Sul concetto coranico di Dio (Prima Parte)

 Sul concetto coranico di Dio[1]

Prima Parte

Una svolta storica del magistero della Chiesa

Per la prima volta nella storia del magistero della Chiesa, il Concilio Vaticano II in due suoi documenti di grande rilievo ed impegno dottrinale, ha riconosciuto che i musulmani adorano un unico Dio, del quale elenca alcuni attributi che coincidono con quelli dell’unico vero Dio adorato dai cristiani, benché la conoscenza di Dio che hanno i cristiani, grazie alla Rivelazione cristiana, sia la più alta in possesso dell’umanità, impartitaci com’è dallo stesso Figlio di Dio Nostro Signore Gesù Cristo, mentre il concetto di Dio del Corano  presenta aspetti positivi accanto ad aspetti negativi, anche se il Concilio afferma che i musulmani riconoscono che «Dio ha parlato agli uomini».

Questo intervento del Concilio ha avviato un proficuo dialogo fra cristiani e musulmani, pur nelle persistenti situazioni a volte drammatiche di cristiani perseguitati dagli islamici e col persistere in certi ambienti cristiani conservatori di vecchi pregiudizi contro l’Islam, in base ai quali essi giungono persino a rifiutare il giudizio del Concilio sull’Islam.

Per converso, sempre all’interno della Chiesa, la forte corrente modernista-buonista, avendo perso di vista il primato del cristianesimo sulle altre religioni e quindi per nulla preoccupata dell’evangelizzazione dei musulmani, anzi considerandola una violenza alla libertà religiosa, considera la religione islamica semplicemente come una via come un’altra per conseguire la salvezza, che peraltro è il destino dell’intera umanità, dato che tutti gli uomini sono in grazia di Dio, per cui non ci sono dannati nell’inferno.

Per i buonisti nessuno è obbligato a farsi cattolico, ma ognuno è libero di scegliere la religione che preferisce, sicuro di salvarsi comunque, anche perché non esiste una verità universale ed immutabile, ma la verità è solo ciò che appare alla coscienza di ciascuno e ciò che ciascuno decide essere la verità.

In particolare è in atto un confronto fra il Corano e il Vangelo, fra la concezione cristiana di Dio e quella islamica. Appare meglio la differenza, al riguardo, fra la Sacra Scrittura e il Corano. Entrambi sono mossi da un innegabile fondamentale interesse teologico. Entrambi sanno, come riconosce anche il Concilio[2], che Dio è il creatore dell’uomo, il suo unico e supremo Signore, fine ultimo e sommo bene dell’uomo, provvidente e saggio legislatore e remuneratore, premio dei buoni e castigo dei malvagi, giusto e misericordioso.

Vi sono tuttavia anche notevoli differenze su questo tema della natura divina. Mentre la Scrittura accompagna dei semplici enunciati o sentenze o proverbi o asserzioni o comandi o esortazioni o prescrizioni a discorsi articolati e ragionati, motivati ed argomentati, soprattutto nei Libri sapienziali, dove si vede chiaramente che l’agiografo vuol far leva sulla capacità di ragionare del lettore; mentre il Dio biblico ascolta e risponde alle obiezioni dell’uomo – vedi per esempio Giobbe o gli apostoli con Cristo -, il Corano si limita al primo aspetto della Scrittura ed ignora completamente il secondo, per cui l’atteggiamento esemplare ed approvato dell’uomo davanti a Dio si limita ad essere quello di chi sta semplicemente ad ascoltare e ad obbedire in silenzioso rispetto come farebbe il suddito che ascolta i comandi del sovrano o il soldato che ascolta sull’attenti gli ordini del capitano.

Naturalmente anche il fedele del Dio biblico ascolta con la massima attenzione e lealtà, accoglie docilmente e crede con fiducia ciò che Dio gli dice o gli comanda senza metterlo in discussione o in dubbio, perché ciò sarebbe segno d’incredulità, ma ciò non gl’impedisce affatto, come fece Maria con l’angelo, di porre domande per comprendere la ragionevolezza del comando o del piano divino: «come è possibile? Non conosco uomo».

