Dalla
terra al cielo.
Il percorso della vita cristiana
Se siete risorti
con Cristo, cercate le cose di lassù,
dove
si trova Cristo assiso alla destra di Dio;
pensate
alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Col 3,1-2
La dottrina di
S.Paolo
S.Paolo descrive sinteticamente il
percorso salvifico della vita cristiana in molti modi: come il passaggio da una
condizione terrena (cf I Cor 15,40) a una condizione celeste (II Cor 5,2), da
una condizione carnale a una condizione spirituale, come passaggio dall’«uomo
vecchio» (Rm 6,6) a un «uomo nuovo» (Ef 4,24), «nuova creatura» (Gal 6,15; II
Cor 5,17), dall’inimicizia con Dio all’amicizia, dalla soggezione a Satana e al
peccato alla soggezione a Dio e alla giustizia, dalla scissione interiore
all’armonia interiore, dalla malattia alla guarigione, dall’ignoranza alla
conoscenza, dalla miseria alla ricchezza, dalla malizia alla santità, da una condizione
di schiavitù a una condizione di libertà,
da uno stato naturale a uno stato soprannaturale, dalla mortalità
all’immortalità, da una schiavitù agli elementi del mondo alla padronanza sul
creato, dal contrasto uomo-donna alla riconciliazione uomo-donna, dall’egoismo
alla socialità, da figlio dell’uomo a figlio di Dio.
Il viaggio cristiano verso la
beatitudine non è, quindi, come pensava Platone, un processo di
disincarnazione, un lasciare il corpo e il sesso, quasi «carcere» dell’anima, ma
una resurrezione del corpo e del sesso dopo una permanenza di durata eviterna
dell’anima separata nel godimento della visione beatifica. Per «cielo», quindi non
s’intende il puro spirito senza corpo, ma l’uomo intero, reintegrato o
reincarnato, anima e corpo.
La teologia, poi, dal canto suo, alla
luce anche degli altri dati della Scrittura e soprattutto del Nuovo Testamento,
ha successivamente formalizzato il pensiero dell’Apostolo riconducendolo a uno
schema di fondo che utilizza il concetto di condizione o stato storico della
natura umana. Ne è uscita la dottrina degli «stati della natura umana»: una
serie di tappe, condizioni o situazioni di fatto della natura umana nello
sviluppo storico a partire dall’iniziale condizione edenica, per arrivare progressivamente
nel tempo alla condizione di pienezza escatologica della resurrezione gloriosa.
La natura umana non cambia, non muta, ma passa da una serie di condizioni o situazioni
o stati che le fanno compiere una specie di cammino circolare: uscita inizialmente
dalle mani creatrici di Dio, si stacca da Lui col peccato e torna a Dio in
Cristo.
Diciamo più precisamente che per
S.Paolo, nel corso di questa vita mortale, il cristiano, grazie alle risorse
soprannaturali della natura redenta, passa gradualmente e progressivamente da
uno stato iniziale di natura umana decaduta, inclinata al peccato e ferita
dalle conseguenze del peccato originale, ad uno stato finale, che prevede una
perfezione – lo stato di natura risorta -, superiore e supremo, che unirà al
recupero dello stato originario d’innocenza precedente il peccato originale, un
supremo complemento soprannaturale, quello della figliolanza divina, acquistata
col battesimo (Rm 6,4; Col 2, 12.20), per la quale l’uomo, pur restando distinto
in maschio e femmina, ed anzi avendo recuperato l’unione originaria precedente
al peccato, sarà «come un angelo del cielo» (Mt 22,30), perché l’unione
uomo-donna non sarà più procreativa, ma solo espressione dell’amore.
Il processo salvifico descritto da
S.Paolo è ben riassunto nelle parole del Prefazio
della Messa per le Sante Vergini e i Santi Religiosi: «Tu riporti l’uomo alla
santità della sua prima origine e gli fai pregustare i doni che a lui prepari
nel mondo rinnovato». Pensando per esempio ai rapporti fra uomo e donna, se in
questo mondo i pericoli che vengono della concupiscenza consigliano la separazione
fra uomo e donna, nel mondo rinnovato sarà possibile rifare quell’unione che rispondeva
all’originaria volontà divina nello stato d’innocenza.
In questo studio ci fermeremo in modo particolare
sul passaggio dall’uomo terreno all’uomo celeste e dall’uomo carnale all’uomo
spirituale, ma particolarmente interessante e caratteristico di Paolo è anche il
passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo «morto» a causa del
peccato, all’uomo che, unito alla morte di Cristo, rivive nella grazia
battesimale. Si tratta di far morire l’uomo vecchio nel battesimo, per far
nascere l’uomo nuovo della resurrezione: «Mortificate quella parte di voi che
appartiene alla terra» (Col 3,5). Nella vita del battezzato si estingue gradatamente
il vecchio e cresce continuamente il nuovo.
Alla morte fisica che ci attende il
vecchio è morto del tutto e il nuovo ha finito di prender vita e di crescere,
ma ha già iniziato a vivere fin da adesso. Quest’uomo nuovo, mano a mano che
appare, si sviluppa e cresce, per quanto possa sembrare azzardato, scandaloso o
spericolato o contrario alla «tradizione», non va mortificato, bloccato o
intralciato, ma accontentato, potenziato e liberato senza paure e senza remore
conservatrici o di falso ascetismo. «Per mezzo del battesimo – dice infatti
l’Apostolo (Rm 6,5) – noi siamo stati sepolti insieme con Lui nella morte,
perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre,
così anche noi possiamo camminare in una vita nuova».
Secondo S.Paolo nello stato presente
di natura decaduta, permanendo la presenza dell’uomo vecchio, infuria una lotta
della carne contro lo spirito (Rm 7,14; 8,6-7; 13,14; Gal 5, 13.19-21; II Cor
1,12; 7,1), per cui, al fine di assicurare allo spirito una maggiore libertà,
sono consigliabili alcune pratiche ascetiche e l’astinenza da ciò che, come per
esempio l’attività sessuale, può intralciare, frenare od ostacolare l’ascesa
verso le cose di lassù e il sorgere dell’uomo nuovo, che è l’«uomo spirituale»
(I Cor 2, 14).
Tuttavia, dato che Dio ha creato
l’uomo e la donna per riempire la loro solitudine (Gen 2,18), una volta esaurita
l’attività riproduttiva propria del vita presente, e dato che nella vita dei risorti
vi sarà il trionfo dell’amore, non si vede perchè in essa non possa esistere l’unione
dell’uomo con la donna.
