La scomunica di Lutero e i luterani di oggi - Seconda Parte (2/2)

 

La scomunica di Lutero e i luterani di oggi

Seconda Parte (2/2)

Il programma conciliare

affinchè i cristiani possano giungere dal conflitto alla comunione 

Il caso di Lutero è quello al quale l’Unitatis redintegratio allude con le seguenti parole:

«Nei secoli passati sono nati nella Chiesa ampli dissensi e comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, talora non senza colpa di uomini d’entrambe le parti. Quelli che poi ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità non possono essere accusati del peccato di separazione e la Chiesa cattolica li abbraccia con fraterno rispetto e amore. Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» (n.3).

È chiaro che i luterani di oggi, educati nel luteranesimo, non possono avere la colpa della separazione che ebbero Lutero con i suoi seguaci contemporanei. E ciò però non toglie che i luterani di oggi continuino a restare separati nella misura in cui accolgono gli errori di Lutero. Tuttavia, caratteristica del luteranesimo, a differenza del cattolicesimo che, grazie all’unione col Papa è unito nella pienezza della medesima verità rivelata custodita dalla Chiesa, è che la distanza dalla Chiesa Cattolica è diversa e più o meno grande a seconda che le varie correnti luterane si allontanano di più o di meno dalla dottrina cattolica e quindi dalla comunione con la Chiesa Romana.

Il Concilio conferma che i luterani, nella misura in cui fanno propri gli errori di Lutero sono soggetti a

«divergenze con la Chiesa cattolica» (ibid.). Tali divergenze rappresentano «non pochi impedimenti e talvolta proprio gravi, che si oppongono alla piena comunione ecclesiastica, al superamento dei quali tende appunto il movimento ecumenico» (ibid.).

Il che è come dire che i cattolici, in quanto appartenenti alla

«cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, e nella quale si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi della salvezza», quella Chiesa che è guidata «dal collegio apostolico con a capo Pietro», quella Chiesa alla quale «Cristo ha affidato tutti i beni della nuova Alleanza» (ibid.), devono adoperarsi affinchè ad essa «siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» (ibid.).

Il Concilio inoltre insegna che

«le Chiese o comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa affatto di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza di grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (ibid.).

Ecco dunque il dovere dei cattolici di adoperarsi, essi che appartengono a quella Chiesa che possiede la «pienezza di grazia e della verità», per liberare i fratelli separati da quelle «carenze», che impediscono la piena comunione con la Chiesa cattolica, nel momento in cui devono riconoscere con franchezza quelle comunità come «strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza di grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (ibid.).

E conclude il Concilio:

«Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la verità e l’equità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione, così che per questa via, a poco a poco, superati gli ostacoli, che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica, tutti i cristiani, in un’unica celebrazione eucaristica, si riuniscano nell’unità di quell’una ed unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più fino alla fine dei secoli» (ibid.).

La Chiesa è indivisibile, ma i cristiani possono essere divisi.

I movimenti ereticali e le sette non dividono la Chiesa, non ne spezzano l’unità, ma sono gruppi che si separano dalla Chiesa e che pertanto, non attingendo più al principio dell’unità e dell’unione, garantito dalla guida del Romano Pontefice, mantengono in se stesse una principio di divisione interna, come è testimoniato dal moltiplicarsi delle sette ereticali. Non si tratta dunque di riunire la Chiesa, ma di riunire i cristiani tutti nella fedeltà al Papa.

Gli eretici credono di essere la vera Chiesa, mentre quella dalla quale si sono allontanati sarebbe la Chiesa che si é allontanata dalla verità. Invece non è la Chiesa ad essersi allontanata dalla verità, ma sono loro ad essersi allontanati dalla verità lasciando la Chiesa e fondandone un’altra, che è falsa o quanto meno incompleta. Gli eretici di tipo conservatore respingono la «nuova Chiesa»; i modernisti, la «vecchia Chiesa». Nell’uno e nell’altro caso sono scismatici nei confronti della vera Chiesa guidata da Papa Francesco.

