Abramo era in buona fede, ma viene illuminato dall’angelo

Abramo era in buona fede,

ma viene illuminato dall’angelo

Un Lettore mi ha inviato i seguenti commenti al mio articolo “Ancora sul sacrificio di Abramo”

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2022/07/ancora-sul-sacrificio-di-abramo.html

Pubblico i commenti, del 17 e del 22 luglio, ai quali faccio seguire la mia risposta.

Caro Padre Giovanni,
innanzitutto, desidero rimarcare il diverso valore di due affermazioni solo apparentemente conseguenziali ma che, a mio avviso, non possiedono pari valore veritativo:
1) Dio non può volere sacrifici umani;
2) Dio non può mettere alla prova la fede di un uomo, chiedendogli il sacrificio di suo figlio.
La prima affermazione è assolutamente vera, oggettiva, condivisibile, come lei ha ben illustrato.
A partire da questa prima affermazione, si potrebbe convenire che anche la seconda, conseguentemente, sia altrettanto indiscutibile.
Ma in realtà, il sottoporre a prova la fede umana, chiedendo di fidarsi di Dio persino se Questi chiedesse di sacrificare il proprio figlio, non è nella sostanza, in contraddizione con la verità della prima asserzione.

Caro Bruno, come al solito rispondo per partes.

Per quanto riguarda la prima proposizione che Dio non può volere sacrifici umani dobbiamo dire che essa è vera perchè il sacrificio di un uomo non è proporzionato alla salvezza dell’umanità.

Per quanto riguarda la seconda proposizione dobbiamo dire, in base alla prima, che Dio non può mettere alla prova un uomo ordinandogli di sacrificare il suo figlio.

Per questo motivo l’affermazione che Dio può mettere alla prova un uomo ordinandogli di sacrificare suo figlio è in contraddizione con la prima.


E ciò perché il “mettere alla prova”, da parte di Dio, non implica affatto il lasciar portare a termine all’uomo, quanto da Lui inizialmente richiesto, anzi lo esclude, e ciò proprio perché “la prova” viene conclusa da Dio, senza spargimento di sangue umano, nel momento in cui l’uomo Abramo ha dimostrato la grandezza della sua fede.

Osservo che la prova imposta da Dio ad Abramo non consiste nel chiedergli inizialmente di sacrificare suo figlio, ma è Abramo che in un primo momento fraintende, perchè ritiene in coscienza che questa sia la volontà divina.

Per questo, ad un certo punto, Dio interviene per mezzo dell’angelo per fare capire ad Abramo che si era sbagliato ad interpretare la sua volontà divina.

La grandezza della fede di Abramo non riguarda il contenuto iniziale della fede stessa di Abramo, ossia non è consistita nell’idea che Abramo si era fatto di dover sacrificare suo figlio, ma nel fatto di obbedire a Dio, nonostante che credesse che Dio voleva il sacrificio di suo figlio.


L’intervento dell’angelo segna la fine della prova. Il test, dunque, per tutta la sua durata, non è mai entrato in contraddizione con la prima asserzione, proprio perché in tutta la durata della prova, non è stata mai permessa da Dio, l’uccisione di Isacco da parte del padre.

È vero che Dio per tutta la durata della prova non ha permesso l’uccisione di Isacco. Tuttavia è stato Abramo che, in un primo momento, ha creduto che Dio volesse una cosa simile. Come sappiamo, è stato l’angelo, il quale a nome di Dio ha rivelato ad Abramo la vera volontà di Dio ordinandogli di non fare alcun male al figlio. Infatti Dio non vuole il male di nessuno, essendo bontà infinita.


Ne consegue anche che il metter fine alla prova, non costituisce un cambiamento del volere di Dio, perché il non voler che l’uomo commetta sacrificio umano, non è mai venuto meno in Dio, né prima, né durante, né dopo la prova.

Potremmo forse dire che Dio, approfittando degli influssi delle usanze cananee e di altri popoli dell’epoca su Abramo, le abbia assecondate, utilizzate proprio allo scopo di metterlo alla prova. Così, il non escludere in assoluto il sacrificio umano, per l’Abramo precedente l’intervento angelico, in qualche modo è il terreno fertile di cui si è servito Dio, ma solo come mezzo, per verificare i limiti della fedeltà di Abramo.

Indubbiamente non è che Dio domandi prima una cosa e poi ne comandi un’altra, perché la volontà di Dio è immutabile. Dio non dà contrordini come facciamo noi uomini e tanto meno è volubile.

È vero tuttavia che Dio permette che Abramo si inganni. Ma questa permissione divina entra nella prova che Dio impone ad Abramo, prova che non è da considerare nel suo contenuto in se stesso non corrispondente alla volontà di Dio, ma è da calcolare in relazione alla volontà con la quale Abramo ha obbedito a Dio benchè in buona fede lo avesse frainteso.


Poi a partire dalla conclusione dell’episodio, con l’olocausto dell’ariete che Dio ha fatto scorgere ad Abramo, quest’ultimo, e tutti i giudei/cristiani dopo di lui, sapranno ancor più chiaramente che Dio non vuole sacrifici umani.
In altre parole (sicuramente le mie inadeguate) dovremmo leggere la richiesta ad Abramo di sacrificare il figlio, come se Dio gli avesse sostanzialmente detto:
«Quanto è grande la tua fede per me, Abramo? Dimostramelo!”, e poi tra Sé “tu ancora credi che io possa accettare sacrifici umani. Ti mostrerò, successivamente, che mai stato così è stato, né mai dovrà esserlo, ma ora ti domando: “continueresti ad essermi fedele, se ti chiedessi in olocausto tuo figlio Isacco?”».

Per quanto riguarda quest’ultima domanda, non mi pare che possa essere ipotizzata. Non mi pare che Dio possa aver posto una simile domanda ad Abramo. Stiamo ai fatti narrati dalla Scrittura.

Dobbiamo riconoscere che il testo biblico ci presenta un Dio che chiede il sacrificio del figlio. Qui però c’è un delicato problema di esegesi, che in passato non è stato risolto bene, perché si è creduto che Dio effettivamente volesse il sacrificio del figlio, salvo poi a cambiare volontà, mediante il messaggio dell’angelo.

Come si risolve questo problema? Stante il fatto che Dio non può chiedere sacrifici umani, l’unica soluzione è che Abramo si fosse sbagliato in buona fede e che viene illuminato dall’angelo su quella che è la vera volontà di Dio.

Se l’angelo ordina ad Abramo “non fargli alcun male”, che cosa significa se non che uccidere Isacco era male, cioè era un peccato? Ma Dio può comandare un peccato?


