Il Dio Trinitario e la fede islamica (Prima Parte)


Il Dio Trinitario e la fede islamica

Prima Parte

Un dialogo difficile, ma oggi più che mai possibile

Il dialogo con l’Islam non è facile. Eppure mai come oggi i Papi ci sollecitano a farlo ed essi stessi ce ne danno un esempio. Importanti sono gli incontri di preghiera in comune, già iniziati da San Giovanni Paolo II. Non possiamo nasconderci i difetti dell’Islam. Il dialogo sarebbe illusorio. Non si può costruire sull’equivoco e sul buonismo. È meglio mettere le carte in tavola, perché una soluzione, come vedremo più avanti, esiste o può esistere. Vediamo prima gli intoppi e poi vediamo come venirne fuori. Si tratta di difetti ricorrenti, ma non intendo generalizzare e del resto sono difetti riscontrabili anche fra cattolici.

Il Dio islamico è un Dio che trova indubbie basi scritturistiche, ma che risente nel contempo di influssi pagani fatalistici. Da qui il suo aspetto irrazionale, volontarista e dittatore, portato quindi dalla violenza, per cui si spiegano i metodi violenti ed impositivi della diffusione della fede islamica e l’atteggiamento prepotente verso gli infedeli e i non-credenti, e vendicativo contro chi si converte al cristianesimo. Ricordiamo la critica di Papa Benedetto a Ratisbona.

Sbaglia, quindi, Magdi Allam nell’affermare che Allah sia un coacervo sincretistico di idoli pagani e quindi nel negare che il Dio islamico sia il vero Dio Uno riscontrabile nella ragione naturale e nell’Antico Testamento. Come vedremo sotto, infatti, il Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Nostra aetate riconosce il valore della concezione islamica di Dio, per cui al cattolico non è permesso contestare la verità del giudizio del Concilio. Il che non vuol dire che la concezione islamica di Dio non abbia difetti, come rilevò Benedetto XVI nella famosa lezione di Ratisbona. 

Concezione della fede nell’islamismo. Una fede non ragionata ma conformistica. La verità divina non è adaequatio intellectus ad rem, ma ad voluntatem. Sit pro ratione voluntas. Un concetto autoritario della verità. L’uomo è solo il credente. L’Islam accoppia fideismo a razionalismo. Non vera certezza, ma autoconvinzione, che sfocia nella violenza. Chiusura al divino che trascende la ragione. Presunzione di dichiarare falso il divino che supera la ragione. Facilità a credere come rivelazione divina ciò che è contrario alla ragione. 

Pratica della fede. La devozione religiosa confusa col fanatismo. Mancanza di senso critico e credulità opportunistica. Mancanza di prudenza e suggestionabilità nel vagliare i segni di credibilità del predicatore. Obbedienza cieca al capo religioso. Fedeltà a Dio scambiata con una presuntuosa ostinazione. Incapacità di distinguere la vera dalla falsa profezia. Inesorabile vendetta contro coloro che si convertono al cristianesimo. Nello Stato islamico il cristiano è un cittadino discriminato. 

Diffusione del Corano. Desiderio di dominio sulla coscienza altrui. Il non-credente non dev’essere persuaso ma costretto e minacciato. Diffusione della verità non per persuasione ma per imposizione. Un metodo non propositivo ma coercitivo. Incomprensione per la libertà di coscienza ed assolutizzazione del conformismo sociale. L’uso del potere politico e militare (jihàd) per la diffusione del Corano. Il musulmano diffonde il Corano sotto minaccia di punizione temporale da parte dell’autorità civile islamica, se non viene accolto. Cristo minaccia la pena eterna a chi non vuol accogliere il Vangelo, ma non da parte dell’autorità civile.

L’Islam si diffonde sul territorio perché il musulmano è convinto che Dio lo manda a conquistare il mondo al Corano, sia predicando e sia invadendo i territori degli infedeli, perché tutta la terra appartiene al musulmano, per cui, invadendo o con le armi, come in passato, o pacificamente con l’immigrazione, come nel presente, i territori degli infedeli, con la mira di giungere al dominio politico sugli infedeli sottomessi come schiavi, il musulmano è convinto di giungere a dominare i popoli e a prender possesso di territori che Dio stesso gli ha assegnato. 

