Il mistero dell’eresia (Prima Parte - 1/3)

 Il mistero dell’eresia

         Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola

 intermisti in universo mundo.

 

                                                                              Dall’Officium parvum Beatae Mariae Virginis

                                                        dell’Ordine Domenicano, Ed.1962

 

Chi ne parla troppo, chi ne parla troppo poco

 

Perché parlo di «mistero» dell’eresia e non semplicemente, come si usa, di «problema»?[1] Perché ciò che tocca la fede, il mysterium fidei, sia pur per negarla o falsificarla, è a sua volta un mistero, «mysterium iniquitatis» (II Ts 2,7), appunto per questo rapporto sia pur per contraddizione, con il mistero del credere.

Come il credere è un mistero, così il rifiuto di credere, l’eresia, la falsità, l’infedeltà, l’incoerenza, la disobbedienza, la menzogna, l’inganno in materia di fede, l’adulterazione o la strumentalizzazione della fede, la fede finta, ossia l’ipocrisia, l’apostasia in materia di fede non hanno una spiegazione razionale, così come ce l’hanno gli errori in campo scientifico o filosofico.

La spiegazione è insondabile, come è insondabile ai nostri occhi in quel tale il perché del credere e del rifiuto di credere. Solo Dio lo sa. È il mysterium iniquitatis. L’errore riguardante la fede è connesso, sia pur a contrario, col mistero dell’atto di fede.

Sì, possiamo parlare genericamente di superbia o di invidia, possiamo rintracciare cause nei precedenti o nell’ambiente o nella mentalità dell’eretico: ma non avremo mai una spiegazione esauriente, celata nell’intimo del suo cuore e nota solo a Dio.

Il tema dell’eresia è uno degli argomenti più delicati dell’etica cattolica. Non è facile sapere con esattezza che cosa è un’eresia e quindi è ancor più difficile sapere chi è eretico e quando e come e perché si cade nell’eresia. Una volta saputo questo, che è compito soprattutto dei pastori, occorre affrontare un compito spesso ancor più difficile: correggere l’eretico, persuaderlo che sbaglia e indicargli che cosa deve fare per correggersi.

Ma il problema è che oltre al rischio del pastore di sbagliarsi nel giudicare, capita spesso che l’eretico non è in buona fede, ma abbraccia l’errore volontariamente ed ostinatamente, anche se viene confutato. Che fare allora? Se l’eretico ha successo nel diffondere la sua dottrina, bisogna che il pastore metta in guardia il gregge dal pericolo.

Dal periodo iniziato col postconcilio, sempre meno i pastori parlano di eresie o denunciano eresie in modo preciso e circostanziato, come usava in precedenza. Ancora meno istituiscono processi o prendono provvedimenti disciplinari o pronunciano condanne, come per esempio la scomunica o altre sanzioni previste dal diritto canonico.

Ma siccome capitano sempre i casi di fedeli che a giudizio di un dato pastore, magari egli stesso filomodernista, gli rechino disturbo, facilmente questi pastori, non avendo validi motivi per procedere nella legalità, si muovono al di fuori di essa, commettendo inevitabilmente delle ingiustizie e degli abusi di autorità.

Ci potremmo chiedere: ma forse dopo il Concilio le eresie sono diminuite? Per nulla. Sono aumentate, tanto che già nel 1966 il Maritain nel suo libro Le paysan de la Garonne, denunciava come il modernismo condannato da S.Pio X era «un raffreddore da fieno a confronto della polmonite», che era scoppiata nell’immediato postconcilio.

Ma come mai questo fenomeno? Che nell’episcopato si creò un clima di eccessiva tolleranza ed indulgenza in una reazione esagerata alla eccessiva severità che era in uso prima del Concilio. Si è passati da un eccesso all’altro e a tutt’oggi i vescovi nella loro generalità non sono ancora riusciti a realizzare quell’equilibrio, quella giusta contemperanza di mitezza e severità, di energia e di dolcezza, di duttilità e di fermezza, che è sempre stata la virtù dei santi Pastori, e che era precisamente negli intenti pastorali del Concilio.

