Il Male - Parte Seconda (2/5)

 Il Male
 
Parte Seconda (2/5) 
 
Male di pena e male di colpa.

Il male in genere può essere causato sia dalla mancanza della forma o di una parte di essa, sia dal difetto nell’operazione o perché quest’ultima non c’è quando deve esserci (omissione) o perché non osserva il modo e l’ordine dovuto (commissione). In un modo del tutto particolare il male riguarda la volontà perché il bene al quale il male si oppone come sua privazione è l’oggetto proprio della volontà intesa come appetito intellettivo. Infatti, tutte le cose si muovono al bene e al fine, ma solo l’agente dotato di volontà si muove al bene secondo un principio intrinseco e secondo la ragione formale del bene non considerando solo la cosa buona, ma ciò per cui essa è buona.

Così il male, considerato nel suo rapporto alla volontà, acquista una dimensione nuova. Anche qui il male consisterà nella mancanza della forma o dell’integrità di una cosa e allora si chiamerà male di pena, oppure nel difetto di un’operazione volontaria e allora si chiamerà male di colpa. La pena infatti ha la proprietà essenziale di essere contraria alla volontà e questo è il difetto della forma o dell’integrità di una cosa.

Nessuno vuole di per sè il difetto nella realtà delle cose e perciò esso è sempre contrario alla volontà e ha ragione di pena. Il difetto dell’operazione volontaria invece si chiama colpa, perché si imputa come colpa ciò che avviene in un modo difettoso nelle azioni di cui si è padroni. Il male rispetto alla volontà umana assume così la dimensione nuova di colpa e di pena[1]. La colpa consiste nel male morale, la pena nel male fisico[2], ma come riferimento al male morale del peccato come punizione di esso.

          Il male è universalmente realizzato nella colpa e nella pena. La colpa ci rende semplicemente cattivi, mentre la pena causa in noi un difetto sotto un determinato aspetto. Il bene umano consiste nell’atto umano perché il bene in genere consiste più nell’atto che nella potenza. Ora, l’atto umano è l’operazione volontaria e l’uso volontario delle cose esterne[3] ed è proprio qui che si verifica il male di colpa per privazione del bene dovuto e perciò il male di colpa causa il male simpliciter. La pena invece è un difetto nelle cose esterne[4] che sono l’oggetto dell’uso volontario e perciò non è nell’atto ultimo nel quale si realizza la piena ragione del bene e per conseguenza il male di pena, essendo privazione di un bene imperfetto, è un male solo secundum quid [5].

          La pena è un male che riguarda la privazione del bene in colui che viene punito; la colpa invece è la privazione di quel bene che consiste nel retto ordine a Dio come fine ultimo della vita umana[6].  Si potrebbe dire che il male di pena è più immanente al soggetto in cui si trova privandolo di un bene in ordine a se stesso, mentre il male di colpa è più trascendente perché priva il soggetto in cui si trova dell’ordine finale dovuto verso un fine distinto da esso e in ultima analisi verso un fine assoluto ed infinito, il fine ultimo che è Dio.

          La pena è piuttosto una passività, un male subìto, è la sofferenza; mentre la colpa è nell’operazione di un agente volontario, è un atto perpetrato da esso[7]. Il male di colpa come piena ragione di male in un soggetto volontario precede il male di pena nel medesimo soggetto, perché il bene si dice per ordine al fine e quindi anche il male che ne è la privazione, riguarda in primo luogo il fine, il quale a sua volta muove l’agente ad agire e perciò riguarda prima l’azione dell’agente e solo in un secondo luogo anche la sua passione, causata da lui stesso o da un altro agente.

          Il male dell’agente, che è il male di colpa, precede perciò il male di pena, che è il male del medesimo soggetto come paziente,. Il male di colpa riguarda l’azione, il male di pena riguarda la passione, la sofferenza, il fatto di dover subire un male. La pena a sua volta può seguire immediatamente alla colpa o può provenire da un altro agente, ma in un modo tale che secondo l’ordine della provvidenza possa essere considerato come punizione per colpa commessa in precedenza. Il peccato come colpa è immediatamente seguito dalla pena che consiste nella sottrazione della grazia. L’azione criminale, che è una colpa, è conseguentemente punita secondo la sentenza del giudice. Nel primo caso lo stesso agente causa la colpa e la pena; nel secondo caso invece un agente causa la colpa e un altro è all’origine della punizione.

