Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 2 (2/2)

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 2 (Parte 2/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 12 (A-B)

Bologna, 20 gennaio 1987 - Fine Ultimo n. 12 (A-B)

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

 

… invalida il matrimonio … non è facile …

Sì. E’ molto importante anche, sì, è molto importante. Però lì forse la distinzione, cioè penso, anzi sono convinto che la distinzione è quella tra l’aspetto giuridico e morale, Cioè quella persona

… anche nel campo morale …

Non lo intravvedo. Perché, vedi, in questo campo bisogna che ci pensi ancora meglio. Ma, per adesso non intravvedo molto questa possibilità. Lì il conflitto si verifica veramente tra il giuridico e il morale. Cioè, non è lecito contrarre il matrimonio condizionato, anche solo moralmente da minacce o cose del genere, son cose orrende che talvolta effettivamente si verificano, genitori che costringono i figli proprio a contrarre un matrimonio contro la loro volontà.

Cedere a una simile paura, invalida il matrimonio. Cioè se si riesce a dimostrare che effettivamente c’era questo metus, il matrimonio risulta invalido, non perchè si richiede che l’atto sia volontario, ma che sia tanto volontario, cioè che sia assolutamente incondizionato, in maniera tale che ci sia questo reciproco consenso. Nel caso del matrimonio, voi lo sapete bene, siccome gli sposi sono appunto ministri, cioè sono proprio sacerdoti della nuova alleanza - è uno dei casi in cui si esercita proprio esplicitamente il sacerdozio comune dei fedeli, cioè i battezzati e i cresimati - ebbene, gli sposi proprio attuano questo sacerdozio, e quindi devono avere l’intenzione del sacerdote, la quale sempre deve essere non solo abituale, ma virtuale.

Quindi, ci deve essere, diciamo così, una grande adesione di volontà. Non basta, insomma, questo condizionamento, in qualche modo, ad invalidare il matrimonio agli occhi della legge e delle disposizioni canoniche, seppure poi, come dicevi, come succede in queste cose piuttosto interiori, non sia facile dimostrare fino a che punto quel metus era veramente condizionante. Certo che se si vede proprio che fa male, che proprio trascinava la sposa all’altare, allora, sì, in sostanza, si può dimostrare bene questo fatto. Ma, ma quello che succedeva nell’animo della sposa non si può interamente dirimere.

Comunque, vedi, in quel caso, tuttavia, la sposa, poverina, mi dispiace per lei, ma ha fatto un peccato. Cioè ha fatto due azioni manchevoli. Una giuridicamente, perché il matrimonio non è stato contratto. Ed un’altra moralmente, perché ha tentato vanamente di contrarre un matrimonio non contraibile.

Quindi moralmente purtroppo rimane la colpa, e S.Tommaso in ciò, ahimè, è assai severo. Perché? Perché effettivamente, all’infuori del caso in cui la paura è talmente dominante da accecare completamente la mente, per quell’angolino, anche piccolino, in cui rimane la libertà, siamo del tutto responsabili.

Ciò, infatti è molto, molto problematico. C’è qui una difficoltà. S.Tommaso non  vede molto di buon occhio l’attenuazione della libertà. Cioè dice: fin che la libertà c’è, o c’è tutta o non c’è affatto, in sostanza[1]. Tende un po’ a questo. Certo non bisogna esagerare, ma tende un po’ a questo. Invece, quando parla dell’imperfezione dell’atto del peccato veniale, intravvede anche quella possibilità di attenuazione.

Tommaso dice che, soprattutto per i peccati della sensualità, in qualche modo c’è quasi un peccato che ritorna ad essere di omissione, quello di sensualità, nel senso che in noi insorgono continuamente dei movimenti disordinati, si direbbe in poche parole, le tentazioni, che, non sono ancora peccati, ovviamente. Quindi c’è qualche cosa di ancora assolutamente avulso dalla morale. Assume una qualifica morale a seconda della reazione del soggetto, a seconda che questa tentazione venga accolta oppure venga esercitata una certa resistenza.

Se è accolta, è peccato mortale e non si scappa. Se invece viene esercitata una certa resistenza, e la tentazione viene superata, ovviamente il soggetto si mantiene nella virtù. Non solo, ma acquista ancora un merito, diciamo così, aumentato da questa lotta contro la tentazione. E io direi che ciò è ovviamente indice di grande carità, comunque di grande forza morale interiore, anche naturale.

Ebbene, nei peccati di sensualità, invece, può succedere che uno non è che assecondi una passione disordinata, ma non la reprime neppure. Ora, S.Tommaso dice che, mentre una per una[2] sono reprimibili e quindi abbiamo la responsabilità di reprimerle, non sono tuttavia reprimibili tutte insieme. E quindi, dice, in quel caso il peccato non è imputabile appieno.

Quindi c’è una imputabilità parziale, cioè a livello appunto del peccato veniale. E si potrebbe dire che in fin dei conti è una specie di atto umano a circuito chiuso. Cioè la ragione è presente, ma è tenuta quasi fuori uso, senza la volontà attiva del soggetto. Tranne però che in questo caso, S.Tommaso generalmente dice che per quel poco che rimane della libertà, anche se in termini quantitativi ce n’è poca,  ciò che è libero lo è in pieno, cioè è libero semplicemente.

