Tra Freud ed Origene - O col corpo o senza corpo. Dobbiamo deciderci sulla questione della sessualità - Parte Terza (3/5)

 Tra Freud ed Origene

O col corpo o senza corpo.

Dobbiamo deciderci sulla questione della sessualità

 Terza Parte (3/5) 

Elementi validi del freudismo

Ora qui indubbiamente viene recuperato un aspetto valido della sessuologia freudiana, purchè però si precisi con chiarezza contro Freud la superiorità dello spirito sul sesso e si eviti di concepire questa sublimazione della sessualità come fosse l’essenza dello spirito, giacchè, se guardiamo con attenzione alla visione freudiana del sesso, che egli intende come scaturigine originaria ed originante dell’esistenza e della vita umana, bisogna dire che in Freud il sesso prende il posto di Dio. E di fatti egli nega l’esistenza di Dio, appunto perchè il suo Dio è il sesso. Ma ciò non è altro che l’espressione della sua concezione materialistica della realtà e dell’uomo. Egli non si pronuncia circa l’età dell’universo. Ma certamente egli non pone alla sua origine Dio, ma la materia:

 

«In un certo momento le proprietà della vita furono suscitate nella materia inanimata dall’azione di una forza che ci è ancora completamente sconosciuta. Forse si è trattato di un processo di tipo analogo a quello che in seguito ha determinato lo sviluppo della coscienza in un certo strato della materia vivente. La tensione che sorse allora in quella che era stata fino a quel momento una sostanza inanimata fece uno sforzo per autoannullarsi; così nacque la prima pulsione, la pulsione a ritornare allo stato inanimato»[1].

Occorre allora distinguere dal punto di vista morale il suddetto atteggiamento di simulazione che maschera la ricerca lussuriosa del piacere sessuale sotto le apparenze esterne di una condotta pia e spirituale, dalla spiritualità autentica della coppia di sposi, i quali esprimono nell’unione coniugale la loro unione spirituale. La condotta spirituale di una coppia non è necessariamente la maschera della libidine, come se l’unico piacere che l’uomo cerca sia quello sessuale, ma in una coppia profondamente unita dal punto di vista spirituale il piacere sessuale può essere benissimo la conseguenza, l’espressione e la condizione del piacere spirituale.

Per il cattolico, invece, il sesso certamente non è Dio, e tuttavia ne è la migliore immagine, come lo testimonia il Cantico dei Cantici. Il cattolico postconciliare recupera quanto di buono c’è nel freudismo senza lasciarsi sedurre dal suo sensismo libidinoso.

Egli ha compreso come non mai che nessuna intimità interumana è così profonda e perfetta come quella fra l’uomo e la donna; nessuna intesa, nessuna fedeltà, nessuna disponibilità, nessuna confidenza più totale, nessuna comprensione e apertura reciproca più limpida; e per questo è la forma di intimità che meglio di tutte rappresenta l’intimità mistica dell’anima con Dio, come ha espresso bene San Giovanni della Croce.

È chiaro che per il cristiano Dio è Padre; ma l’intimità del figlio col padre non basta a rappresentare l’intimità dell’uomo con la donna. Il figlio è al di sotto del padre. Il figlio proviene dal padre e dipende dal padre. Uomo e donna dipendono l’uno dall’altro, influiscono l’uno sull’altro. Uomo e donna sono alla pari. Certamente la grazia divinizza l’uomo; ma tra natura umana e natura divina resta un dislivello infinito, che nessun panteismo riuscirà mai a colmare senza cadere nell’empietà.  

Ciò è stato riconosciuto dalla Chiesa stessa, come risulta dalla Dichiarazione Persona humana della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ho citato sopra. Se però lo spirito è modificato dalla differenza sessuale, come la materia segnata dalla quantità è principio dell’individuazione della persona umana, resta tuttavia che la responsabilità e la facoltà di dar forma alla sessualità maschile e femminile va al diverso modo d’essere dello spirito maschile e femminile[2].