Ma nel Corano non appaiono personaggi come Abramo o Mosè o Giobbe o Giona o Davide o la Madonna o gli apostoli, i quali o direttamente o per interposta persona (il profeta) intrattengono uno scambio di idee con Dio manifestando dubbi o difficoltà o per far domande o proposte o per chiedere luce su punti oscuri o per chiedere i motivi dell’agire divino. Il Corano cita bensì alcuni dei profeti o personaggi biblici, ma non li mette a colloquio con Dio come fa la Bibbia, ma li cita soltanto come esempio di obbedienza o disobbedienza a Dio.

Ciò non ha impedito nel corso dei secoli il sorgere di una filosofia[3] (falsifà) e di una teologia islamiche (kalàm). Ma ciò non è avvenuto per una sollecitazione del testo coranico, il quale invece favorisce un fideismo supino e fanatico, ma è avvenuto sotto l’influenza della filosofia e teologia greca e cristiana, per l’irrefrenabile bisogno che la ragione umana ha di usare la ragione per rendersi conto delle ragioni del pensare e dell’agire divino.

 

La questione del termine «Allah»

Quanto alla questione del termine Allah Magdi Allam gioca sul termine «Allah», per dire che Allah non è Dio, ma un idolo inventato da Maometto. Ma in realtà Magdi non tiene conto che si tratta solo di una questione di parole. Il termine Allah deriva dall’ebraico El che vuol dire «Dio». È solo il termine in lingua araba per significare ciò che in italiano chiamiamo Dio. Non è una questione di concetti, ma di vocabolario. Se prendete un vocabolario arabo-italiano, vedrete che il vocabolo Allah si traduce col termine Dio.

Cristiano Magdi Allam sostiene che l’Allah del Corano non sarebbe Dio, ma un idolo costruito da Maometto con una mescolanza di idee pagane. Ma anche una lettura alla buona del Corano ci fa facilmente convinti che non ci troviamo davanti ad un idolo, ma ad una maestosa e complessa entità personale, che ha molti attributi del vero Dio, come gli riconosce lo stesso Concilio.

Non si tratta di concetti totalmente diversi o contrastanti di Dio, ma si tratta sempre del vero ed unico Dio. Questo naturalmente non vuol dire che il concetto islamico di Dio sia del tutto corretto e identico al concetto cristiano di Dio o della teologia naturale. Sarebbe una pericolosa illusione buonista il crederlo. Il fatto che noi e loro crediamo nello stesso Dio nella sua realtà ontologica e sussistente in sè, e che quindi non ci siano due dèi, uno per noi e uno per loro, non vuol dire affatto che il nostro concetto sia identico al loro. Anzi, l’assunto di questo articolo è proprio il dimostrare la difettosità e contraddittorietà del concetto islamico di Dio, nonostante alcuni caratteri positivi.

Questo certo non vuol dire che tutto sia sempre chiaro, perché effettivamente ogni tanto questo Dio ci esce fuori con atteggiamenti e discorsi chiaramente anticristiani e paganeggianti, per cui Magdi Allam non ha tutti i torti a rintracciarvi influssi pagani, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto irrazionale e dispotico che stiamo esaminando.

Tuttavia Magdi non tiene conto che il Concilio, quando parla del Dio dei musulmani e rileva il fatto che il loro concetto di Dio presenta aspetti positivi, si riferisce evidentemente a quel Dio che i musulmani chiamano Allah. Il Concilio non poteva usare questo termine, dato che si esprime in latino, dove Dio è Deus e non in lingua araba. Non c’è peraltro da dubitare che la traduzione in arabo del documento conciliare metterà Allah al posto di Deus.

