I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno - Quarta Parte (4/5)

 I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno

Quarta Parte (4/5) 

I Papi propositivi

È chiaro che i Papi sono sempre stati propositivi, lo sono per essenza, perché il loro compito essenziale è insegnare la sana dottrina. Fin dai primissimi secoli del cristianesimo i Papi sono stati particolarmente impegnati nel dirci chi è Cristo e nell’opporsi alle eresie contrarie. Sono stati ad un tempo propositivi e combattenti.

Successivamente hanno continuato ad insegnarci la verità sulla SS.Trinità, sull’autorità pontificia, sulla natura umana, sulla legge morale, sul valore dei dogmi, sulla Chiesa, sui sacramenti, sempre mettendoci in guardia contro gli errori continuamente insorgenti.

Purtroppo nel 1054 i Greci si sono separati dalla comunione col Papa pensando che a loro bastasse la guida dei dell’episcopato, dei Padri, dei primi sette Concili e dello Spirito Santo. Nel contempo tutta l’Europa occidentale era soggetta al potere spirituale e temporale del Papa. Solo col sec. XIV, col successo dell’individualismo occamista, principio di egoismo e di isolamento, cominciarono a sorgere i vari nazionalismi, con i loro stolti antagonismi e gelosie, che causarono prima lo scisma di Occidente e poi le rivolte di Marsilio da Padova, Wycliff, Hus e Lutero dissolvendo anche l’unità cattolica dell’Europa occidentale.

La correzione degli errori, da parte del Papa, tutto sommato, è accidentale, anche se di fatto la deve sempre fare, così come lo stato di salute è cosa normale; la malattia, invece, certo è un fatto che si verifica, ma non sarebbe nelle esigenze della natura. Non è un dato necessario, ma contingente, che può essere tolto, ma solo la natura ha diritto di esistere. Così l’errore di fatto esiste e in certi casi può essere anche tollerato, ma di per sé solo la verità ha diritto all’esistenza. Per questo, mentre l’errore soppresso può non verificarsi più, combattere la verità è inutile, perché essa torna sempre a galla. Il demonio si illude di vincere, ma in realtà la vittoria finale spetta a Cristo.

Così, se con San Giovanni XXIII assistiamo ad una svolta nello stile pastorale dei Papi e nel loro atteggiamento nei confronti della modernità, questa svolta era già stata preparata dai Papi precedenti. Per esempio, già Leone XIII con la famosa enciclica Rerum novarum del 1891 dette l’avvio a un insegnamento sociale altamente propositivo, che qui andava al di là delle precedenti condanne dell’etica sociale massonica, marxista o liberale. E, come è noto, questa enciclica dà il via a una splendida e ricchissima dottrina sociale della Chiesa, che arriva fino al Pontefice attuale, arricchendosi di nuovi aspetti, soprattutto quello alimentare, ecologico e immigrazionistico.

La Chiesa ricorderà comunque che se è vero che il popolo ha diritto all’autogoverno e i governati sono al servizio del popolo, è altrettanto vero che il popolo non è Dio e che quindi i governanti esercitano in nome di Dio una vera autorità sul popolo. Ricorderà che se è vero che l’economia deve assicurare il benessere di tutti, la persona ha il diritto-dovere di usare dei suoi beni per il bene della società.

La questione della libertà religiosa non è estranea alla sensibilità di Pio IX, tanto è vero che egli sostiene la possibilità di salvezza anche per coloro che in buona fede non conoscono il Vangelo, precorrendo il decreto del Concilio Vaticano II Dignitatis humanae.  

E se è vero che Pio IX sostiene la religione cattolica come religione di Stato, egli ricorda che l’adesione alla fede cattolica dev’essere atto libero della coscienza, mentre d’altra parte, se il Concilio Vaticano II ha  sostituito il diritto civile alla libertà religiosa alla religione di Stato, ha ribadito con la massima fermezza il dovere dello Stato del rispetto dei diritti umani e della legge naturale, il che evidentemente sottintende che anche il Concilio ribadisce la preminenza della missione spirituale della Chiesa sulla missione temporale dello Stato.