Qui evidentemente non si tratta di parlare del sesso degli angeli, perché il punto è proprio questo: la differenza fra la spiritualità umana e quella angelica. Lo spirito umano maschile è naturalmente ed essenzialmente diverso e reciprocamente complementare rispetto a quello femminile. Ossia, le potenze dello spirito, pur essendo presenti in ambo i sessi, sono presenti nell’uno e nell’altro in gradi diversi sotto aspetti diversi, sicchè laddove l’uno ha di meno, l’altra ha di più e viceversa.  Lo sbaglio di Freud è quello di credere che lo spirito sia un effetto del sesso.

Mentre il freudiano crede che l’unione sessuale sia il colmo della felicità, perché non conosce una felicità spirituale al di sopra di quella materiale, all’origenista ripugna l’unione sessuale come tale, e questo non perché l’origenista non sappia apprezzare la superiorità del piacere spirituale rispetto a quello sessuale, ma perché confonde la spiritualità umana con quella angelica.

Ora, siccome all’angelo ripugna unirsi a un corpo, perché la sua sostanza è già completa in se stessa come puro spirito, così Origene[3], come Platone, crede che il fatto che il nostro spirito nella vita presente si trovi nella disgrazia di avere a che fare col sesso, sia un castigo per il peccato originale, per cui secondo lui la prospettiva cristiana della beatitudine sta nella possibilità che l’uomo ha di liberarsi per sempre dalla schiavitù del sesso e dall’attrattiva sessuale, per volare in cielo come puro spirito, anche se egli ben sapeva che il cristianesimo prospetta la resurrezione del corpo, ma nel contempo, non rassegnandosi ad ammettere la distinzione fra uomo e donna, pensò di trovare una soluzione di compromesso inventando una specie di corpo risorto sferico (orbicularis)[4] asessuato, che suscitò il riso dei suoi contemporanei di buon senso e l’ammirazione dei suoi ingenui e fanatici devoti.

La concezione della verginità, tradizionale nella spiritualità cristiana e non cristiana, come integrità corporea, come corpo rimasto intatto o immune dal contatto sessuale e puro dalla sporcizia dell’atto sessuale e per conseguenza la visione dell’atto sessuale come violazione di questa integrità corporea, è una concezione indubbiamente legata al platonismo, che non tiene conto del fatto che l’esercizio di una attività naturale è l’atto di una potenza e quindi non comporta nessuna corruzione, nessuna violazione, nessuna contaminazione, nessuna polluzione del corpo al quale il detto atto si applica, ma al contrario attua la disponibilità di quel corpo a ricevere l’atto.

Così al compimento dell’atto abbiamo ad un tempo la perfezione dell’agente e del paziente. Tuttavia, lo stesso aristotelico Tommaso, che si muove così bene tra le categorie della potenza e dell’atto, all’occasione di trattare della verginità[5], non riesce a sottrarsi all’influsso così apparentemente nobile del dualismo platonico. Così la verginità è la bellezza del corpo che rimane incontaminato e inviolato dal contatto sessuale. 

Tuttavia l’Aquinate non manca di giustificare la verginità consacrata facendo riferimento allo stato di natura decaduta, e al bisogno che certe anime privilegiate hanno di una maggior libertà di spirito, che rende loro particolarmente fastidioso lo stimolo della concupiscenza. Parlando della verginità della Madonna, Tommaso ovviamente non invoca questa motivazione, che suppone lo stato di natura decaduta, ma fa riferimento alla vicinanza eccelsa di Maria a Dio, sommo spirito, evidentemente alieno dall’esercizio del sesso.

All’estremo opposto, il freudiano, affascinato da Venere, erede di Epicuro, amico di Dioniso e seguace di Priapo, intende la spiritualità come il vertice dell’autotrascendenza del sesso. E peraltro non ha tutti i torti, perché effettivamente è vero che la differenza tra la spiritualità maschile e quella femminile dipende dall’influsso del sesso, un influsso da non intendersi come causa efficiente, cosa che ci porterebbe a una visione materialistica, ma appunto come causa materiale per la quale, essendo diverso il sesso, viene ad essere diverso lo spirito che, per volontà del Creatore, è essenzialmente unito al sesso.