Tuttavia, le cose non sono così semplici, come potrebbe apparire da una lettura superficiale e buonista del Concilio, il quale infatti elenca bensì alcuni attributi validi del concetto islamico di Dio, ma non parla di quelli sbagliati. Per questo, quando Magdi condanna il Dio islamico, non ha tutti i torti. Il suo difetto è quello di non accettare il giudizio del Concilio. E questo per un cattolico non va bene. Su questo punto è evidente che vale di più l’autorità del Concilio che quella di Magdi.

Il concetto coranico di Dio, monoteista ma contrario alla Santissima Trinità e alla divinità di Cristo, è stato preparato, prima della comparsa di Maometto, dalla diffusione in Arabia di un cristianesimo eretico predicato da monaci nestoriani, docetisti e monofisiti. Maometto fu certamente un innamorato di Dio e del suo popolo, un trascinatore di folle col fervore e col fascino di una parola possente e maestosa, che incuteva timore e soggezione, ispiratagli, come egli stesso assicurava, da Dio stesso per il tramite dell’Arcangelo Gabriele, che egli chiamava «Spirito puro»[4].

È stato tale e tanto il suo potere di persuasione e di dar certezza alle coscienze, testimoniato dal Corano, e convalidato dalle vittorie militari, che seppe garantire ai suoi seguaci al suo tempo e nei secoli successivi, che, come si sa, ancor oggi Maometto è la guida religiosa, culturale, morale, politica e militare di un miliardo ed 800 milioni di uomini sulla terra.

Un Dio volontarista

Riguardo al problema del volontarismo divino, è interessante ciò che dice S.Tommaso nella Somma Contro i Gentili, scritta apposta per confutare gli errori dei pagani («gentili», lat. gentes, ebr. gohìm) e dei non-cristiani. In un certo passo, infatti, l’Aquinate sembra alludere ai musulmani, quando riferisce dell’«errore di alcuni che dicono che tutte le cose procedono da Dio secondo la sua semplice volontà, per cui di nessuna cosa occorre render ragione, se non perchè Dio la vuole».  Ma ciò – osserva l’Aquinate (Libro I, cap.87) – «è in contrasto con la Sacra Scrittura, la quale mostra come Dio ha fatto tutto secondo l’ordine della sua sapienza, secondo il Salmo “tutto hai fatto con sapienza” (103,24) e “il Signore ha effuso la sua sapienza su tutte le sue opere”».

Infatti, come affermò Benedetto XVI, un errore nel concetto coranico di Dio è dato dal fatto che, benché a più riprese il Corano esalti la sapienza[5] e la provvidenza di Dio, tuttavia il Dio coranico appare effettivamente come un Dio la cui volontà si esercita in un arbitrio assoluto ed insindacabile, secondo un agire del quale non rende ragione, non perchè abbia una ragione a noi ignota o perchè l’uomo abbia il diritto di scrutare i decreti divini, cose, queste, che convengono a Dio, ma perché la volontà divina è indifferente al razionale come all’irrazionale, al sì come a no, sicché alla fine abbiamo un Dio sconcertante, che vuole tanto il bene quanto il male[6], un Dio nel quale la volontà prende il posto della sapienza e della ragione, comportandosi in modo umano proclive alla irrazionalità ed alla violenza, come del resto è dimostrato da 14 secoli di storia dalla nascita dell’Islam fino ai nostri giorni.

San Tommaso parla sopra del Dio che motiva la sua azione non sulla ragione o sulla sapienza, ma sulla sola volontà, un atteggiamento che si riassume nel ben noto motto sit pro ratione voluntas.  Chiediamoci allora che cosa vuol dire in fin dei conti agire per pura volontà se non agire male o con violenza o senza ragione? Che vuol dire se non commettere un peccato? Agire per pura volontà del resto è impossibile: la cosiddetta volontà «cieca» non esiste; nessuno è talmente pazzo da procedere totalmente al buio.