La cautela di Pio IX nei confronti del dialogo cattolici-protestanti non è dimenticata nel decreto Unitatis redintegratio del Vaticano II, che, se sottolinea l’importanza di ritrovarci assieme in valori comuni, ricorda pur sempre che i fratelli separati sono chiamati a correggere i loro errori e ad entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.  

San Giovanni Paolo II, Papa slavo, è stato molto sensibile alla necessità che Chiesa europea occidentale e Chiesa europea orientale tornino ad essere un’unica Chiesa, come i due polmoni del torace costituiscono il medesimo torace. L’ecumenismo con i fratelli ortodossi ha condotto noi cattolici a una migliore conoscenza della spiritualità e della mistica orientale.

Nel contempo noi Europei nella pratica del dialogo interreligioso, abbiamo conosciuto meglio i valori delle religioni e delle mistiche orientali[1] . Tuttavia la cultura europea, di matrice greco-romana, conserva il suo primato sulle altre culture dell’umanità, primato che è dato dalla sua universalità e migliore conoscenza dei valori propri della ragione e del diritto naturale.

Per questo il dogma cattolico e il diritto canonico si valgono delle nozioni elaborate rispettivamente da Aristotele, da Platone e dal diritto romano. La pluralità delle culture non è cosa così relativa e casuale come la pluralità delle lingue: qui infatti l’una vale l’altra, basta tradurre e intendersi e non esiste una lingua modello per le altre.

Non così per la cultura e la filosofia, che non sono fatti convenzionali e contingenti, ma espressioni della natura umana. Anche in ciò l’occamismo purtroppo è deleterio nel confondere il convenzionale col naturale. Qui infatti il paragone da fare non è quello con le lingue, ma quello con la salute fisica. Vi possono essere certo diversi tipi di cure mediche, ma la tachipirina o l’aspirina vale tanto per l’Europeo che per il Cinese che per l’Africano.

Così la ragione qualifica l’uomo come tale, non importa che sia europeo, cinese o africano. Le nozioni-base della mente e del pensiero sono spontaneamente le stesse per tutti gli uomini. Non esistono dunque solo le culture, come credono gli occamisti, ma esiste anche, come c’insegna la Grecia insieme con la Bibbia,  la cultura, alla quale tutti devono accedere, quale che sia il popolo o la nazione alla quale appartiene.

Parlare quindi della cultura greco-romana come della cultura universale non vuol dire imporre una particolare cultura sulle altre, così come il somministrare un dato farmaco a un Africano non è far violenza all’Africano solo perchè quel farmaco è stato inventato in Europa o negli Stati uniti. Ciò peraltro non significa affatto smentire il valore dell’inculturazione; ma allora ci si riferisce a forme particolari di cultura che indubbiamente esistono e vanno rispettate; ma se ne può comprendere il valore e confrontarle tra di loro solo alla luce della cultura e della ragione, proprietà di ogni uomo come tale. È stolto occamismo credere che la diversità delle culture escluda la cultura come tale e che l’ammettere differenti livelli di cultura comporti un imperialismo di una cultura sulle altre.

Se il decreto conciliare Nostra aetate sottolinea l’importanza del fatto che cristiani, ebrei e musulmani adorano lo stesso unico vero Dio, Giovanni Paolo II per il tramite della CDF ricorderà che comunque il cristianesimo, tra tutte le religioni, è l’unica a possedere la pienezza della verità, essendo stato fondato ed essendo guidato dal Figlio di Dio.