Le cause dell’espansione dell’Islam nella storia

Quello che ci chiediamo adesso è come ha fatto Maometto, come hanno fatto i suoi successori e seguaci da allora fino ad oggi ad attirare a loro tante masse sconfinate di persone, allontanandole dalla fede cristiana o conquistando all’Islam popoli non-cristiani. Quale metodi hanno seguìto? Quali mezzi hanno usato? Quali prospettive hanno proposto? Come hanno fatto a far preferire Maometto a Cristo?

La domanda di fondo che le riassume tutte è questa: da che cosa e perchè è nato l’Islam e come si spiegano nei secoli fino ad oggi il suo successo e la sua espansione nel mondo? Da vera religione, come il cristianesimo, anch’esso si ritiene e vuol esser fatto per la salvezza dell’intera umanità e non per un solo popolo. L’Islam è dunque mosso da un’istanza e una missione universalistica.
 
E per questo è in competizione o concorrenza col cristianesimo, anch’esso mirante alla salvezza dell’umanità. Quale delle due religioni è quella veramente ed efficacemente salvifica dell’umanità? La gara è aperta ormai da quattordici secoli. È questa la sfida di oggi come sin dagli inizi dell’Islam. Le due religioni non paiono esser fatte per coesistere. L’una e l’altra ha fin dall’inizio compreso le cose in questo senso; da qui l’opposizione dura e frontale, che è sempre esistita fra i fedeli dell’una e dell’altra. 

Così si spiegano le antiche invasioni della Turchia e dell’Africa cristiane, l’occupazione della Palestina cristiana ed ebraica, la creazione dell’Impero Ottomano durato fino al 1919, nonché l’abbattimento dell’Impero d’Oriente, il tentativo della conquista dell’Europa a Lepanto del 1571 e alla battaglia di Vienna del 1683 e l’invasione di altri paesi dell’Africa e dell’Asia.

A partire dal Concilio Vaticano II pare tuttavia essere iniziato un periodo di coesistenza o quanto meno di accettazione pacifica, il quale, se da una parte dà luogo a un confronto costruttivo, dall’altra, però, frainteso da molti cristiani, rischia di provocare un indebolimento ed una relativizzazione della fede cristiana, ridotta un’opinione fra le altre. 

Di ciò sembrano essersi accorti i musulmani più accesi e fondamentalisti, i quali ritengono che sia giunta l’ora di farla finita col cristianesimo, così come riuscirono ad abbattere l’Impero cristiano d’Oriente nel 1453, invadendo l’Europa e in particolare l’Italia, centro per loro del cristianesimo più pericoloso, che è il cattolicesimo. L’Islam, benché nato da un popolo particolare, il popolo arabo – tanto che nel Medioevo dire «gli Arabi» voleva dire i musulmani – dichiaratamente vuol conquistare tutto il mondo, perchè ritiene di poter offrire salvezza e felicità da Dio per tutti. 

Nel contempo, per spiegare l’origine e il perchè dell’Islam, possiamo elencare tutta una serie di motivi o fattori umani più o meno nobili, più o meno riprovevoli, tipici della natura umana ferita dal peccato originale, ma al contempo con la nostalgia di Dio: è una religione comoda, senza esigenze intellettuali, senza ascetismo morale, senza aspirazioni spirituali elevate, indulgente alle passioni umane, con un’organizzazione comunitaria incoerente e disunita, senza una guida e un magistero unitari, facilmente compromessa col potere politico ed economico, intollerante, invadente e bellicosa verso le altre religioni. 