Le primizie dello
spirito
Per S.Paolo il cristiano è già un
risorto sin da adesso (Col 3,1); risorto, naturalmente, innanzi tutto
interiormente, in senso spirituale, col battesimo. «Morto» (Col 3,3) con Cristo
all’uomo vecchio, ossia a questo mondo, vive con Cristo già da adesso nel mondo
futuro. Tuttavia la morte fisica non è ancora giunta, per cui vive ancora nella
natura decaduta, in lotta contro la concupiscenza; per questo il cristiano
potrà dire di essere pienamente risorto solo alla futura resurrezione dei
morti. Ma ciò non toglie che il nutrirsi del corpo del Signore risorto assicuri
al cristiano una quasi piena padronanza sul corpo, sui sensi e sulle passioni,
che già preannuncia, seppur imperfettamente ed incoativamente, le condizioni
gloriose della resurrezione.
Per Paolo già nell’oscurità della vita
presente appaiono i primi bagliori della vita futura, destinati ad aumentare
sempre più come il sole che sorge all’orizzonte, finchè la notte, con la morte,
non sarà del tutto scomparsa e il sole brillerà in tutto il suo splendore.
Occorre tuttavia tener presente che ciò che sin da adesso possiamo gustare
della nuova vita non ci dà che una pallida idea della futura, che sarà molto
più bella di quanto adesso sperimentiamo ed immaginiamo. Essa sarà molto
diversa per il fatto che adesso non riusciamo a togliere da essa del tutto i
residui dell’attuale vita terrena.
Le primizie dello Spirito non sono una
semplice pregustazione della visione beatifica dell’anima separata, perché
questa condizione dell’anima, benché sia già beata, non è ancora quella finale,
che prevede la riassunzione del proprio corpo alla Parusia di Cristo. Si tratta
invece di una pregustazione della resurrezione e quindi della nuova terra,
della nuova carne e del nuovo mondo dei risorti.
Queste primizie dello Spirito non sono
distribuite a tutti i credenti allo stesso modo e nella stessa misura. Occorre
tenersi pronti a riceverle e a gustarle con una vita santa e mortificata, ma
non è in nostro potere ottenerle a nostra volontà e a nostra scelta. Sta a Dio
distribuirle di sua insindacabile e misteriosa iniziativa a chi crede, quando,
quanto e come crede. Questi preziosi e rari doni mistici riguardano soprattutto
il mistero di Cristo crocifisso e risorto. Certi doni riguardano il primo
aspetto, come per esempio le stigmate o la partecipazione miracolosa alla
passione di Cristo o le straordinarie sofferenze, penitenze o austerità dei
santi.
Altri doni rappresentano la vita e la
potenza di Cristo risorto, come per esempio la chiaroveggenza, la visione delle
apparizioni mariane o di santi, la vista miracolosa di oggetti o persone a distanza,
la trasfigurazione, l’impassibilità, la bilocazione, la levitazione, la lettura
dei cuori, la contemplazione mistica infusa, i rapimenti, le estasi, il dono
dei miracoli, la comunione dell’uomo con la donna senza concupiscenza, la
fondazione di nuovi istituti religiosi, l’evangelizzazione di sterminate terre
di missione, il potere di suscitare vocazioni, un’azione riformatrice
prodigiosa, una produzione teologica di altissima sapienza.
Occorre comunque approfittare della vita
nuova mano a mano che si manifesta, si realizza o si rende possibile. È quella che
Paolo chiama «occasione» o «momento favorevole» (kairòs, II Cor 6,2) per salvarsi. Occorre, per così dire, «prendere
la palla al balzo», approfittare della buona occasione, perché può passare e
possiamo perderla.
È chiaro comunque che ad ogni momento
Dio in mille modi ci propone le vie della salvezza. Ma secondo S.Paolo esistono
momenti privilegiati, che egli chiama «primizie dello Spirito» (Rm 8,23) o
«caparra dello Spirito» (II Cor 1,22; 5,5), nei quali Dio si fa sentire con i
suoi doni e la sua grazia o per confermarci nella fede o per darci una consolazione
o per farci provare una pregustazione della vita futura. Dobbiamo trarre qui occasione
per un rendimento di grazie, senza attaccarcisi, quasi fossero un nostro
diritto, ma attendere pazientemente il momento successivo, nel mentre che dobbiamo
dedicarci diligentemente ai nostri doveri quotidiani.
Riguardo alla condizione della vita
futura, occorre evitare due pericoli: uno è quello di credere di poterla realizzare
adesso più di quanto è consentito dalle condizioni di miseria della vita presente,
e l’altro è quello opposto di lasciarsi scoraggiare e troppo coinvolgere dalla
vita presente, così da mostrarsi scettici circa la possibilità di sperimentarne
le primizie fin da adesso. Il primo errore è una «fuga in avanti», ossia la
pretesa di precorrere i tempi, di sapere esattamente come saranno le cose
nell’al di là, nel voler fare adesso quello che sarà possibile solo lassù. Essa
può condurre a condotte e visioni spericolate, pericolose, imprudenti ed utopistiche,
per le quali attualmente non si hanno le forze, per cui il fallimento è
inevitabile.
L’altro errore è quello di restare indietro; è
il chiudere lo sguardo sulla vita futura non perché non ci si creda, ma
perché si esagera il suo aspetto
misterioso perchè si è troppo scettici nella possibilità di cominciare ad
attuarla fin da adesso, e quindi con eccessiva timidezza intellettuale fatta passare
per «fede», si rinuncia o non ci si interessa
di sapere o di indagare, seppur con modestia, come sarà questa vita futura.
Così succede che non ci si accorge delle
occasioni che si offrono e non se ne approfitta per cominciare ad attuare fin da
adesso la vita dei risorti con Cristo, per cui si finisce per essere dei
frustrati tremebondi e si resta bloccati, appiattiti ed adagiati sul presente, troppo intimoriti
dalla considerazione della fragilità e peccaminosità della natura decaduta e non
si riesce o non si pensa a vivere da risorti, liberi, come dice S.Paolo, dalla
«legge», cosa che ovviamente non va intesa nel senso del lassismo ed edonismo
luterani, ma in riferimento a quelle discipline, austerità, rinunce e restrizioni
caduche e provvisorie (Col 2,21), che valgono solo per la vita presente.
Il primo errore nel rapporto con Dio consiste
nella concezione immanentistica del credersi costantemente e infallibilmente abitati
e guidati da Dio in un continuo contatto diretto con Lui, come se si fosse già in
paradiso. Nel secondo, invece, sotto pretesto che Dio è mistero e che non
conosciamo quale sarà il nostro rapporto con Lui in paradiso, non ci si cura di
approfondire la nostra conoscenza di Dio e il nostro rapporto con Lui,
mantenendosi ad un livello di tiepidezza morale, di rachitismo intellettuale e
di ristrettezza mentale, che denota un prevalente interesse o attaccamento alle
cose di quaggiù rispetto a quelle di lassù.
Il primo errore in rapporto alla vita
sociale e alle relazioni col prossimo
consiste nell’ignorare in questo campo le conseguenze del peccato
originale, per cui si crede di poter sempre costruire o instaurare con gli
altri un rapporto tranquillo e pacifico di mutua fiducia, senza difese o
precauzioni, nella convinzione che tutti sono buoni e in buona fede. Non c’è altro
da fare che dialogare, costruire ponti, aprirsi all’altro, accoglierlo e
lasciarlo libero di fare quello che vuole, perchè solo lui sa qual è il suo
bene, anche se può sembrare male ai nostri occhi.