Come ho già detto, il Concilio Vaticano I affrontò e risolse una volta per tutte in forma dogmatica il tormentatissimo problema provocato dai protestanti, del rapporto ragione-fede, delimitando da una parre la natura, il potere e i limiti della ragione rispetto alla fede, del rapporto fra ragione e fede, dopo tre secoli durante i quali, a cominciare da Cartesio per passare a Kant e, per arrivare ad Hegel i filosofi idealisti si erano arrabattati attorno alla questione del potere della ragione senza cavare un ragno dal buco dissolvendo il potere della fede  col fare della ragione un idolo e nel contempo  provocando reazioni scomposte ed istintuali, emotiviste ed irrazionaliste fino ad arrivare al volontarismo delirante di Nietzsche

San Giovanni XXIII

Con San Giovanni XXIII assistiamo a una svolta nello stile pastorale dei Papi del secolo scorso. Un modo nuovo di affrontare il mondo moderno. Abbiamo anzi un nuovo concetto di mondo moderno. Parlando dei moderni non ci è più consentito di intendere con questa parola i cartesiani e i loro epigoni idealisti. La modernità è un ampio e diversificato complesso non privo di contrasti, di dottrine, idee, tendenze, teorie, posizioni, quali giuste, quali sbagliate, quali compatibili, quali incompatibili col cristianesimo, quali assumibili, quali non accettabili. Adesso i Papi, senza evitare del tutto le condanne e gli avvertimenti, insistono soprattutto nell’indicarci che cosa c’è di buono nel mondo moderno, nella modernità, negli autori contemporanei, anche non cattolici, anche non cristiani, anche non credenti.

Oggi siamo chiamati a seguire i Papi propositivi, senza per questo dimenticare i Papi combattenti del Concilio di Trento fino al Vaticano I. Data la loro fragilità umana, benché Vicari di Cristo, non si esclude che nei combattenti a volte possa eccedere la polemica, così come nei propostivi il contatto col mondo può essere troppo ottimistico o indulgente.   

I Papi propositori, che iniziano con le nuove dottrine del Concilio Vaticano II, senza rinunciare ad avvertirci di errori vecchi e nuovi, non puntano tanto ad armarci contro le insidie e gli inganni del mondo, quanto piuttosto ci mostrano le prospettive, le visioni nuove e le vie che oggi il mondo ci offre perché lavoriamo con lui e per lui sulle vie di Dio.

Se è vero che il mondo lo ha creato Dio perché l’uomo lo abiti come sua dimora in serena convivenza con i fratelli, nella saggia utilizzazione delle sue risorse, progredendo ogni giorno nella conoscenza delle sue meraviglie, svelandone i riposti misteri, oggi i Papi del postconcilio ci stimolano a guardare ai valori insiti in tutte le religioni, a cercare i valori comuni, che ci affratellano nella solidarietà reciproca e nel comune culto di Dio, a scambiare tra noi e gli altri membri dell’umanità i valori delle rispettive tradizioni e i tesori di sapienza accumulati nel passato dai nostri rispettivi padri.

Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris ci mostra la possibilità e l’auspicabilità di un dialogo e di un incontro fra cattolici e non-credenti su valori di comune interesse concernenti il bene comune temporale e spirituale. In questa condizione di spirito i Papi ci fanno capire che non è escluso un dialogo con la massoneria e una collaborazione su obbiettivi limitati concernenti il bene comune, la libertà religiosa, i diritti dell’uomo, il dominio razionale della natura, l’assistenza alle categorie umane più disagiate e bisognose.

 

Il Concilio Vaticano II

Fu improvvisamente ed inaspettatamente voluto da San Giovanni XXIII non per andare incontro a richieste provenienti dai fedeli, come avvenne col Concilio di Trento, che era stato invocato dai fedeli sin dal sec. XIV per la riforma della Chiesa, ma perché egli stesso si era reso conto della sua necessità, al fine di accontentare quanto di buono c’era nelle istanze dei modernisti, trattati giustamente, ma con troppa severità da San Pio X. Papa Giovanni queste cose non le disse, ma le lasciò chiaramente intendere allorchè si fece guida dei lavori del Concilio.