Appare limitata a ciò che la ragione può capire, eliminando i dogmi difficili del cristianesimo e accontentando la fantasia con numerosi miti senza fondamento storico. Ma così facendo è chiaro che essa si priva dei tesori più belli, sublimi e preziosi della Rivelazione cristiana: la grazia divina della remissione dei peccati e della figliolanza divina, i doni e i carismi dello Spirito Santo, i sacramenti come mezzi della grazia, la visione beatifica in cielo del Dio trinitario, la Chiesa come Corpo mistico di Cristo, la comunione dei santi, le virtù teologali della fede, della speranza e della carità.

Ma tutta questa spiegazione morale, sociologica e psicologica sarebbe incompleta, se trascurassimo le sue origini storiche ed ideali nell’opera straordinaria e geniale di Maometto. Maometto si trovò a vivere a contatto con i confini dell’Impero bizantino di allora, un Impero ben organizzato, di alto livello culturale, potente e mirante a dominare e sfruttare le masse popolari povere ed incolte confinanti, costituenti sì oggetto di evangelizzazione, lasciata però facilmente nelle mani di eretici saccenti, cavillosi, spocchiosi, gonfi della loro dottrina, tali da umiliare i poveri evangelizzati e da confonderli con dottrine contradditorie ed astruse. 

I teologi di Bisanzio sin dai primi secoli si distinsero per una certa supponenza nei confronti dei Latini e della stessa Sede Romana, considerando la loro teologia più elevata di quella dei Latini, digiuni della filosofia greca, di mentalità pratica e giuridica, influenzati come erano dal diritto romano. 

Cultori della teologia mistica di San Gregorio Nisseno[1], che si esprimeva anche nell’arte dell’icona, nel canto sacro ed in una stupenda divina liturgia anagogica e mistagogica, fondata da S.Giovanni Crisostomo, avevano somma stima, col rischio dell’idealismo e del dualismo, per Platone, largamente utilizzato dalla tradizione patristica, e non altrettanta per Aristotele, da loro considerato troppo a livello umano e naturalistico, Aristotele che fu invece utilizzato dai musulmani, i quali lo fecero poi conoscere ai Latini nel sec. XIII. La Chiesa stessa Romana finì per canonizzare Aristotele a servizio della teologia e del Magistero, grazie alla correzione del suo pensiero fatta da San Tommaso d’Aquino.  

Gli Orientali, sulla base della «gnosi» di Clemente Alessandrino e di Dionigi l’Areopagita, svilupparono molto con San Basilio la teologia dello Spirito Santo, e una stupenda vita monastica, per esempio al Monte Athos, mentre scarsamente coltivarono il cristocentrismo e la theologia Crucis, che fu più la caratteristica dell’Occidente, sensibile a Cristo sommo Sacerdote e per conseguenza all’organizzazione giuridica romana, gerarchica, ecclesiale e sacramentale. L’esponente più significativo e pericoloso, nonostante la sua pietà religiosa e il suo amore per la Scrittura e la vita ascetica, maestro per secoli di vita monastica, ma tendente allo gnosticismo dualista, è stato Origene[2], il cui insegnamento è stato continuato da Evagrio Pontico[3].

 Questo complesso di superiorità degli Orientali nei confronti dei Latini finì per nuocere agli stessi Orientali. La loro negazione della processione dello Spirito Santo dal Figlio fu un altro errore del loro misticismo anarchico e della svalutazione della successione apostolica fondata sul Romano Pontefice. Questo squilibrio provocherà poi lo scisma del 1054, dopo il quale gli eccessi mistici e le sottigliezze bizantine non ebbero più freno, per esempio con Gregorio Palamas. La visione beatifica scompare nel buio di un apofatismo assoluto. 

Ma il risultato fu quello di un indebolimento culturale, morale e spirituale e la decadenza della Chiesa orientale, che sarà esposta inesorabilmente alla pressione e si direbbe quasi vendetta islamica, la quale, come tutti sanno, arrivò al tragico abbattimento dell’Impero d’Oriente del 1453. Si sarebbe detta una punizione divina del loro orgoglio. E adesso il Patriarcato di Costantinopoli è una timida barchetta nel fiero mare del mondo islamico. Quale sorte diversa – possiamo supporre – se fosse restato unito a Roma! Certamente adesso Mosca è l’erede di Costantinopoli. Ma la «terza Roma» è salita più in alto della prima o è scesa in basso?