Ciò, come ho già detto e ripetuto, è stato riconosciuto dalla Chiesa stessa, come risulta dalla Dichiarazione Persona humana della Congregazione per la Dottrina della Fede. Se però lo spirito è modificato dalla differenza sessuale, come la materia segnata dalla quantità è principio dell’individuazione della persona umana, resta tuttavia che la responsabilità e la facoltà di dar forma alla sessualità maschile e femminile va al diverso modo d’essere dello spirito maschile e femminile.

A questo punto, potremmo chiederci con quale faccia Freud fa della libidine l’impulso fondamentale della vita? Come gli è venuta in mente una simile idea? Che differenza fa tra la società civile e il lupanare? O tra la volontà e l’istinto? O tra l’uomo e l’animale?

Difficile dirlo, se andiamo al fondo filosofico della questione. È evidente un’antropologia sensistico-materialista. Facile dirlo, se vogliamo fermarci al livello delle convenzioni sociali, perché egli, da buon ebreo fariseo, è poi tutto preoccupato delle apparenze, raccomandando ai suoi assistiti, dopo averli ben istruiti sulla libido, di comportarsi decentemente in società, sapendo che comunque le sue idee avrebbero avuto successo presso tutti quelli che preferiscono la carne allo spirito.

Tra la verginità origenista e la libido freudiana

Finché noi cattolici restiamo intrappolati fra Freud ed Origene, tra Epicuro e Platone e non ci decidiamo ad aggiornarci e ad assumere in pienezza su questo tema l’insegnamento più biblico di San Giovanni Paolo II, in linea col Concilio, del quale vado parlando da 40 anni nelle mie pubblicazioni, non riusciremo a districarci dal ginepraio nel quale ci troviamo aggrovigliati, ad uscire da una situazione sempre meno tollerabile, da un quadro sociale caotico, da una via che appare senza sbocco nel dilagare della corruzione e del libertinaggio, a liberarci dall’opposizione lacerante fra rigorismo e lassismo, rigidezza e mollezza,  dualismo e monismo, materialismo e spiritualismo, che oggi ci mette tutti a disagio, ci fa provare un senso di frustrazione, ci fa sorgere dubbi,  ci fa soffrire, ci turba e ci scandalizza, dove i fraintendimenti abbondano, la discordia è quotidiana e i furbi ne approfittano, dove alcuni si sdegnano senza saper opporre un’alternativa, altri tacciono per non passare per bigotti o fondamentalisti oppure se ne stanno in silenzio amareggiati e confusi, altri sornioni ridono sotto i baffi, e altri ancora sono tentati di cedere credendo che non si tratti di opporsi al peccatore, ma di conceder spazio al diverso.

Oggi più che mai è a rischio il valore della famiglia. Tutti coloro che sono interessati non dico all’etica cattolica, ma alla semplice riproduzione della specie umana, si rendono conto che la crisi della famiglia non è altro che la crisi di un’umanità che avendo perduto la percezione della propria dignità di immagine di Dio, tende alla propria autodistruzione, perché si è miseramente ripiegata sul godimento sensuale del sensibile presente e fa del proprio io l’effetto della propria libertà, una libertà senza relazione al dovere, alla legge e all’obbedienza, senza riferimento a Dio creatore e promotore di questa libertà, pur volendo mirare  all’eterno, all’assoluto e all’infinito.

Ma allora si tratta di una stolta libertà che sostituisce a Dio il proprio io, si tratta di uno spirito morboso che non si libra sulla materia e sulla carne, guidandola dall’alto verso Dio, e innalzandola a sé, ma uno spirito carnale e contorto, che non gusta le realtà celesti, non si armonizza col sesso, ma è ingabbiato e svuotato nel sesso.