          La ragione formale, piena e perfetta del male si realizza nella colpa e solo indirettamente e ristrettamente si verifica anche nella pena. E’ proprio per questo che la volontà divina ha un ordine diverso al male di pena e al male di colpa. Il male di pena è sempre un male della creatura, sia che si tratti di una privazione del bene creato (ad esempio della vista nella cecità), sia invece che si tratti di una privazione del bene increato (ad esempio della visione beatifica nei dannati).

           Invece il male di colpa riguarda formalmente e direttamente il bene increato non come può essere partecipato dalla creatura, ma come è in se stesso. Ne segue che Dio può volere direttamente il male della pena, ma non vuole mai direttamente il male della colpa. Se infatti Dio volesse il male di colpa direttamente, entrerebbe in contraddizione con Se Stesso e con la sua bontà[8]. Questa considerazione ha una notevole importanza nella soluzione del problema della causa del male da parte della volontà divina. Dio vuole permettere la colpa senza volerla direttamente (non vi è una predestinazione al peccato come pensava Calvino), ma vuole direttamente la pena non in se stessa ma come punizione per la colpa (la riprovazione può essere voluta da Dio ma solo dopo la prescienza dei demeriti, cioè delle colpe).

Il male si divide in male di natura e nel male di ordine morale. Il primo si verifica negli esseri privi di intelletto, il secondo invece consiste propriamente nel difetto di un soggetto dotato di intelletto e di libera volontà. Il male morale a sua volta si realizza pienamente nel disordine della volontà, che è la colpa, e in qualche modo anche nel male fisico ordinato però al male morale come punizione per la colpa, che è il male di pena.

Tanto negli agenti volontari quanto in quelli naturali si trova il male dell’agente e dell’azione, ma l’ordine di questi mali tra loro è diverso secondo il tipo di agente in questione. Negli agenti naturali infatti dal male dell’agente segue il male dell’azione, mentre negli agenti volontari dal male dell’azione segue il male dell’agente, cioè dalla colpa segue la pena. La colpa è voluta dal peccatore (almeno da parte della conversione disordinata ad un bene particolare), mentre la pena è in contrasto con la sua volontà. Perciò la colpa consiste in un’azione o nell’omissione di un’azione, mentre la pena consiste nel subire passivamente[9].

Il male dell’azione, negli agenti volontari è il male di colpa; esso è attivo e conforme alla volontà disordinata; invece il male dell’agente, negli esseri volontari è il male di pena; è un male passivo e contrasta con la volontà del soggetto che lo subisce. È molto importante l’osservazione di San Tommaso che negli agenti naturali il male dell’azione segue al male dell’agente[10], mentre negli agenti volontari il male dell’azione precede il male dell’agente[11], perché mette in rilievo la novità della volontà libera rispetto ad altri agenti, le cui azioni si svolgono secondo una forma determinatistica.

La volontà non è determinata e perciò l’azione che ne segue non è destinata ad essere difettosa secondo un difetto precedente nell’agente stesso, mentre negli agenti naturali l’azione è strettamente legata ad una forma determinata[12] e perciò il difetto dell’azione dev’essere preceduto da un difetto nella causa efficiente prossima.

Ma la volontà, pur essendo qualcosa di nuovo rispetto agli agenti naturali, in quanto è indeterminata nel dominio della sua scelta, a sua volta fa parte di una natura che è quella del suo soggetto e perciò il male morale si riflette[13] anche sul male “naturale”, penale, dell’agente. La volontà si presenta ancora una volta nella sua struttura “analogica” avendo qualcosa in comune con gli agenti naturali e presentando anche degli aspetti assolutamente diversi e nuovi. La novità della volontà è però coinvolta nella sua caratteristica di essere un agente dotato di una natura (che è appunto quella della volontà) e questa subordinazione di due aspetti diversi[14] nella volontà, la mette in una relazione molto complessa nei confronti di Dio, sia per quanto riguarda il peccato, sia per quanto riguarda la remissione del peccato nella giustificazione.