Dio vuole testare quale è il limite della fede di Abramo e lo fa tramite la richiesta più estrema, più, oserei dire, disumana possibile, in rapporto a quella che è la mentalità dell’Abramo di allora.
Poi, immediatamente dopo aver conosciuto quanto grande sia la fede di Abramo (che diverrà paradigmatica della fede granitica che smuove le montagne), Dio svela che quella richiesta, espressa in termini così paradossalmente estremi, perché in linea con quanto Abramo (e altri suoi contemporanei) erroneamente ritenevano plausibile, non dovrà mai più, nemmeno dubitativamente, essere ipotizzata come ben accetta da Dio.
Appare chiara anche in questo episodio, la progressività della Rivelazione, da lei sottolineata Padre Giovanni, che tiene conto della pregressa mentalità e cultura religiosa dell’uomo, rispettandone i tempi e l’attitudine a crescere nella fede.

Nel momento in cui Dio constata l’obbedienza di Abramo, in quel momento lo illumina sulla sua vera volontà. L’osservazione finale, che possiamo fare su questo episodio fondamentale della storia della salvezza è che in questa circostanza Dio, ben lungi dall’ordinare un sacrificio umano, che poi smentirebbe per mezzo dell’angelo, ci insegna una volta per tutte che Egli non vuole sacrifici umani.

Certamente Dio in questo momento pensava al sacrificio di un altro uomo, che però non sarebbe stato un puro uomo, ma uomo-Dio, Nostro Signore Gesù Cristo. In tal caso allora è chiaro che questo è un sacrificio salvifico, perché la forza redentiva e soddisfattoria di tale sacrificio non viene da un uomo, ma viene da Dio.

È chiaro tuttavia che in questo momento Abramo non sa ancora nulla di questo divino sacrificio e quindi continua col sacrificio dell’animale, proprio dell’Antico Testamento.

La rivelazione del sacrificio divino ci sarà fatta invece da Nostro Signore Gesù Cristo.

Lei ha scritto:
«Nell’Antico Testamento certi ordini o azioni attribuiti a Dio non possono essere presi alla lettera, perché ne uscirebbe un Dio crudele e fautore del peccato, come per esempio quando la Scrittura dice che Dio indurì il cuore del Faraone, oppure comanda di distruggere Gerico in tutte le forme della vita, dagli uomini fino agli animali, oppure quando comanda a Saul, per mezzo del profeta Samuele, di praticare il cosiddetto herem, che era appunto la distruzione totale di una città nemica, con tutti i suoi abitanti».
Un conto è affermare che Dio non possa essere fautore del peccato, affermazione condivisibilissima, direi anche logica conseguenza della perfezione divina, e quindi acquisibile già con la sola ragione filosofica.
Un altro conto è affermare che Dio non può volere, per esempio, la distruzione di un’intera città, perché altrimenti “ne uscirebbe un Dio crudele”. Evidentemente, se un intero villaggio viene distrutto da un terremoto, fatto salvo che tutti siamo macchiati dal peccato originale, non vi periscono solo grandi peccatori ma anche persone buone, caritatevoli e timorose di Dio, il che non rende certo crudele Dio, come lei ha sottolineato in molti interventi su questo blog.
Non è impossibile, lei mi insegna, che Dio possa trarre da qualcosa di male, qualcosa di bene.

Per quanto riguarda la distruzione di Gerico, mi sembra evidente che la gente di allora era convinta che questa cosa fosse voluta da Dio, ma qui ci troviamo davanti ad una concezione arcaica della vittoria militare, che prevede la distruzione totale del nemico. Dunque non possiamo addebitare a Dio di avere comandato un’azione militare di tale crudeltà, crudeltà però della quale siamo consapevoli solo oggi, a partire dall’approfondimento delle esigenze del Vangelo, che parla addirittura dell’amore del nemico.

Per quanto riguarda il fatto che un terremoto distrugga un’intera città, è chiaro che qui una volontà umana distruttrice, presente invece nell’episodio di Gerico, è totalmente assente e quindi non si pone neppure la questione di sapere se una volontà umana distruttrice è stata ordinata da Dio. Non si pone quindi neppure la questione se Dio possa aver veramente voluto un atto così crudele, come la distruzione di Gerico.

Si potrebbe fare un’ulteriore considerazione: molto probabilmente questa distruzione totale ha un significato simbolico, nel senso che il peccato deve essere distrutto totalmente. Il guaio è che si confonde il peccato col peccatore.


Accidentalmente, segnalo che sul tema di Dio che “indurì il cuore del Faraone”, in un recentissimo articolo su La Civiltà Cattolica, rivista che non può essere tacciata di tradizionalismo (https://www.laciviltacattolica.it/wp-content/uploads/2022/07/Q.-4130-4-MEYNET-PP.-119-132.pdf), l’autore Padre Roland Meynet, docente emerito della Gregoriana, commentando Esodo 14, non solleva obiezioni sull’intento divino di quanto esplicitato dalla lettera del testo biblico:
«[…] il Signore è sempre presente e attivo. E questo fin dalle prime battute: «Fu riferito al re d’Egitto». «Fu riferito», da chi? Questo passivo è un passivo divino, che sarà seguìto da un altro passivo subito dopo: «E si rivolse [alla lettera: fu mutato] il cuore del faraone», che corrisponde a ciò che aveva annunciato il Signore: «Io renderò ostinato il cuore del faraone» (v. 4) […]
Terza scena (vv. 8-10): il piano del Signore si realizza. «Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d’Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata […] È vero che i soggetti di tutte le altre frasi, fino all’inizio del versetto 10, saranno il faraone e gli egiziani […] Ma il soggetto della frase iniziale è un altro: «Il Signore rese ostinato il cuore del faraone».
Assecondare l’ostinazione del faraone, è il mezzo scelto da Dio, tramite il quale, per usare le parole di Meynet «dimostrerà la sua gloria contro il faraone, e l’Egitto dovrà riconoscere che egli è il Signore».
In fondo, chi siamo noi per sindacare se Dio poteva o non poteva lasciare ostinato, indurito il cuore del faraone, per perseguire il Suo divino progetto?
E chi siamo noi per sindacare se Dio poteva o non poteva servirsi dell’antica usanza, pur da Lui ripudiata, del sacrifico umano, al solo scopo di saggiare la fede di Abramo (e non certo per farlo realmente eseguire)?

Per quanto riguarda questo famoso passo: “Il Signore rese ostinato il cuore del Faraone, a tutta prima sembra che Dio sia la causa del peccato del faraone o, in altre parole, che Egli muova la volontà del Faraone a volere la morte degli Israeliti.