I guasti del volontarismo

Il volontarismo è la pretesa di sostituire la volontà all’intelletto nel determinare il bene. Esso è dettato da una volontà di dominio sul reale, che sembra essere assicurato dalla volontà e non dall’intelletto, il quale viceversa deve adeguarsi al reale. Tuttavia la volontà per sua essenza non può non avere un oggetto precedentemente inteso o conosciuto con l’intelletto. E se l’intelletto non ha concepito il bene, ossia ciò di cui si possa render ragione, vuol dire che sarà un male, un qualcosa di irragionevole. Ma se nell’agire manca la sapienza vuol dire che si agisce con stoltezza. Non si sfugge.

La volontà vuole, esegue, appetisce, mette in pratica, persegue ciò che l’intelletto ha concepito. Una volontà che agisce a prescindere dall’intelletto è impossibile, perché la volontà si definisce come appetito del bene intellegibile. La volontà non può formare da sola il suo oggetto, se l’intelletto non glielo fornisce. Allora l’unica alternativa è che la volontà voglia il bene o voglia il male. D’altra parte il bene suppone il vero. E la volontà è buona se persegue il vero bene. Non sta alla volontà stabilire il vero, ma all’intelletto o alla sapienza.

È vero che sta a Dio stabilire con la sua volontà ciò che è bene. Infatti è bene ciò che Dio vuole. Se vuole qualcosa, questo è certamente bene, anche se non ne vediamo la ragione. Ma possiamo fidarci. È bene perché lo vuole. Ma occorre anche dire che Dio vuole ciò che è bene, per cui se c’è qualche bene, possiamo esser certi che Dio lo vuole. Se la ragione ci dice che qualcosa è bene, possiamo star certi che Dio lo vuole.

Però il quesito resta: basta la volontà di Dio perché la sua volontà sia buona? Perché voglia il vero bene? Può volere il bene senza far uso dell’intelletto o della sapienza? Senza motivare razionalmente quello che fa? Abbiamo visto che non è possibile. Una volontà che si attuasse in quel modo non sarebbe altro che cattiva volontà; sarebbe violenza, sarebbe volere il male. Non basta la volontà di Dio a stabilire ciò che è bene, ma occorre anche la sua sapienza. La volontà non può rubare alla sapienza il suo compito, perché senza la sapienza non c’è che la stoltezza.

Una visione volontarista del pensare e dell’agire divini porta il Corano ad ammettere la doppia predestinazione; al paradiso e all’inferno; per il fatto che decide di ciò che è bene e di ciò che è male solo in base alla sua volontà, Dio è libero di considerare bene ciò che è male, per cui può esser causa del peccato per il quale il dannato va all’inferno[7].

 Una concezione volontarista di Dio genera una fede volontarista, ossia quello che si dice «fideismo», una fede arbitraria, non fondata in ragione, la quale fede, pertanto, non si diffonde mediante la persuasione e l’argomentazione razionale, ma mediante la pressione, l’imposizione e la minaccia, che può arrivare fino all’uccisione dell’infedele, per esempio del cristiano o alla sua sottomissione politica.

Il Corano parla bensì dei «segni di Allah»,[8] ma più che prove o argomento razionali o storiche di credibilità, si tratta di prove di suggestione psicologico-emotiva, di esaltazione collettiva, di potenza politica e militare. Mentre il cristianesimo, fin dai primissimi secoli, ha una ricchissima letteratura apologetica di introduzione e difesa della fede e della dottrina cristiane, l’Islam ha avuto ed ha bensì filosofi e teologi, ed ha sempre attivato la predicazione della moschea, le scuole islamiche e l’educazione familiare, ma senza curare di far leva sulle basi razionali della fede. Il filosofo ragiona sulla fede presupposta e il predicatore spinge la gente ad abbracciare la fede direttamente, senza passare dalla ragione.

Il predicatore islamico si pone nei confronti degli ascoltatori non nell’atteggiamento del persuasore, ma del rivelatore. Non propone cose o valori o ragioni o fatti che inducano a credere, ma propone direttamente i contenuti della fede. Suppone che gli astanti sappiano riconoscere in lui il messaggero, il profeta di Dio. Se lo ascoltano, bene; se no, peggio per loro.