Famiglia e vita religiosa nell’etica sessuale cattolica sono due valori che si richiamano a vicenda: la famiglia mostra la dignità e i frutti del sesso terreno; la vita religiosa, la dignità del sesso escatologico. Il sesso del matrimonio accresce il numero degli individui umani; il sesso spirituale dei religiosi accresce il numero dei salvati.

Gli sposi sono il modello dei genitori; la coppia consacrata[6] è il modello escatologico degli sposi. Il matrimonio è il culmine della felicità sessuale terrena; la coppia consacrata precorre la felicità della sessualità celeste. L’astinenza degli sposi, similmente a quella della coppia consacrata, eleva e libera lo spirito, purifica il cuore, incentiva l’amore generoso, fecondo e fedele, favorisce la dedizione e l’unione con Dio.

Tanto la coppia coniugale che la coppia consacrata fanno fruttare la loro unione e la loro comune tensione verso Dio e comunione in Dio nell’opera educativa che forma le future generazioni, trasmettendo ai figli carnali o spirituali il patrimonio di valori umani, culturali, religiosi, morali e spirituali ricevuti dalle precedenti generazioni ed incentivando in questi figli un continuo progresso nella coltivazione e nella messa in pratica di quei valori.

In tal modo le generazioni successive sono in grado di scoprire gli errori e i vizi delle precedenti e di rimediarvi, restando però sempre aperte a lasciarsi a loro volta correggere dalle successive generazioni. In tal modo l’umanità progredisce nella storia verso livelli sempre più alti di scienza e di virtù e tutto ciò deriva dalla bontà e fecondità dell’unione fra l’uomo e la donna, siano coniugati o siano religiosi.

Oggi abbiamo più chiaro che mai che il progresso umano, la trasmissione e la custodia dei valori, l’opera educativa, il buon ordinamento e lo sviluppo della società, la concordia civile nella libertà di ciascuno, la realizzazione del benessere e della giustizia non avvengono perché il maschio domina sulla femmina, ma sulla base di una reciproca collaborazione, anzi di un’unione d’amore – si tratti della coppia coniugale o di quella consacrata – su di un piano di pari dignità di natura e di persona[7].

Indubbiamente il grande fenomeno dell’ingresso della donna nella vita pubblica, segnalato da San Giovanni XXIII nella Pacem in terris del 1963, ha comportato di fatto, benché ciò ovviamente fosse del tutto alieno dalle intenzioni del Santo Pontefice, un aumento dei divorzi, degli adulteri e  delle fornicazioni a causa del fatto che la donna in molti casi, uscendo da quel nascondimento nel quale si trovava prima racchiusa nell’orizzonte della famiglia, e divenuta più oggetto dell’attenzione pubblica, ha spesso trascurato i doveri familiari e ceduto alle attrattive della concupiscenza, sotto pretesto dell’impegno sociale e politico.

Naturalmente il rimedio a ciò non sta nel ritorno del sistema vigente prima del Concilio, ma nella elaborazione di una concezione della famiglia che si concili con le giuste esigenze e i doveri della donna di operare, secondo le sue qualità proprie, nell’ambito della vita pubblica e sociale, civile ed ecclesiale[8].

Un aspetto della concezione preconciliare della castità, ancor oggi valido e confermato dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II[9], perché addirittura dottrina di fede è il primato della verginità sul matrimonio, o, se vogliamo, il primato della castità consacrata su quella coniugale. Il dogma, come riferisce San Tommaso, condanna la dottrina di Gioviniano[10], il quale sosteneva la pari dignità dello stato coniugale con quello religioso.

Tommaso giustifica la superiorità dello stato religioso con le stesse motivazioni che troviamo nel Concilio: la possibilità di una maggiore libertà spirituale, vicinanza a Dio e fecondità di opere. La vocazione religiosa riguarda solo coloro che avvertono più degli altri questi bisogni spirituali, per cui sentendo con speciale fastidio l’ostacolo che viene dalla carne, sentono il bisogno di esserne più liberi.

