Che cosa è la pace?

 Che cosa è la pace?

Dicono: pace! Pace! E pace non c’è

Ez 3,10

Non c’è pace per gli empi

Is 57.21

Non conoscono le vie della pace

Rm 3,17 

Tutti cercano la pace, ma non tutti sanno

che cosa è e come si ottiene

Mai come oggi si sente parlare di pace: tutti invocano la pace, tutti dichiarano di volere la pace, tutti dichiarano di rifiutare la guerra. Eppure ci troviamo in una situazione internazionale nella quale rischiamo di perire tutti in una guerra atomica. Come mai? Perché non tutti sanno che cosa è veramente la pace, vogliono sinceramente la pace, conoscono le vie della pace.

La pace è quella condizione interiore ed esteriore, fisica e spirituale di quiete e di pienezza ordinata delle forze, armoniosa ed unitaria, del singolo e della società, di libertà da ogni male, rispondente ad una profonda ed inestinguibile esigenza del cuore umano, per la quale collettivamente e comunitariamente si gode in permanenza e sicurezza, vinti tutti gli ostacoli e le difficoltà, del benessere, della prosperità materiale e spirituale, nella felicità e nella gioia, nella pratica dell’amore di tutti verso tutti, nello scambio e nella piena comunicazione, nell’unità di intenti volti alla pratica della giustizia, nella comune obbedienza a Dio principio della pace, nella concordia e collaborazione reciproca, nella pratica comune del bene comune, in un pluralismo di scelte e posizioni diverse armonizzate fra di loro sulla base della comune e condivisa attuazione dei valori morali e religiosi universali e dei diritti umani, dove tutti sono per l’uno e il singolo è al servizio di tutti.

L’origine prima della pace è la pace interiore con Dio, che si manifesta nella pace della coscienza, data dall’obbedienza alla volontà di Dio, e nell’essere in pace con tutti, benchè contrastati, incompresi, puniti, emarginati, disprezzati, inascoltati, maltrattati, fraintesi, oltraggiati, odiati e perseguitati.

Il concetto della pace è una di quelle nozioni basilari della vita, che orientano tutta la nostra vita, come di qualcosa che desideriamo assolutamente ed incondizionatamente, anche chi vuole la guerra, perché non combatte per il gusto di combattere, ma perché ritiene di conquistare o difendere la sua pace. Formiamo la nozione di pace spontaneamente e facilmente, perché rispondente a una delle esigenze principali della nostra vita, come sinonimo di tranquillità, quiete, soddisfazione, benessere, ordine, pienezza, prosperità, armonia, felicità, gioia, serenità, beatitudine.

Resta il problema di una determinazione più precisa dei contenuti e del significato della pace, e qui ci troviamo a concezioni diverse e in contrasto fra di loro. La domanda è: qual è la vera pace? Dove la si trova? Quali sono i requisiti della vera pace? Qual è la sorgente della pace?

La nostra concezione della pace dipende da come concepiamo il bene, perché per tutti la pace è il sommo bene, il bene assoluto ed irrinunciabile e soprattutto il mondo della vita. Esistono sì animi inquieti e tormentati, irascibili, bellicosi e polemici, che sembrano trovar gusto nel litigare e nel contraddire, ma solo perchè hanno un falso concetto di pace, non riescono a trattenersi e non sanno o non vogliono trovare le vie della vera pace.

Benchè tutti affermino di volere la pace, non tutti sanno che cosa essa veramente è. Per molti la pace è starsene tranquilli senza fastidi, noie e seccature: essere lasciati in pace, come essi dicono. Poter vivere senza lotte, senza sofferenze, senza sforzi, sacrifici e rinunce, fare tutto quello che si vuole comodamente e tranquillamente, senza essere disturbati, contraddetti, contrastati, disapprovati, impediti, ostacolati, rimproverati, richiamati, puniti. Pensiamo al detto in voga nel ’68: «fate l’amore, non fate la guerra». Ora tutto ciò è completamente falso e illusorio.