Così anche, vedremo adesso nella concupiscenza, che ciò che rimane della nostra liberta ci rende responsabili appieno[3], seppure spesso ci si trovi veramente in situazioni molto molto delicate. Quindi bisogna essere molto attenti a non giudicarle, diciamo, con troppa facilità. E proprio questa analisi dell’atto umano ci suggerisce la saggezza del detto evangelico “non giudicate”.

Proprio il non giudicare è saggio, perché non possiamo mai vedere esattamente quello che succede ex parte subiecti. Quindi, come si dice, giustamente va sempre condannato il peccato, ossia la materia del peccato, ciò che materialmente avviene, ma non il peccatore, perché non si sa mai con quale spirito compie quella determinata azione.

Così, anche per quanto riguarda la concupiscenza, S.Tommaso analizza il suo influsso appunto sulla volontà. Cioè succede che qualcuno agisca spinto da una forte concupiscenza. Concupiscenze che poi generalmente, come sapete materia della temperanza, sono legate a questo duplice istinto fondamentale della conservazione della vita dell’individuo e della specie, cioè l’istinto nutritivo e l’istinto sessuale, procreativo.

Ebbene, può succedere che qualcuno agisca spinto da una fortissima passione. In quel caso che cosa succede? Per esempio, uno che ha molta, ma molta fame. E succede, in sostanza, che per sfamarsi, spinto da una passione molto forte, per la fame può veramente giungere, diciamo così, a degli estremi impressionanti.

Ebbene, costui è spinto da questa forte concupiscenza, comprensibile anche in questa circostanza di uno che poverino ha digiunato non so per quanto, non alla maniera dei radicali, i quali digiunano secundum quid, ma comunque, digiunando seriamente. E poi dopo, ecco, ha fame. A questo punto, se per sfamarsi compie un peccato, non quello che ipotizzava il caro Confratello, perché in tal caso non sarebbe peccato, ma qualche altro peccato[4]. Adesso non mi viene in mente un esempio[5].

Ebbene, certamente agisce male. Però agisce spinto dalla passione. Allora, la questione è questa. La spinta passionale concupiscente scusa dal peccato, attenua il peccato? O, trattandosi in genere anche di qualcosa di buono, diminuisce la responsabilità morale, diminuisce in qualche modo il volontario perfetto o lo aumenta o che cosa succede esattamente?

Ebbene, la tesi di S.Tommaso è sorprendente. Poi sarà bisognosa di precisazioni, alle quali lascia aperta la strada, però non le esplicita. La tesi è questa: la concupiscenza non causa l’involontario, ma addirittura contribuisce a rendere l’atto più volontario. Ciò che si fa, fa con concupiscenza, si fa con più volontà[6].

E infatti qualcosa è volontario perché la volontà si porta a questa determinata cosa, che si dice volontaria, come al suo oggetto. E’ volontario ciò che è oggetto di volontà, non necessariamente l’atto, ma l’oggetto dell’atto deve essere anche oggetto della volontà. Solo allora l’atto è volontario. Per mezzo della concupiscenza, però, la volontà è inclinata a volere ciò che si desidera con concupiscenza. Quindi, in qualche modo la volontà e la concupiscenza vanno nella stessa direzione.

Perciò è quasi come se la volontà assecondasse la concupiscenza e fosse rafforzata dalla spinta della concupiscenza. Quindi l’atto diventa più volontario che mai. Perché la volontà si rafforza per mezzo della passione a volere ciò che appunto in quel momento vuole. Notate come S.Tommaso qui allude implicitamente a quello che ha già  detto nei trattati sulle virtù morali. In particolare abbiamo studiato in connessione con la fortezza, come il forte si serve della passione nell’atto della virtù. Il forte deve servirsi dell’ira soprattutto nella parte aggressiva della virtù, perché, se uno non è un pochino irascibile, è difficile che sia forte in questo campo.

Quindi, in qualche modo c’è la ragione che domina la passione e dominandola se ne serve. In questo caso è la volontà che è assecondata dalla passione[7] e a sua volta asseconda la passione stessa. Quindi, c’è una convergenza tra la volontà e la passione in maniera tale che la passione, seppure sia un qualche cosa di diverso della volontà, però spingendo nella stessa direzione, si potrebbe dire che aumenta nella volontà la intensità di adesione.

Ora, la differenza tra chi agisce per concupiscenza e chi agisce per paura è appunto questa. Nel caso di chi agisce per paura, rimane attualmente la ripugnanza della volontà in astratto, almeno in astratto; c’è la volontà ripugnante a fare ciò che si fa, a gettare la merce. Il commerciante che, in pericolo di vita deve gettare la merce a mare, insomma, si sente a disagio, velleitariamente vuole, anche se poi di fatto butta volentieri anche la merce a mare pur di salvarsi. Ma per il resto gli rimane un minimo di ripugnanza con ciò che fa. Invece, in chi agisce per concupiscenza, è annullata ogni ripugnanza. Cioè la volontà vuole ciò che desidera anche la concupiscenza. Quindi, non c’è nulla di involontario, anzi il volontario è aumentato dalla concupiscenza stessa[8].

Ora, ovviamente S.Tommaso nell’ad tertium, considera il caso particolare,nel quale la concupiscenza togliesse del tutto la conoscenza. In tal caso toglierebbe il volontario e la stessa ragione, cioè la stessa caratteristica, la stessa essenza dell’atto umano. Quindi toglierebbe il volontario e ciò che è l’atto umano, l’essenza dell’atto umano. Quindi, in questo caso, non si può nemmeno parlare di volontario o di involontario. Manca lo stesso soggetto, che può agire volontariamente o involontariamente. E’ come se quel tale diventasse, quasi un animale. In quel momento non ha l’uso della ragione.