L’eresia oggi è favorita da una diffusa idea che chi crede nella verità è un violento, che la verità non è oggettiva ma soggettiva, che vero e falso stanno assieme, dal falso concetto di pluralismo teologico, da una falsa idea della libertà di pensiero del teologo, dal disprezzo per la teologia scolastica e per San Tommaso e da una falsa idea del «diverso», che è un pretesto con il quale si vuol dare diritto di cittadinanza al falso. In tal modo non ci si accorge più che si oltrepassano abbondantemente i giusti limiti del pluralismo, per presentare come «cattolici» teologi, che in realtà non lo sono, essendo influenzati da dottrine filosofiche errate o dal protestantesimo o dal modernismo[2].

Molti, anche fra pastori e teologi, oggi hanno perduto la percezione che l’eresia sia peccato, che essa rechi qualche danno, cosa che invece era evidente per la Chiesa del passato ed anche per lo Stato. Oggi Stato e Chiesa sono attenti e giustamente ai problemi dell’ingiustizia sociale, delle sperequazioni economiche, e della corruzione politica.

Però spesso si combatte questa corruzione come se essa nascesse da se stessa, senza badare che la sua causa profonda, quando di tratta di credenti, è l’eresia. In passato la Chiesa, come è giusto, colpiva l’eresia come proposizione falsa nella fede. Ma lo Stato aveva chiare le conseguenze pratiche dell’eresia nel favorire l’ingiustizia economica, l’anarchia, la criminalità, i disordini sociali, la violenza, le guerre, i furti, le sedizioni, gli omicidi. Per questo lo Stato collaborava con la Chiesa nella repressione dell’eresia, anche se oggi giustamente respingiamo i metodi con cui lo facevano.

Oggi si è sensibili ai problemi della giustizia, ma non si dà importanza alla verità. Si crede che ognuno sia libero di pensarla come vuole. Ma non è così. La giustizia è la messa in pratica della verità. Se non si crede ad una verità oggettiva ed universale, obbligatoria per tutti, manca il criterio per distinguere la giustizia dall’ingiustizia, nonché la vera dalla falsa giustizia. Lavorare per la giustizia senza tener conto di questo suo fondamento teorico, accusando magari la teoria di essere una vuota astrazione, è una fatica di Sisifo, che non porta a nulla, non solo, ma può avere per risultato proprio quell’ingiustizia che si vorrebbe togliere.

E suprema responsabilità della Chiesa – cosa che non possiamo attenderci dallo Stato, come credono i Massoni - è proprio quella di insegnare la verità, mentre è precipuo compito dello Stato il curare la messa in opera della giustizia. Ma è chiaro che lo Stato avrà successo in ciò, se ascolterà la verità insegnata dalla Chiesa evitando l’eresia.

Oggi in tema di eresia assistiamo allo scontro tra due opposte fazioni: quella dei tradizionalisti, che non hanno capito la saggezza delle nuove dottrine del Concilio e la loro continuità con la tradizione e le accusano falsamente di modernismo e di rahnerismo. Costoro sono eccessivamente facili ed ingiusti nelle accuse di eresia, avendo l’audacia di lanciare tali accuse addirittura contro le dottrine del Concilio e per conseguenza contro i Papi del postconcilio, che le diffondono, soprattutto contro Papa Francesco.

L’altra fazione, molto più potente e in possesso di posti di comando, è quella dei modernisti, sedicenti continuatori ma in realtà falsificatori del Concilio per l’interpretazione rahneriana che ne danno. Naturalmente, sapendo bene che San Pio X condannò il modernismo, si schermiscono sdegnosamente dall’accusa di modernismo, e molti ingenui li credono, ma in realtà seguono un modernismo peggiore.

Invece, per darsi l’aria di continuatori della tendenza innovatrice del Concilio, si fregiano pettoruti dell’ambito titolo di «progressisti», titolo che è disprezzato soltanto dai conservatori, che dimostrano così di non sapere che cosa implica veramente la conservazione del depositum fidei (I Tm 6,20).

Costoro naturalmente non parlano di eresia sia perché dovrebbero accusare se stessi, sia perché il concetto di eresia implica quello schietto amore per la verità e quell’odio aperto per il falso, che è come fumo negli occhi per il loro fare viscido e la loro doppiezza, e sia perchè ci assicurano che tutti amano la verità, tutti sono in buona fede e tutti sono buoni.

L’essenza dell’eresia. Che cosa dice la Scrittura

L’etimologia della parola «eresia», àiresis, non richiama, come a tutta prima verrebbe fatto di pensare, l’idea di un atto dell’intelletto, di un giudizio, ma fa riferimento ad un atto della volontà perché significa «scelta». Il Nuovo Testamento usa tre volte questa parola.