Nessuna proibizione, nessuna coercizione,
nessun uso della forza, nessuna punizione, nessuna regolamentazione giuridica, non
condannare e non giudicare nessuno, interpretare sempre in bene, qualunque cosa
pensi o faccia. È come se si vivesse nelle condizioni di una società edenica, fondamentalmente
buona ed innocente.
L’errore opposto in questo campo
consiste nella tendenza alla diffidenza nei confronti degli altri e nella propensione
a interpretare in male quello che pensano e fanno, rilevando eccessivamente i
loro difetti, enfatizzando la dottrina della cattiveria umana conseguente al peccato
originale, insistendo troppo sul ruolo dell’autorità e sulle esigenze della
disciplina, con la conseguenza di assumere facilmente atteggiamenti arroganti,
duri e di condanna, senza misericordia, e favorendo all’eccesso i metodi
coercitivi e punitivi.
Il primo errore nella regolamentazione
della vita personale e nel dominio delle passioni, è quello di credere che noi,
ormai «risorti con Cristo» (Col 3,1), siamo liberi dal peccato, e che corpo,
sesso e anima costituiscono un’armoniosa unità; non abbiamo più bisogno di controlli,
di freni, di rinunce, di austerità, di penitenze, di castighi e correzioni, ma
possiamo soddisfare tranquillamente tutti i nostri desideri sensibili, sessuali e spirituali in piena
libertà e spontaneità.
L’errore opposto è quello di regolare
la nostra condotta morale come se essa fosse rinchiusa nei limiti della vita terrena,
senza alcuna prospettiva o pregustazione escatologica, come se dovesse muoversi
soltanto nello stato di natura decaduta con tutte le austerità, le rinunce e i sacrifici che
essa richiede.
Il punto di
partenza e il punto di arrivo
Per Paolo la vita cristiana è altresì
un passaggio da «quaggiù» a «lassù» (Col 3,1), da «questo mondo» (I Cor 7,31)
al mondo futuro della resurrezione, dal
«secolo presente» al «secolo futuro» (Ef 1,21), dallo stadio dell’uomo carnale
a quello dell’uomo spirituale, dall’uomo schiavo del peccato e di Satana
all’uomo che gode della libertà dei figli di Dio, mosso dallo Spirito Santo;
dal regno dell’uomo al regno di Dio, dall’uomo naturale al figlio di Dio, dall’uomo
«psichico» (I Cor 2,14) all’uomo «spirituale», dall’uomo membro della società
umana all’uomo membro della Chiesa, dall’uomo che vive in questo mondo all’uomo
che vive nel secolo futuro, dall’uomo «esteriore» all’uomo «interiore» (II Cor
4,16; Ef 3,16) e dall’uomo «animale» allo «spirito datore di vita»: «si semina
un corpo psichico, risorge un corpo spirituale. Se c’è il corpo psichico, c’è
anche quello spirituale, come è scritto: il primo Adamo fu fatto anima vivente;
l’ultimo Adamo spirito datore di vita. … Il primo uomo dalla terra era terreno;
il secondo uomo dal cielo è celeste» (I Cor 15, 44-45.47).
Con l’esercizio delle buone opere e il
progresso della vita di grazia lo spirito torna progressivamente a ritrovare la
comunione con Dio spezzata dal peccato originale; torna a dominare la carne, dopo
che questa era divenuta ribelle a seguito del peccato originale, per cui si
ricostituisce quell’armonia fra spirito e carne e fra spirito e sesso, che era
nel piano originario della creazione.
Parimenti l’uomo torna a dominare la
natura e ad essere in comunione con
essa, dopo che a seguito del
peccato originale la natura era diventata ingovernabile ed ostile. Ed infine la
vita sociale torna ad essere giusta, ordinata e pacifica, senza la necessità
dell’uso della forza, dopo che a seguito del peccato originale essa,
disgregatasi nella conflittualità, nelle discordie e nelle ingiustizie, poteva
in qualche modo ritrovare giustizia, ordine e pace solo a prezzo della
coercizione esercitata dalla pubblica autorità.
Il cristiano non ritrova semplicemente
l’innocenza edenica, ma sale ad un livello di vita superiore, che è quello dei figli
di Dio, ricreati ad immagine di Cristo, i quali, come dice Cristo, sono «figli
della resurrezione» (Lc 20,36), in compagnia degli angeli, della Madonna e dei
santi, sotto cieli nuovi e terra nuova, umanità fraterna, «civiltà dell’amore»,
come disse S.Paolo VI, saggia, unita, libera, giusta, concorde, pacifica e
felice, signora del creato, uomo e donna in perfetta comunione reciproca.
Le pratiche proprie
della vita presente
Nello stato di natura decaduta esiste
un insieme di norme morali legate a questo stato e giustificate dalla necessità
di fare i conti con le miserie di tale stato al fine di renderlo via di
salvezza e di farlo passare prima e il meglio possibile. Si tratta quindi di
pratiche di emergenza, che non saranno più necessarie in cielo, essendo venute
meno le condizioni che le giustificano e le rendono meritorie. Così per esempio
il sistema sanitario è necessario in un’umanità soggetta alle malattie. Ma è evidente
che nell’umanità risanata del cielo il sistema sanitario non sarà più
necessario.
Abbiamo così tutte le pratiche dell’educazione,
della mortificazione, della purificazione, della correzione, della rinuncia e dell’astinenza.
Mortificazione o eliminazione delle cattive tendenze, purificazione dalle colpe
e dalle impurità, correzione o rettificazione delle tendenze storte o devianti,
astinenza da quei beni o affetti o interessi o rinuncia a quelle tendenze o a
quegli appetiti o a quei beni, i quali, in sé autentici, creano però, perché
troppo invadenti o assorbenti, intralcio od ostacolo all’affermazione dei
valori superiori, come dice Cristo:«se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo»;
ma se non ti scandalizza, conservalo. Alla fine nell’altra vita, cominciando già
da questa, si tratta di ritrovare purificato e migliorato, ma in una condizione
di maggior libertà, ciò che si è lasciato per seguire Cristo: quello che Gesù chiama
il «centuplo».
La cura cessa quando si è guariti. La
morte del giusto segna la fine della condizione di natura decaduta e l’inizio
della storia della natura sanata, la quale culmina nella resurrezione
escatologica. Ma il processo di guarigione inizia sin da quaggiù. Quindi, mano
a mano che avanza, si possono lasciare quei rimedi o quelle medicine che
servono a curare quel tanto di malattia che gradualmente è guarito nel corso
della cura.