Ora, è evidente che Dio non può volere una cosa del genere, perché Dio non può volere il peccato. Allora, questo passo va interpretato nel senso che Dio permise il peccato del Faraone per mostrare la sua misericordia nei confronti di Israele uccidendo gli Egiziani.

E’ possibile istituire un paragone con l’episodio di Abramo? A tutta prima sembrerebbe possibile trovare una somiglianza: così come Dio vuole il sacrificio di Abramo, così vuole che il Faraone sia ostinato.

Ora, nell’uno e nell’altro caso abbiamo visto come va interpretata questa supposta volontà di Dio: Dio, in ogni caso, non può volere il peccato, si tratti di un sacrificio umano, o si tratti dell’oppressione con la quale gli Egiziani hanno oppresso il Popolo eletto.

Come dice San Tommaso: Dio non vuole il peccato, ma vuole non impedire il peccato, perché dal male vuole trarre un maggior bene. Così succede che a volte Dio vuole impedire il peccatore il peccato non avviene; a volte vuole non impedire e purtroppo il peccato avviene.

Perché a volte impedisce e a volte non impedisce? Non lo sappiamo. Questa cosa è nascosta nel mistero impenetrabile della volontà divina, della quale comunque sappiamo che in ogni caso è infinitamente buona.

Lei ha scritto:
«l’intervento dell’angelo di Dio è un intervento chiarificatore per Abramo, non è un intervento che mostri un mutamento nella volontà di Dio, perché Dio, nei suoi voleri è immutabile, sennò che Dio è?»
Si potrebbe obiettare che l’immutabilità della volontà divina consiste nel proposito di mettere alla prova Abramo, e nel contempo nel non volere veramente la consumazione del sacrificio umano, come ho provato a dimostrare nel mio primo commento. Queste congiunte volontà divine non subiscono alcun cambiamento, e non sono in contraddizione l’una con l’altra.

Sono d’accordo nel riconoscere che Dio non ha voluto il sacrificio di Isacco, ma ha lasciato che Abramo credesse che Dio gli avesse comandato di farlo. Abramo segue la sua coscienza, che in un primo memento gli comandava il sacrificio di Isacco, ma che poi è stata illuminata dall’angelo.


Del resto, in molti altri esempi della Scrittura, si potrebbe esser indotti, erroneamente, a tacciarli di “mutamento nella volontà di Dio”.
Per esempio, se nell’Antico Testamento, Dio prescrive a Mosè:
«Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente, gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro» (Lev 24, 19 - 20),
Nel Nuovo Testamento, si leggerà:
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra […]».
Sarebbe lecito interpretare queste parole di nostro Signore come “mutamento nella volontà di Dio”? Certamente no.

Io direi che quelle parole di Gesù non presumono affatto di cambiare quanto Dio voleva nell’Antico Testamento. Infatti, se facciamo attenzione al principio “occhio per occhio”, esso è di per sé il principio della giustizia commutativa e di quella penale. Quindi mi sembra che Gesù, con le sue parole, non intende escludere quel principio veterotestamentario, ma proporre un’etica superiore, ispirata a una maggiore generosità, tale da evitare non dico il principio in se stesso, ma la sua applicazione rigida ed inesorabile.


Come lei ha ricordato in questo stesso articolo, Dio è un Padre paziente e misericordioso che non pretende tutto subito. Il Suo popolo, all’epoca cui si riferisce il Levitico, non avrebbe capito. Allora ha cominciato a domandare qualcosa che gli israeliti avrebbero potuto capire. In un mondo dove il più forte molto spesso prevaricava il più debole, e dove le vendette erano assai spropositate rispetto all’offesa subita, Dio incomincia a mettere dei paletti, preparando poco per volta il popolo eletto ad accogliere la Sua volontà, che verrà compitamente espressa e incarnata da Gesù.

Su queste parole concordo pienamente.

Lei ha scritto:
«certamente Dio vuole che Abramo compia un sacrificio, ed Abramo è esemplare nell’obbedire, ma Dio non vuole assolutamente un sacrificio umano»
Ma se Dio avesse chiesto semplicemente il sacrificio di un animale ad Abramo, che senso avrebbe l’espressione del testo genesiaco “Dio mise alla prova Abramo”?
Sacrificare un animale a Dio, pratica antichissima, se non scontata nel mondo cananeo (e non solo) dell’epoca, in che modo avrebbe costituito una prova per Abramo?
Per far funzionare la nuova esegesi, saremmo allora costretti a reinterpretare anche questa frase fondamentale del sacrificio abramitico, ribaltandola in “Abramo credette/immaginò/si convinse che Dio volesse metterlo alla prova” e gli chiedesse di sacrificare il figlio, quando invece sarebbe bastato l’olocausto di un semplice ariete?

Certamente la prova consiste nel fatto che Abramo è convinto che Dio gli chieda il sacrificio del figlio. Perché è una prova? Non per il fatto che Dio chieda veramente il sacrificio del figlio, ma è una prova in quanto Abramo, davanti al pensiero di dover sacrificare il figlio, è rimasto sconcertato, e nonostante ciò ha voluto mettere in pratica ciò che egli credeva fosse la volontà di Dio.

Quindi, in questa prova, non è in gioco il contenuto della prova, che è legata ad un equivoco, ma è in gioco la volontà di Abramo di obbedire, nonostante tutto. Infatti, se non avesse seguito la sua coscienza, avrebbe di fatto disobbedito a Dio e per questo Dio interviene per fare conoscere la Sua volontà divina.


Non è sostenibile. Del resto, lei stesso più avanti ha scritto:
«Ebbene, è proprio il fatto che Abramo per fede accettò questa angoscia, benché in buona fede credesse che Dio gli avesse veramente ordinato un sacrificio umano, è proprio l’accettazione di questa angoscia che ha costituito il superamento della prova che Dio gli aveva mandato […] Per questo Dio, una volta constatato che Abramo accettava la prova […]».
Ora dicendo “è proprio l’accettazione di questa angoscia che ha costituito il superamento della prova che Dio gli aveva mandato […] Dio, una volta constatato che Abramo accettava la prova”, lei Padre Giovanni, riconosce che Dio aveva mandato ad Abramo una prova da superare.
Bene, e quale era stata tale prova? Di sacrificare un animale?
Se Dio “ha messo alla prova” Abramo, significa che Egli ha chiesto ad Abramo qualcosa di ben più grave, ben più impegnativo, ben più doloroso che scannare un capretto…
Se noi escludiamo che Dio possa aver chiesto ad Abramo la disponibilità a sacrificare il proprio figlio, che cos’altro può avergli chiesto da costituire una prova?
In altre parole, se togliamo la richiesta divina del sacrificio di Isacco, viene meno la prova da superare che Dio avrebbe richiesto ad Abramo…
E questo non mi sembra un problema da poco per questa nuova esegesi di Genesi 22.

