Il concetto di Dio da Kant a Feuerbach - Da Dio come idea della ragione a Dio come alienazione della ragione - Quarta Parte (4/5)

 Il concetto di Dio da Kant a Feuerbach

Da Dio come idea della ragione a Dio come alienazione della ragione

 
 Quarta Parte (4/5)
 

Io Sono

La ragione kantiana è diventata più pretenziosa di quella cartesiana: mentre Cartesio si sforza di fornire delle prove dell’esistenza di Dio, anche se tali prove alla fine sono petizioni di principio, Kant, più audace, ma conseguente riguardo alla concezione cartesiana della ragione, libero dal timore dell’inquisizione, mostra che se la ragione da sé costruisce quel proprio sommo fastigio, quel supremo coronamento e ricapitolazione di tutta l’attività sistematica della ragione, che è l’«ideale trascendentale», Dio si riduce alla rappresentazione simbolica dell’ideale della ragione, mentre Kant si premura di mettere in guardia dalla sottile se pur comprensibile tentazione di  trasformare questo che non è altro che un ideale in un personaggio celeste chiamato «Dio», al quale render culto come se si trattasse di una persona reale.

Qui vediamo che cosa diventa Dio:  non è più, come ancora in Cartesio, il creatore della ragione, la quale, autofondata (come pure è anche la ragione cartesiana) non ha bisogno di alcun Dio. Eppure il calvario di Dio non è ancora finito: Dio sopravvive nell’idealismo tedesco di Fichte, Schelling ed Hegel.

Il Dio degli idealisti tedeschi è il proprio io. Infatti per loro l’io è l’ego sum cartesiano divenuto l’io penso kantiano, il quale a sua volta è divenuto l’Io assoluto di Fichte. Essi non si curano più di dar spazio ontologico a un Dio ormai privato della trascendenza, ma identificano puramente e semplicemente l’essenza dell’uomo con l’essenza di Dio. Dio esiste, certamente, ma perché Dio è l’uomo: Dio sono io, come dice Fichte; Dio è il soggetto, come dicono Schelling ed Hegel.

Ma se l’uomo è Dio, che bisogno c’è del Dio trascendente? Non è già, questo, ateismo? Per questo motivo già Fichte fu accusato di ateismo. Egli si sdegnò e volle difendersi, dicendo che lui credeva in Dio. Già, ma se Dio era lui, che Dio è un Dio che s’identifica con un misero mortale?

Leggiamo le famose dichiarazioni con le quale Fichte parla dell’Io.

 

«Il porsi dell’Io per se stesso è la pura attività di esso. L’Io pone se stesso ed è in forza di questo puro porsi per se stesso e viceversa: l’Io è e pone il suo essere in forza del suo puro essere. Esso è, in pari tempo, l’agente e il prodotto dell’azione; ciò che è attivo e ciò che è prodotto dall’attività; azione e fatto sono una sola e medesima cosa; perciò l’Io Sono è l’espressione di un atto, ma anche del solo atto possibile. L’Io è posto assolutamente. L’Io è perché ha posto se stesso. Ciò, l’essere (essenza) del quale consiste puramente in questo, che esso pone se stesso come essente, è l’Io come Soggetto assoluto. Così come esso si pone, è; e così come esso è, si pone; l’Io perciò è assolutamente e necessariamente per l’Io. L’Io viene pensato corporeamente»[1].

 

«Posto che l’Io sia il concetto supremo e che all’Io sia contrapposto un non-Io, è chiaro allora che quest’ultimo non potrebbe esser contrapposto senza essere posto e anzi nel concetto supremo dell’Io. Quindi l’Io si dovrebbe considerare in un duplice riguardo: come ciò in cui è posto il non-Io e come ciò che è opposto al non-Io. E perciò stesso sarebbe opposto nell’Io assoluto. Il secondo Io dovrebbe essere uguale al non-Io inquantoché ambedue sono posti nell’Io assoluto e dovrebbe essergli opposto, parimenti, sotto lo stesso riguardo»[2].

Fichte col suo Io assoluto esplicita ulteriormente le implicanze panteiste del razionalismo kantiano. Ma nel contempo riabilita la religione, alla quale Kant negava il diritto di render culto a un Dio che per la ragione speculativa restava problematico, per cui per Kant la religione si riduce ad essere «l’intenzione religiosa inerente a tutti gli atti conformi al dovere»[3].