Ma nel contempo, nella misura in cui gli eretici conservano alcuni elementi di Chiesa, conservano anche un principio di unità e di comunione, che spiega il fatto che i luterani abbiano mantenuto fra di loro nei secoli una certa comunione basata sul loro comune rifarsi a Lutero, che consente oggi l’esistenza di quella Federazione Luterana Mondiale, con la quale il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani trattò per la formazione della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione del 1999.

Scopo quindi del movimento ecumenico non è quello di riunificare la Chiesa, quasi fosse una specie di anfora, della quale occorre rimettere assieme i cocci. La Chiesa non è un composto di parti messo  assieme e tenuto assieme da una colla, come i pezzi di un tavolo di legno e non è neppure una semplice associazione umana, che si regge e sta unita grazie all’adesione concorde dei membri a un patto comune, così da poter essere disgregata, come un tavolo può andare in pezzi o una società può sciogliersi, ma è un’unica sostanza vivente spirituale-corporea, è una mistica persona[1], è una persona soprannaturale fatta di persone umane[2], è il corpo di Cristo e la sposa di Cristo, rappresentata dalla Madonna. Illusione di tutti persecutori della Chiesa è il credere di poterla sciogliere o dissolvere, come fosse una semplice corruttibile società umana. Ma Cristo le ha promesso: portae inferi non praevalebunt.

Che cosa ha voluto dire? Che la Chiesa è inscindibilmente una, grazie all’azione dello Spirito Santo, e che come comunità di fedeli ottiene e mantiene la comunione fraterna grazie alla guida di Pietro. Così la Chiesa è una in quanto persona animata dallo Spirito; grazie all’assistenza dello Spirito Santo è una comunione indistruttibile cum Petro e sub Petro in quanto comunità di fedeli.

Gli Ortodossi, che hanno respinto la guida del Papa, conservano il loro essere Chiesa, perché hanno conservato la fede nell’azione dello Spirito, anima della Chiesa, ma, mancando dell’obbedienza al Vicario di Cristo, che assicura l’unità dottrinale, il buon ordine, la disciplina e la coesione alla comunità ecclesiale, non sono capaci di assicurare alle loro Chiese questi valori, ma vivono slegate fra di loro, in un pluralismo disordinato, con autonomie esagerate, scavalcandosi le une le altre, con gelosie reciproche, in contrasti irresolubili, senza unità organizzativa e senza disciplina comune.

Quanto all’immagine del popolo di Dio o dell’assemblea dei convocati (eb. Qahàl, da cui ekklesìa), essa è certo biblica e definisce l’essenza della Chiesa, ma va intesa bene, perché in fin dei conti un popolo è una semplice raccolta di persone, le quali possono entrare in tale conflitto fra di loro, da scindere l’unità della società e dividerla in se stessa in due partiti opposti.

 Il problema allora è, come si suol dire, «ricucire lo strappo», simile a quello di una tunica lacerata in due parti[3]. Ma appunto siamo sempre qui: la Chiesa non può essere spezzata o lacerata in due parti, una di qua e l’altra di là, «l’una contro l’altra armata», per dirla con Dante. Sarebbe, questo, un concetto ben grossolano di Chiesa, che ignorerebbe la sua unità, che invece è una nota o qualità essenziale della Chiesa.

La Chiesa, infatti, è una entità sussistente personale a due livelli di esistenza: un livello fondante e un livello fondato. (Ef 5,24-29). Fondamentalmente è una unità personale; ma un’unità che sostiene una moltitudine di persone; è una persona corporativa: fondatamente è una moltitudine di persone umane, è una comunità; è il «corpo di Cristo» (Ef 5, 23). L’anima della Chiesa[4] è l’unità fondante, creata dallo Spirito Santo. Il corpo è la moltitudine dei fedeli, è l’aspetto umano sociale.