Questo capita solo in casi assolutamente estremi, in cui la ragione in sostanza non mantiene il suo distacco astrattivo da ciò che le viene presentato in concreto dalla passione[9]. Cioè ci può essere una tale, diciamo così, fissazione. Come bisognerebbe chiamarla?  Mania, in termini un po’ più tecnici: praticamente quello che è presentato in concreto dal senso e dalla passione, dall’appetito sensitivo, diventa per la ragione il  bene in assoluto, ma senza scelta, perchè sennò, se fosse scelto, sarebbe un peccato, anzi dei più gravi.

Ma, questo avviene semplicemente sul piano cognitivo. Si considera quel bene come l’unico bene, come il bene, e non si può non considerarlo così. In tal caso non c’è ovviamente nessuna libertà, perché abbiamo visto che la libertà presuppone questo distacco astrattivo tra il bene, la ratio boni, il bene universale, e il bene particolare rappresentato dal giudizio pratico-pratico. Se c’è una tale irruenza della passione che questa astrazione non può aver luogo, la ragione si identifica con ciò che le presenta il senso. E in tal caso non c’è più libertà.

Talvolta la concupiscenza impedisce solo la considerazione dell’agibile concreto. Cioè, in qualche modo avviene questo che la concupiscenza non impedisce del tutto la considerazione della ragione, la ragione conosce la ratio boni e può conoscere anche il singolo operabile, che le viene presentato dal desiderio passionale. Ma non lo conosce. In tal caso bisognerebbe astenersi dall’agire, pensarci meglio e agire dopo.

Se uno agisce con precipitazione, questa precipitazione gli viene imputata. Vedete come torna il discorso della prudenza, la quale è insidiata particolarmente dalla concupiscenza sregolata, che toglie la chiarezza e la limpidità del giudizio.

Vediamo il Merkalbach. E’ questo il complemento, perché effettivamente  S.Tommaso ha parlato più che altro della concupiscenza conseguente la passione. Parla della concupiscenza che in qualche modo è conseguente alla volontà, cioè, insomma, alla volontà che accetta la passione, il famoso consensus, cioè la volontà acconsente a ciò che le presenta la passione. In questo caso, della concupiscenza conseguente, che si dice tale quasi come se fosse scelta dalla volontà, ovviamente la concupiscenza aumenta la volontà stessa. Però può succedere che ci sia la concupiscenza antecedente.

Quindi la distinzione che si impone è questa. Nella concupiscenza conseguente, il volontario precede e la passione segue da esso. Quindi la passione è quasi come se fosse scelta dalla volontà stessa e perciò aumenta la volontà, è libera. E’ chiaro che la passione si può presentare anche prima dell’atto del consenso, e di fatto sempre succede così. Cioè la passione c’è, però, a un certo punto, interviene il volontario, il quale fa sua la passione e allora la passione diventa conseguente; la concupiscenza diventa conseguente rispetto al volontario.

… esempio …

Uno, per esempio, è insidiato dalla fame. A un certo punto, la sua volontà asseconda questo impeto dell’istinto nutritivo, cioè, insomma, vuole mangiare. In quel momento la passione della fame diventa un qualche cosa di accettato dalla volontà, di voluto a sua volta. Cioè, prima dell’accettazione della tendenza nutritiva, io provavo in me la fame, ma non volevo mangiare. Quando voglio mangiare, accetto la spinta dell’istinto nutritivo.

Allora l’istinto nutritivo non è più in me solo qualcosa di biologico; è un qualche cosa, che rimane sempre biologico, certo; però è pure accettato dalla volontà e quindi segue alla volontà. Questa passione, ripeto, che segue alla volontà, che è oggetto del buon senso volitivo, è un qualche cosa che aumenta il volontario. Lì non c’è nessun dubbio. Invece, la concupiscenza antecedente è quella che si presenta prima del consenso della volontà. La volontà in qualche modo si trova dinnanzi a una passione, sulla quale la volontà deve ancora decidersi.

          Ora, la concupiscenza antecedente sempre aumenta di suo il volontario impropriamente detto, cioè il cosiddetto spontaneo. Questo è abbastanza evidente, perchè di suo, per natura sua, è spontaneo. Gli istinti sono spontanei, non sono ragionevoli ovviamente come tali.  

Checché ne dicano gli antropologi moderni, la nutrizione e la sessualità sono assolutamente comune all’uomo e agli animali, quanto all’essenza. Quanto al modus essendi è diverso, (?) diverso. Questo è chiaro. Però, quanto all’essenza, al fine specificante, come dice Aristotele, animal ab homine perficitur, in sostanza. Quindi, non c’è dubbio che c’è perfetta univocità.

In questo senso la passione è un qualche cosa di spontaneo. E quindi ovviamente aumenta l’inclinazione naturale spontanea, proprio perchè già per se stessa essa è tale. Quindi aumenta il volontario imperfetto, quello che abbiamo detto volontario imperfetto, quel volontario che si verifica appunto negli animali oppure in chi non ha l’uso della ragione, come i bambini o i folli, eccetera. Hanno solo lo spontaneo, non hanno il volontario perfetto.