Il Papa era partito da un progetto semplicemente pastorale: presentare il Vangelo agli uomini d’oggi in un linguaggio a loro comprensibile e con un tono soprattutto propositivo tale da accogliere i valori del pensiero moderno, evitando ogni eccesso di severità, che non era mancato nei Papi del passato, già a partire da Innocenzo III, poi Bonifacio VIII, fino a San Pio V e ai Papi dell’800.

Tuttavia Giovanni XXIII si era reso conto che se Pio X aveva avuto ragione nel condannare gli errori modernistici, non aveva saputo apprezzare le istanze giuste che erano rimaste inevase. Per questo pensò di indire un Concilio, perché la Chiesa facesse proprie quelle istanze e le accogliesse soddisfacendole non nel quadro degli errori moderni, ma alla luce della perenne dottrina della Chiesa in base ad un’attenta analisi del pensiero contemporaneo distinguendo il nuovo accettabile dal nuovo ereticale.

Tuttavia, San Paolo VI, succeduto a Giovanni nella guida del Concilio, volle aggiungere all’aspetto pastorale un aspetto dottrinale, che tenesse conto dei progressi dottrinali che erano stati compiuti da teologi d’avanguardia come Maritain, Congar, Journet, Ratzinger, Daniélou, Pavan, Guitton, Arintero, Joret, Sertillanges, Browne, Nicolas, Fernandez, Parente, Fabro.

Occorreva chiarire la la dignità della persona, uomo e donna in rapporto alla società, la natura e i fini della Chiesa e della rivelazione, i ministeri del Papa, del vescovo e del sacerdote, approfondire il valore della liturgia, della mariologia, della vita religiosa e laicale, della cultura, del matrimonio e della famiglia e dell’escatologia, migliorare l’attività missionaria, fondare i princìpi della libertà religiosa, del dialogo ecumenico ed interreligioso. Il Concilio raccomanda San Tommaso come guida negli studi teologici (Optatam totius, 16 e Gravissimum educationis, 10).

Paolo VI volle che il Concilio abbandonasse lo stile giuridico, sentenziario, canonistico con relativo anàthema sit dei precedenti Concili ed assumesse uno stile certamente assertorio, ma espositivo ed argomentato, tale per cui si doveva capire che si tratta di dottrina definitiva, benché non esplicitamente definita come nel grado massimo dell’autorità dottrinale. E da che cosa lo si capiva? Dal semplice esame della materia trattata, in quanto materia di fede o connessa con la fede.

Quando una materia è certamente di fede, affinchè l’accettiamo per fede, non c’è bisogno che la Chiesa dica che è di fede, se non per i duri d’orecchio e tardi ad intendere. Il credente intelligente che sa distinguere il razionale dal rivelato, quando si accorge che una frase di Cristo o di un Concilio o di un Papa non è alla semplice portata della ragione, deduce con totale certezza che è di fede o prossima alla fede, anche se la Chiesa non la definisce come tale mettendo in campo il dogma dell’infallibilità pontificia.

Così il Concilio possiede molte dottrine nuove che non sono altro che l’esplicitazione di dogmi precedentemente definiti o del patrimonio della Tradizione o di certi insegnamenti della Scrittura. Si tratta di nuove e più progredite dottrine in perfetta linea e continuità[2] col Magistero precedente, con la Tradizione e la Scrittura. Parlare, come fanno i lefevriani e i modernisti, di «rottura» è una menzogna, che testimonia o che non si è capito ciò che la Chiesa diceva prima o ciò che la Chiesa insegna nel Concilio.

Nello stesso tempo, grazie alla prudenza di Giovanni XXIII, il Concilio ha confutato l’ateismo in modo così persuasivo, che la sua parola profetica ha scosso la coscienza del popolo russo risvegliando la sua antica fede cristiana, secondo la profezia della Madonna di Fatima.