La volontà sotto questi due aspetti diversi potrà essere causa prima e casa seconda: causa prima della moralità formale dell’atto (nel peccato sarà causa prima deficiente del disordine della colpa); causa seconda della natura materiale[15] dell’atto (lo stesso atto materiale del peccato sotto il suo aspetto strettamente fisico[16] dipenderà direttamente da Dio nella premozione fisica[17]).

L’osservazione di San Tommaso a proposito del male di colpa e del male di pena ci fa capire come la complessa struttura della volontà gli permette di affermare una posizione molto sfumata dell’uomo come agente libero davanti alla causalità efficacissima e determinante di Dio, causa prima che causa ogni bene senza causare la ragione formale del male soprattutto nella sua piena espressione del male morale nella colpa.

Questo atteggiamento di San Tommaso, il suo senso per l’unità e per la differenza delle cose nell’ambito di una struttura analogica oppure, per usare un termine di B. Lakebrink “analettica”, sarà alla base della sua meravigliosa soluzione dell’incontro tra la libertà umana e la causalità divina, sia nel male che l’uomo fa per “sfuggire” a Dio, sia nel bene che Dio fa per portare a Sé l’uomo smarrito nel peccato e per riabbracciarlo come il Padre che accoglie il suo figlio.

                             

Il posto del male nel bene dell’universo.

         

Per spiegare bene in che modo Dio può permettere e volere il male, San Tommaso insiste sul  posto del male nell’universo. Abbiamo già potuto constatare che il male non è mai assoluto né totale ed universale, ma soltanto particolare. Per conseguenza, come una realtà parziale, può e dev’essere inserito in un insieme più vasto che è il bene comune dell’universo. In questa prospettiva, collocato nell’insieme di tutte le realtà create, il male, che in se stesso è soltanto un male e nient’altro, può assumere altre dimensioni e può perfino apparire come un bene almeno in qualche modo. Il Santo Dottore parla del male in genere come di una privazione del bene, senza specificare ancora la distinzione tra male morale e male di natura e afferma che l’esistenza di esseri capaci di un difetto di qualsiasi ordine è buona[18] e ordinata al bene dell’universo, anche se il difetto preso in se stesso non lo è.

Ora, un tutto esige la presenza di tutte le sue parti e la sua perfezione consiste proprio in questo. Così anche l’insieme dell’universo esige la presenza di tutti i gradi di perfezione che ovviamente sono diversi e quindi vi saranno parti più perfette e meno perfette in esso, ma anche la presenza delle parti meno perfette viene a contribuire alla perfezione del tutto. Il Santo Dottore fa corrispondere ai gradi del bene e della perfezione i gradi dell’ente secondo la convertibilità trascendentale tra ente e bene. Ora, come vi sono degli enti incorruttibili ed altri corruttibili e quindi meno perfetti e tutti insieme fanno la perfezione dell’universo, così la diversità dei gradi di perfezione che implica la presenza di parti defettibili nel suo insieme crea una realtà perfetta nel suo proprio ordine[19].

E’ importante notare che per San Tommaso la defettibilità potenziale è un vero e proprio “gradus bonitatis”, anche se ad essa segue talvolta il difetto attuale. Vi sono delle nature particolari che per la loro stessa essenza hanno questa proprietà di poter venire meno e così la loro defettibilità  essendo loro propria per natura costituisce una perfezione, anzi, un ente corruttibile privato della sua corruttibilità sarebbe imperfetto nel suo ordine, perché gli mancherebbe qualcosa di ciò che gli è proprio.

Ancora una volta ritorna la stima immensa che l’Aquinate dimostra nei confronti di ogni natura nel suo proprio ordine. Si può quindi dire che gli enti corruttibili, in quanto per natura tali, sono buoni, perché la loro natura è buona, anche se poi la corruzione o il difetto attuale è un male. In questo modo anche le perfezioni minori contribuiscono alla perfezione dell’universo e comunicano con le perfezioni più alte nella stessa ragione comune di bontà e di perfezione, anche se questa si verifica in gradi ben distinti e diversi secondo la proprietà di ogni natura particolare. Come l’ente anche la perfezione e il bene sono realtà analogiche, “analettiche”.

          Ovviamente, per evitare equivoci, bisogna precisare che il male attuale non è direttamente ordinabile al bene dell’universo, ma lo è potenzialmente, nella potenza del suo soggetto, il quale pur essendo defettibile, è buono[20].