La prova non sta tanto in ciò che Abramo credeva che Dio volesse, ma nel fatto che Dio mise Abramo in una situazione psicologica di forte disagio sia per la prospettiva di sacrificare il figlio e sia probabilmente per il turbamento che Abramo provò per il fatto che in antecedenza Dio gli aveva promesso una discendenza numerosissima, mentre adesso, a quanto sembrava, gli chiedeva il sacrificio del figlio.

Come Abramo ha superato la prova? Ha obbedito, benchè quello che gli chiedeva Dio, secondo la sua coscienza, lo avesse profondamente turbato. Ma sapendo che comunque Dio è bontà infinita ed è fedele alle promesse, obbedì ugualmente nella certezza di fare un’opera buona.

Se Abramo non avesse voluto sacrificare il figlio, avendo in coscienza la certezza che invece Dio lo voleva, avrebbe peccato e non avrebbe superato la prova. Ma proprio perché Abramo segue la sua coscienza, anche se erronea, Dio lo premia, perché a Dio sta a cuore la buona fede, anche se oggettivamente facciamo qualcosa che Egli non vuole.

E questa fede attira la benevolenza di Dio, per la quale Abramo conosce la verità, che gli viene rivelata, e quindi orienta il suo sacrificio in un senso diverso da quello che in un primo tempo aveva inteso. Quello che cambia è la coscienza di Abramo, ma in fondo la volontà di Dio resta sempre quella, solo che all’inizio Abramo non capisce, ma poi, quando l’angelo gli parla, scopre la vera volontà di Dio.

Lei ha scritto:
«Le lodi che vengono fatte ad Abramo dal Libro di Giuditta e da San Giacomo, non si riferiscono tanto al fatto che Abramo credette di dover sacrificare il figlio, ma all’angoscia tremenda che egli passò nel credere che Dio gli avesse ordinato una cosa simile».
Mi perdoni ma il testo di Giuditta dice, nella lettera, qualcosa di diverso:
«Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco […] come ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore».
Chi è il soggetto di cui bisogna ricordare “quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco”? E chi è il soggetto che “ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore”?
Il soggetto è inequivocabilmente Dio.
Dunque, Dio ha fatto… con Abramo, Dio ha fatto passare a Isacco… Il libro di Giuditta conferma che l’iniziativa della prova di Abramo, dell’angoscia che dovuto provare, è stata sempre di Dio.
Ma se Dio è all’origine di tale angoscia, significa che Egli ha acconsentito che Abramo credesse, sia pur provvisoriamente, che gli avesse chiesto il sacrifico del figlio
Se così non fosse, dovremmo concludere che il libro di Giuditta sbaglia… ma come può sbagliare la Sacra Scrittura?
Immagino che lei mi risponderà che non è il libro di Giuditta a sbagliare, quanto la mia interpretazione letterale, che non tiene conto del progresso teologico-esegetico.

Il testo di Giuditta parla di prove in un senso indeterminato, senza alcun riferimento al sacrificio di Isacco.

 

Lei ha scritto:
«Abramo ci è di esempio nella fede perché, sebbene così sconvolto, è pronto ad obbedire, ma ecco che la tempesta si placa, perché con l’intervento dell’angelo Abramo capisce che Dio era soddisfatto del suo atto di totale obbedienza, quindi aveva superato la prova».
Come poteva Dio essere “soddisfatto del suo atto di totale obbedienza” se, secondo questa nuova esegesi, Dio non gli aveva chiesto il sacrificio del figlio?
Dio sarebbe stato soddisfatto dell’obbedienza a una richiesta… che Lui non gli aveva fatto? Non le sembra che così cadiamo in una contraddizione?

Dio è soddisfatto della nostra buona fede, anche se oggettivamente compiamo una cosa che Lui non vuole.


E, ancora una volta, se Abramo “aveva superato la prova”, significa che tale prova, con tutta l’angoscia che aveva comportato, gli era stata richiesta da Dio. Altrimenti, se non richiesta da Dio, non resterebbe che l’interpretazione per cui “Abramo aveva superato la prova che lui stesso si era imposto”, ma questo non ha molto senso…

La prova di Abramo è stata richiesta da Dio. Il problema esegetico è il poter capire come vanno interpretate le parole testuali, per le quali Dio ordina il sacrificio di Isacco.

Se noi interpretiamo queste parole come se veramente si riferissero alla volontà di Dio, noi saremmo obbligati a concludere che Dio ha voluto un sacrificio umano, salvo poi a smentirsi mandando ad Abramo un angelo.


Noto poi che l’intervento dell’angelo, non avviene immediatamente dopo che Abramo ha preso la decisione di procedere al sacrificio del figlio, ma soltanto ben tre giorni dopo. Perché, se non era intenzione divina sottoporlo alla prova dell’olocausto del figlio, Dio non è intervenuto subito a far capire ad Abramo che non era questo che Lui voleva? Perché ha lasciato che Abramo trascorresse quei tre interi giorni, possiamo immaginare, con quale angoscia nel cuore?
L’unica risposta plausibile è che era volontà di Dio che Abramo patisse quella sofferenza, per mettere alla prova la sua fede. Ma affinché Abramo potesse patire quella sofferenza, era necessario che Dio assecondasse in lui, sia pur provvisoriamente, che Dio stesso gli avesse richiesto l’olocausto di Isacco.

Dio, quando vuol mandare una prova, si riserva di fissarne a sua discrezione il contenuto e la durata. Quindi, se vogliamo vivere bene la nostra fede, non è il caso di chiederci perché Dio manda certe prove con certi contenuti e con certe durate. Egli sa quello che fa e lo fa per il nostro bene.

Queste considerazioni ci devono bastare per fidarci di Lui, per obbedirgli e per sopportare la prova, nella certezza che essa serve a rafforzarci nella fede e nella virtù.

 

Osservo che sulla mia citazione delle parole di Benedetto XVI, la sua risposta non affronta esplicitamente le conseguenze delle parole dell’allora pontefice, il quale affermò chiaramente (udienza del 4 marzo 2012) che “Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio”, e non “Abramo credette/pensò/immaginò/ si convinse che Dio volesse …”
E anche nell’udienza del 19 dicembre 2012, Benedetto XVI affermò:
“Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato.”
Se fosse vera questa nuova interpretazione di Genesi 22, dovremmo di conseguenza dedurne che in ambedue questi interventi, l’esegesi di Papa Benedetto del passo biblico in oggetto, sia da considerare superata?