San Paolo VI

Con l’enciclica Ecclesiam suam del 1964 San Paolo VI ha dettato le regole del dialogo. L’osservazione che si può fare è l’impressione che in questa enciclica il Papa. nel voler reagire all’eccessiva combattività dei Papi del preconcilio, si lasci prendere da un eccessivo ottimismo nei confronti degli uomini del nostro tempo, come se questi fossero tutti di buona volontà e di nient’altro desiderosi che della verità. Da qui l’assenza dall’enciclica di qualunque accenno ai tradizionali metodi della confutazione, dell’ammonimento, dell’avvertimento e del rimprovero. Pare che tutto possa risolversi con una pacata e piacevole conversazione come potrebbe fare un gruppo di amici di vecchia data.

Importante fu l’incontro di Paolo VI col Patriarca ortodosso e di Costantinopoli Atenagora nel 1964, in occasione del quale essi si tolsero reciprocamente la scomunica. Certo, un bel gesto di carità, che tuttavia non ha condotto affatto Costantinopoli ad accettare il Filioque nel Credo. Quindi questi fratelli restano scismatici, anche se i rapporti con loro sono diventati più cordiali e permane e fiorisce il dialogo.

Il Papa dovette intervenire nel 1969 per far correggere da una Commissione cardinalizia il Catechismo olandese, contenente numerose eresie legate ad un’interpretazione modernistica delle dottrine del Concilio.

Importante è la raccomandazione della dottrina di San Tommaso fatta nella Lettera al Padre Vincenzo de Couesnongle, Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori il 20 novembre 1974.

Nel campo della liturgia, i Papi del postconcilio ci propongono, col nuovo rito della Messa, una Messa che mette in evidenza i fattori ecumenici piuttosto che le differenze che la oppongono ai riti dei fratelli non-cattolici. La Messa è l’espressione massima, sotto forma ritualistica e sacramentale, dell’unità della Chiesa ai piedi di Cristo crocifisso e risorto, che si offre al Padre per le mani del ministro per la remissione dei peccati e la salvezza dell’umanità.  

Per questo la riforma del rito della Messa ha voluto avvicinare il più possibile il rito cattolico ai riti dei nostri fratelli protestanti ed ortodossi. Nel contempo la Messa vetus ordo ci ricorda i tempi della differenziazione e può servire appunto e ricordare gli errori liturgici dei fratelli separati, cosa utile in quanto capita che la Messa novus ordo venga celebrata in forme dissonanti dalle norme dell’attuale liturgia, con concessioni illecite ai riti non-cattolici.

La serie dei Papi propositivi ha fatto cessare l’antica tradizione dei Papi italiani ancora presente nei Papi combattivi della modernità. Forse che mentre gli italiani andavano meglio come Papi censori, e invece come Papa del dialogo andrebbe meglio un non italiano? Il Papa polacco è stato un segno dei tempi. Ai tempi di Stalin certamente un Papa polacco non sarebbe stato possibile. Era il segno che ormai l’Unione Sovietica era alla fine. E questa fine fu proprio facilitata dalla prudenza con la quale il Concilio ha trattato del problema dell’ateismo.

Anche se il Concilio non ha nominato il comunismo, il riferimento ad esso era evidente. L’internazionalizzazione della Curia romana, perseguìta dagli ultimi Papi è certo in sé un’ottima cosa: tuttavia scegliere un Vescovo dall’Alaska o dalla Nuova Zelanda o dalla Terra del Fuoco serve poco, anzi è dannoso, se poi questo Vescovo si è formato a Roma alla Gregoriana o in Germania sotto l’influsso di Rahner. Meglio scegliere un parroco della periferia di Roma ma fedele a San Tommaso e al Magistero della Chiesa.