Più avveduti furono Schelling ed Hegel, il quali assicuravano di credere in Dio. E di fatti essi parlarono moltissimo di Dio e con i più elevati attributi. Affermarono talmente Dio da arrivare a sostenere che tutto è Dio. Ma in fin dei conti il panteismo non è la stessa cosa dell’ateismo? Che io ammetta Dio identificandolo con l’uomo o che io neghi Dio perché gli metto l’uomo al suo posto, tutto si riduce al diverso uso della parola «Dio», ma la sostanza del discorso è la stessa.

In entrambi i casi c’è l’uomo che si fa Dio. Che usi la parola Dio per designare se stesso o che non usi la parola Dio perché essa richiama il Trascendente, il discorso è lo stesso. Per questo l’ateismo è già implicito nel falso teista o meglio nel panteista Hegel. Feuerbach per affermare l’ateismo non avrà altro da fare che evitare la parola «Dio» anche se di fatto per lui, come dirà Marx, «l’uomo è Dio per l’uomo». Dice Kant: «La vera e unica religione non contiene che leggi: cioè quei princìpi pratici, della cui necessità assoluta noi possiamo renderci consapevoli, che noi dunque riconosciamo come rivelati dalla ragione pura (e non in maniera empirica)»[4].

Per Schelling noi giungiamo a sapere che Dio esiste non partendo dall’esperienza delle cose ed applicando il principio di causalità, ma secondo il metodo cartesiano della riflessione sull’io così come fu intesa da Spinoza, ossia che «la nostra mente, in quanto conosce se stessa sotto la specie di eternità, in questa misura necessariamente ha la conoscenza di Dio e sa di essere in Dio e di essere concepita per mezzo di Dio»[5].

Per Spinoza, nel momento in cui io prendo coscienza di me stesso dal punto di vista dell’eternità, ossia assumendo la sguardo di Dio, sotto lo sguardo di Dio e nello sguardo di Dio, mettendomi dal punto di vista di Dio, concepito mediante l’occhio di Dio, necessariamente ho la conoscenza di Dio e so di essere in Dio e di essere concepito mediante Dio stesso. Dunque Spinoza crede che dal cogito si possa ricavare un esser pensato da Dio, in modo tale che l’io acquista lo sguardo col quale Dio stesso vede il mio io. Ma siccome lo sguardo di Dio è Dio, ecco che il mio io si presenta come divino, esistente in Dio ed identico a Dio.

Quanto ad Hegel, egli riprende e sviluppa la concezione fichtiana dell’Io articolandola con la descrizione del procedimento del ritorno dell’Io su stesso nell’io umano:

 

«L’Io ha un contento ch’Egli distingue da Sé; Egli infatti è pura negatività o lo scindersi: è coscienza. Questo contenuto, anche nella sua differenza, è l’Io, perché è il movimento del toglier se stesso o è quella medesima pura negatività che è l’Io.  L’Io, in lui come distinto, è riflesso in se stesso;  il contenuto è concettualmente concepito sol perché l’Io nel suo esser-l’altro è presso di sé. Determinando meglio questo contenuto, esso non è nient’altro se non il medesimo movimento testè espresso; il contenuto, infatti, è lo Spirito che percorre se stesso e, precisamente, per sé come Spirito, perché ha la figura del concetto nella sua oggettività.

 

Ma per quanto concerne l’esserci di questo concetto nel tempo e nell’effettualità la scienza non appare prima che lo Spirito sia giunto a questa consapevolezza intorno a se medesimo.  Come Spirito che sa ciò che Egli è, lo Spirito non esiste né prima né mai, se non dopo il compimento di quel lavoro per cui, vinta la sua figura imperfetta, si procura per la sua coscienza la figura della sua essenza e pareggia, in tal modo, la sua autocoscienza e la sua coscienza. Lo Spirito in sé e per sé essente, distinto nei suoi momenti, è sapere per sé essente, è l’atto concettivo in genere che, in quanto tale, non ha ancora raggiunto la sostanza o non è ancora in se stesso sapere assoluto. …