La frase “Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato” va interpretata non nel senso che Dio chieda oggettivamente e veramente un atto così contrario alla bontà divina, ma nel senso che ad Abramo sembra ovvero è soggettivamente convinto che Dio gli chieda questa cosa.

Abramo segue la propria coscienza e sappiamo che la coscienza va sempre seguita, anche se è erronea. Che si trattasse di coscienza erronea lo deduciamo dall’intervento dell’angelo, il quale proibisce ad Abramo di “fare del male a Isacco”.

Che significa questo? Che Abramo, senza rendersene conto, stava facendo del male. Ma è mai possibile immaginare che Dio possa comandare di fare del male?

Il vantaggio della nuova esegesi sulla precedente, è data dal fatto che si evita di credere che Dio possa esigere un sacrificio umano ed inoltre evita l’impressione che Dio cambi volontà a causa dell’intervento dell’angelo, il quale comanda il contrario di quello che Dio aveva detto in precedenza.

Per quanto riguarda Papa Benedetto XVI, nella sua esegesi del sacrificio di Abramo sembra che ceda ad una concezione volontaristica ed irrazionale di Dio, simile a quella del Corano e di Guglielmo di Ockham. Dobbiamo invece ricordare la grande acutezza di giudizio di Papa Benedetto, quando ebbe il coraggio di denunciare quella concezione sbagliata di Dio, che è presente nel Corano, nel suo discorso a Ratisbona del 2006 (https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html ).


Anche sulla mia citazione delle parole di Papa Francesco, non posso non osservare che lei non si pronuncia esplicitamente sulle conseguenze del fatto che il pontefice (Angelus del 2 dicembre 2013) aveva affermato:
“Una prova simile a quella del sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr Gen 22): rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata”.
Anche in questo caso il pontefice dice chiaramente “quando Dio gli chiese il figlio Isacco”, e non “quando Abramo si convinse che…”.
Ed anche nell’udienza del 3 giugno 2020, Papa Francesco ribadisce:
“Fino alla prova suprema, quando Dio gli chiede di sacrificare proprio il figlio Isacco”.

Anche nel caso di Papa Francesco possiamo fare delle osservazioni simili a quelle che abbiamo fatto per Papa Benedetto.

Le parole di Papa Francesco relative alla volontà divina circa il sacrificio di Isacco, dobbiamo interpretarle alla luce della dottrina di Papa Francesco circa la dignità della coscienza, la quale va sempre seguita, anche se sbaglia.

In base a questa considerazione, dobbiamo interpretare le parole del Papa, relative alla prova di Abramo, in relazione alla coscienza stessa di Abramo, il quale viene premiato non perché voleva uccidere il figlio, ma perchè ha obbedito alla sua coscienza, anche se erronea.

Ed inoltre Abramo viene lodato da Dio per avere ascoltato l’angelo, il quale gli ha fatto capire che Dio non vuole sacrifici umani.


Quindi anche l’attuale Papa conferma l’interpretazione tradizionale del sacrificio abramitico, quale “prova suprema” nella quale “Dio gli chiede di sacrificare proprio il figlio Isacco”.
Nelle parole di Papa Francesco, come in quelle di Papa Benedetto, non vi è traccia dell’autoinganno in cui sarebbe caduto Abramo, come vorrebbe la nuova esegesi.
Dovremmo dunque concludere, che anche Papa Francesco, sino ad adesso, avrebbe, almeno parzialmente sbagliato l’interpretazione di Genesi 22, e che prima o poi dovrà correggerla?
O non sarebbe invece più giusto restare all’esegesi dei Papi Francesco, Benedetto (e tanti altri), e sospendere il plauso alla nuova interpretazione, quanto meno sino a che non dovesse verificarsi un pronunciamento magisteriale a suo favore?
Penso che: tertium non datur.

Caro Bruno, l’autoinganno propriamente è una colpa morale, con la quale il soggetto mente a se stesso. Nulla di tutto questo in Abramo, il quale non desidera altro che la verità e di obbedire a Dio, Maestro di bontà e di verità. Come ho detto e ripetuto, Abramo semplicemente commette un errore in buona fede o, in altre parole, segue una coscienza erronea, la quale, in ogni caso, va seguita ed è quello che Abramo fa.

Per questo Dio lo approva e riconosce che ha superato la prova, ma lo approva non perché Abramo si è sbagliato, ma perché ha obbedito secondo coscienza, ossia secondo la conoscenza di Dio che aveva in quel momento.

Il mutamento di condotta di Abramo dipende da una correzione del suo errore circa la bontà di Dio, in quanto si accorge, avvertito dall’angelo, che Dio non vuole sacrifici umani.

Si può fare un paragone con San Giuseppe. Anche lui fraintende e in buona fede è convinto che Dio, tramite la Legge, gli dica che deve ripudiare Maria.

Sennonché a Giuseppe succede qualcosa di simile a quanto è accaduto ad Abramo, e cioè l’angelo gli fa conoscere la verità e quindi corregge la falsa impressione che si era fatta di Maria. Quindi Giuseppe prende come sua sposa Maria, illuminato dalla vera volontà divina.

 

Lei ha scritto:
«È chiaro che Isacco è una figura profetica di Gesù Cristo […] il sacrificio di suo figlio […] prefigurazione del sacrificio di Cristo»
Ma se questo è vero, e non ci sono dubbi che sia così, quali conseguenze ha questa verità teologico-biblica rispetto alla nuova esegesi di cui stiamo dibattendo? Quale immagine di Dio ne viene fuori?
Provo a spiegarmi con parole sicuramente inadeguate, ma cercando di semplificare e sintetizzare questa nuova esegesi:
1) Dio aveva chiesto ad Abramo un sacrificio (che poteva essere esaudito con l’olocausto di un animale);
2) Abramo si convinse, ingannandosi, che Dio gli avesse chiesto di sacrificare il proprio figlio;
3) Dio intervenne a fermare la mano di Abramo, facendogli capire che non era questo ciò che gli aveva chiesto, ma di offrirgLi in olocausto un animale;
4) Da quel momento, è volontà di Dio, che la sofferenza che Abramo ha provato a causa del suo autoinganno, divenga prefigurazione del sacrificio del Verbo incarnato, Figlio di Dio.
Ma a questo punto mi chiedo: come può una sofferenza, originata da un errore di valutazione umano, quale quella di Abramo che fraintenderebbe la richiesta divina, diventare prefigurazione del sacrifico di Cristo, dietro cui non c’è nessun tipo di errata valutazione, ma anzi si compie per volontà del Padre e del Figlio nello Spirito Santo?
Per quanto una prefigurazione sia solo un’anticipazione simbolico-allegorica di un evento fondamentale successivo, un accostamento tra tali fattispecie appare irrispettoso della regalità di Cristo e della grandiosità sublime del suo sacrificio.
Inoltre, se nella sua onniscienza e preveggenza, da sempre Dio voleva che il sacrifico abramitico divenisse prefigurazione del sacrificio di Cristo, ciò significa che Dio voleva, da sempre, che Abramo provasse la sofferenza derivante dal dover sacrificare il proprio figlio amato, e dunque, ne segue che tale convincimento di Abramo deve esser stato anch’esso voluto, e quindi indotto, da Dio, e non un fraintendimento di Abramo, affinché Isacco divenisse profezia credibile di Cristo.
E dunque, anche sul tema della prefigurazione del sacrifico di Cristo, questa nuova esegesi di Esodo 14, risulta alquanto problematica.