Generalmente, aumenta anche il volontario propriamente detto. Qui però bisogna fare una distinzione. Aumenta il volontario propriamente detto, ossia il volontario perfetto, sotto l’aspetto della inclinazione e propensione; aumenta quindi sotto l’aspetto della mozione, del muoversi al fine. E questo per la ragione che S.Tommaso ha pure esposto nel corpus articuli, perchè già indirizza in quel determinato senso.

Quindi quasi si potrebbe che dia una mano, si presti a dare una mano. Nell’ipotesi c’è una passione antecedente. Quindi, si presta a dare una mano alla volontà. Se la volontà la accetterà, allora entrambe andranno con maggiore spinta verso la stessa direzione. Però, quanto all’indifferenza del giudizio, quanto, e quindi quanto al dominio attivamente indifferente della volontà sul giudizio stesso, la libertas arbitrii, ossia la libertà del giudizio, è diminuita, se non addirittura del tutto legata.

E’ un paradosso. Lì[10], appunto nella concupiscenza antecedente, si dissocia nel volontario perfetto. Abbiamo visto che le sue condizioni sono due, cioè che la mozione sia intrinseca e che avvenga con la perfetta conoscenza del fine. Ora l’intrinsecità della mozione è assecondata dalla concupiscenza. Invece è legata, impedita dalla concupiscenza, l’indifferenza nel giudizio, e di nuovo l’astrazione. Se c’è un’ insistente passione, è difficile che la ragione si mantenga serena nell’astrarre, nel paragonare in qualche modo il bene particolare e vederlo limitato alla luce del bene universale.

E quindi può succedere che effettivamente, sotto questo secondo aspetto, sia diminuito il libero. Cioè è aumentato il volontario perfetto, sotto l’aspetto della mozione, della tendenza, della inclinazione. E’ però diminuito il libero. Perciò si potrebbe dire un po’ paradossalmente, che la concupiscenza aumenti il volontario, ma tenda a diminuire il libero, perchè diminuisce la serenità[11] della conoscenza.

Poi c’è il terzo caso, che S.Tommaso ha ipotizzato, ossia quello in cui è completamente tolto l’uso della ragione e allora, come abbiamo detto, non si può parlare nemmeno dell’involontario o di altri. Quindi, la soluzione più articolata potrebbe essere questa: la concupiscenza aumenta il volontario, nel caso della concupiscenza conseguente; nel caso della concupiscenza antecedente, tende ad aumentare il volontario imperfetto, quanto all’inclinazione, mentre diminuisce il libero; nel caso in cui impedisce del tutto l’uso della ragione, non ha luogo nemmeno la distinzione tra il volontario e l’involontario, perchè non c’è propriamente un soggetto agente secondo ragione.

Un’ultima casistica, diciamo così dell’influsso sull’atto umano. Notate, dico ultima,  perché, come vi ho detto l’altra volta, questa casistica potrebbe essere infinita, perché bisognerebbe aggiungere tutte le patologie che ci sono. Quindi, lì ovviamente la morale sconfina nella psicologia. E ovviamente non è il caso che il moralista svolga anche il ruolo dello psicologo. Però, è bene che sappia tanto della psicologia quanto è necessario per la sua materia, cioè che sappia individuare i casi patologici, in sostanza.

Per esempio, queste sono cose ormai del mestiere. Il Signore mi perdoni se dico che il sacramento della penitenza possa essere chiamato mestiere. Cioè ci sono trucchi del mestiere, insomma. Potete incontrare una persona, appunto è il caso da manuale, la quale che vi dice che ha offeso Nostro Signore Gesù Cristo. Io, mi adatto e dico: ma perché? E’è cosa grave, bestemmia, eccetera. Perché? E questa dice: camminando in un bosco ho visto due ramoscelli a segno di croce e ci ho messo il piede sopra.

Allora, voi, vedete che questo è scrupoloso. E allora bisogna adoperare tutta, tutta la casistica. Se, invece, qualcuno viene da voi, e dice: Padre, sa, io non mi confesso da cinque anni, però in questi cinque anni, sa io sono poi una persona perbene, di brutte cose non ne faccio naturalmente, sono buono, sono tanto caritatevole, mi do da fare nella mia parrocchia, eccetera. A questo punto potrete essere sicuri che di coscienza ne ha veramente tanta. Casi patologici, che possono capitare.

Seppure quello che più fa soffrire[12] è ovviamente la coscienza scrupolosa, insomma. Infatti il rilassato corre più pericolo per la sua salvezza eterna, ma soffre meno dal punto di vista umano, mentre lo scrupoloso è più sicuro del suo premio celeste, ma, dal punto di vista umano, è molto messo in croce.  Quindi ovviamente a tutto questo poi si aggiungerebbe una patologia, sia nevrotica, sia psicotica e via dicendo.

Ad ogni modo, l’ultimo degli influssi causanti l'involontario, che S.Tommaso prende in esame è quella dell’ignoranza (Sum.Theol.,I-II, q.6,a.8). Ovviamente, quando non c’è la piena avvertenza, come dice il Catechismo di San Pio X, non c’è nemmeno la piena responsabilità. Ora, l’ignoranza causa l’involontario togliendo quella conoscenza previa, che è richiesta nella definizione del volontario. Si fa qualche cosa che non si farebbe se si conoscesse. Ovviamente per fare qualche cosa volontariamente bisogna conoscere ciò che si fa.