Continuiamo con Maometto. A un certo punto decisivo per la sua vita e per la storia dell’umanità, a lui, che da una parte amava il suo popolo e dall’altra era uno spirito fortemente religioso, parve che Dio lo chiamasse a soccorrere ed illuminare il popolo oppresso ed ingannato da falsi predicatori e profeti. Egli sentì come l’ispirazione a prendere di petto il problema del cristianesimo,  nel quale gli parve di trovare un fondo buono, il monoteismo e il culto divino (islam), ma complicato da un insieme di dottrine astruse, inutili e contradditorie, fino a cadere nell’idolatria e nel politeismo, come per esempio la Trinità, ed inoltre gli parve che Gesù, il fondatore del cristianesimo, pur essendo un saggio profeta e maestro di morale, si fosse montato la testa credendosi addirittura Dio, sicché i suoi seguaci entusiasti di lui  e troppo creduloni, lo avevano poi dichiarato effettivamente Dio. 

Maometto ritenne di poter sfrondare il cristianesimo di questi elementi da lui ritenuti superflui o nocivi od oscuri e, alla luce dell’Antico Testamento e raccogliendo dati soprattutto da Vangeli apocrifi e miti pagani, credette di ottenere da Dio la pienezza della profezia, superando e correggendo i limiti della dottrina di Cristo, togliendo da essa quelli che gli sembravano elementi politeistici e l’intromissione dell’umanità di Gesù nell’orizzonte del divino, che veniva secondo lui mescolato con l’umano. 

Pensò pertanto con questa operazione di aver ritrovato il monoteismo nella sua purezza originaria, che egli rintracciava nell’Antico Testamento e non nel Vangelo. Quanto alla dottrina del sacrificio di Gesù per la remissione dei peccati, Maometto pensò che anche simile atto compiuto da Gesù fosse stato un gesto presuntuoso, come se egli fosse stato dotato di una potenza divina di cancellazione dei peccati, mentre secondo Maometto per ottenere da Dio il perdono dei peccati, basta invocare la sua misericordia.

Per riassumere tutto il detto in poche parole, sono convinto che il permanere nei secoli e l’espandersi dell’Islamismo nel mondo, a parte i suddetti difetti, abbia tutto sommato anche delle basi valide e solide, soprattutto i due punti già accennati: primo, la fondamentale ragion d’essere della religione islamica, e cioè l’amore al culto divino e il desiderio del paradiso nell’obbedienza alla legge divina e nella comunità fraterna della Sunna. E, secondo, il fatto che essa attinge largamente all’Antico Testamento. 

Il nostro Dio è anche il loro

Ma ecco il grande fatto che dà speranza. Fatto inaudito in tutta la storia del magistero, dalla nascita dell’Islam, il Concilio Vaticano II è il primo documento ufficiale autorevolissimo della Chiesa a riconoscere la validità del monoteismo islamico con le seguenti famose parole: «I musulmani adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini»[4]

C’è da notare che questo documento è una dichiarazione dogmatica, ed è dottrina infallibile a doppio titolo, sia perché si pronuncia sugli attributi divini, e sia in quanto interpretazione infallibile dell’essenza del Dio coranico. Per questo né il musulmano, né tanto meno il cattolico possono dire che la Chiesa si è sbagliata nell’interpretare l’essenza del Dio coranico; anzi essa, con la sua divina sapienza proprio in materia teologica, può valutare ed interpretare infallibilmente non solo la dottrina biblica su Dio, ma anche quella di qualunque altra religione, vera o falsa che sia. Il musulmano onesto, quindi, non può che ritrovarsi in come la Chiesa ha interpretato l’essenza del suo Dio ed esserle grato. Questo comune accordo fra cattolici e musulmani sulla natura e sugli attributi di Dio è la base sicura e solida e il punto di partenza per intavolare il dialogo sul tema della Santissima Trinità e dell’Incarnazione.