Il paragone del sacrificio di Isacco col sacrificio di Cristo è al fuori di ogni discussione. Anche il paragone del Padre Celeste con Abramo è fuori discussione.

Tuttavia è fondamentale tener presente che Abramo non si immaginava assolutamente che il Padre Celeste potesse sacrificare il proprio Figlio Incarnato, anche perché Abramo non sapeva nulla della Santissima Trinità. Siamo noi, che a cose fatte, abbiamo ravvisato nel sacrificio di Isacco un precorrimento del sacrificio di Cristo.

Detto questo non è assolutamente il caso di ipotizzare che il sacrificio di Cristo sia basato su di un errore, cioè sul fatto che Abramo si era sbagliato nel capire che cosa Dio voleva da lui. Infatti non bisogna badare tanto a questo errore, quanto piuttosto alla buona fede di Abramo. Dio non approva l’errore di Abramo, ma approva la sua buona fede.

È questo il merito di Abramo in rapporto ad Isacco, nel quale certamente noi oggi ravvisiamo una prefigurazione di Cristo, in quanto Isacco, come poi farà Cristo, si mette totalmente nelle mani del padre.

Quindi, la prefigurazione del sacrificio di Cristo non è data da quello che fa Abramo, ma è data dalla disponibilità di Isacco ad obbedire al padre.

Quindi, l’errore di Abramo non costituisce affatto il presupposto del sacrificio di Cristo.

Abramo deve essere collegato non con Cristo, ma col Padre Celeste e bisogna dire così: mentre Abramo evidentemente sbaglia nel credere di dover sacrificare il proprio figlio, il Padre Celeste ha tutta l’autorità di ordinare al Figlio Incarnato di sacrificarsi per l’umanità, perché in questo caso, come dice la Lettera agli Ebrei, il sacrificio di Cristo è più che sufficiente, perché è il sacrificio di un uomo, che è il Figlio di Dio.

Per l’intelligenza del sacrificio abramitico, non si può tralasciare l’importanza della Lettera agli Ebrei.
Lascio parlare Padre James Swetnam, nella conferenza tenuta al Pontificio Istituto Biblico nel 2003, a conclusione della sua attività di insegnamento accademico (https://www.biblico.it/doc-vari/swetnam_gn22_ita.html):
«L’epistola agli Ebrei mette in rilievo la fede di Abramo nella sua esegesi di Genesi 22:
“Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” (Ebrei 11,17-19).
[…] Il verbo “offrire [in sacrificio]” ricorre due volte nel versetto 17 […] cioè la disposizione d’Abramo a sacrificare suo figlio è il punto chiave di Genesi 22 che l’autore vuole scegliere come base per la sua interpretazione di tutto il testo […] I termini della prova sono espressi con chiarezza: Abramo stava offrendo il suo “unico figlio” (monogenê), proprio “che aveva ricevuto le promesse” (ho tas epaggelias anadexamenos). E si specifica quale fosse la promessa: “. . . del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome” (pros hon elalêthê hoti en Isaac klêthêsetai soi sperma). Queste osservazioni indicano che l’autore dell’epistola ha letto il testo di Genesi 22 con cura, e che ha capito i parametri della prova con precisione. Ciò che segue è una straordinaria interpretazione del ragionamento che sta dietro la fede di Abramo in Dio: “. . . Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti” (logisamenos hoti kai ek nekrôn egeirein dunatos ho theos).
[…] il ragionamento di Abramo sembra essere ben fondato e verosimile, data la sua precedente fede nella nascita di Isacco dal suo corpo “morto” e dall’utero “morto” di Sara. Data la fede eroica manifestata in Genesi 22 non c’è niente di arbitrario o forzato in questa esegesi. Se la promessa di Dio di una discendenza per mezzo di Isacco (v. 18) doveva essere accettata con fede senza riserva, e se il comando di sacrificare Isacco era, per Abramo, richiesto da Dio, la fede nella risurrezione dei morti sembra essere una conclusione legittima, anzi, forse l’unica conclusione possibile.

Caro Bruno,

che Abramo fosse convinto che Dio può fare risorgere dai morti, credo che sia cosa indubitabile, tanto più che ce lo dice la Lettera agli Ebrei.

Senonché abbiamo sempre l’intoppo che Abramo era convinto in buona fede che Dio gli avesse chiesto un sacrificio umano. Allora, come ragiona? E come dicesse: “Io sacrifico mio figlio, la cosa mi costa moltissimo, ma lo faccio volentieri, perché so che poi Dio lo farà risorgere”. Ma questo, è un ragionamento che fila? Suppone un’idea coerente di Dio? Che Dio è il Dio che comanda di uccidere con la promessa di fare risorgere? Non ha tutta l’aria di una beffa?

Eppure Abramo era in perfetta buona fede, perché, come ho detto più volte, probabilmente egli si era lasciato influenzare da certi culti pagani, che peraltro sono formalmente proibiti dalla Scrittura.


[…] questa attribuzione ad Abramo della fede nella risurrezione si adatta al contesto della fede eroica del patriarca come descritta in Genesi 22. La seconda parte di Ebrei 11,19 conferma l’opinione che l’autore dell’epistola metteva in relazione la reintegrazione di Isacco con la risurrezione di Gesù, perché dice che tale reintegrazione fu un “simbolo” della risurrezione di Gesù […] questa attribuzione ad Abramo della fede nella risurrezione si adatta al contesto della fede eroica del patriarca come descritta in Genesi 22. La seconda parte di Ebrei 11,19 conferma l’opinione che l’autore dell’epistola metteva in relazione la reintegrazione di Isacco con la risurrezione di Gesù, perché dice che tale reintegrazione fu un “simbolo” della risurrezione di Gesù.