Le persone che sono definitivamente radicate nell’unità fondante, sono connesse indissolubilmente fra di loro ed inseparabili fra di loro e dall’unità fondante. Ciò avviene in cielo. Invece, i membri della Chiesa che vivono su questa terra, possono separarsi fra di loro e dalla Chiesa. Questi sono gli eretici e gli scismatici.

Allora che cosa è successo con lo scisma luterano? E che cosa succede in ogni scisma? Esattamente quello che dice l’Unitatis redintegratio: che «comunità non piccole si sono staccate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica». Un conto è la separazione-fra e un conto è la separazione-da. Lo scisma è una separazione di questo secondo tipo.

Occorre dunque usare non il paragone della tunica o dell’anfora o della semplice associazione umana, ma quello usato da Cristo stesso: il tralcio che si stacca dalla vite. Se una società o un’anfora si spaccano in due per loro è finita. Ma se la Chiesa perde alcuni suoi figli, che le si ribellano o sene vanno per la loro strada come il figliol prodigo, lei continua a vivere lo stesso, benché addolorata. Semmai sono questi figli che sono in pericolo come il tralcio semistaccato dalla vite.

Se invece si tratta di un litigio o di un conflitto tra due partiti all’interno della Chiesa, ciò non compromette assolutamente l’unità della Chiesa, ma i due partiti, sulla base della comune appartenenza alla Chiesa, dovranno fare ogni sforzo per riconoscere i punti di contatto e i loro torti su di un piano di parità e di reciprocità, al fine di tornare ad osservare assieme il patto da entrambi tradìto e tornare a collaborare assieme.

L’unità della Chiesa è del tutto al riparo da ogni conflitto che intacchi o tenti di intaccare o distruggere la sua unità, benché le forze del male non si stanchino di ripetere il tentativo per tutto il corso della storia, nonostante certe apparenze soprattutto al sorgere delle eresie e degli scismi.

Qualunque popolo può dividersi in se stesso, come lo dimostrano le guerre civili. Invece la Chiesa è un popolo indivisibile. Esistono sì nella Chiesa, contrasti interni, antagonismi, fazioni opposte, ma si tratta solo di conflitti di tra uomini di Chiesa; non intaccano mai l’unità della Chiesa. Oppure si tratta di uomini che si ribellano alla Chiesa. Ecco allora gli scismatici. Ma siamo sempre lì: il fatto dell’esistenza delle opposizioni fra cattolici e scismatici non vuol dire che la Chiesa divida in due gruppi, ma che i tralci si separano dalla vite.

Sì certo San Paolo la presenta come un corpo organico, ma siamo sempre lì: anche il corpo organico, benché fatto di organi, è un tutt’uno: esso non può vivere se gli manca un organo vitale. Così le chiese degli eretici conservano elementi di Chiesa, ma sono come dei corpi senza vita, perché sono privi di qualche elemento o qualche organo che è necessario alla vita: servono tutt’al più alle sale di anatomia. Se qualche organo è rimasto sano, può essere utilizzato, per esempio nei trapianti d’organo.

In altri casi, l’organismo può essere rimasto sostanzialmente sano e mancare di qualche membro od organo non vitale. In questo caso si può parlare di vere e proprie Chiese, come nel caso degli Ortodossi o degli scismatici non eretici, ai quali manca la guida del Sommo Pontefice, il che provoca l’assenza di un’organizzazione e di una disciplina giuridica unitaria e di una guida per il progresso dogmatico.

L’azione dello Spirito Santo è presente, ma non agisce per mezzo del Figlio, che guida la Chiesa per mezzo di Pietro. Infatti per gli Ortodossi lo Spirito procede solo dal Padre e non dal Figlio, il che impedisce al Figlio di far affluire lo Spirito nel compito che riguarda il Figlio, espresso dal Successore di Pietro. Lo scisma Ortodosso blocca cioè il flusso dello Spirito che proviene dal Figlio.

