Il clima
intellettuale del nostro tempo
Il fenomeno
delle psicosi collettive
Gli storici delle idee collettive conoscono
bene il fenomeno delle psicosi collettive, che sono forme di alterazione
mentale ed emotiva, che tendono a diffondersi nelle masse, soprattutto quelle
pseudointellettuali e più suggestionabili, ma anche tra individui opportunisti
o carrieristi, ad opera di abili imbonitori e di un astuto martellante sistema
capillare di propaganda massmediatico, che si vale di argomenti
pseudoscientifici e fa leva su determinate predisposizioni collettive più o
meno latenti o inconsce, che la propaganda s’incarica di portare alla luce
offrendo ad esse prospettive seducenti o persuasive di realizzazione.
Ma l’obbiettivo proposto dagli imbonitori a soggetti
psichicamente instabili, o bisognosi di
certezza, soprattutto giovani, possiede una tale forza di convincimento, benché
priva di ragioni oggettive, che diventa in loro un impulso assoluto, per cui
coloro che si oppongono a tale fanatica fissazione mentale o cieco impulso
emotivo, diventano oggetto di un odio irrazionale, data la loro incapacità ed
impossibilità di dare una giustificazione razionale dialogabile della posizione
assunta.
Molti sono gli esempi storici che si potrebbero
addurre di questi fenomeni patologici collettivi, che non sono di lunga durata.
Spesso sono all’origine di guerre, rivoluzioni o conflitti sanguinosi. Pensiamo
al razzismo nazista, alle persecuzioni staliniane, alla guerra di Spagna, al
Terrore nella Rivoluzione francese, alle guerre tribali africane.
E questa breve durata distingue queste
esplosioni di odio dai moti ereticali, che possono durare nei secoli. Invece le
psicosi collettive hanno l’aspetto di un
fuoco che si accende e divampa. Si diffondono e si sviluppano rapidamente.
Pochi o pochissimi, che mantengono la lucidità mentale, riescono a fare
resistenza, tanto meno a spegnere il fuoco. Ma vengono emarginati, perseguitati
o eliminati. Raggiunto un vertice parossistico, il fenomeno gradatamente si
esaurisce e si placa, il fuoco si spegne, sia per la reazione contraria e sia per
un’implosione interna, motivata dalla sua vacuità passionale, priva di
consistenza ideale.
Si tratta di moti che sul momento sembrano
irrinunciabili e inarrestabili, voluti o dalla scienza o dal destino o dalla
giustizia o dal progresso o dalla libertà, anche se offendono Dio o una legge
morale naturale o un diritto umano, che in altri momenti storici o in altri
paesi vengono generalmente rispettati. Ma in quel momento le menti sono accecate
ed incapaci di ragionare. Spesso sono suscitati da qualche dittatore o
pseudoprofeta.
Solo dopo il disastro o la sconfitta causata
da queste follie, gli uomini rinsaviscono e fanno il proposito di non ripetere quegli
errori. Ma il problema è che oggi c’è un idolo o un dèmone diverso da quello di
ieri e quello di domani sarà diverso da quello di oggi. Ieri c’era il razzismo,
oggi c’è il genderismo e domani che cosa ci sarà?
Il sofisma
del «rispetto per l’altro»
Fermiamoci, a titolo d’esempio, sulla
questione dell’etica e della condotta sessuale. Qui l’equivoco di fondo sta nel
concetto della diversità. Si sta
diffondendo un concetto di diversità, che, con la scusa della libertà di
scelta, è un pretesto per celare il
falso, il male e la corruzione.
Esistono certamente diversi possibili orientamenti
sessuali. Ognuno – si dice – dev’esser libero di scegliere l’orientamento che
preferisce, senza andar soggetto a proibizioni o restrizioni, essere riprovato
o disturbato o impedito dal prossimo o dall’autorità. Non bisogna però
confondere ciò che è diverso con ciò che è male.
Il diverso è sempre un bene. Va rispettato, va accolto, va promosso. Il male va
odiato, va combattuto, va respinto.
Il diverso
si attua nell’ambito del bene. È bene che esistano le margherite come è
bene che esistano le viole, queste diverse da quelle. A Francesco piacciono le
margherite; a Paolo le viole. Liberi di fare la loro scelta tra varie
possibilità. Dunque il male non può essere un diverso. Il diverso non esclude
il diverso, ma coesiste con lui pacificamente e fruttuosamente.
Il bene invece è incompatibile col male. Lo
esclude assolutamente. Ma se Giovanni calpesta i fiori, travalica i limiti
della sua libertà, perché per i fiori egli non è più un semplice diverso, ma è
un male. I ragazzi sono liberi di scegliere i fiori che preferiscono; ma
abusano della loro libertà, se li calpestano.
La questione
dell’«orientamento sessuale»
Così è nel campo della condotta sessuale: è
chiaro che ciascuno è libero di scegliere il proprio orientamento sessuale,
giacchè esistono diversi modi di attuare la sessualità. Ma la sessualità umana
non è una semplice materia plasmabile secondo l’arbitrio e il piacere individuale
di ciascuno.
