Neutralizzazione della colpa nella teologia
tradizionale? In Nuovi Saggi, V, Edizioni Paoline, Roma 1975, pp.191-216; Scienza e fede cristiana, Edizioni
Paoline,Roma 1984, p.340.
[38] Saggi di spiritualità, op.cit., p.351.
[39] Cf Scienza e fede cristiana, op.cit., p.344; K.Rahner-W.Thüsing, Cristologia. Prospettiva sistematica ed
esegetica, Morcelliana, Brescia 1974, pp.54-55.
[40] Karl Rahner, op.cit., pp.237-239.
[41] Cf Scienza
e fede cristiana, op.cit.,p.345.
[42] S.Tommaso, SummaTheologiae, I-II, q.110. a.2.
[43] Cf Sulla teologia della morte, Morcelliana, Brescia 1972, pp.29-31,
38-40; Su una teologia della morte,
in Nuovi saggi, V, op.cit.,
pp.241-265; cf MORTE E
RESURREZIONE IN RAHNER, Sacra Doctrina,
1, 1998, pp.28-71.
[44] Esercizi spirituali per il sacerdote. Iniziazione all’esistenza
sacerdotale, Queriniana, Brescia 1974, pp.8-15.
[45] La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi Editore, Milano
1974.
[46] L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974.
Meglio avrebbe detto: modernista.
[47] È quello che
ho cercato di fare nel mio libro Karl
Rahner. Il Concilio tradito,Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.
[48] Vedi per esempio le seguenti
raccolte di studi Karl Rahner. Kritische
Annäherungen, a cura di David Berger Verlag
Franz Schmitt, Siegburg 2004; Karl
Rahner. Un’analisi critica a cura di S.Lanzetta, Cantagalli, Siena 2009.
[49] Il sacrificio di Cristo, in Karl
Rahner, op.cit., pp.207-216.
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