 Dobbiamo precisare inoltre che come Dio crea l’anima di ogni uomo, come forma sostanziale del suo corpo e principio dell’unità del suo essere, così la Spirito Santo vivificante crea l’anima divina soprannaturale della Chiesa come comunità umana e con ciò stesso crea l’unità della Chiesa come persona mistica, sposa di Cristo e Madre delle anime, della quale, come insegna il Concilio Vaticano II, la Beata Vergine Maria è il «tipo», ossia il modello, come vergine per Dio, madre di Dio e sposa di Dio. Inoltre lo Spirito Santo, che è lo Spirito dell’amore reciproco e della comunione fraterna, crea la comunione di carità fra i fratelli, figli di Dio e discepoli di Cristo, membri del Corpo di Cristo, Corpo del quale Cristo è il Capo per il tramite di Pietro.

Occorre allora che cattolici e luterani assieme, alla luce della Parola di Dio, attenti e docili agli impulsi e alle iniziative dello Spirito Santo, nella comune preghiera allo Spirito Santo, con spirito di penitenza, intenti onesti, costruttivi e leali, animati dalla beata speranza, nella fiducia reciproca, senza secondi fini, ma alla luce del sole, senza finzioni, vane astuzie o ragionamenti contorti, capziosi o sofistici, ma con argomenti solidi e persuasivi,  senza rivalità o antagonismi o desiderio di prevalere sull’altro, senza servilismi o o adulazioni, senza arroganza o saccenteria, senza facili concordismi o confusioni, senza strumentalizzazioni o sopraffazioni, senza infingardaggine o viltà, senza ammiccamenti o pateracchi, senza tergiversazioni o menare il can per l’aia, senza spirito di conquista ma con spirito di servizio e sincero amore per la verità e la giustizia, lo scopo è quello di eliminare ogni faziosità e partigianeria, ogni esclusivismo ed estremismo, ogni dogmatismo o imposizione,  componendo  dissidi, litigi, dissensi, e sedando inutili controversie, contrasti e conflitti in fatto di rapporti reciproci, di fede e di morale.

Si tratta di tornare a camminare assieme verso il regno di Dio, di ritrovare i valori perduti, la fraternità, il rispetto e la stima reciproci, la comunione, la concordia e la pace nella giustizia, nella carità e nella misericordia, pur nella legittima libertà di pensiero, di opinione e di condotta.

Cosa fare concretamente

 E come fare? Occorrono, ci dice l’Unitatis redintgratio, due cose: prima, riconoscere i torti reciproci del passato e del presente e perdonarsi reciprocamente, si trattasse anche della condotta di certi Papi. E seconda cosa, che i cattolici sollecitino con ogni dottrina, sapienza, umiltà, carità, prudenza e pazienza i fratelli luterani a raggiungere la piena comunione con la Chiesa cattolica e col Papa, rafforzando la base cristiana rimasta intatta in Lutero, colmando le «lacune» e togliendo gli «ostacoli», vale a dire riconoscere e correggere gli errori di Lutero alla luce della Scrittura e della Tradizione nell’interpretazione del Magistero odierno della Chiesa cattolica.

È inevitabile, ci avverte San Paolo, che esistano eresie (I Cor 11,19). Ma, una volta scoperte dopo serio esame, non dobbiamo lasciarle avvelenare e inquinare la coscienza dei fedeli, come se si trattasse di semplici diverse opinioni, ma dobbiamo adoperarci con sollecitudine e con tutte le forze per estinguerle, per guarire o per isolare chi ne fosse infetto, per adottare le misure necessarie perché l’epidemia non si diffonda e per evitare il contagio e per impedire la diffusione delle pratiche immorali. che necessariamente derivano dalle idee ereticali.  