«È necessario anche che vi siano eresie tra di voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti fra di voi» (I Cor 11,19). Naturalmente si tratta di una semplice necessità di fatto, una forma di inevitabilità dovuta alla fragilità della ragione umana conseguente al peccato originale.  

Ma ciò non significa che per la Scrittura l’eresia sia cosa marginale o di poca importanza. È tutto il contrario. Non facciamo questione di parole. Ciò che sostanzialmente la parola eresia significa, sta al cuore di tutta la Scrittura, il cui interesse fondamentale è la verità su Dio e per conseguenza l’odio per la falsa conoscenza di Dio o la menzogna su Dio, che è appunto l’eresia. Quindi il dibattito sul vero e sul falso riguardante Dio percorre tutta la Scrittura. Chi non capisce questo non capisce il significato e il valore fondamentale della Bibbia. La Bibbia è sostanzialmente dottrina di verità su Dio.

L’Antico Testamento non ha un esatto corrispondente al significato tecnico, che la parola comincia ad assumere nel Nuovo Testamento, per affermarsi poi sin dai primi secoli della storia della Chiesa. Vedi per esempio il famoso Contra haereses di Sant’Ireneo.  

All’eresia corrispondono i nomi generici di «falsità» e «menzogna» nella Parola di Dio. in particolare l’eretico è il falso profeta. Figure emergenti nel magistero dottrinale sono il dottore della legge, esperto nella Sacra Scrittura, il rabbi, maestro popolare e appunto il profeta, messaggero della volontà di Dio. Figure secondarie dal punto di vita magisteriale sono il sacerdote e il fariseo. Gesù unificherà tutte le figure magisteriali nell’unica figura di Pietro, al quale assoggetterà il teologo, il profeta, l’esegeta e il religioso.

Cristo non parla di eretici, ma di «falsi cristi e falsi profeti», che «inganneranno molti, e per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt 24 12). «Essi faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24, 24).

L’eresia può essere un’opposizione conservatrice ad una nuova dottrina. Tale è stato l’atteggiamento dei farisei e dei dottori della Legge nei confronti della novità evangelica degli insegnamenti di Cristo. E tale è oggi l’opposizione conservatrice nei confronti delle novità dottrinali del Concilio Vaticano II. Opporsi a queste dottrine non è eresia, ma può essere quel dissenso al secondo o al terzo grado di autorità delle dottrine della Chiesa, che è contemplato dall’Ad tuendam fidem[3].

L’eretico è uno che inventa e propina «favole profane» (I Tm 4, 4.7; cf II Tm 4,4; II Pt 1,16), basandosi su di un’esegesi biblica che dà per inventato ciò che invece è racconto storico. Così confonde la teologia con la mitologia, la lotta di Cristo con Satana con la favola di Cappuccetto Rosso. Confonde il teologo col poeta, il dogma con l’aneddoto, la fantasia con l’intelletto, la volontà con l’emozione. Banalizza e abbassa la storia della salvezza a una telenovela a lieto fine. Crede di dover essere originale e «creativo» laddove invece gli vien chiesto semplicemente di obbedire alla verità e trasmetterla al prossimo così com’è.

Invece di attenersi all’Eterno e di star saldo in esso, l’eretico bada alla moda del giorno e al vento che tira e si adegua. È una «canna sbattuta dal vento» (Mt 11,17). Gli eretici sono «come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore» (Ef 4, 14).

Si possono certamente riferire all’eretico queste parole del Signore:

 

«Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a uno stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa cadde e la sua rovina fu grande (Mt 7,24-27).

 

L’eretico è un falso profeta:

 

«Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie (airèseis) perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di improperi. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato» (II Pt 2, 1-3).

 

Gli eretici sono dei falsari:

 

«Cambiano la verità di Dio con la menzogna» (Rm 1,1); «acciecàti nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e per la durezza del loro cuore» (Ef 4,14); «tramano inganni con la lingua» (Rm 3,13); «ingannano il cuore dei semplici» (Rm 16,18); «con vani ragionamenti» (Ef 5,6), «con argomenti seducenti» (Col 2,4) e con la loro falsa filosofia (cf Col 2,8), «ingannatori e ingannati nello stesso tempo» (II Tm 3,13).