Il loro Dio è il nostro stesso Dio; i suoi attributi, ai quali accenna il Concilio (Nostra aetate, 3), sono gli stessi del nostro Dio, tranne che noi Lo conosciamo nella pienezza della verità rivelata dal Figlio di Dio, mentre loro solo parzialmente. Noi ci rifacciamo al Dio di Gesù Cristo, del Nuovo Testamento; loro invece sono legati all’Antico Testamento con infiltrazioni pagane di tipo fatalistico. Loro conoscono Dio per mezzo della profezia, che è partecipazione umana alla verità divina. Noi Lo conosciamo per mezzo del Figlio, Che è la Rivelazione del Padre.

Noi cioè Lo conosciamo per mezzo di Gesù Verbo divino, che non è un semplice profeta, ma è la stessa Verità divina sussistente fatta persona, Dio-Verità, non l’Esse Ipsum, Che è il Padre, ma l’Esse verum, che è il Figlio, appunto la seconda Persona della Santissima Trinità, mentre l’Esse bonum è lo Spirito Santo. Da qui la triade agostiniana: Esse, il Padre, Nosse, il Figlio; Velle, lo Spirito Santo.

Il concetto delicato e difficile, nel dogma trinitario, non è l’essere, non è la natura, non è la sostanza, non è l’essenza. Il musulmano è un monoteista che sa benissimo che Dio è l’ipsum Esse, il Necesse-Esse, come diceva Avicenna. Sa benissimo che è una sola Sostanza, una sola Essenza, una sola Natura; ciò che gli fa difficoltà e che noi cristiani dobbiamo spiegargli è in Dio la nozione di Persona.

Infatti per lui, se Dio è un solo essere, una sola sostanza, una sola essenza, dev’essere una sola persona. Occorre dire che, da un punto di vista metafisico, il musulmano ha ragione. Infatti, la ragione naturale non può non dimostrare l’esistenza di Dio se non come Essere personale. Se Dio è Spirito (Gv 4,24), vuol dire che è persona, perché la persona è la sostanza spirituale. 

Purtroppo la teologia scolastica tradizionale non si ferma su questo punto importantissimo di teologia naturale, forse timorosa che, parlando del Dio Uno come persona, si comprometta la distinzione col Dio come Persona divina trinitaria. E invece basterebbe distinguere i due significati del termine «persona»: persona in senso metafisico, ossia una singularis substantia spiritualis, e questo è il Dio Uno, e Persona come Relazione sussistente («relations oppositio»), e questa è la Persona trinitaria.

Di Dio come persona metafisica parla evidentemente il Concilio Vaticano I quando definisce Dio come «una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis» (Denz.3001). In tal modo potremmo imbastire il discorso col musulmano, il quale ha presente solo il concetto metafisico di persona divina, che caratterizza il Dio uno. Da questo comune accordo sul monoteismo, cui fa cenno il Concilio Vaticano II, ossia sul comune riconoscimento che l’unico vero Dio è metafisicamente persona, dobbiamo partire per introdurlo a concepire la Persona divina come Relazione sussistente.

Occorre che gli spieghiamo che «persona» in Dio vuol dire relazione sussistente: esser padre, esser figlio, essere amore. La persona divina non è, come in noi, una sostanza che precede l’esser padre, l’aver relazione di figlio, e l’amare; e non dipende da questi attributi. Invece in Dio il Padre è la relazione di paternità, generare o esser Padre; il Figlio è la relazione di figliolanza, esser generato o l’esser figlio; lo Spirito Santo è relazione d’amore, amare ed essere amato. Che in Dio ci siano tre relazioni sussistenti non compromette l’unità del suo essere, della sua sostanza, della sua natura, della sua essenza.

La definizione dogmatica della Persona divina come relazione sussistente si trova nel Concilio di Firenze del 1442: «Hae tres personae sunt unus Deus et non tres dii, quia trium est una substantia, una essentia, una natura, una divinitas, una immensitas, una aeternitas, omniaque sunt unum, ubi non obviat relations oppositio» (Denz. 1330). 