Se oggi dobbiamo respingere un’apologia del voto di castità, che sappia di origenismo, dobbiamo anche difenderci dal disprezzo luterano per questo nobile ideale di vita affettiva. Dico questo perché non è aleatorio il rischio che oggi corriamo, a causa di un falso dialogo con i luterani, che gli errori di Lutero si diffondano all’interno della Chiesa cattolica anziché essere noi cattolici a correggere gli errori dei luterani.

Ora sappiamo con quanta ferocia e ingiustizia Lutero denigri e diffami il voto di castità, prendendo a pretesto l’esistenza effettiva di religiosi indegni[11]. Al riguardo bisogna dire che se Lutero rispecchia in certa misura nel suo far teologia l’interiorismo agostiniano, nel campo dell’affettività e dell’etica sessuale, abbandona Agostino e assume in toto il sensualismo occamista ed epicureo del quale era pregno quel Rinascimento che egli pur affetta di voler combattere come neopaganesimo mondano e pelagiano.

È chiaro peraltro che in un’etica che non ammetta una scala di valori, l’astinenza sessuale non ha ragion d’essere. Se il piacere sessuale vale tanto quello spirituale, per quale motivo dovrei rinunciare al primo per godere del secondo? Esistono etiche che addirittura capovolgono la scala dei valori. Per cui il piacere sessuale è preferito a quello spirituale.

Ora bisogna dire che senza dubbio Dio è il creatore sia dell’una che dell’altra forma di piacere. È del tutto naturale che l’uno susciti l’altro e si incentivino a vicenda. L’incontro tra un uomo e una donna che si piacciono fisicamente è fatto per condurli al piacere dell’unione spirituale. E d’altra parte l’unione spirituale si esprime naturalmente nell’unione sessuale.

Le parole di Adamo che vede Eva appena creata da Dio per lui (Gen 2,23) non significano altro che questo. Che questa unione poi sia generativa, questo non è essenziale all’unione sessuale, come si deduce dal c.2 della Genesi, che prefigura qui l’unione escatologica. Invece è evidente che nella presente vita terrena, che prevede la generazione, bisogna tener conto di quelle che possono essere le conseguenze generative dell’unione sessuale. Per giustificare tale unione, non basta invocare l’esistenza dell’amore tra i due.

L’amore sarà autentico, se la condizione giuridica e sacramentale dei due sarà quella che consente loro di accogliere il frutto della loro unione in maniera adatta e dignitosa, vale a dire essi potranno parlare di vero amore solo se si tratta di amore coniugale. È solo un amore non procreativo come quello escatologico che potrebbe giustificare un’unione sessuale in base al solo amore.

Ma d’altra parte, potremmo chiederci se siamo autorizzati a immaginare l’unione escatologica sul modello dell’attuale unione sessuale. Infatti, che ne sappiamo di quella che sarà la configurazione fisica del sesso risorto, un sesso non generativo? Il sesso che possediamo adesso è evidentemente fatto per la generazione.  Tuttavia non è proibito immaginarlo in questi termini. Dio infatti si compiace di proporzionare alla nostra capacità terrena di vedere la visibilità delle realtà celesti.

Cristo risorto, per esempio, appartiene ad una realtà fisica gloriosa ed immortale, che trascende la nostra capacità visiva terrena. E per questo, nelle sue apparizioni, non sempre viene subito riconosciuto. Tuttavia vediamo come invece in certe circostanze Egli si degna di farsi riconoscere ai nostri occhi mortali, per dimostrare che è proprio Lui, nel suo vero corpo, che aveva nel corso della sua vita mortale. E così, tenendo conto di queste riserve, non ci è proibito immaginare il sesso risorto sul modello del sesso che abbiamo adesso.

Non c’è dubbio che Dio vuole per l’unione fra uomo e donna l’unione del piacere spirituale con quello sessuale, se la Scrittura arriva a paragonare la gioia di Dio al piacere sessuale: «come gioisce lo sposo per la sposa, così gioirà per te il tuo Creatore» (Is 62,5).