Così per esempio un malato nel quale avanza
il processo di guarigione, deve mantenere un farmaco che gli serve per l’aspetto
persistente della malattia e abbandonare un altro farmaco che serviva per guarire
un altro aspetto della malattia, che adesso è guarito. Per questo non è detto
che certe pratiche ascetiche o dietetiche debbano essere conservate fino alla
morte, se prima della morte il soggetto è guarito rispetto a quel male che
doveva essere tolto da quelle pratiche ascetiche. Se per esempio guarisce da
disturbi di stomaco che lo tenevano a dieta, può cessare da quella dieta.
Non bisogna confondere la rinuncia col
rifiuto. Si rinuncia a un bene in vista di uno maggiore, per ritrovarlo
migliorato grazie alla conquista del bene maggiore. Si rifiuta il male e il
peccato, ossia un falso bene, per non riprenderlo mai più. Così, se l’asceta e il
religioso si separano dal mondo e dalla società terrena, non è per paura o per
un eccesso di prudenza o per uno sprezzante od altezzoso o schizzinoso rifiuto
di questi grandi valori, ma al contrario perché il soggetto unendosi
maggiormente a Dio nella solitudine e nella preghiera, da Dio attinge una
superiore energia per meglio servire il prossimo e la società.
È da notare però che la vita
religiosa, grazie all’esercizio dei voti, costituisce la forma di comunità
umana, che più di quella civile e di quella cristiana laicale realizza fin
dalla vita presente il progetto dell’umanità escatologica, nella più alta
comunione con Dio, nella più intima comunione fraterna, con la più equa
comunione e distribuzione dei beni, nella massima libertà dello spirito e la
migliore reciprocità spirituale fra uomo e donna.
Rifiuto del mondo, della materia, del
corpo, della carne, del sesso, dei beni economici, del rapporto sociale non è
ascetica, non è cristianesimo, non è santità, ma è dualismo gnostico, platonico-origenista,
è cosa crudele, disumana e ultrapretenziosa, quasi fossimo angeli e non
creature fatte di carne ed ossa, falsa ed ipocrita ascesi condannata da S.Paolo
(Col 2,21).
Anche il «corpo spirituale» della
resurrezione resta un corpo umano,
materiale e sessuato, atto al piacere sensibile e spirituale. Il corpo
umano animale resta animale anche in cielo, checchè in contrario sembri affermare
S.Paolo, perché l’uomo è un animal rationale,
maschio e femmina, in terra e in cielo, perché Dio lo ha voluto e creato per sempre così per la vita eterna.
La questione della
castità
Circa questo ampio argomento del passaggio
dalla terra al cielo, un tema sul quale merita puntar in special modo
l’attenzione, è quello della castità, perché per troppo tempo si è avuta una
concezione della castità, come se fosse affare della sola situazione della vita
presente e non riguardasse anche la resurrezione. Chi ha gettato una luce nuova
su questo argomento interessantissimo è stato S.Giovanni Paolo II nelle sue famose
catechesi del mercoledì sulla «teologia del corpo» dal 1979 al 1982[1].
Egli ha fatto presente che il motivo fondamentale,
per il quale Dio ha voluto la distinzione e l’unione fra uomo e donna non è stato
un semplice scopo terreno, per quanto santo, ossia la procreazione e il
matrimonio, ma è stata la sua volontà che l’uomo maschio non fosse solo (Gen 2,18) , ma avesse una compagna simile a lui, la donna, che desse senso alla sua vita, quindi
ciò che Dio ha voluto finalmente e per
sempre è stato l’amore tra loro due,
cosa cha avrà la sua pienezza alla resurrezione, quando l’attività procreatrice
sarà cessata.
Da questi presupposti comprendiamo quanto
sia insufficiente una certa concezione della castità che la svuota del suo
aspetto emotivo-affettivo e la confonde con la frigidità. La vera castità infatti
non è come la devitalizzazione di un dente operata dal dentista, ma una saggia
regolazione o moderazione del piacere sessuale, che in sé è cosa buona, anche a
prescindere dalla capacità procreativa, componente essenziale della natura
umana e creata da Dio.
L’immagine evangelica dell’eunuco (Mt
19,12) va intesa correttamente, non nel senso di una soppressione pura e
semplice della sensibilità o emotività sessuale, ma nel senso di un’astinenza
dal piacere volontario per dar spazio a quella superiore spiritualità che
consiste nella sequela totale ed incondizionata di Cristo. Il tralcio viene potato perché frutti di più
(Gv 15,2).
La tradizionale lode della Madonna «inviolata
e intatta» va intesa correttamente. Essa significa semplicemente l’assoluta
assenza in Maria di ogni genere di colpa. Invece, ci può essere il rischio che quell’espressione
sottenda l’idea platonica della materia o del corpo come tentazione o
contaminazione dello spirito e quindi l’idea
che l’atto e il piacere sessuale non siano l’atto e l’effetto di una potenza
vitale naturale essenziale all’uomo, creata da Dio e quindi in sé buona, ma
siano una violazione e una disintegrazione o dissoluzione, quindi un distruggere
qualcosa di integro, uno insozzare qualcosa di puro, che non deve essere
toccato o fruito dall’atto e dal piacere sessuali, senza esser sporcato o contaminato
o corrotto, come se il sesso fosse una forza corruttrice.
L’assenza in un soggetto dell’inclinazione
sessuale emotivo-pratica non è necessariamente virtù, ma può essere quel fenomeno
psicopatologico che si chiama «frigidità sessuale». Infatti ogni potenza vitale
è fatta per essere attuata: la vista per vedere, l’udito per udire, il tatto
per toccare e così via. Ugualmente la potenza sessuale è fatta per procreare
nella vita presente e per esprimere l’amore fra uomo e donna nella vita futura.
Che senso allora può avere la
verginità o l’astinenza sessuale? Perché il voto di castità? Perchè è lodata la
verginità di Maria? La verginità o voto di castità rappresenta nei religiosi
una pratica che assicura, nell’attuale stato di natura decaduta, una più alta
spiritualità e un miglior servizio a Dio e al prossimo, mentre in Maria, esente
dalla colpa originale e dalla concupiscenza, la verginità non ha un significato
ascetico e catartico come in noi, ma è condizione psicologica e dono divino esclusivi
di Maria, adatti e convenienti alla sua intimissima unione con il Dio trinitario,
il Quale evidentemente non è sessuato ma purissimo Spirito.
Per quanto riguarda la dottrina della verginità
in S.Paolo, gli esegeti moderni hanno notato un contrasto nelle Lettere paoline fra le lodi della
verginità in I Cor 7,25-35 e quelle del matrimonio in Ef 5,32. Infatti, mentre
nella prima Lettera Paolo sconsiglia
dallo sposarsi (vv.26-27) e dice che chi si sposa, bene che vada - quale
concessione! -, non fa peccato (v.28), aggiungendo che mentre chi si sposa si
trova diviso tra Cristo e il coniuge (v.33), la vergine non è divisa tra un
marito e Cristo, ma pensa solo a Lui (v.34), nella seconda Lettera esalta talmente l’unione coniugale da paragonarla
all’unione di Cristo con la Chiesa (5,32).