Il collegamento che la Lettera agli Ebrei fa tra la fede, che Abramo aveva che Dio avrebbe potuto fare risorgere suo figlio Isacco, e la fede nella resurrezione del Signore, è certamente più che opportuno.

Tuttavia bisogna tenere presente che questo collegamento non lo fa Abramo, che nulla sapeva di Cristo, ma lo fa la Lettera agli Ebrei, la quale invece ben sapeva che Gesù era risorto dai morti.


[…] l’ubbidienza di Abramo viene premiata da Dio con il dono di Isacco come simbolo della risurrezione di Gesù. Così la fede di Abramo rientra nella Provvidenza Divina nel portare a compimento il ruolo di Cristo come sommo sacerdote per tutta l’umanità. Secondo Ebrei 11,17-19 Abramo ricevette Isacco come “simbolo” (parabolên) […] della realtà escatologica che è Gesù risorto.

Teniamo presente che, come ho detto, Abramo nulla sapeva della futura resurrezione del Signore, per cui, che il suo sacrificio sia stato simbolo del sacrificio di Cristo, è un pensiero della Lettera agli Ebrei, non di Abramo.

Il sacrificio di Abramo prepara semplicemente alla lontana il sacrificio di Cristo. La provvidenza divina porta a compimento il ruolo di Cristo come sommo sacerdote per tutta l’umanità non nel sacrificio di Abramo, che ne è soltanto una lontana preparazione, ma con la fondazione e lo sviluppo della Chiesa, la quale, come Corpo di Cristo, è unita al suo sacrificio redentore e lo perpetua mediante il Sacrificio Eucaristico.

È chiaro che nella mente di Dio, Autore della Bibbia, tutto è già presente, per cui c’è tanto il sacrificio di Abramo quanto quello di Cristo, ab aeterno, prima che avvenissero nel tempo, ma dal punto di vista di noi uomini è altrettanto chiaro che l’umanità ha appreso solo gradatamente le intenzioni del Padre Celeste, le quali si sono realizzate nel corso della storia fino ai nostri giorni.

La ragione di Abramo viene espressa in Ebrei 11,19a: “Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti”. Poi, il testo continua, “per questo (hothen) lo riebbe e fu come un simbolo”. In altre parole, la fiducia di Abramo viene premiata con il dono non soltanto di Isacco ma di Gesù che viene prefigurato da Isacco […] il dono supremo della risurrezione di Gesù e tutto ciò che ne consegue è in un certo senso un “premio” per la fedeltà di Abramo che ha superato la prova imposta da Dio».

Certamente Abramo è stato premiato per avere superato la prova. Ma in che cosa è consistito questo premio? Non certo nel prevedere il sacrificio di Cristo, del quale, come ho detto, non sapeva nulla.

Il premio piuttosto è consistito nel fatto che Abramo ha mantenuto e rafforzato la sua fede nel Dio Unico, Provvidente e Misericordioso. In secondo luogo il premio è consistito nell’umiltà con la quale Abramo ha riconosciuto di avere sbagliato e si è assoggettato immediatamente e con docilità assoluta al messaggio dell’angelo, che gli ha rivelato la verità.

In terzo luogo il premio è consistito anche nel fatto che Abramo ha avuto l’immensa soddisfazione di sentirsi confermare da Dio la promessa di essere padre di molti popoli.

Inoltre Abramo ha avuto la grande soddisfazione di riavere suo figlio Isacco, mentre credeva di perderlo, e di condividere con Isacco la fede in un Unico Dio.

Infine, ha potuto riconsegnare a Sara il loro figlio Isacco e Abramo e Sara hanno potuto gioire assieme con Isacco per la Provvidenza e la Bontà di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 23 luglio 2022

La prova imposta da Dio ad Abramo non consiste nel chiedergli inizialmente di sacrificare suo figlio, ma è Abramo che in un primo momento fraintende, perchè ritiene in coscienza che questa sia la volontà divina.

Per questo, ad un certo punto, Dio interviene per mezzo dell’angelo per fare capire ad Abramo che si era sbagliato ad interpretare la sua volontà divina.


 

Abramo ha riconosciuto di avere sbagliato e si è assoggettato immediatamente e con docilità assoluta al messaggio dell’angelo, che gli ha rivelato la verità.

Immagini da Internet:
- Caravaggio, Abramo ed Isacco
- Lanzani, Abramo ed Isacco

5 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    nella sua prima risposta a quanto le avevo scritto a commento del precedente articolo (https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/ancora-sul-sacrificio-di-abramo.html), non posso far a meno di notare, che nel riportare il mio testo, lei lo tronca, subito dopo queste parole:

    «1) Dio non può volere sacrifici umani;
    2) Dio non può mettere alla prova la fede di un uomo, chiedendogli il sacrificio di suo figlio.
    […]
    Ma in realtà, il sottoporre a prova la fede umana, chiedendo di fidarsi di Dio persino se Questi chiedesse di sacrificare il proprio figlio, non è nella sostanza, in contraddizione con la verità della prima asserzione».

    In questo modo, lei ha buon gioco nell’affermare, subito dopo, che “l’affermazione che Dio può mettere alla prova un uomo ordinandogli di sacrificare suo figlio è in contraddizione con la prima.”
    Ma la spiegazione del perché la seconda affermazione non sia, a mio avviso, realmente in contraddizione con la prima, io ho cercato di abbozzarla proprio in queste successive mie parole, che lei però riporta solo più avanti:

    «E ciò perché il “mettere alla prova”, da parte di Dio, non implica affatto il lasciar portare a termine all’uomo, quanto da Lui inizialmente richiesto, anzi lo esclude, e ciò proprio perché “la prova” viene conclusa da Dio, senza spargimento di sangue umano, nel momento in cui l’uomo Abramo ha dimostrato la grandezza della sua fede».
    Intendo dire che Dio lascia credere ad Abramo che gli stia chiedendo il sacrifico del figlio, allo scopo di saggiare i limiti della sua obbedienza e della sua fede ma, contemporaneamente, non ha mai voluto, neppure per un istante, che davvero Abramo portasse a compimento tale olocausto.