 

L’eretico è un impostore, corruttore di costumi:

«Alla fine dei tempi vi saranno impostori, che si comporteranno secondo le loro empie passioni» 19. «Tali sono quelli che provocano divisioni, gente che vive di istinti, ma non ha lo Spirito» (Gd 19).  «Si sono infiltrati infatti in mezzo a voi alcuni individui, per i quali già da tempo sta scritta questa condanna, perché empi, che stravolgono la grazia del nostro Dio in dissolutezze e rinnegano il nostro unico padrone e signore Gesù Cristo». (Gd 4). «Costoro sono come fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è riserbata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Infatti uno è schiavo di ciò che l’ha vinto» (II Pt 2,17-19).

L’eretico è l’amico che tradisce:

«Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente: ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa» (Sal 55, 13-15).

Essenza morale dell’eresia

Eretico è altresì chi rifiuta ostinatamente e presuntuosamente l’interpretazione che il Papa fa di un insegnamento di fede della Sacra Scrittura, interpretazione che può essere o dogma o magistero ordinario. Se invece il Papa esprime una sua personale interpretazione della Scrittura, allora per verificare se il Papa ha ragione, è bene consultare la stessa Scrittura, magari valendosi di una buona esegesi, perché non è sempre detto che qui il Papa non sbagli. Se invece interpreta un dato insegnamento biblico in un dogma, non è consentito opporsi al dogma in nome della Scrittura. La Scrittura è al di sopra del dogma, ma il dogma media la Scrittura. È per aver confuso le due cose che Lutero cadde nell’eresia con l’opporre la Scrittura all’insegnamento della Chiesa.

Esiste dunque un concetto eretico di eresia: è quello che si sono fatti in modo speciale i Riformatori del sec. XVI: luterani, calvinisti ed anglicani. Separandosi dal Papa ed accusandolo di eresia, caddero essi sessi nell’eresia e persero il giusto criterio per giudicare dell’eresia. Quanto invece agli eretici di oggi, che sono sopratutto i modernisti, essi non si riconoscono tali, ma al contrario ritengono di formare la Chiesa moderna postconciliare.

Avendo ottenuto nella Chiesa un forte potere, considerano con disprezzo o ignorano i cattolici che rinfacciano loro le loro eresie. Non chiamano però eretici i loro avversari, come facevano gli eretici del sec. XVI, ma li bollano o deridono o compassionano con termini per loro spregiativi, soprattutto «conservatori» e «tradizionalisti». Siccome non hanno argomenti per difendersi dall’accusa di eresia, quando hanno in mano il potere, reagiscono ai loro critici con soprusi ed abusi di autorità.

Fino a Papa Benedetto XVI hanno contestato apertamente il Magistero della Chiesa.  Con Papa Francesco hanno cambiato tattica. Approfittando che il Papa è troppo indulgente verso di loro e troppo severo contro i tradizionalisti, si fingono amici del Papa e lo adulano spudoratamente.

Francesco, dal canto suo, che di per sé avrebbe buon cuore aperto a tutti, a parte il suo inviolabile servizio petrino, che nessun cattolico mette in discussione, in mezzo a questa tempesta un po’ non si accorge di essere strumentalizzato, un po’ sa come trattarli, un po’ si barcamena, un po’ non riesce a fermarli, un po’ non gli dispiacciono tutti questi complimenti e un po’ non accetta che gli si facciano osservazioni.

Fatto sta che si è creata una situazione paradossale, mai verificatasi nella storia della Chiesa, e cioè in una Chiesa che mai come oggi è stata divisa tra opposti partiti, un Papa che è dolce con gli eretici e duro con i cattolici, per cui i cattolici si sentono ai margini della Chiesa, giudicati creatori di muri e di steccati, mentre in realtà ne sono il cuore e i veri fautori di pace. Quanto agli eretici, essi mirano spavaldamente ai primi posti, odiano i loro nemici, non abbandonano la Chiesa, la guastano dal di dentro e non vengono scomunicati, ma al contrario figurano per essere la punta avanzata della Chiesa, gli uomini della «misericordia», creatori di dialogo e di ponti, gli «amici» del Papa, mentre i veri amici, ossia quei cattolici progressisti o tradizionalisti, maritainiani o tomisti, i quali denunciano gli eretici ed i finti amici del Papa, ed esortano il Papa a prendere provvedimenti, i modernisti e i rahneriani li fanno passare per «nemici» del Papa.