San Giovanni Paolo II

Ricchissimo è l’insegnamento dottrinale di San Giovanni Paolo II. Cito qui soltanto alcuni dei documenti più importanti. Del 1979 è la Redemptor hominis, la proposta di vivere il mistero di Cristo redentore nel nostro tempo; l’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentiae del 1984 ci ricorda il nostro dovere di espiare le nostre colpe con opportune opere di penitenza.  È del 1986 l’enciclica Dominum et vivificantem dedicata all’opera dello Spirito Santo nella storia, nelle anime e nell’umanità. Del 1988 è a Lettera apostolica Mulieris dignitatem dedicata alla dignità della donna e alla sua missione nella Chiesa e nella società.

La grande enciclica Veritatis splendor del 1993 è una magnifica esposizione dei princìpi, dei contenuti e dei metodi dell’etica naturale e cristiana ed una rigorosa confutazione dell’etica filoprotestante di Karl Rahner.

L’enciclica Evangelium vitae del 1995 ci ricorda come tutta l’etica cristiana si riassume nella promozione, nella difesa e nel miglioramento della vita del corpo e dello spirito. L’enciclica Ecclesia de Eucharistia del 2003 illustra come l’Eucaristia celebrata nella Messa dal sacerdote in unione con i fedeli edifica la Chiesa e nasce nella Chiesa come partecipazione al mistero di Cristo crocifisso e risorto.

La poderosa enciclica Fides et ratio del 1998 riprende la dottrina del Concilio Vaticano I e la amplia con gli apporti della teologia successiva su questo tema basilare della teoresi umana e cristiana. In essa è sottolineata l’importanza della metafisica come strumento della teologia e come base della morale.

Un grande merito storico di Giovanni Paolo II è quello di essere riuscito in collaborazione con l’abilissimo Card. Casaroli Segretario di Stato, ad ottenere per via pacifica lo scioglimento dell’Unione Sovietica, regime totalitario e terroristico che per 70 anni aveva sobillato numerosi paesi del mondo spingendoli ad un’opera sovversiva di liberazione sotto il segno del materialismo, dell’ateismo e della violenza.

Il 1989 segnò il ritorno della Russia alla democrazia e alla religione degli avi, quasi la realizzazione della profezia della Madonna a Fatima, anche se certo non fu un ritorno alla comunione col Papa, ma solo una ripresa della Terza Roma. Che cosa vale però questa Terza Roma lo stiamo vedendo oggi nella tragedia dell’Ucraina, dove sembra essere tornata la crudeltà dello stalinismo. Ma Papa Francesco non abbandona la speranza di poter indurre il Patriarca Cirillo a pensieri di pace.

Da segnalare il discorso fatto in raccomandazione della dottrina di San Tommaso il 29 settembre 1990 ai partecipanti al IX Congresso tomistico internazionale.

Atto importante del pontificato di Giovanni Paolo II è stata la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Esso corregge il Catechismo olandese, che, privo delle correzioni, è rimasto il Catechismo dei modernisti. Esso supera il Catechismo di S.Pio X, arricchendolo degli approfondimenti dottrinali successivi e confermandolo nella dottrina da esso insegnata. Inoltre il nuovo Catechismo è una confutazione del Corso fondamentale sulla fede di Rahner, corso che è un’esposizione della fede cristiana ispirata all’idealismo hegeliano e all’esistenzialismo heideggeriano.

Nel campo dell’etica sessuale è importante l’ampliamento ed innalzamento di visuale proposto da Giovanni Paolo con la sua proposta di considerare il senso dell’unione dell’uomo con la donna non solo alla luce del c.1 del Genesi che prospetta la finalità procreativa e quindi terrena, ma anche alla luce del c.2, al di là dei confini attuali della natura decaduta, prospettante la finalità unitiva propria della risurrezione.

Congiuntamente a tale prospettiva il Papa ricorda la pari dignità di natura e di persona fra uomo e donna, già a suo tempo definita da Pio XII, precisando la loro reciprocità spirituale, che sta alla base dell’unione unitiva.