Chi pretende di vivere così non solo non trova o perde quella pace puramente esteriore, superficiale e sensuale che cerca, ma sprofonderà sempre più in una guerra interiore e in conflitti col prossimo insopportabili ed esasperanti, fino a teorizzare questa situazione come normale e orrendamente piacevole, e ad accettarla con riso amaro e sarcastico, secondo il programma di Nietzsche: «danzare nell’inferno».

Ora bisogna ricordare invece che la pace ha origini molto profonde, che non sono legate a condizioni indipendenti dalla nostra volontà o dipendono dalla buona sorte, ma che la pace, senza escludere condizioni esterne e materiali, ha uno stretto rapporto della nostra volontà con Dio, e suppone una nozione esatta di Dio, come è ad esempio quella biblica. Il Dio biblico è sommamente pacifico e fautore di pace. Non è un Dio molle ed inerte, non è neppure una divinità furiosa e guerriera come il Wotan della mitologia tedesca, né Sciva[1] distruttrice dell’induismo, ma è un Dio potente, forte e giusto, difensore dei deboli e degli oppressi, che combatte e vince le forze del male e i nemici della pace e per questo «stronca le guerre» (Gdt 16,2), come atti contrari alla pace.

La concezione della pace dipende da come si concepisce Dio. Se Dio è distinto dal mondo, vale il principio dell’analogia del creato al creatore (Sap 13,5). Per essa si salva la molteplicità nell’unità e quindi la proporzione, la diversità e la somiglianza, che sono il principio dell’amore, della concordia e dell’armonia, a loro volta princìpi della pace.

Se invece Dio, come in Hegel, è identificato col mondo, non c’è altra scelta che l’univocità e l’equivocità: al posto della differenza, l’opposizione; al posto dell’unione la confusione. Hegel confonde il diverso col conflittuale[2]; l’altro non è il diverso, ma è il nemico. Viene meno la concordia e l’armonia. La contraddizione e il conflitto, strutturati nella dialettica, diventano sistematici. La guerra al posto della pace.

Il Dio hegeliano, immanente al mondo, non è bontà assoluta, ma è al contempo buono e malvagio. Quindi non è un Dio pacifico, ma un Dio guerriero, che ha bisogno di un antagonista – se stesso come mondo – per essere Dio. Hegel sente l’esigenza della riconciliazione e quindi della soluzione del conflitto del Dio-mondo con se stesso, ma dato che per lui la malvagità è essenziale a Dio, la riconciliazione è la semplice negazione della opposizione interna a Dio fra bontà e malvagità.

Ne viene che Dio non trionfa sui suoi nemici e che quindi i giusti non hanno la meglio sugli empi. Dio semplicemente giustifica gli uni e gli altri. Il che vuol dire che la pace non è la soppressione della guerra, ma la guerra eretta a sistema. Dio non dice semplicemente no al male, ma siccome la sua autonegazione è necessaria alla sua essenza, la pace e la riconciliazione divine consistono nella semplice negazione di un’autonegazione e di un conflitto interno a Dio e al mondo e quindi di una guerra che continuano ad esistere in Dio e nel mondo[3].

Definizione dell’essenza della pace

La pace è la concordia delle volontà in un unico fine, in unico bene. Perché vi sia pace, occorre quindi che tutti ci raccogliamo attorno a quel bene, al quale tutti miriamo come ad unico fine, occorre che ascoltiamo chi ci guida alla pace. E chi è? Maometto? Marx? Hegel? Il Buddha? Lutero? Cartesio? Rousseau? Rahner? O non è forse Cristo, che ci parla attraverso i suoi rappresentasti in terra, i Romani Pontefici?

La vera pace non è assicurata dalla società capitalistica liberalmassonica, dove ognuno fa quel che gli pare, dove sono tollerate tutte le eresie, dove i litigi, i contrasti e gli alterchi sono all’ordine del giorno, dove vige la dittatura del relativismo, dove i profeti sono perseguitati, dove modernisti e passatisti si azzannano fra di loro, dove i ricchi e i potenti spadroneggiano impuniti. Non è né dove domina la sharìa, né dove domina il comunismo, né dove domina la Terza Roma.