Certamente la proposizione di fede non è una tesi filosofica, che si rende accettabile per il fatto di essere razionalmente dimostrata. Di ciò l’islamico ha coscienza. Anche San Paolo, quando giunge a Corinto ad annunciare il Vangelo, avverte giustamente che, essendo venuto ad annunciare il mistero di Cristo, che trascende ragione e filosofia,

 «non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (I Cor 2, 1. 4).

Il che non toglie che Paolo fosse un abilissimo persuasore ed argomentatore, come lo dimostrano le sue sapientissime Lettere ed è testimoniato dagli Atti degli Apostoli (At 18,4 e 19,8). Paolo vuole semplicemente avvertire che non sta annunciando un ritrovato della sapienza umana, ma una rivelazione divina, della quale si può esser certi perché Dio stesso illumina la mente che l’accoglie, né potrebbe essere diversamente, se dev’essere Parola di Dio. La fede, ci dice Paolo, non si fonda sulla ragione, ma sulla rivelazione, ossia sulla «manifestazione dello Spirito e della sua potenza». Il che non toglie che Paolo si adoperi per dimostrare che Gesù è il Cristo. La ragione conduce alla fede, mentre l’oggetto della fede è sovrazionale e lo si crede quindi non perchè è razionale, ma perchè è rivelato da Dio.

Da notare inoltre una incresciosa conseguenza pratica del volontarismo: tra le ragioni per le quali il musulmano muove guerra non vi sono solo motivi di giustizia, ma per lui può essere qualificato come nemico da combattere anche semplicemente chi non condivide la fede islamica, come per esempio il cristiano[9].

Negli Stati islamici rigorosamente ispirati al Corano hanno diritto alla piena cittadinanza solo i musulmani, perché nella Costituzione dello Stato (la Sharìa) entra il dovere e il diritto del governante di esigere dal cittadino la professione della fede islamica come unica vera religione. La disobbedienza alla fede e alla legge coranica è quindi considerata alla stregua di un crimine contro la legge civile quindi contro lo Stato.

Non si dà una distinzione da una parte fra la Costituzione dello Stato come sintesi dei diritti umani e naturali, fondata in ragione, obbligatori per tutti i cittadini, regola della comunità civile e, dall’altra, la legge della comunità religiosa islamica (Umma), ma la legge della Umma, la Sharìa è l’applicazione della legge etico-religiosa coranica nella vita dello Stato.

Il che allora vuol dire che la Costituzione secondo una rigorosa applicazione del Corano non ammette il diritto alla libertà religiosa, inteso come libertà del cittadino di seguire una religione diversa dall’islamica. Se di fatto in alcuni paesi musulmani sono tollerate le comunità cristiane, lo si fa in forza dell’ordine del Corano di tenerle soggette e di far pagar loro un tributo. Esse non possono superare un certo numero di fedeli, per cui, in linea di principio, non possono convertire musulmani al cristianesimo e ai musulmani è proibito convertirsi al cristianesimo. Di fatto, però, laddove i musulmani ascoltano la voce dello Spirito, questi fatti in certa misura avvengono.

Il volontarismo sembra essere un’applicazione a Dio della volontà dell’uomo di imporsi sugli altri con la violenza e quindi trascurando di andare incontro ai loro bisogni e alle loro esigenze, nel disprezzo della legge divina o umana, secondo l’arbitrio della propria volontà, avocando a sé il diritto di decidere su ciò che è bene e ciò che è male.

Con questo espediente di applicare a Dio ciò che fa lui il volontarista si assicura due vantaggi: primo, il dare una parvenza di legalità alla sua condotta fuorilegge e tracotante col presentarla come imitazione della stessa condotta divina e quindi giustificata da Dio e, secondo, fare la figura del credente in Dio e di uomo pio e religioso, che adora e prega l’unico Dio e rifiuta gli idoli. Ma quest’unico Dio non è altro che l’immagine di se stesso e della propria prepotenza portata alle stelle e divinizzata.