Allora si potrebbe obiettare: ma se il
marito rappresenta Cristo, perché mai la moglie dovrebbe trovasi divisa tra il
marito e Cristo? E d’altra parte, il presentare la vergine come «sposa di
Cristo», benché io riconosca che quest’immagine
abbia inciso nella dottrine della spiritualità della religiosa – pensiamo solo alla
famosa Costituzione apostolica Sponsa Christi
di Pio XII del 1950 -, francamente mi domando che senso abbia presentare Cristo come «sposo», perché i casi sono
due: o si vuol togliere all’immagine ogni riferimento all’amore sessuale, il
che in questo caso appare non solo conveniente ma obbligatorio; ma allora si svuota
l’immagine del suo senso caratteristico e quindi è inutile usarla. Oppure la si usa nel suo senso ovvio,
ma allora è chiaro che diventa sconveniente.
Se poi si vuol semplicemente esprimere
l’intima unione di carità della suora o della monaca con Cristo, benissimo; ma si lascino in pace, per rispetto a Cristo
stesso e della normalità sessuale della stessa religiosa, immagini reboanti, equivoche
e storpiate nel loro senso naturale, quando ce ne sono ben altre più adatte,
significative e convenienti, ricavabili dalla Bibbia come per esempio quelle
del maestro, dell’amico, del confidente, del padre, del signore, del fratello?
L’idea della sponsalità non dice solo unione
affettiva, ma aggiunge l’idea del piacere sessuale, che caratterizza la sponsalità in quanto tale. Per questo, una sponsalità
senza questa proprietà non è più sponsalità, ma semplice affettività. E allora,
se non si vuol alludere a quella proprietà, perché parlare di sponsalità? Lo so
che già nell’Antico Testamento c’è l’immagine di Dio come «sposo» di Israele
(Is 54,5; 61,10; 62,4), mentre nel Nuovo Gesù appare sotto l’immagine
veterotestamentaria dello «sposo» (Mt 9,15; 25,1; II Cor 11,2). Ma credo che
occorrerebbe riconoscere con tutta franchezza che simile immagine non si
accorda con la pura spiritualità asessuata di Dio, ed è con tutta probabilità
entrata di soppiatto nella teologia biblica, proveniente dalle antiche ierogamie
pagane.
Proviamo infatti a chiederci come mai
nella Somma Teologica di S.Tommaso l’immagine
della sponsalità o l’attributo del piacere sessuale non compare nel concetto
della divina beatitudine. Gesù Cristo, come in altri casi, si adatta qui ad
usare quell’immagine veterotestamentaria. Ma la Chiesa non ha mai pensato di
farla entrare nel dogma cristologico.
È chiaro che esiste un’analogia fra il
piacere spirituale e quello sessuale, perché entrambi sono creati da Dio. Ma
mentre questo può entrare nella felicità umana, è chiaro che la felicità divina
ne è del tutto esente, salvo che lo si voglia vedere come in essa virtualmente
contenuto, così come l’effetto è virtualmente contenuto nella causa.
Quando quindi si dice che la religiosa
consacra e dedica tutta la sua vita, i suoi pensieri, i suoi interessi e i suoi
affetti, le sue gioie e le sue sofferenze al servizio di Cristo e dei fratelli,
non si dice abbastanza, senza bisogno di inventare paragoni sessuali fuori
luogo, di cattivo o dubbio gusto?
S.Tommaso, dal canto suo, quando tratta
della castità, mostra di sapere benissimo
che cosa è il piacere sessuale per esperienza personale e non solo per sentito
dire, anche se quando ne parla, esagera la sua portata ed intensità, perché lo riconduce
alla forte e trascinante emotività propria del giovane e non tiene conto della mitigazione dell’istinto e
della sua maggiore governabilità da parte dell’anziano.
Il famoso racconto di Tommaso giovane
che scaccia una tentatrice inseguendola con un tizzone ardente, per poi essere cinto dagli
angeli, al di là del sapore platonico ed antifemminista, rappresenta il dono
che Tommaso ricevette del perfetto dominio dei sensi, che gli permise appunto
di insegnare princìpi immortali in fatto
di femminilità[2] e di
castità.
Chi non ha come Tommaso una visione
escatologica della castità a un certo punto cede alla concupiscenza e scoppia,
come è successo a Lutero. Mancando la prospettiva escatologica e pensando che del
sesso non si possa più godere nella resurrezione, costui è tentato di
approfittarne nella vita presente, così da venir meno al suo impegno di
castità. Chi invece sa che anche il sesso risorgerà, ha maggior forza per
affrontare il sacrificio, sapendo che l’ascetica non farà che rafforzare il
dominio dello spirito sulla carne col risultato alla resurrezione che la carne
sotto lo spirito darà il meglio di se stessa.
A tal riguardo, volendo fare un
riferimento alla condotta del clero, dobbiamo dire che per la verità pochi sono
quei sacerdoti, che si procurano un’amante e ancor meno sono quelli che cadono
in vizi ancor più disonesti. Altri lasciano il sacerdozio e si sposano. Capita
invece che molti mostrino una condotta corretta e zelante all’esterno, ma se cedono
a un linguaggio scurrile, si mostrano frivoli o sprezzanti verso le donne, di nascosto
si soddisfino da soli ricorrendo magari alla masturbazione dopo aver visto
immagini sconce alla TV.
Fenomeni miserabili di questo tipo non sono certo
argomenti validi per promuovere il sacerdozio coniugato, perché il matrimonio,
soprattutto per un sacerdote, non può ridursi ad essere uno sfogo autorizzato
della concupiscenza, ma dev’essere all’altezza della sua spiritualità,
dev’essere un’unione nobilissima ed esemplare anche per i laici. I preti in
difficoltà vincono le tentazioni semplicemente rafforzando la loro vocazione.
Categorie
ambivalenti utilizzate dalla Scrittura
per la
spiegazione del passaggio
Il passaggio cristiano dalla terra al
cielo mette in opera alcuni concetti fondamentali, espressi nel linguaggio
biblico con termini caratteristici, che hanno un significato ambivalente: uno
positivo e uno negativo a seconda del contesto. Il significato negativo fa
riferimento alla natura decaduta, quello positivo alla natura escatologica. Citiamo
qui quelli che maggiormente interessano l’argomento di questo articolo: terra,
carne, mondo, uomo.
a)
La
terra
La terra è l’ambiente materiale dell’uomo, è la natura cosmica. È
parte del suo stesso essere. Il rapporto con la natura è regolato
dall’ecologia. Si tratta di ricondurre la natura dalla ribellione alla soggezione
all’uomo e di ricondurre l’uomo dall’offesa alla natura alla comunione con la
natura.
La terra, generalmente, viene intesa dalla
Bibbia in un senso positivo, come bene prezioso ed indispensabile, benchè
umile, creato da Dio, ricchissimo di risorse di vario genere, come abitazione,
strumento e nutrimento dell’uomo e perché la coltivi e la utilizzi per i suoi bisogni
materiali. Essa è materna nel senso che alimenta e protegge l’uomo, ma nel
contempo è ostile e pericolosa a causa delle conseguenze del peccato originale.