La sessualità umana, nel piano divino della
creazione, è un insieme complesso, meraviglioso, armonioso ed unitario di piani
vitali e dinamici della persona, che appartengono alla sua natura e dignità
creata da Dio e concorrono a costituirla nel suo essere e nelle sue facoltà
fisiche, vegetative, psicologiche e spirituali, in vista della procreazione e
soprattutto dell’unione d’amore sponsale, che avrà la sua pienezza finale nella
futura resurrezione della carne.
Se si vuole raggiungere il vero amore, la
vera libertà, la vera realizzazione di sé, il piacere autentico, che il sesso
garantisce, il vero scopo del sesso e la vera felicità, si deve scegliere il
proprio orientamento sessuale come concreto e libero modo di realizzare la
propria sessualità entro il progetto
rispondente al piano divino delineato nei termini suddetti.
Voler scegliere al di fuori o contro di
questo progetto, sostanzialmente identico
in ogni uomo e donna, perché fondato sulla natura umana come tale, anche se
realizzato in infiniti modi diversi, non è espressione di libertà, non gioca
nella categoria del diverso, ma vuol dire compiere
il male, ciò che veramente è odioso,
il peccato, ossia distruggere il vero
senso della sessualità, violare la sua legge, fallire il suo scopo, rendersi schiavi
della lussuria, ottenere un falso piacere e una falsa felicità e infine procurarsi
la dannazione eterna.
La grossa sventura di oggi, che è diventata
una vera psicosi collettiva, è che abbiamo perso di vista quale sia la grande dignità della sessualità umana e dell’unione
dell’uomo con la donna secondo il piano della creazione, nella prospettiva della
resurrezione, nella libertà, grazie a Cristo, dalle conseguenze del peccato
originale. Tutti i problemi che concernono il matrimonio, la famiglia e l’etica
sessuale vengono da qui.
Da una parte, in certi ambienti ecclesiali tradizionalisti
si fa ancora capo ad un concetto del sesso
e della castità racchiusi nelle condizioni di miseria conseguenti al peccato originale,
condizioni la cui gravità viene anche esagerata nella linea di Lutero. In
questo concetto della castità si può notare uno sfondo origenista, per il quale
il problema non è la purificazione e nobilitazione del sesso in vista della resurrezione, ma la liberazione dal sesso in vista della liberazione
dell’anima dal corpo.
D’altra parte, la tesi luterana dell’irresistibilità
della concupiscenza, con la sua conseguente abolizione del celibato sacerdotale
e del voto di castità, è una soluzione falsa ed è solo un cedimento alla lussuria.
L’esperienza millenaria di vita ascetica, anche tra i pagani, insegna che è
possibile domare la carne. Per questo, le tradizionali norme ascetiche della cosiddetta
«custodia dei sensi» e la fuga dalle occasioni, fortificate dal soccorso della
grazia, restano valide ed utili, ma sono
oggi insufficienti, dati i maggiori contatti oggi esistenti fra uomini e donne.
Sul fronte laico il panorama è del tutto opposto.
Laddove nell’origenismo si vede lo spirito nemico del sesso, qui si confonde lo
spirito col sesso e si fa emergere freudianamente lo spirito dal sesso. Mentre
là si cerca la libertà spirituale, per essere liberi dal sesso, qui si cerca la
libertà sessuale, per idolatrare il sesso. In nessuno dei due casi si riflette sul
fatto che Dio, creatore dell’uomo e della donna, vuole il primato dello
spirito, ma in armonia col sesso. Se
quaggiù occorre la rinuncia e la disciplina, è in vista del sesso della
resurrezione.
L’odierno ambiente laicista, epicureo,
freudiano e pannelliano collega giustamente il sesso all’amore, al piacere,
alla vita e alla libertà. Come si cantava negli anni ’30 del secolo scorso:
«Gira, rigira, biondina, l’amore e la vita godere ci fa». Il guaio è che tutto
ciò è cercato senza tener conto della legge naturale e della volontà di Dio,
creatore di tutte queste cose, ma con la pretesa di essere creatori e signori
del sesso e di tutte le sue ricchezze, le quali, al di fuori e contro il giusto
ordine allo spirito e a Dio, senza la reciprocità spirituale uomo-donna, senza
la fecondità del matrimonio e le gioie della famiglia, senza alcuna prospettiva
di resurrezione e di vita eterna, finiscono col diventare una maledizione,
un’ossessione demenziale e la distruzione del piacere, della libertà e della vita.
Occorre allora rifarsi al nuovo concetto di
castità introdotto dal Concilio Vaticano II ed esplicitato nelle catechesi di
S.Giovanni Paolo II. Esso comporta due aspetti: primo, un concetto relazionale della castità come corretto rapporto
fra uomo e donna e non più solo come problema di autocontrollo e di moderazione
della passione; secondo, l’allargamento consolante ed incoraggiante dello
sguardo al di là dei ristretti e tristi confini della presente corruzione della
natura, per ampliare ed innalzare, sempre nell’ottica della Redenzione,
l’ideale della castità alla condizione edenica e soprattutto alla prospettiva escatologica.