          Così Dio vuole direttamente la defettibilità potenziale in quanto è propria di una determinata natura e non impedisce che essa talvolta venga meno di fatto. Così l’universo è buono come un tutto, anche se non lo è necessariamente quanto alle sue singole parti, ma anche queste sono buone nella loro natura particolare, che Dio conserva e promuove nel suo stesso ordine[21]. Così la provvidenza divina ordina i singoli difetti al bene dell’universo intero. Ora, quando il Santo Dottore afferma che Dio ed ogni agente intendono produrre il meglio nel tutto, con questo non vuole insegnare una determinazione “morale” della volontà di Dio alla scelta del “miglior mondo possibile”  (Leibniz), perché tra la somma perfezione di Dio e la più perfetta creatura vi è sempre un’infinità di gradi di perfezione possibili e perciò non vi è oggettivamente qualcosa come il “migliore dei mondi”, ma il senso di questa affermazione secondo cui Dio produce il meglio nell’insieme dell’universo è che nell’ordine dell’universo liberamente creato da Dio, il Creatore produce ciò che c’è di meglio, ma sempre nel suo ordine, senza escludere la possibilità di un universo diverso da quello attuale e possibilmente “migliore”. Le singole parti poi non sono “migliori” prese in se stesse, appunto perché debbono realizzare anche gradi di perfezione minore, ma sono migliori in ordine al tutto, perché la ricchezza dei gradi di perfezione, compresi gli enti defettibili, è la perfezione del tutto.

          In questo contesto ci si può chiedere in che modo Dio causa il male. Un agente che produce una forma operativa defettibile, produce anche il difetto. Dio intende principalmente il bene dell’universo  e siccome questo bene racchiude la defettibilità di talune delle sue parti, Dio volendo il bene del tutto indirettamente e accidentalmente (ex consequenti) vuole anche la defettibilità delle nature defettibili e non impedisce il difetto attuale. Dio causa perciò il male della natura accidentalmente ed indirettamente intendendo di per sè il bene dell’universo e il male di qualche parte di esso solo in quanto è ordinato al bene dell’insieme.

          Così l’uomo saggio e prudente agisce permettendo il male minore per un bene maggiore e la stessa sapienza e prudenza infallibili di Dio non impediscono certi mali particolari per non impedire il bene comune ed universale di tutto il mondo creato. Dio vuole e causa il male accidentalmente, non per se stesso ed in se stesso[22].

          Oltre al male della natura Dio vuole permettere il male di colpa, il male morale nel senso stretto. Qui la sua causalità non è solo accidentale, ma è anche strettamente indiretta e cioè soltanto permissiva. Anche la defettibilità della volontà creata fa però parte del bene dell’universo, ma il difetto attuale che ne segue, essendo una negazione totale dell’ordine al fine ultimo, non è più ordinabile al bene dell’universo e quindi non può essere né voluto né causato, ma solo permesso e non impedito da parte di Dio.

La volontà di Dio e la permissione del male.

Dio vuole ogni cosa in quanto è buona; di volontà antecedente[23] vuole solo il bene, di volontà conseguente vuole anche il male[24]. Dio può volere il male solo per accidens, cioè in quanto è ordinabile al bene dell’universo e così è voluto a causa del bene aggiunto ad esso. Il male poi deve essere ordinato ad un bene maggiore del bene che è tolto da esso e perciò se il male toglie un bene più grande del bene dell’universo, un tale male non può essere voluto in nessun modo da Dio.

            Ora, il male di colpa si oppone direttamente al bene divino come è in se stesso e così esclude anche il bene dell’universo ordinato per natura sua a Dio come al suo fine ultimo. Ne segue che il male di colpa, in quanto è una privazione di tutto l’ordine a Dio come fine ultimo, non è ordinabile al bene dell’universo e quindi non può essere voluto in nessun modo da Dio[25].