 

Per questa ragione devesi dire che niente vien saputo, che non sia nell’esperienza o, come anche si esprime la medesima cosa, che non sia dato come verità sentita, come l’Eterno interiormente rivelato, come il Sacro a cui si crede o come altrimenti si voglia dire. Infatti l’esperienza è proprio questo; che in sé il contenuto – ed esso è lo Spirito – è sostanza e quindi oggetto della coscienza. Ma questa sostanza che è lo Spirito ne è il divenire fino a farsi ciò che è in sé; e solo come questo divenire riflettentesi in se stesso Egli in sé è in verità lo Spirito. Egli è in sé il movimento che è il conoscere, la transustanziazione di quell’in sé nel per sé, della sostanza nel soggetto, dell’oggetto della coscienza in oggetto dell’autocoscienza, cioè in oggetto altrettanto tolto nel concetto. Quel movimento è il circolo ritornante in se stesso che presuppone il suo cominciamento e lo raggiunge soltanto nella fine.

 

In quanto dunque lo Spirito è questo distinguere dentro di sé il suo intiero intuìto, si contrappone alla sua autocoscienza semplice; e poichè dunque l’intiero è il distinto, esso è distinto nel suo puro concetto intuìto: nel tempo e nel contenuto o nell’in sé; la sostanza, come soggetto ha in lei la necessità inizialmente interiore, quella di presentarsi in lei stessa come ciò che essa è, come Spirito. Soltanto la perfetta presentazione oggettiva è in pari tempo la riflessione di essa medesima o il suo farsi sé.

 

Perciò, finché lo Spirito non è in sé, finché non si è compiuto come Spirito nel mondo o Spirito universale, Egli non può attingere la sua perfezione come Spirito autocosciente. Quindi nel tempo il contenuto della religione enuncia prima della scienza ciò che lo Spirito è; ma solo la scienza è il vero sapere che lo Spirito ha di Lui stesso»[6].

Il coming-out dell’ateismo «scientifico»

Ormai l’ateismo è pronto per entrare in scena. Da secoli si è preparato il terreno, «larvatus prodeo», come amava dire Cartesio con indefettibile perseveranza e costanza, degne di ben migliore causa. Finalmente adesso, cessati i controlli dell’Inquisizione, e imbambolati i più importanti cervelli d’Europa, si sente pronto per il suo formidabile exploit lanciando il progetto di una nuova umanità finalmente liberata dalla superstizione e dal bigottismo ed aperta a tutti gi spazi della scienza.

L’ateismo segue quattro  direttrici, tutte originate dal cogito-volo cartesiano: 1) la direttrice volontarista di Schopenhauer, che parte dal fenomenismo kantiano in unione con lo yoga indiano; 2) la direttrice sentimentale-mistica atematica di Schleiermacher, che parte dalla ragion pratica di Kant attraverso l’idealismo etico di Fichte; 3) la direttrice  di Feuerbach, che parte da Hegel, rovesciandolo dall’idealismo al materialismo, Hegel che a sua volta aveva portato a compimento e termine l’Io di Fichte e il Soggetto di Schelling; e 4) la direttrice positivista di Auguste Comte, originata dal meccanicismo matematico della res  extensa congiuntamente all’empirismo di Hume.

Nietzsche sulla linea del volontarismo di Fichte, di Schopenhauer e di Schleiermacher, intende l’io come volontà di potenza e istinto animale, l’io, in forza di questa volontà invincibile autopoietica, supera se stesso e diventa super o soprauomo, diventa l’Altissimo al di sopra degli altri uomini miseri, spregevoli, deboli e mortali e li domina dall’alto con scettro di ferro e senza pietà. È l’uomo che, per la sua potenza, ha ucciso Dio, il cui cadavere ora col suo puzzo ammorba l’aria, ma che presto sarà dimenticato. In tutta la storia della filosofia, nessun personaggio, neppure Prometeo, ha mai pronunciato le spacconate blasfeme contro la divinità come Nietzsche.