Dietro all’ostinata volontà di imporre il Corano all’intera umanità non c’è una preoccupazione sinceramente religiosa; non c’è un vero amore per la salvezza eterna dell’umanità in Dio, ma il tentativo e il piano tracotante e sempre reiterato nei secoli dei paesi musulmani di dominare sull’umanità con la loro potenza ideologica, economica, politica e militare.

San Paolo a Corinto (immagine da internet)

[1] Ho usato la Traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo, con la revisione e controllo dottrinale dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia – UCOII. 

[2] Dichiar. Nostra aetate, 3.

[3] Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi Edizioni, Milano 2000.

[4] Cf sura 2,208; sura 4, 171; sura 4, 110; sura 5, 110; sura 16, 102; sura 19,17; sura 21, 91; sura 40,15; sura 42, 52; sura 66,12; sura 77,38; sura 97, 4.

[5] Cf Sura 2,256; 2,260; 3,18; 4,158; 6,73; 8,67; 9, 60; 15, 25; 16.60; 24,18; 27,6; 42,3; 42,51; 43,84; 47,8; 48,4; 58,24; 59,24; 95,8.

[6] «Allah apre il cuore all'Islàm a coloro che vuole guidare, colui che vuole sviare, lo stringe e opprime il suo petto, come a chi fa sforzo a salire verso il cielo. Così Allah impone l'infamità a coloro che non credono» (sura 6,125); «Il tuo Signore è Colui Che basta a Se stesso, è il Detentore della misericordia. Se volesse vi distruggerebbe e vi sostituirebbe come Lui vuole, così, come vi ha fatti discendere, dalla posterità di un altro popolo» (sura 6, 133); «Ci sono [angeli] davanti e dietro [ogni uomo] e vegliano su di lui, per ordine di Allah. In verità, Allah non modifica la realtà di un popolo, finché esso non muta nel suo intimo. Quando Allah vuole un male per un popolo, nessuno può allontanarlo; né avranno, all'infuori di Lui, alcun protettore» (sura 13,11); «Il tuono Lo glorifica e Lo loda, e così gli angeli insieme, nel timore di Lui. Scaglia i fulmini e colpisce chi vuole, mentre essi discutono su Allah, Colui Che è temibile nella Sua potenza!» (sura 13,13); «Allah dà generosamente a chi vuole e lesina a chi vuole» (sura. 14, 4); «Non inviammo alcun messaggero se non nella lingua del suo popolo, affinché li informasse. Allah svia chi vuole e guida chi vuole, ed Egli è l'Eccelso, il Sapiente» (sura 13,26); «oppure concede maschi e femmine insieme e rende sterile chi vuole. In verità Egli è il Sapiente, il Potente» (sura 42, 50); «[Appartiene] ad Allah la sovranità sui cieli e sulla terra. Egli perdona chi vuole e castiga chi vuole. Allah è perdonatore, misericordioso» (sura 48,14).

[7]Vedi per es.: «Allah ha posto un sigillo sui loro cuori e sulle loro orecchie e sui loro occhi c'è un velo; avranno un castigo immenso» (Sura 2, 7); «Nei loro cuori c'è una malattia e Allah ha aggravato questa malattia. Avranno un castigo doloroso per la loro menzogna» (2,10); «Allah sottrae loro la luce e li abbandona nelle tenebre in cui non vedono nulla» (2,17); «se Allah avesse voluto, li avrebbe privati dell'udito e della vista. In verità Allah su tutte le cose è potente» (2,10).

[8] Per es. Sura 4,75; 3,19.

[9] Vedi per esempio la Sura 9,29: «Combattete coloro che non credono in Allah…che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati». «Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell'omicidio. Ma non attaccateli vicino alla Santa Moschea, fino a che essi non vi abbiano aggredito. Se vi assalgono, uccideteli» (sura 2,191). «Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia [reso solo] ad Allah» (sura 2,193).

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