Essa è creatura di Dio e nulla ha a che vedere con la dea Pachamama
dell’Amazzonia.
La terra è il bene economico e sono quindi
anche i manufatti, i prodotti della tecnica e dell’arte. È quella che Aristotele
chiama «materia» (yle), la quale, informata
dalla «forma sostanziale» (morfè), costituisce
il mondo o insieme dei corpi viventi e non viventi.
Questa è la terra che è riempita dallo
Spirito del Signore (Sap 1,7). Gli apostoli sono sale della terra (Mt 5,13). La
terra è cosa preziosa. È addirittura premio per i giusti (Sal 36,26). Essa è anche
il suolo della patria, l’eredità degli antenati, ed è anche la terra promessa. È
la terra ovvero la polvere, dalla quale l’uomo è tratto e nella quale ritorna
con la morte (Gen 3,19).
Il termine «cielo» nella Bibbia ha due
significati; uno letterale, il cielo nel senso fisico, materiale, astronomico,
cosmologico, siderale, soggetto al divenire ed immerso nel tempo. Il cielo in questo
senso costituisce con la terra
l’universo fisico creato. L’altro significato è metaforico, spirituale. È il
mondo infinito, incorruttibile e sovratemporale del trascendente, del
metafisico, del divino, del soprannaturale.
In tal senso Gesù parla del «regno dei
cieli» e del Padre che è «nei cieli». Dice di Sé di essere disceso dal cielo e
di tornare al cielo. Ci prospetta di salire da Lui in cielo per vedere il Padre.
Cielo vuol dire salvezza. Chi non sale al cielo va all’inferno. Ma il cielo non significa pura e semplice
spiritualità alla maniera platonica, senza materia e senza corporalità, quindi
senza sessualità. Gesù e Maria sono in cielo anima e corpo. Gesù è maschio e
Maria è donna.
Qui vediamo tutta l’insufficienza e anzi
l’erroneità di una visione del corpo risorto
come quella di Origene e della sua scuola, come per esempio Evagrio Pontico[3]
o Nicodemo l’Aghiorita[4].
In essa la comunione fra uomo e donna non appare ed anzi sembra essere respinta,
giacchè il corpo risorto non sembra essere
sessuato, ma semplicemente «sferico» (orbicularis),
secondo l’accusa che fu rivolta ad Origene al Concilio di Costantinopoli del
543 (Denz.407).
Più volte la terra nella Bibbia è citata
insieme col cielo, per significare la totalità dell’universo materiale, creato
da Dio (At 4,24; 14,14). Potremmo dire il «mondo». Essa dovrà essere rinnovata
alla resurrezione in un modo meraviglioso, che per adesso non possiamo immaginare
(II Pt 3,13); Gesù parla di «nuova creazione», ma sostanzialmente è la medesima
terra di quaggiù, perché in se stessa è buona e creata da Dio. È la terra
congiunta al cielo; la materia, il corpo, il sesso congiunti allo spirito,
soggetti allo spirito. La volontà di Dio deve compiersi sia in cielo che in
terra (Mt 6,10). La terra è anche quella che noi oggi chiamiamo la «natura». Essa
ci è madre, ma a causa del peccato originale, ci è anche matrigna. E qui sorge
il significato negativo della terra.
Essa è avvicinata al fango, anch’esso dal
significato ambivalente. Ha un significato letterale e uno metaforico. In senso
letterale non ha nulla di spregevole. Non è altro che la materia, tanto che
Gesù stesso opera un miracolo adoperando del fango (Gv 9, 6s). Il fango è la
materia, dalla quale è formato l’uomo (Gb 33,6). Serve a modellare vasi (Sap
15,7).
Tuttavia, siccome il fango suggerisce l’idea
della sporcizia, della bassezza, dell’immondizia, ecco che il fango è anche il simbolo
dell’abbrutimento, della degradazione, dell’obbrobrio, della schifezza (Gb
30,19; Ger 38,6; Sal 50,20; Sap 15,10; Mi 7,10). Dio libera uomo dal fango (Sal
40,3; 69,15), lo lava col battesimo e lo rende puro ed immacolato.
Terra infatti può avere anche un senso negativo:
«le cose della terra» (Col 3,2; Fil 3,19); «sapienza terrena» (Gc 13,5). Dio ha
maledetto la terra a causa del peccato dell’uomo (Gen 3,17). C’è terra buona e
terra cattiva (Mt 13,8). Chi appartiene
alla terra non è capace di intendere le cose del cielo (cf Gv 3,31). Essa
significa allora la corporeità corrotta, pesante, che trattiene in basso e
frena il moto verso l’alto, verso il cielo; è la materia, la carne e la
concupiscenza che frena lo spirito (Sap 9,15).
Questa terra è vicina alla polvere, alla
dissoluzione, all’insignificanza. È simbolo di opacità, di fragilità (Gen
18,27; Sal 21,15;102,14), di impurità, di inerzia, di grigiore, di insipidezza.
Questa terra dev’essere abbandonata. Oppure dev’essere salata (Mc 6,5). Occorre
tesaurizzare per il cielo e non per la terra (Mt 6,19). In tal senso il santo,
in greco, è a–ghios, senza terra. È
un essere celeste.
b)
La
carne
La carne è il mondo delle passioni, per il quale lo spirito
governa il corpo e la natura. Qui l’uomo non è tanto a contatto con la terra o
la natura, quanto piuttosto col proprio corpo e con l’altra persona, il cui
paradigma è la donna. La riconciliazione della carne con lo spirito si assomma
nella riconciliazione della donna con l’uomo. Qui il cammino di fondo è quello
che conduce alla castità nel senso più vasto della parola.
Come tutti questi termini che stiamo passando in rassegna, anche
il termine «carne» nella Bibbia ha un significato letterale positivo e un
significato metaforico negativo. Nel significato letterale, la carne non è altro
che la parte materiale dell’animale e dell’uomo (Fil 1,24), con uno speciale riferimento
alla carne come cibo. Questo aspetto materiale dell’uomo è più volte espresso
con la diade «carne e sangue» (Mt 16,17; I Cor 15,50; Ef 6,12; Eb 2,14). Essere
di carne, per dire essere sensibile e affettuoso è un pregio per il cuore umano
(Ez 11,19; 36,26). Uomo e donna unendosi diventano «una sola carne» (Gen 2,24; Mc 10,8; Ef
5,31).
Forza divinizzante è la carne di Cristo, ossia l’Eucaristia (Gv 6,
51-58), poiché «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14), per cui «Gesù Cristo è
venuto nella carne» (I Gv 4,2) e «si è manifestato nella carne» (I Tm 3,16). La
carne da sola, soprattutto nella sua fragilità e malizia conseguente al peccato
«non giova a nulla» (Gv 6,63). La carne di Cristo, invece, unita alla divinità
del Verbo, dona la vita eterna. Vediamo anche qui come il cammino della salvezza
non comporta un mutamento della natura umana, ma una sua purificazione, una
correzione della sua condotta, una liberazione dal male. La carne resta carne,
solo che viene liberata dal peccato e restituita
alla giustizia.