Ci si deve allora chiedere quale sia il rapporto tra la volontà e l’azione divina da una parte e del peccato dell’uomo dall’altra. Può la realtà del peccato sfuggire alla volontà divina alla quale ogni realtà come tale deve essere sottomessa? Evidentemente si deve affermare tanto che Dio non vuole il male della colpa, quanto che anche il male della colpa come una realtà è sottomesso in qualche modo alla sua volontà assoluta e sovrana. Ora, San Tommaso osserva che le due proposizioni, cioè il “volere che vi sia il male” e il “volere che non vi sia il male” non sono contraddittorie, perché sono entrambe affermative; sarebbero però contraddittorie le proposizioni delle quali una affermasse ed una negasse l’esistenza del male[26].

Perciò la volontà divina non è legata al volere che vi sia o che non vi sia il male come ad un’alternativa assoluta, che non permette un’altra possibilità. Perciò Dio non vuole né che il male vi sia né che non vi sia, ma vuole permettere[27] che vi sia il male. Nei confronti del male di colpa la volontà di Dio è soltanto permissiva e una tale volontà anche se ha per oggetto la permissione del male è buona. La permissione a sua volta non è solo un non porre impedimenti, ma è una volontà precisa di permettere[28].

Il male di colpa non è oggetto della volontà divina direttamente, ma lo è attraverso la permissione che a sua volta è oggetto della volontà. Dio perciò non vuole il male di colpa e allo stesso tempo vuole permetterlo. Se volesse il male di colpa, sarebbe l’autore del peccato, il che è impossibile; se non volesse nemmeno permetterlo, allora vi sarebbe una realtà al di fuori della permissione divina e anche questo è impossibile. Dio quindi esclude la colpa e allo stesso tempo la permette. Il primo atteggiamento è quello che riguarda la colpa in astratto e così si parla della volontà antecedente perché precede l’esistenza concreta della colpa. Il secondo atteggiamento, quello della permissione del peccato, è invece chiamato volontà conseguente, perché riguarda il peccato in concreto, nella sua esistenza reale in colui che volontariamente pecca[29].

La volontà conseguente è perciò quella che riguarda il dato concreto e reale, ciò che veramente avviene. San Tommaso dice addirittura che “accoglie la condizione della creatura” il che potrebbe suggerire un’idea assai “molinistica” di una volontà divina dipendente dalla decisione del libero arbitrio creato. Questa interpretazione però non si può conciliare con l’insegnamento comune di San Tommaso. Il significato dell’espressione “accoglie la condizione della creatura” è perciò diverso. Infatti la volontà conseguente non permette il peccato in coloro che hanno la volontà di non peccare, ma il fatto stesso che abbiano una volontà così ben disposta è un effetto della volontà e dell’azione divina su di loro, senza la quale nulla di buono può essere prodotto nella creatura. Dio permette il peccato invece in coloro che per colpa propria non hanno la volontà di non peccare ed un tale difetto è da attribuirsi unicamente alla loro scelta libera deficiente, la quale allora, come deficiente, assume il ruolo della causa prima.

La buona volontà di non peccare è effetto della volontà e dell’azione divina; la cattiva volontà di peccare è invece unicamente l’effetto di se stessa e della conseguente permissione divina. Il fatto che la permissione del male sia condizionata non toglie nulla al fatto che la volontà del bene da parte di Dio sia perfettamente incondizionata da qualsiasi qualità della volontà creata.

Fine Seconda Parte (2/5)

A cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Fontanellato, 2 Gennaio 2023

Il male si divide in male di natura e nel male di ordine morale. Il primo si verifica negli esseri privi di intelletto, il secondo invece consiste propriamente nel difetto di un soggetto dotato di intelletto e di libera volontà.

L’osservazione di San Tommaso a proposito del male di colpa e del male di pena ci fa capire come la complessa struttura della volontà gli permette di affermare una posizione molto sfumata dell’uomo come agente libero davanti alla causalità efficacissima e determinante di Dio, causa prima che causa ogni bene senza causare la ragione formale del male soprattutto nella sua piena espressione del male morale nella colpa. 

Questo atteggiamento di San Tommaso, il suo senso per l’unità e per la differenza delle cose nell’ambito di una struttura analogica oppure, per usare un termine di B. Lakebrink “analettica”, sarà alla base della sua meravigliosa soluzione dell’incontro tra la libertà umana e la causalità divina, sia nel male che l’uomo fa per “sfuggire” a Dio, sia nel bene che Dio fa per portare a Sé l’uomo smarrito nel peccato e per riabbracciarlo come il Padre che accoglie il suo figlio.