La pace è in quella società che dà a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, dove il progresso si sposa con la conservazione, il rinnovamento con la tradizione, la politica col buon costume, dove il popolo si esprime nello Stato, dove lo Stato va d’accordo con la Chiesa, il bene privato con quello pubblico, la persona col bene comune, il pluralismo con l’unità, la tolleranza  con la severità, la libertà con la giustizia, la democrazia con l’autorità; l’economia è soggetta alla politica, la politica è soggetta alla morale, la morale è soggetta alla cultura, la cultura alla religione.

Per sapere che cosa è la pace, occorre attingere a quella dottrina che al di sopra di tutte ci insegna che cosa è la pace e quali sono le vie della pace, perché ci è rivelata da Cristo Dio stesso, autore e principe della pace. Inoltre, per poterla insegnare agli altri e diffonderla negli altri, operando da costruttori di pace, occorre anzitutto vivere nel proprio intimo la pace di Cristo, essere in pace con se stessi, con Dio e col prossimo.

Il sommo autore, produttore, donatore, fautore, garante, difensore e promotore della pace è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, ed opera nella Chiesa con la varietà dei suoi doni santificanti e ministeriali, istituzionali e spontanei, gerarchici e carismatici, occasionali e permanenti, ordinari e miracolosi.

Lo Spirito entra dolcemente nei cuori e nelle comunità, dona la pace purificandoli, consolandoli, illuminandoli, convertendoli, santificandoli, unendoli tra di loro nel vincolo della carità, rappacificandoli, risanandoli, rinnovandoli, migliorandoli, rendendoli fedeli, forti e vincitori contro il male, facendo loro pregustare le delizie della pace celeste.

L’insegnamento di San Tommaso sulla pace

San Tommaso parla stupendamente della pace mettendola in relazione con Dio nel suo Commento al De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita[4]. Non posso fare a meno di citare lunghi brani, che testimoniano della grande sapienza dell’Aquinate, particolarmente utile in questi tragici momenti della guerra, nei quali gli uomini, probabilmente sotto l’influsso del demonio, sembrano presi da una follia collettiva.

Per San Tommaso la pace non è una semplice condizione esistenziale di un soggetto soddisfatto e acquietato per aver raggiunto il bene desiderato senza essere osteggiato da nemici, ma è, al suo vertice, come sommo analogato della nozione di pace, Dio stesso; Dio è Pace per essenza. Egli è quindi pace intesa non tanto come situazione esistenziale, ma come attività, che in Dio, essendo Atto puro, è pura attività pacifica e pacificante sussistente. È quella che Tommaso, a seguito dell’Areopagita, chiama «pace divina», come dice San Paolo: «Egli stesso è la nostra pace».

«Ogni cosa appetisce la sua perfezione, che partecipa da Dio e la ama e quando l’ha conseguita, si acquieta il suo appetito, nella quale quiete consiste la quiete e l’essenza (ratio) della pace» (n.876). «Si dice che qualcosa ha pace in se stesso per il fatto che il suo appetito ha quiete nel proprio bene conseguìto, il che avviene quando non c’è qualcosa di ripugnante, che lo impedisca, nè dall’interno né dall’esterno. Così dunque si dice che qualcosa è in pace con sé e con gli altri in forza di una certa unione, per la quale è esclusa qualunque ripugnanza» (n.880).

«Si dice che alcuni uomini hanno pace, quando le loro volontà concordano in un solo fine; è così infatti che l’uno non avversa l’altro. … Così dunque a creare la pace concorrono due fattori: il primo è che alcuni soggetti siano uniti; secondo, che siano concordi in unico bene» (n.885).