Invece nel senso metaforico «carne» è la creatura nella sua fragilità
(Gen 6,3; Est 4,17p; Sal 78,39; Sir 28,5; Ger 17,5; Rm 16,19; Fil 3,3) e con
più frequenza la carne sono le passioni che spingono a peccare (Gal 5,24; 6, 8s; Rm 8, 5-13; 13,14; Col 2,23; II Pt 2,10;
I Gv 2,16; II Cor 1,12). La carne è anche un ottuso criterio di giudizio che
conduce all’errore: il giudicare «secondo la carne» (Gv 8,15; Rm 8,4; II Cor
1,17; 10,2), per cui Paolo parla di «mente carnale» (Col 2,18).
È quella carne che è in conflitto con lo spirito, per la quale
«quelli che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli
invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. … Infatti i
desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono
alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non
possono piacere a Dio» (Rm 8, 5, 7-8).
Il cammino della vita cristiana comporta un lavoro metodico e
costante di riconciliazione dello spirito con la carne. Esso richiede a volte
la rinuncia o l’intervento severo, quando non c’è altro modo per obbedire alla
legge, ma altre volte, se la passione è docile, può essere moderata con
mitezza. Nella vita presente non è mai raggiunto un pieno dominio sulle passioni.
Tuttavia è possibile un progresso o miglioramento, che è come un preannuncio
della vita futura.
Il lassismo edonista e sadduceo della
carne che domina lo spirito e il rigorismo farisaico dualista dello spirito che
opprime la carne sono i due aspetti del conflitto carne-spirito che è al centro
dell’etica paolina. S.Paolo combatte soprattutto sul primo fronte, ma non manca
di attaccare anche il falso, formalistico e presuntuoso ascetismo farisaico,
che pretende di predicare un’etica più rigorosa di quella evangelica.
Paolo formula degli ottimi princìpi
circa il rapporto uomo-donna,
inscindibilmente connesso col rapporto carne-spirito
e quindi sesso-spirito, come quando
dice, per esempio, che «nel Signore non c’è uomo senza donna» ( Cor 11,11) o
che «non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal
3,28). Ma si tratta di espressioni vaghe, che purtroppo non impediscono a
Paolo, quando passa al concreto, di manifestare in vari modi il suo proverbiale
antifemminismo rabbinico. A questo riguardo è molto significativa la totale
assenza di una mariologia, che invece è già sviluppata in S.Luca, e che ha dato
occasione al minimismo mariologico luterano[5].
c)
Il
mondo
Il mondo per la Scrittura è l’insieme
della terra, dei viventi e degli uomini che la abitano. Rispetto al mondo la
vita cristiana si muove secondo due direttrici apparentemente contradditorie:
vittoria sul mondo e azione per la salvezza o redenzione del mondo, essere luce
del mondo.
La contraddizione si scioglie se
teniamo presente che le due azioni fanno riferimento a due aspetti contrastanti
del mondo: la prima azione riguarda il mondo in quanto nemico di Cristo, quel
mondo che è sotto il potere di colui che Cristo chiama «principe di questo
mondo», ossia il demonio. La seconda azione invece si riferisce a ciò che nel
mondo può essere salvato, ossia ai valori esistenti nel mondo, disponibili,
come tali, ad accogliere Cristo. L’azione cristiana è dunque un agire e patire
con Cristo e in Cristo per una progressiva liberazione del mondo dal potere di
Satana per restituirlo al Padre, che ne è il legittimo proprietario, essendone
il creatore.
Ogni azione cristiana circa
l’atteggiamento da tenere nei riguardi del mondo, risulta quindi da queste due
componenti: un fattore di distacco e un fattore di contatto. Questi fattori
ricevono un differente dosaggio a seconda delle differenti scelte di vita. Così
passiamo dall’ideale certosino, che comporta un minimo di contatto e un massimo
di distacco all’ideale ignaziano, che comporta un minimo di distacco e un
massimo di contatto. Il certosino agisce in vista della contemplazione; il
gesuita contempla nell’azione. Il
certosino gusta la croce che vince il mondo; il gesuita gusta il mondo redento
dalla croce. Le primizie dello Spirito per il certosino sono l’estasi, per il
gesuita sono il sacro Cuore di Gesù.
Il cristiano vive in questo mondo, ma
orientato al regno di Dio. È come dire che dà a Cesare quel che è di Cesare,
ossia cura il bene dello Stato. Ma dona a Dio quel che è di Dio, ossia opera
per l’avvento e il trionfo del regno di Dio, che è la Chiesa. Ma Dio regna su
Cesare. Ogni potere è stato dato a Cristo in cielo e in terra, benchè il suo
regno non sia di questo mondo. E dunque il cristiano si inchina a Cesare purchè
questi, come Costantino, s’inchini a Dio. Le primizie dello Spirito sono qui il
regno dell’uomo sotto il regno di Dio.
d)
L’uomo
Anche il termine «uomo» nella Bibbia ha un significato ambivalente
a seconda dei contesti. Uomo, certo, in se stesso è un essere nobilissimo; Dio
lo ha creato di poco inferiore agli angeli (Sal 8,6). Lo ha rivestito di onore
e di gloria. Lo ha messo a capo di tutto il creato materiale. Tuttavia l’uomo
non deve essere sopravvalutato. Non si deve aver timore degli uomini, ma solo
di Dio (cf Sal117,6). L’uomo non è in grado di assicurare la salvezza (cf Sal
59,11). «Guai all’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo
sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore» (Ger 17,5).
Così il termine può essere usato anche in senso negativo, come
quando, per esempio, Gesù oppone Dio agli «uomini» o parla di «tradizioni di
uomini» (Mc 7,8) o usa l’espressione «secondo gli uomini» (Mt 6,23). Anche
Paolo usa l’espressione «secondo l’uomo» (I Cor 3,3;9,8) per significare
grettezza e chiusura a Dio. Esser uomo vuol dire allora essere limitato (I Cor
3,4). Qui «uomo» è l’uomo guastato dal peccato, dice limitatezza, ristrettezza,
meschinità, malvagità. «Tutti gli uomini sono terra e cenere» (Sir 17,31).
«Ogni uomo è inganno» (Sal 116,11).
Anche il termine «uomo» vien dunque preso dalla Bibbia ora in
senso positivo, ora in senso negativo. Nel primo senso essa si riferisce
all’uomo come tale, creato ad immagine a somiglianza di Dio. Nel secondo si
riferisce all’uomo corrotto dal peccato, schiavo di Satana e della
concupiscenza.