Il piacere sessuale è dunque fatto per accompagnare quello spirituale. Se tuttavia, quello ostacola questo, ecco il motivo per rinunciare a quello o quanto meno per impedire che salga a quel livello che corrisponde all’atto sessuale, affinchè il soggetto – religioso o sacerdote – possa realizzare in pienezza quella vocazione di speciale ed eminente servizio a Dio, al prossimo e alla Chiesa, alla quale ha voluto liberamente corrispondere, per un’eminente o straordinario bisogno di spiritualità e di esercizio della carità. Non tutti, infatti, come dice Cristo, possono capire questo ideale, «ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19,11).

Voglio aggiungere una precisazione importante: quando parlo dell’unione fisica come espressione di quella spirituale, mi riferisco alla prospettiva escatologica di massima, secondo il piano divino circa la felicità umana in generale, ma non intendo assolutamente dire che quel tipo di unione entri necessariamente nella felicità di ciascuno, ma è rimessa alla libera scelta di ognuno.

Viceversa, dopo il Concilio alcuni moralisti, come per esempio Dalmazio Mongillo e Bernhard Häring, credendo di promuovere l’etica sessuale escatologica ed umanistica avviata dal Concilio, sono caduti nell’eccesso opposto a quello del rigorismo dualista preconciliare, basandosi su di una nozione della persona la cui azione non prevede lo sforzo ascetico, ma è concepita come spontanea opzione fondamentale dettata dall’amore, per cui l’agire della persona in quanto spirito singolo dotato di libertà creativa non è soggetto ad una legge morale fissa ed universale, ma, a seconda delle condizioni e circostanze sempre nuove ed imprevedibili, al di là di ogni casistica, ma mossa esclusivamente dall’amore, ha la facoltà di decidere, al di sopra dell’astratto dettato della legge, ciò che la coscienza le detta in quel momento nella concretezza della situazione esistenziale, sotto l’impulso dello Spirito Santo, tanto più che questi moralisti ritengono che la legge morale evolva con l’evolvere del progresso umano e scientifico. Nel contempo negano al Magistero della Chiesa l’infallibilità nell’insegnamento dei contenuti della legge morale naturale.

Non esisterebbero, quindi, obblighi o doveri assoluti e irrinunciabili, perché non esisterebbe nulla di intrinsecamente buono o cattivo, ma qualunque norma morale sarebbe assoggettata alla libertà e alla coscienza della singola persona, che peraltro non è concepita come sostanza, ma come relazione all’altro e a Dio.

Questa corrente di pensiero è stata efficacemente contrastata da diversi moralisti, come per esempio il salesiano Luigi Bogliolo, i domenicani Alberto Galli (1929-1990)[12] e Daniel Ols, lo stimmatino Cornelio Fabro[13], tra i quali emerge il Card. Carlo Caffarra.

Lo stesso Giovanni Paolo II, nel 1993 intervenne con la pubblicazione di una poderosa enciclica, la Veritatis splendor, nella quale, senza affatto misconoscere gli aspetti positivi del personalismo esistenzialistico dei suddetti autori,  ribadiva vigorosamente i fondamenti dell’azione morale, come atto umano libero e responsabile avente per fine il vero bene della persona umana, nelle condizioni attuali della natura decaduta e redenta, posta quindi nella necessità di praticare un’opportuna disciplina e ascetica spirituale, nell’obbedienza alla legge morale e al Magistero della Chiesa.

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 aprile 2023

Occorre distinguere dal punto di vista morale il suddetto atteggiamento di simulazione che maschera la ricerca lussuriosa del piacere sessuale sotto le apparenze esterne di una condotta pia e spirituale, dalla spiritualità autentica della coppia di sposi, i quali esprimono nell’unione coniugale la loro unione spirituale.

La condotta spirituale di una coppia non è necessariamente la maschera della libidine, come se l’unico piacere che l’uomo cerca sia quello sessuale, ma in una coppia profondamente unita dal punto di vista spirituale il piacere sessuale può essere benissimo la conseguenza, l’espressione e la condizione del piacere spirituale.