In Dio tutti gli attributi dell’essenza divina si identificano fra di loro; si distinguono solo per una distinzione di ragione. Invece l’unico modo per distinguere realmente in Dio è l’«opposizione relativa», appunto la distinzione fra tre le relazioni sussistenti, che sono le tre Persone divine, che sono realmente distinte fra di loro.

Come spiegare al musulmano il dogma trinitario

Dobbiamo mostrare al musulmano che, per conoscere veramente Dio, come Egli vuole che Lo conosciamo e come Si è rivelato all’umanità, dobbiamo avere una concezione dell’unità della sostanza o natura divina, che sia aperta ad un esser persona, che va oltre l’idea della sostanza e si presenta come relazione sussistente. La persona, infatti, può essere non solo sostanza, ma anche, in Dio, relazione sussistente. Ciò che in noi è relazione della persona, che si aggiunge alla persona, in Dio è sussistente, come fosse persona ed è chiamata «persona». Vediamo come e perché.

Indubbiamente a tutta prima ci ripugna pensare di concepire la persona con la categoria della relazione, che di per sé è un accidente, che sussiste nella sostanza, mentre noi siamo abituati a concepire la persona come una sostanza. Invece l’essenziale della persona è il sussistere. Se quindi si dà un accidente che sussiste e precisamente una relazione sussistente, allora questa relazione è persona e precisamente la Persona divina. 

La relazione infatti, ossia l’«esser-verso-a», non disturba l’unità della sostanza divina, non compromette il monoteismo, Infatti la relazione non moltiplica la sostanza, ma le si aggiunge perfezionandola e lasciandola nella sua unità. Conoscendo la Santissima Trinità, non moltiplichiamo la sostanza divina, ma la conosciamo meglio, anzi al massimo. È questo che i musulmani dovrebbero capire.

Se noi riflettiamo a ciò che Gesù dice nei Vangeli, soprattutto quello di Giovanni, ci accorgeremo che Gesù, quando parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ne parla come fossero persone, che sussistono come soggetti in sé e per sé, procedono, hanno origine, sono mandate, mandano, pensano, parlano, vogliono, fanno, amano, agiscono, si relazionano fra di loro, hanno rapporti col mondo e con noi. 

Gesù ci presenta Dio come Padre e presenta sé stesso come Dio Figlio del Padre. Ma d’altra parte Gesù non presenta la sua divinità come un altro Dio distinto da Dio Padre, perché ci insegna chiaramente che il Padre è l’unico Dio e non ci sono altri dèi accanto a Lui. Allora dobbiamo dedurre che quando Gesù parla di «Padre» e «Figlio» intende non due nature divine, cosa impossibile ed assurda, e qui il Corano ha ragione, ma intende due persone, e questa è una cosa possibile, a patto che comprendiamo come Gesù intende la Persona divina. La intende come Relazione sussistente.

Perché Relazione sussistente? Che vuol dire? Relazione di che tipo? Da che cosa nasce questa relazione? Il Padre non è solo in relazione col Figlio, ma è Relazione col Figlio. Il Figlio non è solo in relazione col Padre, ma è Relazione col Padre. E lo stesso dicasi dello Spirito Santo con le altre due Persone. Da come si esprime Gesù, comprendiamo che il Figlio e lo Spirito Santo traggono origine dal Padre; lo Spirito Santo trae origine anche dal Figlio, sicché lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio ovvero anche dal Padre per mezzo del Figlio. 

Concepire la Persona divina a questo modo non distrugge il monoteismo, ma lo lascia intatto, ed anzi ne amplia e sublima il significato in un modo e in una misura che la nostra ragione non avrebbe mai potuto immaginare, se Gesù non ci avesse rivelato questo mistero. 