Freud si pone nella linea del materialismo sensista illuminista ed ottocentesco. L’io è un animale che supera e nel contempo castiga e reprime se stesso in un «super-io», emergente dal subconscio-preconscio (id, lui, es), prodotto dall’io, super-io che sarebbe la morale e la religione, travestimento ipocrita della libido sessuale che costituisce l’energia fondamentale dell’uomo. La religione è pertanto una malattia mentale, che frustra la libertà sessuale, che è la libertà per eccellenza. La salute mentale si ottiene quindi allontanando il fantasma di Dio, cioè del super-io, principio di neurosi e frustrazione dell’istinto, nella ricerca del piacere sessuale (etero od omosessuale) come sommo bene e fine ultimo della vita.

Sartre vede l’io come autoprogetto in una libertà fine a se stessa, la quale determina l’esistenza e l’esistente prive di essenza e quindi di identità o determinazione intellegibile, sicchè l’essere diventa «nauseante» per avere altrettanto significato quanto il nulla, per cui essere e non essere sono la stessa cosa. Siamo in pieno nichilismo. Esistere o non esistere hanno lo stesso senso, ossia nessun senso. Non ha senso l’io così come non ha senso l’altro. Il nulla vale tanto quanto l’essere. L’essere è nulla e il nulla è essere. L’uomo è una «passione inutile»[7].

Husserl si vanta di aver fondato una nuova scienza assolutamente rigorosa, che egli chiama «fenomenologia», ma ad un attento esame, essa non è che l’ennesima proposta dell’Io assoluto che si ricava dall’io cartesiano. Siamo quindi daccapo. Husserl, come è noto, «mette tra parentesi» l’esistenza dell’essere extramentale. Non si capisce allora quale rigore e quale verità possa avere una scienza impostata un tal modo, benché Husserl sottolinei l’importanza dell’«intuizione dell’essenza» (wesenschau). Benchè Husserl non neghi l’esistenza di Dio, questo Dio non è altro che quello di Kant e di Hegel, il vertice dell’autocoscienza, che io rappresento come se fosse un personaggio reale e maestoso che mi sta davanti e al di sopra.

Heidegger gioca abilmente, a seconda delle convenienze, su due registri,  non si capisce da che parte stia. Ora si presenta come vate del «Dio divino», pastore dell’essere, luce del Sacro, contro la «ontoteologia» scolastica; ora si presenta come profeta del Nulla e dell’essere-per-la-morte. Per Severino «l’essere non può non essere». Quindi esiste solo Dio. A lui però non va la parola «Dio». Allora che cosa è questo «essere»?[8].

Severino fonda la sua filosofia sull’«essere-che-non-può-non-essere». Ora l’assolutamente necessario, come aveva ben visto Kant e aveva dimostrato San Tommaso d’Aquino, non può essere che Dio. Invece Severino dice che non si tratta di Dio, del quale anzi nega l’esistenza come supremo ente, causa prima delle cose. D’altra parte Severino ammette, come Parmenide, solo l’esistenza dell’assolutamente necessario e nega l’esistenza del contingente. E allora si capisce perchè il suo Assoluto non è Dio. Confondere infatti l’essere tout court con l’essere necessario non è teismo ma panteismo.

Il divenire per Severino non esiste, perchè sarebbe contradditorio. Tutto il contrario di Hegel che dice che l’essere è divenire, sicchè anche Dio diviene. Ora, anche Hegel concepisce il divenire come contradditorio, ma per lui è normale, perchè, come è noto, egli si fonda sulla contraddizione, mentre Severino vorrebbe difendere il principio di non-contraddizione, ma lo fa in modo sbagliato, perché non capisce che il divenire non è contradditorio, ma è semplicemente passaggio dalla potenza all’atto.

Bisogna fare attenzione altresì a non confondere con l’ateismo la mistica apofatica e la teologia negativa[9]. L’ateo dice che Dio non esiste, ossia nega a Dio l’esistenza ovvero l’essere. Il mistico dice che Dio è nulla di quanto noi possiamo pensare col nostro concetto dell’essere. Quindi per il mistico, contrariamente a quanto afferma l’ateo, Dio esiste, ma non secondo il nostro limitato concetto di essere, perché il suo essere è infinitamente di più di ciò a cui noi pensiamo quando concepiamo l’essere, anche quando pensiamo all’essere infinito o assoluto, anche quando pensiamo a quell’Essere che sussiste ed esiste per sua essenza.