Resta sempre il dovere di vincere la tentazione della carne e di lottare contro
il vizio della lussuria, ma anche qui abbiamo un nuovo metodo, il quale, senza
rinunciare alla tradizionale lotta frontale contro la tentazione, preferisce
però sostituire al pensiero impuro la
prospettiva di un onesto incontro uomo-donna.
La dittatura
del buonismo
E qui raggiungiamo, ampliando il discorso, un
secondo aspetto del clima intellettuale di oggi: la negazione dell’inferno come conseguenza della negazione della
storicità del peccato originale. È l’idea russoiana della bontà naturale dell’uomo,
sposata dalla massoneria, che fa da esatto pendant
con la convinzione luterana di essere sempre e comunque graditi a Dio. Il
successo, terreno come chiarirà Calvino, è segno di predestinazione.
In base a queste idee, ed abbandonando il
fideismo luterano, l’uomo russoiano socialmente organizzato, per mezzo della scienza,
della tecnica, della buona volontà e della politica può liberarsi dai suoi mali
e costruire una società sana e giusta senza bisogno della religione rivelata e
del soprannaturale. È il progetto massonico-illuminista, ancora vagamente
deista, ma che sfocerà poi nel marxismo ateo.
Oggi è diffusa l’idea falsa ed ipocrita che tutti,
in fondo, siamo buoni e in buona fede, anche coloro che compiono i delitti più
orribili, perché sono orribili per noi,
ma non per loro. La colpa non esiste. Chi siamo noi per giudicare? Sono
semplicemente diversi e dobbiamo rispettare le loro scelte. È il cosiddetto
«buonismo». Il vero delitto, per il buonista, salvo che non siano toccati i
suoi interessi, è dire al prossimo: «Tu sbagli. Ti devi correggere. Ti devi
convertire». Non si deve convertire nessuno, ma solo dialogare.
Non si riconosce, insomma, la tendenza
dell’uomo al peccato o, se la si riconosce, si pensa con Lutero che tutto, sempre e comunque è perdonato. La cattiveria
è coonestata dalla «divina misericordia». Per cui la buona volontà per Rousseau
e la certezza luterana di essere perdonati sono sufficienti per ottenere progresso,
pace e salvezza senza che occorrano ascetismi, sacrifici, espiazioni e
riparazioni.
Necessari e sufficienti, semmai, sono i
programmi politici e il rispetto dei «diritti dell’uomo», che in questo clima
di relativismo liberale sono privi di contenuti oggettivi ed universali, ma
esprimono soltanto la volontà di chi detiene attualmente il potere, il
cosiddetto «pensiero unico», non per esprimere che la verità è una sola, ma per
significare che tutti devono pensarla come la pensa il Capo.
Da qui la scomparsa del timor di Dio, che invece
per la Scrittura è l’inizio della sapienza e fa evitare il peccato, perchè ci rende
umili, cauti e vigilanti, sapendo che se possiamo fidarci Dio, non possiamo fidarci
di noi stessi. Invece l’assenza del timor di Dio crea degli imprudenti, spocchiosi
ed arroganti, che presumono di viaggiare gratis nel viaggio della vita, di salvarsi
senza merito, e senza le opere della penitenza e della carità.
A questo atteggiamento gradasso corrisponde
una comoda idea di Dio a misura d’uomo, un «Dio-per-l’uomo», già presente in
Kant, un Dio che non è Giudice dell’operato dell’uomo in base alla sua
obbedienza o meno alla legge divina, ma è un Dio garante, assicuratore e notaio
della bontà dell’uomo, libero autore della stessa legge della sua condotta.
In questa situazione, in cui l’uomo pretende
di sostituirsi a Dio o di avere un Dio funzionale all’uomo, il quale avoca a sé
il diritto di legiferare sulla sua condotta, la famosa «autonomia» kantiana della
ragion pratica, compito di noi cattolici è quello di essere forti e calmi, di
non perdere la testa, non perderci d’animo, reggere ai colpi dei nemici, pronti
a perdonare chi si pente, sopportare gli attacchi, non spaventarci dei mostri,
non lasciarci sedurre dalle sirene e restare lucidi in questo clima di
irragionevolezza demenziale, senza perdere la consapevolezza che comunque il Logos
illumina ogni uomo; per cui non dobbiamo temere che i veri diritti umani e le esigenza
della legge naturale, per quanto oscurati, deformati e calpestati, sempre tornano
a galla, come il palloncino sull’acqua, che, se lo si immerge, va giù perchè gli
teniamo sopra la mano, ma se la stacchiamo, esso torna a galla.
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Varazze, 1 aprile 2019
(Articolo inviato a Danilo Quinto)
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