Quindi l’involontario può essere causato dalla ignoranza. Però si distinguono diversi tipi di ignoranza ed esattamente sono tre. Imprimetevi bene nella memoria questo schemino, che è importante da adoperare, sia in pratica che ovviamente ai vari esami, di confessione, eccetera. Ebbene, dunque c’è questo schema triadico: c’è la ignoranza concomitante, che fa un po’ un caso a parte; l’ignoranza conseguente; e l’ignoranza antecedente.

Dunque, l’ignoranza concomitante si chiama così, perché è tale da accompagnare ciò che si fa. Si chiama così, perchè riguarda ciò che si fa e si farebbe, anche se non lo si ignorasse. Notate bene questo. L’ignoranza concomitante è quella che accompagna l’azione in maniera tale che ciò che si fa, si farebbe tuttavia; si ignora ciò che si fa, ma lo si farebbe anche se non lo si ignorasse. Quindi vedete che qui il legame tra ignoranza e l’azione è un legame puramente accidentale. Capita, infatti, che si fa qualche cosa, che comunque si farebbe, però capita che lo si fa senza saperlo.

Esempio. Non può essere che quello della caccia. Per S.Tommaso è l’esempio più tipico. E’ difficile, sapete, è un caso che si verifica raramente. Dice S.Tommaso: supponiamo che uno abbia un nemico mortale, che proprio gli insidia la vita, cioè vorrebbe ucciderlo. Alla prossima occasione, dice quell’uomo, lo ammazzo. Quindi, ha di questi caritatevoli propositi, e va a caccia con la doppietta.

Poi, si accosta al folto del bosco, pensa che ci sia un cervo a cui sparare,  spara. Guarda caso, trova invece del cervo il suo mortale nemico. Dice: oh, che fortuna.. E’ il caso dell’ignoranza concomitante. Lui comunque gli avrebbe insidiata la vita. Lo avrebbe ucciso. Però, mentre lo uccideva, di fatto ignorava di uccidere. E’ il caso appunto di ignoranza concomitante, dove l’ignoranza non influisce in fondo su ciò che si fa. Lui comunque lo avrebbe fatto. Però, gli capita di ignorare di fare proprio quello che si proponeva di fare.

Ebbene, in questo caso si tratta del non volontario. Cioè non si può parlare di involontario, perchè non c’è nessuna contrarietà alla volontà. Ma semplicemente del non volontario, nel senso che la volontà non è nè contrastata nè condizionata o ristretta in qualche modo, ma semplicemente l’ignoranza esula da ciò che si fa. Quindi in qualche modo causa il non volontario.

Non può infatti essere attualmente voluto, ciò che è ignorato. Quindi egli in quel momento non può voler uccidere, cioè con l’azione di uccidere voleva uccidere il cervo e non il nemico, perché effettivamente ciò che si ignora non si può volere, però voleva, per altri motivi, l’uccisione del suo nemico, anche se in quel momento non lo voleva in quella particolare azione.

L’ignoranza conseguente. Qui la casistica diventa molto più complessa. L’ignoranza conseguente è l’ignoranza volontaria, che quindi segue in qualche modo la scelta della volontà. In un modo o nell’altro si vuole ignorare. Ovviamente  questo tipo di ignoranza non causa per nulla  l’involontario. Cioè lo causa solo secundum quid, ma, come vedremo, di per sé non causa l’involontario.

Ora, il modo della ignoranza conseguente può essere diverso. La prima distinzione da fare è per commissione e per omissione. Per commissione. L’ignoranza conseguente per commissione avviene se l’atto di volontà si porta sull’ignoranza stessa, cioè si vuole ignorare, per essere liberi nel fare il male, per esempio. Io non mi istruisco proprio perché non voglio. Cioè faccio, in qualche modo dell’ignoranza un oggetto della mia volontà. Io voglio essere ignorante, perchè deponendo l’ignoranza, conoscendo troppo bene la morale, in sostanza, poi mi sentirei,  in qualche modo, troppo legato nelle mie scelte libere, eccetera.

In questo caso si tratta dell’ignoranza fittizia, affettata. Cioè uno finge l’ignoranza. E’ l’ignoranza che serve da alibi, in sostanza. Lui sa bene che c’è sotto qualche cosa che non funziona. Però vuole ignorare proprio per avere una scusa per peccare più liberamente.

Poi l’ignoranza per omissione. Cioè quando non ci si procura la scienza dovuta, cioè si ignora ciò che non si dovrebbe ignorare, si ignora ciò che si dovrebbe conoscere. Questo può avvenire ancora attualmente, se uno attualmente non considera ciò che dovrebbe considerare, non prende in considerazione ciò che dovrebbe e questa è la cosiddetta ignorantia malae electionis, ossia l’ignoranza di cattiva scelta. Uno quasi sceglie di non considerare.

Oppure, altro caso, non ci si sforza in vista della conoscenza doverosa. Uno sa che dovrebbe procurarsi la scienza, ma non lo fa. E’ la cosiddetta ignoranza di diritto. S.Tommaso dice che è possibile ignorare il fatto, ma non il diritto. Cioè ammette l’ignoranza invincibile di fatto, ma non è possibile che uno ignori incolpevolmente il diritto, perchè di per sè tutti sono tenuti a conoscere la legge. La legge ovviamente non nel senso del codice, perché questo è per specialisti, ma conoscere la legge morale, insomma.

Quindi è l’ignoranza del diritto che è volontaria, in quanto deriva dalla negligenza. Questo tipo di ignoranza deriva dalla negligenza. Si dice ignoranza strettamente vincibile, perchè il soggetto non si sforza a vincere la sua ignoranza secondo quanto sarebbe dovuto allo stato in cui si trova. Quindi è una ignoranza vincibile, egli sa di poterla vincere, però per negligenza non si dà da fare per procurarsi la scienza necessaria.