    Non trovo di meglio, per ulteriormente spiegarmi, a rischio di forzare il testo biblico, che è come se Dio avesse chiesto ad Abramo: “se Io arrivassi sino a chiederti di sacrificare tuo figlio (ma in verità non te lo sto chiedendo), tu mi obbediresti? Dimostramelo!”
    Dio cioè sta chiedendo “quanto è grande la tua fede? Sino a che punto arriva la tua obbedienza?”
    Questa è la “sostanziale” richiesta di Dio, dietro la “formale” richiesta del sacrificio. In questo senso l’esegesi può legittimamente spingersi oltre la lettera del testo biblico.
    E se noi uomini rispondessimo “no Signore, è impossibile che tu ci chieda la fede obbedienziale assoluta, con questa modalità, cioè sino ad essere disposti a sacrificare chi più amiamo sulla terra, perché saresti in contraddizione col principio che il sacrificio umano è peccato”, peccheremmo noi di presunzione… Mi consenta una battuta, che spero non suoni irriverente: su quali modalità, su quali tra le “vie infinite”, con le quali può chiedere qualcosa agli uomini… il Signore non deve chiedere il permesso ai teologi.

    Oso azzardare che forse, le parole attribuite da Genesi 22 a Dio, nella loro estrema radicalità, saranno in qualche modo riecheggiate e rinnovate da nostro Signore Gesù Cristo:

    «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me» (Mt 10, 37).

    Resto comunque certo che in lei, Padre Giovanni, non c’era alcuna intenzione maliziosa nel modo in cui ha riportato la sequenza delle mie parole.

    RispondiElimina
  2. Padre Giovanni, prendo spunto dalle sue stesse parole in questo articolo:
    «È vero tuttavia che Dio permette che Abramo si inganni. Ma questa permissione divina entra nella prova che Dio impone ad Abramo […] Dio mise Abramo in una situazione psicologica di forte disagio […] per la prospettiva di sacrificare il figlio […]».

    Provo a considerare, queste sue parole, nella prospettiva di Abramo e, per quanto possibile, in quella del Creatore.

    Se “Dio permette che Abramo si inganni”, lasciandogli credere che debba sacrificare il suo unico figlio, e questo lasciar Abramo “in una situazione psicologica di forte disagio”, per tre giorni, “entra nella prova che Dio impone ad Abramo”, mi chiedo:
    per Abramo, a livello esistenziale-psicologico, sarebbe stato molto diverso, se Dio gli avesse chiesto il sacrifico di Isacco?
    Ovvero tra il “chiedere” il sacrificio di Isacco, e “lasciar credere di aver chiesto” tale sacrificio, in fondo, cosa cambia per Abramo, per come ha vissuto, per come si è sentito durante quei tre giorni?

    Parallelamente, nella prospettiva divina, lasciar credere ad Abramo di avergli chiesto il sacrificio del figlio, per metterlo alla prova, non può in fondo leggersi come una diversa “modalità di comunicazione” del chiedergli tale sacrificio, comunque finalizzata, in entrambi i casi, all’unico scopo di provare i limiti dell’obbedienza e della fede di Abramo?
    In altre parole: “chiedere il sacrificio del figlio” (esegesi tradizionale) e “lasciar credere di aver chiesto il sacrificio del figlio” (esegesi moderna), significa, in ambedue i casi, che Dio ha voluto che nella mente, nella coscienza di Abramo sia persistita, in qualche modo e per un certo tempo, la richiesta di sacrificare il figlio.
    Dunque, sotto l’aspetto fondamentale della “prova”, le due di esegesi non sono poi così lontane.
    Se Dio ha lasciato, che per un determinato tempo, Abramo credesse di dovergli sacrificare il figlio per metterlo alla prova, significa che è stata “volontà di Dio” che nella coscienza di Abramo risuonassero le parole “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto”, coerentemente a quanto il testo della Genesi riporta.

    Posso apprezzare che la nuova esegesi voglia enfatizzare che la richiesta del sacrificio del figlio, sia inizialmente partita da Abramo e non da Dio (perché Egli è contrario ai sacrifici umani), ma non posso condividere che la volontà di Dio sia stata unicamente quella di chiedere ad Abramo il sacrificio di un animale, e che il sacrifico del figlio sia stato unicamente un inganno partorito dalla mente di Abramo, su cui solo quasi accidentalmente si sarebbe innestato quel progetto divino, che lei stesso ha definito “episodio fondamentale della storia della salvezza”.
    Il Signore, nella sua onniscienza e preveggenza, sapeva che Abramo in coscienza avrebbe creduto alla richiesta di sacrificio del figlio, ed il Signore “ha voluto” assecondare questo pensiero nella mente del patriarca, per metterlo alla prova (volontà permissiva d’accordo, ma sempre volontà divina), ed anche per istituire il sacrificio di Isacco come prefigurazione del sacrificio di Cristo, cosicché, come lei ha scritto:

    «Certamente Dio in questo momento pensava al sacrificio di un altro uomo, che però non sarebbe stato un puro uomo, ma uomo-Dio, Nostro Signore Gesù Cristo».

    RispondiElimina
  3. Ho avuto modo di parlare con più di un sacerdote di mia conoscenza su questa nuova esegesi, e devo rilevare che tutti si sono mostrati piuttosto stupiti nonché ignoranti rispetto ad essa.
    A tal proposito, posso chiederle Padre Giovanni, cortesemente, se può fornirmi indicazioni su articoli, saggi, interventi relativi appunto a questa rinnovata lettura del sacrificio di Isacco da parte di Abramo?

    RispondiElimina
  4. Lei ha scritto:
    «[…] proprio perché Abramo segue la sua coscienza, anche se erronea, Dio lo premia, perché a Dio sta a cuore la buona fede, anche se oggettivamente facciamo qualcosa che Egli non vuole […]
    Le parole di Papa Francesco relative alla volontà divina circa il sacrificio di Isacco, dobbiamo interpretarle alla luce della dottrina di Papa Francesco circa la dignità della coscienza, la quale va sempre seguita, anche se sbaglia […]».

    Mi permetto di osservare che l’affermazione “la coscienza va sempre seguita, anche se sbaglia” va bene ma fino ad un certo punto…
    Anche il terrorista-integralista che si fa saltare in aria in mezzo alla gente può essere convinto, nella sua coscienza, che sta compiendo la volontà divina.
    Non per caso, il Catechismo sottolinea l’importanza che la coscienza sia rettamente formata:

    «1783 La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato.
    Una coscienza ben formata è retta e veritiera […]
    1784 L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita […]
    1786 Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un giudizio retto in accordo con la ragione e con la Legge divina, sia, al contrario, un giudizio erroneo che da esse si discosta.
    1790 […] accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute.
    1791 Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale.
    1704 Ciò avviene «quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene,
    e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine
    del peccato». In tali casi la persona è colpevole del male che commette» (CCC).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Bruno, ho pubblicato la risposta ai suoi ultimi quattro interventi.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.