 Immagine da Internet: Volti (Maddalena, Caravaggio)


[1] Cfr. Summa Theologiae I, q.48, a.5 c.a.: “Contingit ergo malum esse dupliciter. Uno modo, per subtractionem formae, aut alicuius partis, quae requiritur ad integritatem rei … Alio modo, per subtractionem debitae operationis; vel quia omnino non est; vel quia debitum modum et ordinem non habet. Quia vero bonum simpliciter est obiectum voluntatis, malum, quod est privatio boni, secundum specialem rationem invenitur in creaturis rationalibus habentibus voluntatem. Malum igitur quod est per subtractionen formae vel integritatis rei, habet rationem poenae; et praecipue supposito, quod omnia divinae providentiae et iustitiae subdantur … de ratione enim poenae est quod sit contraria voluntati. Malum autem quod consistit in subctractione debitae operationis in rebus voluntariis, habet rationem culpae. Hoc enim imputatur alicui in culpam, cum deficit a perfecta actione, cuius dominus est secundum voluntatem. Sic igitur omne malum in rebus voluntariis consideratum vel est poena vel culpa”. 

[2] Qui con il termine fisico, intende il dolore. che può essere non solo un patimento materiale, ma anche spirituale+.

[3] Esterne alla volontà, ma non necessariamente al soggetto, perché la volontà può far cattivo uso di se stessa e delle altre potenze+.

[4] Analoga osservazione fatta a quella della nota precedente+.

[5] Cfr. Summa Theologiae I, q.48, a.6 c.a.

[6]  Cfr. Summa Theologiae I-II, q.79, a.1 ad 4.

[7]  Cfr. II Sent. d.37, q.3, a.2 c.a.

[8] 86) Summa Theologiae I, q.48, a.6 c.a.: “Deus est auctor mali poenae, non autem mali culpae. Cuius ratio est, quia malum poenae privat bonum creaturae: sive accipiatur bonum creaturae aliquid creatum, sicut caecitas privat visum; sive sit bonum increatum, sicut per carentiam visionis divinae tolllitur creaturae bonum increatum. Malum vero culpae opponitur proprie ipsi bono increato: contrariatur enim impletioni divinae voluntatis, et divino amori quo bonum divinum in seipso amatur: et non solum secundum quod partecipatur a creatura. Sic igitur patet quod culpa habet plus de ratione mali quam poena”. Cfr. Summa Theologiae II-II, q.19, a.1 c.a.

[9] 87) Cfr. De Malo q.1, a.4 c. a.: “Sic ergo … poena et culpa differunt … quia culpa est malum ipsius actionis, poena autem est malum agentis. Sed haec duo mala aliter ordinantur in naturalibus et voluntariis; nam in natutralibus ex malo agentis sequitur malum actionis … in voluntariis autem e converso: ex malo actionis quod est culpa, sequitur malum agentis, quod est poena, divina provvidentia culpam per poenam ordinante”.         

[10] Per esempio se una pianta è malata, non produce frutti+

[11] Il peccato precede il castigo+.

[12] Cioè ad una particolare situazione difettosa del soggetto+.

[13] Si ripercuote +.

[14] Ossia la volontà nella sua natura determinata di potenza appetitiva del bene intelligibile; e la volontà in quanto libera, ossia capace di autodeterminarsi in un senso o in un altro+.

[15] Ontologica +.

[16] Psicologico+.

[17] Si tratta della mozione divina con la quale Dio muove la nostra  la nostra volontà+.

[18] Dio crea una natura in sé buona che ha la possibilità o di fare o di patire il male. Tutto ciò è buono. Quand’è che arriva ol male? Quando la possiblità del male si attua+.

[19] Cfr. Summa Theologiae I. q.48 , a.2 c.a.: “perfectio universi requirit inaequalitatem esse in rebus, ut omnes bonitatis gradus impleantur. Est autem unus gradus bonitatis, ut aliquid ita bonum sit, ut nunquam deficere possit. Alius autem gradus bonitatis est, ut sic aliquid bonum sit, quod a bono deficere possit. Qui etiam gradus in ipso esse inveniuntur: quaedam enim sunt, quae suum esse amittere non possunt, ut incorporalia; quaedam vero sunt, quae amittere possunt, ut corporalia. Sicut ergo perfectio universitatis rerum requirit ut non solum sint entia incorruptibilia, sed etiam corruptibilia; ita perfectio universi requirit ut sint quaedam quae a bonitate deficere possint; ad quod sequitur ea interdum deficere”.