Noi usiamo sempre il nostro limitato concetto di essere, il quale, certo, coglie l’essere, ma, a causa dei limiti della nostra intelligenza, non può comprenderlo nella sua infinità. Noi possiamo sì cogliere l’Infinito, ma solo finitamente. Illusione del panteista o dello gnostico è invece quella di credere che il finito possa diventare infinito o che l’infinito sia finito o che l’infinito possa finitizzarsi.

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 luglio 2023

Per Schelling noi giungiamo a sapere che Dio esiste non partendo dall’esperienza delle cose ed applicando il principio di causalità, ma secondo il metodo cartesiano della riflessione sull’io così come fu intesa da Spinoza.

Per Spinoza, nel momento in cui io prendo coscienza di me stesso dal punto di vista dell’eternità, ossia assumendo la sguardo di Dio, sotto lo sguardo di Dio e nello sguardo di Dio, mettendomi dal punto di vista di Dio, concepito mediante l’occhio di Dio, necessariamente ho la conoscenza di Dio e so di essere in Dio e di essere concepito mediante Dio stesso. Dunque Spinoza crede che dal cogito si possa ricavare un esser pensato da Dio, in modo tale che l’io acquista lo sguardo col quale Dio stesso vede il mio io. Ma siccome lo sguardo di Dio è Dio, ecco che il mio io si presenta come divino, esistente in Dio ed identico a Dio.

Severino fonda la sua filosofia sull’«essere-che-non-può-non-essere». Ora l’assolutamente necessario, come aveva ben visto Kant e aveva dimostrato San Tommaso d’Aquino, non può essere che Dio. Invece Severino dice che non si tratta di Dio, del quale anzi nega l’esistenza come supremo ente, causa prima delle cose. Severino ammette, come Parmenide, solo l’esistenza dell’assolutamente necessario e nega l’esistenza del contingente. E allora si capisce perchè il suo Assoluto non è Dio. Confondere infatti l’essere tout court con l’essere necessario non è teismo ma panteismo.

Noi possiamo sì cogliere l’Infinito, ma solo finitamente. Illusione del panteista o dello gnostico è invece quella di credere che il finito possa diventare infinito o che l’infinito sia finito o che l’infinito possa finitizzarsi.

Immagine da Internet: Baruch Spinoza



[1] La dottrina della scienza, Edizioni Laterza, Bari 1971, pp.77-78.

[2] Ibid., p.51.

[3] La religione entro i limiti della sola ragione, Edizioni Laterza, Bari 1985, p.168.

[4] Ibid., p.185.

[5] Etica V, prop.XXX,cit. da Schelling in Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà,Edizioni Mursia, Milano 1974, p.42.

[6] Fenomenologia dello Spirito, op.cit., pp. 296-299.

[7] Abbiamo in Sartre la concezione più chiara del pensiero nichilista, più rigorosa del famoso nichilismo russo fine ‘800, che tutto sommato, non è che una grossolana secolarizzazione dell’apofatismo della mistica ortodossa. È strano che uno studioso del nichilismo così attento alle esigenze della metafisica, come Vittorio Possenti in due suoi dotti libri dedicati all’argomento Il nichilismo teoretico e la «morte della metafisica» e Terza navigazione. Nichilismo e metafisica, entrambi pubblicati da Armando Editore, Venezia, rispettivamente nel 1995 e nel 1998, non faccia alcun cenno a Sartre. Per quanto riguarda l’accusa di nichilismo fatta da Severino al concetto cristiano della creazione e a quello aristotelico del divenire, è semplicemente assurda. Vedi Essenza del nichilismo, Adelphi Edizioni, Milano 1995.

[8] Bruno Mondadori ha pubblicato nel 2005 una raccolta di studi di vari autori dedicata a Severino: Le parole dell’Essere. Per Emanuele Severino. Di che cosa si tratta? Di metafisica? Di teologia? Quali sono le conclusioni? Qual è la sostanza del messaggio? Gli autori avvertono il legame che esiste fra il problema dell’essere e il problema dell’esistenza di Dio? La cosa non è chiara.

[9] Vedi il mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESD, Bologna 2002, pp.79-82.

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