L’eretico oggi non si limita a creare scismi, che sono ribellioni o disobbedienze al Papa nel campo della disciplina ecclesiastica, che turbano la pace, infrangono la comunione e la concordia ecclesiale e spengono la carità fraterna, ma va oltre,  e intacca, col pretesto del pluralismo, del dialogo, della diversità, dell’ecumenismo, del rinnovamento, del progresso, della creatività, della modernità, della tradizione, della libertà o quant’altro, quella una fides, che è il principio dell’unità ecclesiale, estinguendo l’obbedienza della carità ecclesiale e suscitando fra fratelli la gelosia, l’invidia, la rivalità, l’odio e la violenza.

A tal riguardo il modernista concepisce la Chiesa «accogliente» come fosse un lussuoso appartamento, nel quale il padrone di casa, col pretesto della «diversità» e della «varietà», per vincere la monotonia e dar spazio alla «creatività», avesse posto su consolles e cassettoni, accanto a preziose statuette e ceramiche del ‘700, alcuni escrementi ed uccelli morti. Oppure come se la Chiesa fosse una bella città medioevale, dove però scorrazzassero liberamente, per la gioia degli animalisti lupi, serpenti, leoni, bisonti, giaguari, tigri, vespe e virus del covid.

Una caratteristica degli eretici di oggi è data dal fatto che essi non sono cattolici usciti dalla Chiesa e che le si oppongono apertamente da fuori. Niente affatto. Si considerano più che mai cattolici e riformatori o restauratori della Chiesa a seconda che la vogliano modernista o preconciliare. E d’altra parte i pastori non li scomunicano, ma spesso tollerano che essi la guastino e la dividano dall’interno. Un fatto del genere non è mai accaduto nella storia della Chiesa.

Altra considerazione. L’eretico è un finto riformatore della Chiesa. Egli non si accontenta di riformare la Chiesa nei costumi, ma pretende di mutarne la dottrina o perché, come per esempio Lutero, ritiene di aver recuperato la verità originaria del Vangelo, al di là dei farisaismi, delle aggiunte e delle falsificazioni introdotti in precedenza dai Papi o perché, come i modernisti e i falsi interpreti del Concilio Vaticano II, pensando che la verità non sia immutabile, ma evolva col divenire storico, ritengono che il vero risieda nel moderno e il falso nel passato, per cui assoggettano il Vangelo alla modernità. Il Vangelo per loro non è immutabile, ma muta col mutare dei tempi. Il progresso dogmatico non è sviluppo, ma rottura col passato; oppure, come alcuni dicono, «continuità nella discontinuità», cosa che non ha senso, perchè l’una si oppone all’altra contradditoriamente.

Altra caratteristica dell’eretico è che è una persona divisiva, che si separa dagli altri per crearsi seguaci per proprio conto, un falso credente che divide gli altri fra di loro, che crea divisioni, attizza gli odii e le passioni, suscita equivoci, rancori, vendette, antagonismi, malintesi, confusione ed inutili e dannose polemiche. Egli è strumento del Dia-bolos, da diaballo=divido, il Divisore. Invece di distinguere, contrappone. Invece di unire confonde. Invece di includere, esclude. Invece di escludere, include. Accoglie ciò che dovrebbe respingere e respinge ciò che dovrebbe accogliere. Costruisce muri dove dovrebbe costruire ponti; costruisce ponti laddove dovrebbe innalzare muri di difesa. Ascoltiamo San Giovanni:

 «Molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri» (I Gv 2,18-19).

Se invece Giovanni vivesse oggi, direbbe: molti anticristi sono apparsi. Non sono dei nostri, ma sono rimasti ugualmente con noi. Eppure è manifesto che non sono dei nostri, sebbene rimangano con noi. Sono rimasti tra di noi per rovinarci dall’interno.

Costoro creano una confusione tale, che non si riesce più a capire che cosa vuol dire essere cattolico, perché abbiamo cattolici modernisti, cattolici marxisti, cattolici protestanti, cattolici rahneriani, cattolici hegeliani, cattolici heideggerani, cattolici lefevriani, cattolici minutelliani e via discorrendo.

Questo significa che la Bibbia vede l’eresia non come semplice errore intellettuale, ma anzitutto come peccato. È l’uomo mentitore e corruttore di costumi che per la sua superbia sceglie la propria volontà contro quella divina. E qual è questa volontà? Di sostituirsi a Dio. La radice prima del peccato di eresia è il peccato originale.