 

Per il cattolico il sesso certamente non è Dio, e tuttavia ne è la migliore immagine, come lo testimonia il Cantico dei Cantici. Il cattolico postconciliare recupera quanto di buono c’è nel freudismo senza lasciarsi sedurre dal suo sensismo libidinoso.

 

Egli ha compreso come non mai che nessuna intimità interumana è così profonda e perfetta come quella fra l’uomo e la donna; nessuna intesa, nessuna fedeltà, nessuna disponibilità, nessuna confidenza più totale, nessuna comprensione e apertura reciproca più limpida; e per questo è la forma di intimità che meglio di tutte rappresenta l’intimità mistica dell’anima con Dio, come ha espresso bene San Giovanni della Croce.

Immagini da Internet: Cantico dei Cantici, Daniella Fabbri


[1] Cit. da Ronald W.Clark, Freud, Edizioni Rizzoli, Milano 1983, p.448.

[2] SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed. Massimo, Milano, 1987, pp.227-234.

[3] Cf Henri Crouzel, Origene, Edizioni Borla, Roma 1986.

[4] Gli errori di Origene furono condannati dal Concilio Costantinopolitano II del 553 (Denz.433).

[5] Sum. Theol., II-II, q.123, a.4.

[6] Cf il mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli (BA), 2008.

[7] Il primo Pontefice nella storia della Chiesa che ha parlato con chiarezza della pari dignità di natura e di persona dell’uomo e della donna nella diversità e reciprocità delle rispettive qualità, compiti e ruoli nella società e nella Chiesa, è stato Pio XII. Cf per esempio, i discorsi del 14.X.1956, 29.IX.1957, 2.VII.1958.

[8] Due grandi riferimenti pontifici in questo senso li troviamo nelle Esortazioni apostoliche Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II del 22 novembre 1981 e dell’attuale Pontefice Amoris laetitia del 19 marzo 2016. Riguardo alla questione dell’accesso o meno dei divorziati risposati alla Comunione, ritengo che Papa Francesco ammetta solo l’eventualità che un domani possa essere concessa (nota 351), per cui ritengo che per adesso sia bene e più sicuro attenersi alla norma della Familiaris consortio, che la proibisce (n.84), aiutando la coppia a capire che essa può essere in grazia anche solo con la Comunione spirituale.

[9] Cf Lumen Gentium 44; Perfectae caritatis 12.

[10] La tesi di Gioviniano che sosteneva la pari dignità di verginità e matrimonio e negava per conseguenza la superiorità di quella su questo. Essa fu condannata da Papa Siricio in un sinodo romano del 390. Fonte: voce GIOVINIANO nell’Enciclopedia Cattolica.

[11] Vedi la famosa documentazione fatta con minuzia tipicamente tedesca, dallo storico domenicano Enrico Denifle nel secolo scorso, Lutero e il luteranesimo, Desclée&C. Editori, Roma 1905. Si tratta di un’impressionante mole di furiosi attacchi di Lutero ai voti religiosi, un enorme materiale che era tenuto nascosto dagli stessi luterani e si comprende il motivo. Per cui l’averli riesumati e resi di pubblico dominio suscitò un’accanita polemica contro il Denifle da parte dei luterani, che tuttavia ovviamente non avevano come argomenti di difesa altro che la loro inutile e indegna indignazione.

[12] Articoli su Sacra Doctrina: Natura e gravità del peccato, 5, 1984, pp.392-442; La gravità dei peccati, II, 6, 1984, pp.514-543; La legge morale I, 5, 985, pp.397-428; Una critica del P.Fuchs al documenti del magistero morale, 1,  pp.104-124; L’opzione fondamentale esistenzialistica e il peccato, in 2, 213-239; La legge morale II, 6, 1985, pp.504-524; La legge divina o rivelata, 1, 1987, pp.6-38.

[13] L’avventura della teologia progressista, Rusconi Editore, Milano 1974.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.