Importanti sono inoltre i documenti che il Papa slavo ha dedicato ai fondatori della cristianità europea slava orientale Cirillo e Metodio, nonchè al millennio del Battesimo di Kiev nel 988, documenti profetici utilissimi per comprendere le radici storiche dell’attuale conflitto russo-ucraino e il modo di trovare la pace.

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 giugno 2023


Se con San Giovanni XXIII assistiamo ad una svolta nello stile pastorale dei Papi e nel loro atteggiamento nei confronti della modernità, questa svolta era già stata preparata dai Papi precedenti.

Con San Giovanni XXIII assistiamo a una svolta nello stile pastorale dei Papi del secolo scorso. Un modo nuovo di affrontare il mondo moderno. Abbiamo anzi un nuovo concetto di mondo moderno.

Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris ci mostra la possibilità e l’auspicabilità di un dialogo e di un incontro fra cattolici e non-credenti su valori di comune interesse concernenti il bene comune temporale e spirituale.

Immagine da Internet: San Giovanni XXIII


[1] Cf l mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESD, Bologna 2002; La mistica. Fenomenologia e riflessione teologica, a cura di Ermanno Ancilli e Maurizio Paparozzi, 2 voll., Città Nuova Editrice, Roma 1984.

[2] Cf il mio libro Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-Concilio, Edizioni Fede&Cultura,Verona 2011.

6 commenti:

  1. Caro Padre,volevo porle una domanda: i Papi propositivi, rispetto a quelli combattenti, cercano, giustamente, di trovare i punti di contatto che ci possono essere con le altre religioni o filosofie. Premettendo che non ho alcun dubbio sulla infallibilità papale, mi chiedo se a volte non sia successo di andare un po' oltre; mi riferisco soprattutto all'increscioso caso della pacha mama. Comprendo che i Papi ci confermano nella fede tramite i loro magistero, ma mi chiedo se non dovrebbero farlo anche con il loro comportamento pubblico. Non le dico il dispiacere nel vedere il Papa partecipare a un rito pagano in Vaticano. Quanti fedeli saranno rimasti confusi?
    La saluto e la ricordo nelle preghiere,
    Giuseppe

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    1. Caro Giuseppe,
      sappiamo come l’episodio di Pachamama abbia creato delle difficoltà, ma d’altra parte anche i Papi, in fatto di pastorale, non mancano di difetti.
      E così, come noi notiamo difetti nei Papi propositivi, ne troviamo altri, di segno opposto, nei Papi combattenti.
      In ogni caso, chi ha accusato Papa Francesco di idolatria, gli ha fatto una ingiuria gravissima.
      Semmai Papa Francesco avrebbe potuto trattare l’argomento in modo esteso, perché esso si presta ad alcune distinzioni, come per esempio un conto è considerare Pachamama come una immagine della madre natura, creata da Dio, e un conto è considerarla come madre natura in un senso idolatrico.

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    2. Riguardo ai problemi delle espressioni magisteriali di Papa Francesco che in questi undici anni ci è stato difficile cercare di comprendere in linea con il Magistero precedente, nel mio caso personale, c'è stato un momento in cui è stato il più difficile di tutti, e confesso che non riesco ancora a spiegarlo completamente.
      È accaduto non in una casuale espressione del Papa, ma in un documento importante, la costituzione apostolica Vultum Dei Quarere del 22 luglio 2016, dove al suo numero 3 il Papa sembra negare quanto affermato dalla Lumen Gentium numero 44 (in linea con il Magistero precedente), sulla vita religiosa come via migliore per raggiungere la salvezza.
      Lumen Gentium 44 dice: "Il fedele […] per poter raccogliere un frutto più copioso della grazia battesimale, con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intende liberarsi dagli impedimenti, che potrebbero ritardarlo nel fervore della carità e nella perfezione del culto divino e si consacra più intimamente al servizio di Dio".
      E Papa Francesco dice: "Le comunità di oranti […] non propongono una realizzazione più perfetta del Vangelo".
      Entrambe le affermazioni sono dottrinalmente contraddittorie.
      Fortunatamente, e grazie alla lettura di dotti teologi, il primo dei quali è stato padre Giovanni Cavalcoli, ho potuto mantenere viva la mia fede nell'infallibilità pontificia applicata al magistero di papa Francesco. Ma nel caso particolare che ho citato, i miei dubbi rimangono ancora...