Ora è evidente che in tutto ciò la questione della verità non rimane fuori. È chiaro che l’eresia è una falsità, è un inganno, è una menzogna, è una frode, è una truffa. Santa Caterina da Siena la chiamava «bugia». Giacché che cosa vuol dire fare la propria volontà e non quella di Dio, se non imboccare una falsa via della propria felicità?

Per questo resta sempre vero che la questione dell’eresia è una questione che tocca la verità della conoscenza e del linguaggio. Ma si tratta di una proposizione coscientemente e volutamente falsa espressa in un linguaggio disonesto e a doppio senso, tale da poter trarre in inganno, con intenzione maligna. Chi erra inconsapevolmente ed involontariamente in materia di fede, ma è umile ed onesto, non è un eretico, ma un semplice errante, che ringrazia colui che lo corregge.

Il vero eretico è un presuntuoso e un superbo, arrogante ed ostinato, il quale disprezza, rimbecca o ignora colui che tenta di correggerlo e magari davanti ai rimproveri fa peggio. L’eretico disprezza la verità del sapere e la sincerità del linguaggio perché vuole fare la sua volontà e non quella di Dio. Il punto fondamentale è questo. Vuole decidere lui qual è il suo bene e non accetta che sia Dio a stabilirlo.

Le eresie nella storia si possono dividere un due gruppi in rapporto al fatto che l’uomo è composto di anima e corpo. Abbiamo allora le eresie antiche, che sono di carattere spiritualista, gnostico, egocentrico, rigorista e dualista: l’io, cioè l’anima o spirito, innalza sé stesso, che per sua essenza è eterno, saldo, immutabile, esistente ab aeterno, buono e puro, mentre maltratta e manipola la materia addebitandole la colpa di aver originato il male e di disturbare lo spirito. Nessuna resurrezione della carne o della coppia umana.

Esiste un Dio buono, dalla cui sostanza è emanato l’io, caduto nella materia, e un Dio malvagio, il diavolo, creatore del corpo, del sesso e della materia. Occorre allora liberare lo spirito dal carcere della materia. Abbiamo il manicheismo, il platonismo, il marcionismo, l’origenismo, il catarismo, il cartesianismo, il giansenismo, il kantismo.

Ed abbiamo le eresie moderne, di tipo materialista, agnostico, egoista, lassista, buonista e monista: lo spirito e Dio sono per loro essenza incarnati, temporalizzati, storicizzati e materializzati (Lutero, Hegel, Küng, Kasper, Forte).  Nessuna vita dopo la morte, nessuna «anima separata senza corpo» (Rahner), cosa impossibile, ma l’escatologia è adesso (Barzaghi).

Nessuna ascetica in nome dello spirito (Lutero), ma godere adesso liberamente dei piaceri della carne. Il cristianesimo non procura la felicità nell’al di là, ma nell’al di qua (Albert Nolan). Infatti «non ci sono due mondi, ma solo questo» (Gustavo Gutiérrez), perché lo spirito non è un ente metafisico astratto e astorico, ma realtà concreta, tangibile e storica; è «anima allo stato solido» (Rahner). Nulla di eterno e di immutabile, ma tutto diviene, tutto passa, tutto è storia e progresso storico. La verità dunque è nel moderno, non nel passato (modernismo).

Fine Prima Parte (1/3)

 

 P. Giovanni Cavalcoli

 Fontanellato, 3 novembre 2020

 



Pietro Ligari

Ardenno 1686 – Sondrio 1752

La Fede sconfigge l’Eresia

(Immagine da internet)
 
 
 
 
 
 

 
 

 
 
 
 
 
Editore VivereIn
Anno 2008

[1] Ho scritto un libro appunto con un titolo simile: La questione dell’eresia oggi (Edizioni Viverein,Monopoli (BA) 2008. Ma se dovessi riscriverlo, lo intitolerei Il mistero dell’eresia.

[2] Un Autore di questo tipo è il Padre Battista Mondin, peraltro buon filosofo, dottissimo storico della teologia e buon espositore del pensiero di San Tommaso. Ma allo stesso modo col quale egli presenta Tommaso, tranquillamente qualifica come cattolici anche autori modernisti. Vedi per esempio la sua presentazione delle Cristologie contemporanee, un libro edito dalle Edizioni Paoline alla fine degli anni ’60, oggi fuori catalogo (meglio così), ove questo sincretismo e questa mancanza di discernimento sono evidenti.

[3] Cf Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio Fidei della CDF alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998.

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