«La pace divina unisce tutte le cose, innanzitutto perché fa comunicare tutte le cose in un solo valore; e poi perché genera la prima istituzione delle cose; ed è operativa dal punto di vista del governo, perché crea il consenso e la convergenza di tutti, così che il consenso si riferisca alla concordia delle volontà e la convergenza si riferisca alla concordia delle inclinazioni naturali. E c’è da considerare che, sebbene alcuni agenti discordino in rapporto ai propri fini, ognuno tuttavia concorda nella ricerca di un fine ultimo» (ibid.).

«La pace divina è la causa finale di tutte le cose. È infatti naturale ad ogni cosa il desiderio dell’unità, così come desidera l’essere e il bene, perché a causa della divisione una cosa vien meno, si corrompe e la sua bontà diminuisce. E poiché la pace divina causa l’unità nelle cose, per questo tutte le cose a loro modo desiderano la pace divina, in quanto essa è anche unitiva di tutte; e per questo essa converte alla totale unità la loro divisibile moltitudine, perché quelle cose che sono per sé divise, vengono radunate in unico tutto. …

Infatti, quelle cose che sono naturalmente in conflitto fra di loro, a causa della contrarietà, che hanno nelle proprie nature, concordano nell’ordine dell’universo, secondo il quale in qualche modo sono unite e coabitano nel mondo: e ciò dipende dalla partecipazione alla pace divina, la quale, in quanto da tutte è desiderata, ha ragione di fine» (n.886).

«Tutte le cose uniscono a se stesse quelle che sono loro soggette; il che è come dire che ogni agente è ricondotto a se stesso ed all’unione delle cose fra di loro, e tutte le cose sono ricondotte ad una sola causa e ad un principio perfetto della pace universale, che è Dio come ad ultimo fine e prima causa» (n.889).

«La causa prima della pace sopravviene in ogni cosa, giacchè, benchè diverse fra loro siano le cose nelle quali essa opera, tuttavia da parte dell’operante» (cioè Dio) «non c’è diversificazione né nell’operazione nè nel modo di operare» (n. 890). Questa è la vera riconduzione della molteplicità all’unità, non quella dell’immanentismo hegeliano, che mette assieme i contradditori.

La pace divina «sopravviene nelle cose per conservare l’unità della pace e per istituirla. Infatti, l’unità della pace consiste, come dice Sant’Agostino nel l.XIX, c.XIII del De Civitate Dei[5], nella “tranquillità dell’ordine”, per la quale tranquillità si richiedono tre cose: innanzitutto certamente che si distinguano fra loro; infatti, non ci può essere ordine se non tra i distinti; e per questo la pace dà la definizione di tutte le cose.

In secondo luogo, è necessario per la tranquillità dell’ordine che nessuna delle suddette cose distinte esca dai limiti della sua natura, e perciò la pace determina questi limiti. In terzo luogo, bisogna che siano stabilite e confermate questa definizione e questa determinazione; altrimenti, se la definizione e la determinazione delle cose non sono ferme, ma una cosa, uscendo dai suoi limiti invadesse i confini dell’altra, si confonderebbe l’ordine delle cose e così non ci sarebbe la tranquillità dell’ordine» (n.891).

«Dio non permette che le cose distinte si disperdano nell’indeterminato e nell’indefinito, cioè che le operazioni e mutamenti delle cose non tendano verso un certo termine, quasi fossero disordinate e non collocate ossia ferme in un qualche principio che le conserva[6]» (n.892).

Tommaso rileva come un esempio di coesistenza pacifica a quindi di rifiuto della guerra ciò che ci viene dall’ordine e dalle distinzioni che Dio stesso ha posto negli enti fisici naturali, i quali coesistono pacificamente secondo le loro leggi, secondo una stupenda armonia universale. Oggi che conosciamo conflitti e sconvolgimenti naturali di immense proporzioni stellari, possiamo tuttavia confermare questa visione di Tommaso, perché in realtà il parlare di conflittualità nella natura è solo una metafora di tipo antropomorfico, perché anche questi cosiddetti conflitti cosmici[7] sono l’attuazione di ben precise leggi fisiche, che rispecchiano e realizzano l’ordine voluto da Dio. Dice l’Aquinate:

«La pace divina conduce tutte le cose ad una reciproca concretezza. Non c’è nulla infatti nelle cose che non abbia qualche unione con l’altro o per convenienza nella specie o nel genere, o in qualunque altro ordine. Ma poiché questa unione non toglie la distinzione, essa è inconfusa; e secondo questa inconfusa unione, tutte le cose sono unite indivisibilmente ed indistintamente, perché non c’è nulla che possa togliere l’unione che Dio ha stabilito nelle cose, dividendole o distanziandole maggiormente» (n.901), cosa che comporterebbe disordine, disarmonia e confusione, tali da togliere la pace e generare il conflitto.

«L’effetto della pace divina rispetto all’intero universo comporta due cose: anzitutto la pace divina perfeziona l’universo; secondariamente occorre vedere in che modo. Diciamo dunque in primo luogo che a causa della predetta semplice natura dell’universo, è data la congiunzione una ed indissolubile di tutte le cose, in quanto tutte convengono nell’unico ordine dell’universo, il quale permane indissolubile, in quanto nello stesso universo è causata per opera di Dio una certa armonia, ovvero una proporzionata concordia; esiste un accordo di perfetta consonanza. Ora, questa concorde consonanza nelle cose è causata secondo un consenso e una connaturalità, cosicchè il consenso fa riferimento alla concordia della volontà in coloro che posseggono la volontà, mentre la connaturalità alla tendenza naturale» (n.907).

«A causa della natura divina, esiste un’unica ed indissolubile connessione in tutte le cose, perché la pace della perfetta totalità, cioè quella pace che viene dalla causa universale perfetta, in quanto le cause totali sono dette cause universali, questa pace trapassa dalla prima causa a tutti gli esistenti, in quanto la virtù unificante della prima causa uniente, ossia creatrice di unità nelle cose, è presente semplicemente in tutte le cose, ossia senza alcuna moltiplicazione di sé e senza mescolanza, perché non si mescola alle cose, ma secondo la sua essenza è libera dalle cose.

Ora, questa pace divina passa in tutte le cose, unendole tutte tra di loro, in quanto tutte le riconduce a un certo ordine, il quale consiste nel fatto che certi estremi si congiungono ad altri estremi per dei medi. Infatti i supremi influiscono negli infimi per mezzo dei medi e gli infimi si volgono a ricevere dai supremi per mezzo dei medi; così tutte le cose si congiungono secondo un’unica connaturale amicizia.

E non solo la pace divina congiunge gli estremi agli estremi per mezzo dei medi, ma anche ulteriormente congiunge tutte le cose a sé, in quanto dà a tutte a suo modo di poter fruire della stessa pace divina, anche alle infime creature e tutto ciò che è infimo in qualunque creatura, e cioè nelle estreme terminazioni di ogni cosa. Non c’è nulla infatti di così infimo nelle cose, che in qualche modo non partecipi del dono divino, dalla quale partecipazione ottiene di avere una connaturale amicizia verso le altre creature e di essere ordinata a Dio, come ad ultimo fine che è il fruire di Dio» (n.910).

«La predetta connessione delle cose è stabilita nel senso che la pace divina innanzitutto è considerata come sussistente immobilmente in se stessa; secondariamente è considerata come unico esemplare secondo il quale tutte le cose, che hanno pertinenza con la pace, appaiono esemplarmente; in terzo luogo, è considerata in quanto trasmette la sua somiglianza a tutte le cose. In tal senso si dice che essa si espande per tutte le cose senza tuttavia recedere dalla sua identità.

Infatti, la stessa pace divina procede verso tutte le cose, in quanto si trasmette secondo la similitudine di sé, a seconda della proprietà di ogni cosa e tuttavia sovraemana secondo l’abbondanza della sua pacifica fecondità, perché vi è in Dio più virtù nel creare la pace, che nelle cose capacità di riceverla e quindi l’emanazione della pace da Dio è al di sopra di ogni recettività da parte delle cose» (n.n.911).