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    3. Caro Alessandro,
      per capire che cosa vuole dire il Papa, bisogna inserire la frase nel contesto del paragrafo 4, che è il seguente:
      “… Le comunità di oranti, e in particolare quelle contemplative, «che nella forma della separazione dal mondo, si trovano più intimamente unite a Cristo, cuore del mondo», non propongono una realizzazione più perfetta del Vangelo ma, attuando le esigenze del Battesimo, costituiscono un’istanza di discernimento e convocazione a servizio di tutta la Chiesa …”.
      https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20160629_vultum-dei-quaerere.html
      Il Papa distingue quello che è lo stato di vita dall’obbligo universale della realizzazione del Vangelo e intende dire che tutti sono obbligati a mettere in pratica il Vangelo.
      Lo stato di vita superiore delle monache, “più intimamente unite a Cristo”, non è dato quindi dal fatto che esse realizzino il Vangelo meglio dei laici, ma è dato dal fatto di un maggiore impegno nella realizzazione del medesimo Vangelo.
      Questa è una dottrina tradizionale, che si trova per esempio in San Tommaso d’Aquino.

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  2. Caro padre Giovanni:

    "...la Messa vetus ordo ci ricorda i tempi della differenziazione e può servire appunto e ricordare gli errori liturgici dei fratelli separati, cosa utile in quanto capita che la Messa novus ordo venga celebrata in forme dissonanti dalle norme dell’attuale liturgia, con concessioni illecite ai riti non-cattolici".

    Con tutto il rispetto, Padre, mi chiedo se questo sia il modo migliore per esprimersi.
    Vi capisco perfettamente che, sul PIANO TEORICO, il vetus ordo (Messale del 1962) sottolinea (in modo combattivo) le differenze della Messa cattolica rispetto alla Cena luterana.
    Tuttavia, l'espressione da Lei espressa può generare fraintendimenti nel PIANO PASTORALE, perché sembrerebbe supporre che il vetus ordo (Messale del 1962), possa essere ANCORA una via pastoralmente percorribile per rimediare agli abusi che (infatti, non de iure) sono commesse nel novus ordo (Messale del 1970).
    È vero che qualche altro futuro Papa potrebbe commettere l'imprudenza di Benedetto XVI di spingere i pasadisti a un parallelismo liturgico tra vetus ordo e novus ordo. Ma il fatto è che oggi il Messale del 1962 è abrogato, e quindi non può essere "utile" per combattere pastoralmente gli abusi che alcuni commettono usando il Messale del 1970.
    Mi sento molto convinto di quello che dico. Tuttavia, per favore, non aver paura di correggermi duramente se comprendi ciò che sto dicendo in contrario. Grazie.

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    1. Caro Pierino,
      innanzitutto lo stesso Papa Francesco permette ancora l’uso del Messale del 1962, secondo le modalità richieste dal Motu Proprio Traditionis Custodes.
      In secondo luogo, non intendo dire che il vetus ordo pone un freno agli abusi che si commettono riguardo al novus ordo. Ma mi sono limitato a dire che il vetus ordo evidenzia il contrasto con la Cena luterana.
      E’ chiaro che gli abusi relativi al novus ordo si correggono semplicemente con una corretta celebrazione del medesimo novus ordo, secondo il Messale del 1970 e le successive modifiche volute dai Papi, fino a Papa Francesco.

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