L’esempio classico di questa ignoranza, che è legata poi ai doveri di stato, può essere quello di un medico, nell’esercizio della sua professione. Un medico che non conosce bene l’anatomia e si azzarda a fare delle operazioni chirurgiche, diventa un assassino. Proprio non c’è nessun dubbio. E allora, che cosa succede? Succede che egli sa di mandare in paradiso così alcuni pazienti. E non si dà da fare per deporre l’ignoranza, cioè non si dà da fare per conoscere tutto quello che un medico chirurgo dovrebbe conoscere, per non fare male al suo prossimo.

Solo è evidente che neanche il miglior chirurgo di questo mondo, è proprio onnisciente. Quindi c’è una certa ignoranza, che è lecita e che poi limiterà il colpa. Però, in ogni stato di vita, c’è una certa ignoranza, che è comunque vincibile. Cioè, il tale posto in quelle determinate circostanze sa che quelle cose non le può ignorare. E invece le ignora

Poi  si distingue ancora, in questo campo dell’ignoranza vincibile,  l’ignoranza crassa e supina, che sono due aspetti psichici della stessa ignoranza. L’ignoranza crassa è quella proprio scandalosa, insomma. Grossolana si potrebbe dire. L’ignoranza crassa è quella dove uno si accorge di come la sua ignoranza contrasta con ciò che dovrebbe invece non ignorare, cioè ciò che dovrebbe sapere.

Invece l’ignoranza supina è quella che riguarda piuttosto l’atteggiamento volitivo del soggetto, cioè uno che proprio non si dà da fare. L’atteggiamento supino è quello abulico, in sostanza, di uno non si muove a vincere l’ignoranza e a procurarsi la scienza dovuta.

Tale ignoranza è sempre volontaria e quindi non causa l’involontario in assoluto. Lo causa solo secundum quid, perchè effettivamente, è chiaro che, se il chirurgo poco coscienzioso, che ha studiato poco l’anatomia, fa male al suo paziente, egli, se non ignorasse, gli vorrebbe fare del bene. Non è che lo fa di proposito, come si dice. Lo fa indirettamente, cioè quel male lo fa indirettamente, perchè ignora ciò che avrebbe dovuto conoscere. Però, il male gli è imputabile, perchè lui poteva non ignorarlo, e però ignora.

Quindi, in qualche modo, causa l’involontario secundum quid; simpliciter però è volontario, perché egli sa che potrebbe non essere ignorante e nonostante questo lo è. Però, nell’azione particolare egli, se avesse studiato quella parte di anatomia, che appunto non ha studiato, avrebbe operato bene. Quindi, vedete che l’ignoranza influisce sull’atto, però non scusa dalla responsabilità dell’atto. Quindi involontario secundum quid, ma volontario per se. L’ignoranza conseguente è quella che causa il volontario per se e l’involontario solo secundum quid.

Infine l’ignoranza antecedente. E’ quella della quale si dice che è l’ottavo sacramento, ossia quella che effettivamente toglie la responsabilità morale sia nel bene che nel male, ma soprattutto poi scusa in qualche misura dal peccato. Sarà poi molto importante per il discorso sulla formazione della coscienza, in sostanza. Ebbene, l’ignoranza antecedente si dice così rispetto all’atto della volontà e non è volontaria, cioè non è in nessun modo oggetto della volontà. Proprio uno non può e non deve conoscere quelle determinate cose che ignora. Nel contempo ovviamente influisce sull’atto umano. Quindi, uno, se sapesse, non avrebbe fatto ciò che invece fa.

Qualche esempio. Pensate a un incidente assolutamente involontario di uno, che non riguarda il caso dell’ignoranza concomitante, cioè di colui che odia un nemico. Ma proprio di uno che ama il suo prossimo, gli vuole bene. Va a caccia e veramente si dà da fare per essere attento, anche se veramente, insomma, può succedere che ci siano di quei cacciatori, che sparano a tutto quello che si muove. Allora, a quel punto c’è, effettivamente c’è l’ignoranza conseguente. Ma, mettiamo il caso in cui veramente un uomo è presente lì, in un posto dove proprio non dovrebbe esserci. Ebbene, egli c’è nonostante tutto e si muove come se fosse un cervo. In tal caso effettivamente il povero cacciatore non ha l’obbligo di distinguere e anche se gli spara, lo fa  proprio in maniera incolpevole.  Questa è l’ignoranza antecedente; quindi causa ovviamente l’involontario in assoluto, perchè toglie in ogni modo quella conoscenza perfetta e formale, che è il requisito del volontario perfetto e della libertà.

Ovviamente nell’ad secundum, S.Tommaso spiega come l’ignoranza c’entra con il peccato. Questo chiarisce un po’ la questione socratica. Voi sapete che Socrate diceva che nessuno fa del male volontariamente. Ebbene, ovviamente se non facesse male volontariamente, non lo farebbe con responsabilità morale, e invece no, la responsabilità c’è. Anche se in ogni peccato, e in questo Socrate ha ragione, c’è un po’ di errore, anzi molto di errore. In ogni peccato c’è dell’errore, c’è dell’ignoranza, però sempre l’errore voluto, in qualche misura, o direttamente o indirettamente.