I caratteri dell’uomo edificatore della pace

 La persona pacifica non è il collo torto, il sornione mellifluo o l’acqua cheta, che parla sempre a voce bassa per finta umiltà, maligna alle spalle, si finge amica come Giuda, tace per astuzia o convenienza o per paura, quando dovrebbe parlare ed insorgere; chi si barcamena fra il sì e il no, fra Cristo e Satana, chi fa il doppio gioco e che vuol tenersi tutti buoni; chi manda tutti in paradiso, che si comporta bene esteriormente, ma pecca di nascosto, benedice a parole, ma maledice nel cuore; recita il Credo senza crederci; vuol mostrarsi di mente aperta approvando sia il bene che il male; non dà nulla per certo tranne le proprie idee; ironizza su tutto tranne che verso se stessa; deride i semplici ed ammira gli astuti; ammira chi sa stare sempre a galla e deride i coerenti che pagano di persona; preferisce i piaceri della carne a quelli dello spirito; sta dalla parte del più forte, cambia gabbana a seconda del vento che tira, adula e strumentalizza i potenti e disprezza i giusti perseguitati ed incompresi, non vuole avere noie,  vuole essere lasciata in pace, fugge dalla responsabilità come Pilato, si astiene dal dire chi ha ragione e chi ha torto, persona dal tono melenso, dal linguaggio untuoso, che ha il veleno sotto le labbra, falsamente cortese, ma in fondo barbara, oscena e selvaggia.

Invece la persona veramente pacifica e costruttrice di pace è solitamente una persona mite, calma, dolce, affabile, controllata, gentile, benevola, cortese, affettuosa, amorevole, socievole, di buon umore, espansiva, tenera, delicata, religiosa, compassionevole, comprensiva, liberale, aperta, tollerante, paziente, obbediente, sottomessa, conciliante, attenta ai bisogni degli altri.

Mostra ciò che unisce e toglie ciò che divide, mette ordine dove c’è il disordine e l’anarchia, l’armonia dove c’è contrasto o la contrapposizione; scioglie le contraddizioni, pone la gerarchia dove c’è appiattimento, ricompone ciò che è scomposto o spezzato, disperso e disgregato; riunisce ciò che è frantumato, dissipa gli equivoci, sostituisce la dualità al dualismo, l’univocità, la distinzione e la chiarezza all’ambiguità ed alla confusione, l’onestà, la limpidezza e la lealtà alla doppiezza ed all’astuzia; individua e toglie il  motivo della discordia, unisce tutti nella verità e in Dio, riconcilia i nemici, placa gli odi, smorza le passioni sfrenate, spinge al pentimento, alla conversione, alla riparazione, alla restituzione, all’espiazione  ed alla riconciliazione.

Ma, all’occasione, sa anche accendersi di una giusta ira; sa, sull’esempio di Cristo e dei profeti, alzare la voce contro l’ingiustizia; sa denunciare con chiarezza e coraggio la violenza, la tirannia, l’ipocrisia, l’eresia, il tradimento, il sopruso, l’egoismo dei ricchi, l’oppressione dei deboli,  sa minacciare il castigo divino, sa predicare con forza e impressionare, sì da scuotere dal torpore le coscienze addormentate,  sa sciogliere i cuori induriti, sa commuovere e spingere alle lacrime i peccatori incalliti, riconciliare i cristiani divisi da secolari eresie.

Come vediamo, si tratta di un ideale altissimo, stupendo e mirabile, che attualmente, nella nostra condizione umana di fragili peccatori figli di Adamo, per quanto ci sforziamo e per quanti progressi abbiamo fatti nella storia, siamo ben lontani dall’aver raggiunto o dal poter raggiungere realmente  nella suddetta perfezione, perché la pace richiede un tal numero di qualità, di condizioni e di mezzi, che per adesso non siamo assolutamente  in grado di ottenere nella loro pienezza e totalità.