Cfr. anche Contra Gentes III, 71, n.2469; De Verit. q.5, a.4 ad 4; IV Sent. d.33, q.22, a.2, q.la 2 ad.5.                                                   

[20] Summa Theologiae I, q. 48, a.1 ad 5: “partes universi habent ordinem ad invicem, secundum quod una agit in alteram, et est finis alterius et exemplar. Haec autem … non possunt convenire malo, nisi ratione boni adiuncti. Unde malum neque ad perfectionem universi pertinet, neque sub ordine universi concluditur, nisi per accidens, id est ratione boni adiuncti”.  

[21] Cfr. Summa Theologiae I, q.48, a.2 ad 3: “Deus et natura et quodcumque agens facit quod melius est in toto; sed non quod melius est in unaquaque parte, nisi per ordinem ad totum … Ipsum autem totum quod est universitas creaturarum, melius et perfectius est, si in eo sint quaedam quae a bono deficere possunt, quae interdum deficiunt, Deo hoc non impediente. Tum quia provvidentiae est naturam non destruere, sed salvare … ipsa autem natura rerum hoc habet, ut quae deficere possunt, quandoque deficiant”. 

[22] Summa Theologiae I, q.49, a.2 c.a.: “aliquod agens, inquantum sua virtute producit aliquam formam ad quam sequitur corruptio et defectus, causat sua virtute illam corruptionem et defectum. Manifestum est autem quod forma quam principaliter Deus intendit in rebus creatis, est bonum ordinis universi. Ordo autem universi requirit … quod quaedam sint quae deficere possint, et interdum deficiant. Et sic Deus, in rebus causando bonum ordinis universi, ex consequenti, et quasi per accidens, causat corrupiones rerum; secundum illud quod dicitur I Reg. 2,6: Dominus mortificat et vivificat. Sed quod dicitur Sap. 1, 13, quod Deus mortem non fecit, intelligitur quasi per se intentam. Ad ordinem autem universi pertinet etiam ordo iustitiae, qui requirit ut peccatoribus poena inferatur. Et secundum hoc, Deus est auctor mali quod est poena: non autem mali quod est culpa”.   

[23] Volontà antecedente è la volontà di salvare tutti e quindi l’offerta fatta a tutti della salvezza; senonchè, però, non tutti corrispondono a questa volontà. Ma d’altra parte è Dio che salva, perché muove la volontà dei pretestinati, per cui gli eletti sono tali in forza della volontà conseguente+.

[24] S’intende il male di pena+.

[25] Cfr. Summa Theologiae I, q.19, a.9 c.a.: “malum culpae, quod privat ordinem ad bonum divinum, Deus nullo modo vult”.

[26] Un’altra formulazione potrebbe essere la seguente, più rispodente alle parole di Tommaso: Dio vuole il bene e Dio vuole non impedire il male. Abbiamo qui due volontà positive, per cuinon c’è la contraddizione+

[27] Il permttere può avere per oggetto un bene. E qusto è certamente il caso della permissione divina, la quale permette un male, ossia un peccato non voluto da Dio,  in vista di ricavarne un bene maggiore+.

[28] Summa Theologiae I, q.19, a.9 ad 3: “licet mala fieri et mala non fieri, contradictorie opponantur, tamen velle mala fieri, et velle mala non fieri, non opponuntur contradictorie, cum utrumque sit affirmativum. Deus igitur neque vult mala fieri, neque vult mala non fieri: sed vult permittere mala fieri. Et hoc est bonum”.

[29]  I Sent. d.46, q.1, a.4 ad 3: “mala culpae non fieri vult Deus voluntate antecedente, non autem voluntate consequente, nisi de illis quos scit mala non velle facere: quia voluntas consequens recipit conditionem creaturae. Nec tamen sequitur quod voluntate consequente velit mala fieri, sed vult permittere mala fieri”. Cfr. IV Sent. d.14, q.1, a.3. q.la 3 ad 5, dove S.Tommaso applica la distinzione di volontà antecedente e conseguente ai beati. 

 

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