Infatti la relazione di per sé è un accidente della sostanza, la quale, restando una sola, può avere molte relazioni. Questa è una verità di ragione, che anche il musulmano capisce. Quello che invece fatichiamo a capire è come una relazione possa essere sussistente, dato che, quando pensiamo a un sussistente, pensiamo sempre a una sostanza. La semplice ragione non ipotizza assolutamente la possibilità e tanto meno la realtà di una relazione sussistente, se ciò non ci fosse suggerito ed anzi garantito e proposto a credere dall’insegnamento di Cristo col presentarsi come Dio Figlio e col presentare Dio come Padre del Dio Figlio.

Sorge una domanda: noi concepiamo la persona come soggetto dotato di intelletto e volontà. Allora ognuna delle tre Persone divine ha un intelletto e una volontà? No, perché il concepire la persona a questo modo, suppone la nozione metafisica di persona e abbiamo visto che solo il Dio Uno è persona a questo modo. In ciò il musulmano non ha alcuna difficoltà. Quello che bisogna ricordargli è che la Persona divina non è sostanza, ma Relazione. 

Il che allora vuol dire che qui non è il caso di citare l’intelletto e la volontà, che sono potenze della persona come sostanza. Oppure, se proprio vogliamo far riferimento a queste due potenze dello spirito, da come Gesù si esprime, possiamo collegare l’intelletto al Logos o Verbo e la volontà, sotto forma di amore, allo Spirito Santo. E il Padre? Il Padre è l’origine del Verbo e dell’Amore come Persone divine. Ma ha un intelletto e una volontà? Certamente, e Gesù ce lo fa capire bene. 

Infatti il Padre concepisce il piano della salvezza e lo fa eseguire dal Figlio. Ma il Padre concepisce e vuole sia come Dio Uno che come Colui Che genera il Logos e vuole spirando l’Amore dello Spirito Santo. Non concepisce e vuole come Padre, ma concepisce come Figlio e vuole come Spirito Santo. Come Padre è solo Principio ed origine delle altre due Persone. Così va concepita la Persona del Padre.

Ma allora che cosa intende dire Gesù quando parla della «volontà del Padre»? Quando parla della sua necessità di obbedire al Padre? Quando afferma di fare sempre la volontà del Padre? Quando chiede al Padre che lo esaudisca, se è sua volontà? La volontà del Padre non è lo Spirito Santo, benché Egli proceda dal Padre come Amore, ma è la volontà del Padre come Dio

È chiaro che Gesù, dal canto suo, si riferisce o si rivolge al Padre in quanto Gesù è uomo, dotato di una volontà umana. Ma è altrettanto chiaro che la volontà divina di Gesù è la stessa ed identica a quella del Padre come Dio, perché Dio è uno solo. Anche questo il musulmano, ammesso che riconosca la divinità di Cristo. Dovrebbe accettarlo. 

Così similmente quelle poche volte che si sente la voce del Padre (Mt 3,17, 17, 5; Gv 12,28; II Pt 1,18), dato che la voce esprime il pensiero, quel pensiero che sta dietro alla voce evidentemente non è il Verbo, Pensiero sussistente del Padre, ma è il pensiero del Padre in quanto Dio. E così pure la «voce» dello Spirito Santo esprime evidentemente il pensiero dello Spirito Santo. Ma evidentemente, dato che il Pensiero come Persona è il Figlio, non si tratta di confondere lo Spirito Santo col Figlio, ma quel pensiero è il pensiero dello Spirito Santo in quanto Dio.
 

[1] Cf Giuseppe Ferro Garel, Gregorio di Nissa. L’esperienza mistica, il simbolismo, il progresso spirituale, Edizioni Ilo Leone Verde, Torino 2004.
[2] Cf Henri Crouzel, Origene, Edizioni Borla, Roma 1986; Guido Bendinelli, L’escatologia origeniana, in Sacra Doctrina, 1, 1998, pp.7-27.
[3] Cf Antoine Guillaumont, Un philosophe au désert. Evagre le Pontique, Vrin, Paris 2004.
[4] Dichiarazione Nostra aetate, 3.

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