E ciò per vari motivi: anzitutto perché non sappiamo qual è la vera pace, e quindi dove si trova, come si acquista, come si mantiene, come si recupera, come si difende, come si diffonde, chi ce la dona. E poi perché c’è in noi una tendenza, quaggiù mai totalmente vincibile, al pensar male dell’altro, alla chiusura all’altro, al conflitto, alla negazione, all’incoerenza, alla contraddizione, alla falsità, alla menzogna, alla calunnia, all’insulto, alla denigrazione, alla derisione, all’inganno, alla sfiducia, alla doppiezza, alla finzione, alla ribellione, al disprezzo, all’aggressione, alla provocazione, allo scandalizzare, al rancore, alla vendetta, all’odio, alla violenza, alla crudeltà, al sadismo, alla sopraffazione, alla distruzione, all’egoismo, alla superbia e ad ogni vizio, tutte cause della guerra, che è il contrario della pace.

Da che cosa proviene la pace

La pace è sostanzialmente data dall’unione con Dio qui in terra mediante l’osservanza dei suoi comandamenti e la vita in grazia di Dio. Ma quaggiù questa unione è continuamente contrastata ed ostacolata dai nostri peccati e dalle insidie e tentazioni che vengono dal prossimo e dal diavolo. Occorre pertanto reagire con una continua lotta contro il peccato e contro le forze nemiche del mondo e del demonio. Qui può aver giustificazione anche l’uso delle armi.

Questa vita è dunque una battaglia che bisogna combattere sotto la guida di Cristo, rappresentato in terra dal Papa, pastore universale della Chiesa, la Donna vestita di sole in lotta contro il drago. La vittoria definitiva potremo conseguirla solo in cielo. Lì avremo la vera pace, assoluta, indefettibile, totale ed eterna, data dalla visione beatifica di Dio e dall’ingresso nella Gerusalemme celeste. Saremo per sempre liberi dai nostri nemici, che subiranno le pene dell’inferno.

Col peccato originale abbiamo perduto la pace, che consisteva nella nostra sottomissione a Dio. In tal modo si sono spezzati tutti i vincoli e i nessi ordinati da Dio tra tutti gli elementi del creato e dell’uomo. È nata ogni sorta di conflitto: conflitto dell’uomo con se stesso, opposizione dell’anima al corpo, separazione del pensiero dalla realtà, conflitto del pensiero con se stesso, conflitto tra il pensiero e l’azione, tra carne e spirito, tra senso e intelletto, tra passione e volontà, conflitto fra l’uomo e la donna, tra giovani e anziani, tra razza e razza, fra il singolo e la società, tra famiglia e famiglia, fra popolo e popolo, nazione e nazione, Stato e Stato, fra l’uomo e la natura. Come fare la pace? Come ricostruire l’armonia perduta? Dio Padre ci ha donato suo Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo.

Gesù c’insegna come ritrovare la pace, e ci fa conquistare una pace, quella della futura risurrezione, la pace dei figli di Dio, suprema e superiore a quella che esisteva nell’Eden. Il mezzo fondamentale per ritrovare la pace è la lotta al peccato, perché dal peccato ci sono venuti tutti i mali, per cui la cosa fondamentale da fare è combattere il peccato e ciò che vi è connesso: la concupiscenza, la ribellione a Dio, l’odio tra fratelli, la soggezione a Satana.

Gesù c’insegna il metodo di questa lotta, il coraggio e la fortezza che occorre avere per vincere contro il nemico. L’arma vittoriosa è la croce. In hoc signo vinces, secondo la parola che apparve in cielo a Costantino. Non si tratta tanto di mettere il simbolo della croce nelle armi, come facevano i crociati, ma di unire le nostre sofferenze alla croce di Cristo, congiuntamente alle opere buone e al fare tutto ciò che in noi è per evitare o spegnere le guerre e affermare la pace.

Bisogna inoltre distinguere la pace interiore, dell’anima e della coscienza, la pace personale con Dio e col prossimo dalla pace sociale o comunitaria. Io posso essere in pace col prossimo, che mi dà contro, mi offende, mi fa soffrire, mi umilia, mi perseguita, mi odia.