Quindi l’errore volontario, l’ignoranza conseguente, quel tipo di ignoranza che effettivamente c’è in ogni peccato, quella che si potrebbe dire ignoranza pratica, che è mediata dalla volontà: si vuole ignorare. Per esempio, il famoso sillogismo del peccatore, che esemplifico sempre con il vizio della gola. Chi ha ricevuto il precetto formale dal medico di non mangiare i dolci, quando si trova dinanzi alla tentazione, gli viene l’acquolina in bocca; e poi sussume, non sotto il precetto del medico, ma sotto l’acquolina in bocca.

Quindi deduce che bisogna mangiare il dolce, perché hic et nunc è una cosa buona. In assoluto lui sa che gli fa male alla salute, però hic et nunc prevale l’appetibilità del dolce. Questo in qualche modo è il tipico caso dell’errore pratico. Quindi una ignoranza che non è subìta, ma è voluta. Cioè proprio egli rimuove la sua consapevolezza e orienta la sua coscienza in un altro modo, cioè verso ciò che asseconda la passione. Quindi, è un errore ovviamente voluto.

Bene Adesso affrontiamo, iniziamo almeno il discorso delle circostanze. Prego, carissimo, prego.

… se non … S.Tommaso …

Sì. Sì. Sì. Ecco. Cioè rientra un pochino in quello che si è detto rispetto all’ipnosi. Però è un’altra cosa ancora.

Sì. Effettivamente. Però la cosa non è così semplice, perché si potrebbe dire che in qualche modo chi è plagiato, subisce una violenza, non nel senso che l’intelligenza gli sia tolta, così da essere condotta semplicemente a livello puramente sensitivo. Ma l’intelligenza gli è manipolata, gli è diretta in qualche modo per mezzo di suggestioni esterne, o ragionamenti che hanno una apparenza  di verità.

Io direi che c’è un duplice tipo di plagio, diciamo, o generalmente i motivi si intersecano in questo campo. Ci può essere quello di ordine effettivamente un po’ ipnotico, suggestionatore, diciamo, per cui si ritorna un po’ al caso dell’ipnosi, anche se non è la stessa cosa. C’è una manipolazione, soprattutto delle masse. Pensate a un abile manipolatore, seppure terribile come anima. Pensate a un Goebbels, per esempio, che ci sapeva fare nel manipolare le masse. Cioè le plagiava in qualche modo facendo leva sui contenuti inconsci. Un bravo psicologo conosce queste cose.  

Goebbels stesso, in maniera molto cinica, premise alla sua dissertazione alla Università di Heidelberg, un detto di Dostoevskij, e cioè, noi pensiamo che le sorti delle Nazioni sono guidate dalla ragione, mentre sono di fatto determinate da tutt’altri motivi, ben più nascosti. Quindi, intere popolazioni sono guidate non da motivi consci, ma bensì appunto da queste forze latenti nell’anima. Un buon psicologo riesce a far leva su queste motivazioni, si potrebbe dire archetipiche, e in qualche modo primitive, immediate, annebbiando con questo l’uso della ragione.

Comunque questo fatto ritorna in qualche modo sempre nel caso dell’ignoranza, mediata però in un duplice modo. Cioè, nel caso che ho ipotizzato del plagio, diciamo così, psicologico, ovvero la manipolazione psicologica, in questo caso si tratta di una ignoranza dove l’uso della ragione non è del tutto tolto, però è sottomesso in qualche modo a forze psichiche od occulte.

Quindi, quello che è terribile nel plagio è che la persona plagiata pensa di ragionare, mentre di fatto non ragiona, ma si lascia in qualche modo guidare da questi indirizzi, non si può dire neanche passionali, ma propriamente o archetipici, come è il caso di dire. Per esempio, lì bisogna in sostanza scomodare un po’ la teoria dell’inconscio collettivo di Jung. Pensate a quello che succede anche a livello della cosiddetta réclame o pubblicità commerciale e via dicendo e quali sono appunto i motivi su cui fa leva. Sono subdoli veramente. E così anche la propaganda politica e via dicendo. Altre volte è la semplice e massacrante suggestione. Ripetere tante volte la stessa cosa.

Ecco. Esatto. In tutti questi casi poi in un modo o nell’altro il ragionare viene come legato, in sostanza. C’è un altro modo di plagiare, che è molto più sottile e che non toglie per nulla l’uso della ragione, ma lo espropria in qualche modo dal soggetto che dovrebbe usarne.

E’ il caso in cui l’oratore, il rètore, è talmente abile nell’imbonire, che praticamente come sofista riesce non solo a plagiare, nel senso di fare in qualche modo leva sulla credulità del soggetto che si trova dinnanzi, ma anche a presentargli delle argomentazioni fittizie. E’ il caso appunto dei sofisti, come dice Platone, in sostanza, ed è per questo che ce l’aveva con loro, cioè si tratta di  un plagio di tipo logico, un po’ superiore, cioè il plagio, diciamo la manipolazione psicologica, che si situa sul piano di una certa sopraffazione della ragione dalla parte di queste tendenze immediate, chiamiamole archetipiche.

Nell’altro caso invece si tratta di un plagio razionale, cioè si prova in qualche modo di presentare delle apparenti evidenze sulle quali il soggetto non può e in qualche modo, non riesce a riflettere adeguatamene. E lì la responsabilità ovviamente è quella di una ignoranza per lo più antecedente, nel senso che quel tale ignora, proprio perchè non può fare altrimenti, cioè non è colpa sua. E quindi ritorna il discorso dell’involontario, diciamo, per se. Quindi per se sono involontari tali azioni, dove una persona è manifestamente plagiata.