La natura umana in questa nefasta
trasformazione resta la stessa. Se si parla di natura «ferita», non ci si
riferisce alla natura come tale nelle sue facoltà proprie, intelletto e
volontà. Esse rimangono nella loro essenza,
altrimenti l’uomo non sarebbe più uomo, ma una bestia o un diavolo. Sarebbe
inguaribile e irrecuperabile. Invece, come dice il Concilio di Trento, se ne indebolisce la forza, tanto che
con queste forze l’uomo è incapace di raggiungere la virtù, se non lo soccorre
la grazia.
Con la caduta originaria cambiano
dunque le condizioni morali dell’uomo, cambia il suo agire: dall’innocenza
originaria, l’uomo decade a causa del
peccato in uno stato di miseria e di schiavitù, che costituisce la natura
decaduta. Per salvare il salvabile si impone una morale di emergenza, adatta
alla nuova situazione. Siccome non è più possibile compiere il bene con
facilità, sicurezza e spontaneità, Dio istituisce gli incentivi suppletivi
della costrizione, dell’obbligo, del castigo,
dell’autorità, del sacrificio e della rinuncia. Ma soprattutto la forza della
grazia.
Ecco dunque che il Padre, nella sua
misericordia, manda il Figlio a riscattare l’uomo dal peccato e dalla morte col
dono della grazia: ecco la natura redenta. Inizia la risalita dall’abisso ed un
graduale e faticoso ma speranzoso ritorno a Dio, e dunque il passaggio dalla
terra al cielo, dall’uomo carnale all’uomo spirituale, dall’uomo vecchio
all’uomo nuovo, dalla morte alla resurrezione.
Ecco dunque il capovolgimento di
significato del termine «uomo». Dipende dal rapporto dell’uomo con Dio.
Spregevole è l’uomo che si oppone a Dio. Degno di onore e gloria è l’uomo che
si converte a Dio. Ecco allora che il vertice
di queste trasformazioni, che abbiamo visto, quello che le riassume tutte, è il
passaggio dall’uomo terreno all’uomo celeste, che domina la terra ed è in
comunione con la natura, ha pacificato la carne, si è riconciliato con la
donna, ha vinto il mondo e lo ha conquistato a Cristo.
Questo passaggio è il vertice, il
culmine e il fondamento di tutti gli altri, posto innanzitutto nel cuore
dell’uomo, dove egli decide del suo rapporto con Dio: o nella superbia o
nell’umiltà. Se si abbassa nell’umiltà Dio lo innalza a Sè. Se invece si
innalza per superbia, Dio lo abbassa a terra. Tutto il cammino dell’uomo verso
Dio si riassume nelle parole del Cristo: «chi si umilia sarà innalzato e chi
s’innalza sarà abbassato» (Mt 23,12).
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 29 ottobre 2019
[1] Vedi per esempio i miei studi: LA TEOLOGIA
DEL CORPO NEL PENSIERO DI GIOVANNI PAOLO II, Sacra Doctrina, 6,
1983, pp.604-626; LA RESURREZIONE DEL CORPO, Sacra Doctrina, 1, 1985, pp.81-103.
[2] LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO S.TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso
Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.
[4] Cf Lanfranco Rossi, I filosofi greci padri del deserto. La
sintesi di Nikodemo Aghiorita, Edizioni Il Leone Verde,Torino 2000.
Alla luce di questo suo interessantissimo intervento, come dovremmo intendere correttamente Mc 12, 25?
RispondiEliminaGrazie, la ricordo sempre nelle mie preghiere.
Come ha spiegato S.Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sulla teologia del corpo (1979-1982), nella resurrezione uomo e donna si ameranno, ma non ci sarà più quella riproduzione della specie che è essenziale alla vita presente nel matrimonio. L’angelo è una creatura puramente spirituale. Il riferimento agli angeli non significa una disincarnazione, cosa che sarebbe eretica, ma vuol dire che lo spirito avrà pieno dominio sul corpo, sarà cioè in piena armonia col sesso, e quindi non occorreranno più quelle rinunce, quelle astinenze, quelle discipline, quelle lotte, quelle austerità, quella separazione fra uomo e donna, le quali sono necessarie nella vita presente, per una piena libertà spirituale, stante adesso la ribellione della carne allo spirito e lo stimolo della concupiscenza.
EliminaCaro Padre Cavalcoli, mi permetta di chiederle un aspetto di questo suo articolo, pubblicato da tempo.
RispondiEliminaConfesso che trovo difficile capire come continuerà l'unione sessuale coniugale (non procreativa) in paradiso. Bene, capisco quello che dice Gesù è che uomini e donne non si sposeranno. Ebbene, appunto, quello che chiedono i sadducei è di chi sia la moglie la donna nel caso che sollevano. E non si vede con chi useranno il sesso nella risurrezione se non ci sarà il matrimonio e il matrimonio della terra è fino alla morte.
Grazie.
Caro Silvano,
Eliminaalla resurrezione, dato che si realizzerà in pienezza l’amore e l’unione fra uomo e donna in una piena reciprocità, e dato che l’unione sessuale esprime l’amore, si può pensare che alla resurrezione esisterà questo tipo di unione, anche se non conosciamo le sue modalità concrete, perché il sesso che abbiamo adesso è un sesso procreativo, mentre lassù, pur essendo molto più soddisfacente, non sarà più procreativo.
Quindi non si può assolutamente parlare di una unione coniugale, supponendo che essa sia finalizzata alla procreazione. In questo senso Gesù dice che lassù non ci sarà matrimonio. Per questo la donna, che ha avuto sette mariti, sarà in pieno accordo con tutti e sette, e tutti e sette le vorranno un gran bene, anche se non conosciamo la modalità.
Altro punto da chiarire sono le parole di Gesù: “Saranno come angeli”, il che non vuol dire che saranno spiriti disincarnati, in quanto alla resurrezione le anime avranno riassunto il loro corpo maschile o femminile. Il riferimento agli angeli, che sono puri spiriti, significa il pieno dominio sul proprio corpo e quindi la piena armonia tra spiritualità e sessualità.
Occorre però precisare che la suddetta unione sessuale escatologica è riservata alla natura gloriosa della resurrezione, e non può essere consentita nell’attuale stato di natura decaduta.
Un problema che si può porre è quello del rapporto tra due coniugi, dei quali uno sia in paradiso e l’altro sia all’inferno. Ora, per quanto riguarda il coniuge beato non si può evidentemente ammettere che la sorte infelice dell’altro coniuge attenui la sua beatitudine. Tuttavia potremmo usare delle espressioni metaforiche, come quando si dice per esempio che la Madonna piange a causa dei nostri peccati.
Quello che è certo ed anzi è di fede, è che nella resurrezione l’umanità sarà composta di uomini e di donne, che esprimeranno la loro essenza maschile e femminile nella loro pienezza spirituale, psicologica, morale e anche fisica, in piena reciprocità. Sarà bandita ogni forma di amore impuro e risplenderà l’amore e l’amicizia nella loro più grande purezza.