La pace sociale invece richiede il coinvolgimento concorde di tutti: bisogna che tutti siano in pace con tutti. Bisogna che tutti siano in pace con Dio. E ciò non avviene se una comunità non è in pace nel suo complesso, ossia se è divisa in fazioni, se tutti non sono in comunione con Dio.

Viceversa, io, unito a Dio, posso essere, per quanto sta in me, in pace con altri che non sono in pace con me, perché non sono in pace con Dio. D’altra parte, perchè io possa dirmi in pace col o verso il prossimo, è sufficiente che io sia in pace con Dio e con buona disposizione d’animo verso il prossimo, anche se mi ha fatto del male. Ma affinchè ci sia pace fra me e lui, anche il prossimo deve fare la sua parte, perché se non la fa, cioè se non sta anche lui nito a Dio, è chiaro  che non ci può essere pace tra me e il mio prossimo, non però per colpa mia, ma per colpa sua, perche non fa la sua parte, stando unito a Dio.

Un conto è la pace-verso e un conto è la pace-fra.  Dio vuole che io abbia la pace-verso; la pace-fra, se non c’è, non è colpa mia, perchè non dipende da me, ma dal prossimo, che non in è in pace verso di me. Così io posso essere comunque in pace con Dio e con gli altri, anche se essi non sono in pace con me, perché non sono in pace con Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 aprile 2022

La concezione della pace dipende da come si concepisce Dio. Se Dio è distinto dal mondo, vale il principio dell’analogia del creato al creatore (Sap 13,5). Per essa si salva la molteplicità nell’unità e quindi la proporzione, la diversità e la somiglianza, che sono il principio dell’amore, della concordia e dell’armonia, a loro volta princìpi della pace.

Se invece Dio, come in Hegel, è identificato col mondo, non c’è altra scelta che l’univocità e l’equivocità. La contraddizione e il conflitto, strutturati nella dialettica, diventano sistematici. La guerra al posto della pace.


San Tommaso parla stupendamente della pace mettendola in relazione con Dio nel suo Commento al De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita. Non posso fare a meno di citare lunghi brani, che testimoniano della grande sapienza dell’Aquinate, particolarmente utile in questi tragici momenti della guerra, nei quali gli uomini, probabilmente sotto l’influsso del demonio, sembrano presi da una follia collettiva.

«La stessa pace divina procede verso tutte le cose, in quanto si trasmette secondo la similitudine di sé, a seconda della proprietà di ogni cosa e tuttavia sovraemana secondo l’abbondanza della sua pacifica fecondità, perché vi è in Dio più virtù nel creare la pace, che nelle cose capacità di riceverla e quindi l’emanazione della pace da Dio è al di sopra di ogni recettività da parte delle cose» (n.n.911).

Immagini da Internet:
- San Francesco d'Assisi
- miniatura del Beato Angelico

[1] Cf Ananda Coomaraswamy, La danza di Śiva, Luni Editrice, Torino 1997, pp.76-81.

[2] Purtroppo questa confusione si trova anche in uno scritto di Jorge Mario Bergoglio prima di diventare Papa. Ma vogliamo pensare che si tratti solo di un difetto d’espressione. Il testo è segnalato da Massimo Borghesi nel suo libro Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017, p.83.

[3] Per una documentazione con testi hegeliani di questa teologia del Dio buono-cattivo vedi l’ottimo studio del Maritain in La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi, Morcelliana, Brescia 1971, pp.223-248.

[4] Cf In librum Beati Dionysii De divinis nominibus expositio, c.XI, Edizione Marietti, Torino-Roma 1950.

[5] Qui Agostino enumera in una splendida sintesi tutte le specie e i gradi della pace, dell’uomo con se stesso,con Dio, con il prossimo,con la natura.

[6] Vediamo come quelle teorie fisiche che parlano di caos o di casualità non stanno in piedi e come coloro che parlano in questo modo, il caos e la casualità l’hanno nella loro mente.

[7] Ricordiamoci che kosmos in greco vuol dire «ordine».

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