Si potrebbe dire che però c’è una casistica molto sfumata per quanto riguarda la capacità della persona a resistere al plagio. Ci sono anime più robuste, anime un pochino più arrendevoli, anime più razionali o meno razionali. Importante è anche la motivazione con cui il plagiatore influisce sull’anima. Talvolta in qualche modo suggerisce dei vantaggi, per cui suggerisce al plagiato di rinunciare a certe sue convinzioni, perché è più vantaggioso stare dalla parte del plagiatore, anche sul piano della coscienza, per i vantaggi dello stesso interessato.

Se questo avviene, allora ovviamente l’ignoranza non è più antecedente, ma conseguente. Quindi, vedete che ci possono essere entrambi i casi, in qualche modo. Però ci si riconduce grosso modo all’ignoranza. Prego.

Termine della registrazione

 Registrazione a cura di Amelia Monesi
Trascrizione da audio di Sr. Matilde Nicoletti, OP – Bologna 21 febbraio 2014
Testo rivisto con note da P. Giovanni Cavalcoli, OP - Varazze, 26 luglio 2015

Alimenti nel Medioevo

 

Riguarda la concupiscenza, S.Tommaso analizza il suo influsso appunto sulla volontà. Cioè succede che qualcuno agisca spinto da una forte concupiscenza. Concupiscenze che poi generalmente, come materia della temperanza, sono legate a questo duplice istinto fondamentale della conservazione della vita dell’individuo e della specie, cioè l’istinto nutritivo e l’istinto sessuale, procreativo.

Può succedere che qualcuno agisca spinto da una fortissima passione. In quel caso che cosa succede? Per esempio, uno che ha molta, ma molta fame. Se per sfamarsi compie un peccato, certamente agisce male. Però agisce spinto dalla passione.

Allora, la questione è questa. La spinta passionale concupiscente scusa dal peccato, attenua il peccato? Diminuisce la responsabilità morale, diminuisce in qualche modo il volontario perfetto o lo aumenta o che cosa succede esattamente? 

 

Mare in tempesta, Turner

La tesi di S.Tommaso è sorprendente. La tesi è questa: la concupiscenza non causa l’involontario, ma addirittura contribuisce a rendere l’atto più volontario.

La differenza tra chi agisce per concupiscenza e chi agisce per paura è questa. Nel caso di chi agisce per paura, rimane attualmente la ripugnanza della volontà in astratto, almeno in astratto; c’è la volontà ripugnante a fare ciò che si fa, a gettare la merce. 

Il commerciante che, in pericolo di vita deve gettare la merce a mare, insomma, si sente a disagio, velleitariamente vuole, anche se poi di fatto butta volentieri anche la merce a mare pur di salvarsi. Ma per il resto gli rimane un minimo di ripugnanza con ciò che fa. Invece, in chi agisce per concupiscenza, è annullata ogni ripugnanza. Cioè la volontà vuole ciò che desidera anche la concupiscenza.


Immagini da Internet

[1] La volontà in ciascuno di noi ha una data forza, in chi più in chi meno, in maniera simile a quella muscolare.  Questa forza può aumentare e può diminuire. La libertà dell’atto segue queste condizioni della volontà. Più la volontà è forte, più l’atto è libero e responsabile. Così ci sono gradi di virtù, di libertà e di responsabilità. Se l’atto è libero, non è necessariamente detto che sia al massimo della sua libertà. La passione che si oppone alla volontà non toglie necessariamente tutta la libertà dell’atto, anche se in fin dei conti la passione prevale. E’come nel cosiddetto “braccio di ferro”: chi cede, non per questo non ce l’ha messa tutta, solo che la forza dell’avversario è prevalente. Così nell’agire per paura e in genere sotto l’impulso di una passione la responsabilità cala secondo gradi che corrispondono alla forza contraria della passione. S.Tommaso si ferma concetto astratto della libertà. In tal senso è vero che essa c’è o non c’è. Il problema è che quando c’è, nella concretezza della vita, non si tratta di una forma semplice, ma di una forza o energia che può essere aumentata o diminuita o da parte di se stessa o per l’intervento di fattori esterni incentivanti od ostacolanti. Lo spirito umano certo è indipendente dal piano materiale, ma non agisce del tutto per conto proprio, come nell’angelo, ma deve sempre fare i conti con le forze corporee interne o esterne al soggetto agente.

[2] Le tentazioni.

[3] Tommaso sembra confondere il libero o responsabile simpliciter col totaliter. Abbiamo già visto questa cosa nella nota 3. L’atto umano è simpliciter libero responsabile, ma non sempre lo è totaliter.

[4] Sottinteso: non ne ha colpa.

[5] Svaligia un negozio di alimentari.

[6] Nel caso che la stessa volontà abbia stimolato la concupiscenza; chè se invece essa insorge da sola senza essere evocata dalla volontà, il volontario, oppresso dalla concupiscenza, attenua il suo vigore, per cui il consenso non è pienamente deliberato.

[7] Se la passione è buona.

[8] Però la concupiscenza può spingere la volontà a fare quello che la volontà non farebbe, se non ci fosse la spinta della concupiscenza. Qui abbiamo un caso simile a quello del navigante.

[9] Può capitare anche nel sogno.

[10] La libertas arbitrii.

[11] La forma astratta.

[12] Il penitente.

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