Questa è la grande, massima opera di misericordia, alla quale oggi la Chiesa, sotto la guida del Papa, è chiamata a compiere. Questa è la vera attuazione del Concilio. Occorre giustizia, e a volte anche severità, ma soprattutto illuminata ed autentica misericordia, che non offenda la giustizia, come ricordò San Giovanni XXIII nel memorabile discorso di apertura del Concilio Vaticano II, offrendo così all’assemblea conciliare lo spirito dal quale doveva essere guidata ed animata. Questo s’intende, quando si parla dello «spirito del Concilio», e non la teologia di Rahner.

Teniamo dunque gli occhi aperti, non facciamoci menare per il naso, combattiamo contro Satana e non contro i mulini a vento o, peggio, contro Dio e la sua santa legge, in nome di una falsa libertà. Certo occorre evitare i giudizi affettati e i sospetti infondati. Ma ciò non giustifica le tergiversazioni e il menare il can per l’aia nel timore di perdere consensi.  Amiamo la verità e non la furbizia. Evitiamo sia la leggerezza incosciente che il catastrofismo ed affrontiamo la situazione con discernimento, coraggio e senso di responsabilità.

 Guardiamoci bene, pertanto, dal rassegnarci all’esistenza delle eresie, degli opposti estremismi, delle sporche manovre, dalle divisioni e delle fazioni e dal legalizzarle come se fossero diverse e normali espressioni del sentire cristiano, diverse maniere di essere cristiani, così come i Francescani sono diversi dai Domenicani, o i Camilliani dai Salesiani.

Badiamo solo alle critiche e opposizioni costruttive e fraterne, alle «opposizioni polari», alle complementarità reciproche, ai legittimi contrasti di opinione. Togliamo di mezzo ogni presunzione, litigiosità, partigianeria, ambiguità, opportunismo, doppiezza, servizio a due padroni e doppiogioco, e siamo lineari, leali, onesti e limpidi nella ricerca del regno do Dio, uniti nell’unica fede nella realizzazione di un sano pluralismo e di una legittima varietà.

Il Concilio non propone affatto, come alcuni credono, come modello di Chiesa ecumenica, col pretesto della sinodalità, di costruire una specie di armata Brancaleone, un emporio delle religioni, un mercato delle pulci, un caravanserraglio, un’assemblea parlamentare, o di edificare una federazione di Chiese soggettiviste, tutte di pari diritti, considerate semplicemente come diverse fra di loro, tutte vere e tutte false a seconda dei punti di vista,  sotto la presidenza elettiva temporanea del capo religioso di turno, come se si trattasse di un organismo internazionale di tipo politico o culturale o umanitario.

Il Concilio, invece, come abbiamo ben visto, prescrive un dialogo ed una reciproca collaborazione fra cattolici e luterani su obbiettivi morali, religiosi ed umanistici, tali che possano consentire ai cattolici di condurre gradatamente i luterani alla piena comunione con la Chiesa cattolica, così che si ottenga, come ha voluto e vuole Cristo, un unico gregge sotto un solo pastore: il Papa, Vicario di Cristo.

I cattolici devono persuadere i luterani che essere pienamente cristiani vuol dire essere cattolici. Il che vale senza affatto misconoscere tutte quelle ricchezze di cultura e di spiritualità, che il protestantesimo ha prodotto da Lutero ad oggi.

Non bisogna confondere il conflitto intraecclesiale col pluralismo ecclesiale. I conflitti devono essere risolti e non coperti con un’unità di facciata. Se non si riesce per il momento a risolverli, devono essere sopportati in attesa di poterli risolvere. Ma non ci si deve rassegnare ad essi e soprattutto non vanno legalizzati con vane acrobazie dialettiche.

La pace nella Chiesa non si ottiene lasciando in piedi i conflitti con l’idea di superarli o, come dicono, di raggiungere una «sintesi» col semplice accostare l’una all’altra le due parti avverse. Sarebbe come credere che un commercio sereno dei funghi si ottenga vendendo tanto quelli sani quanto quelli velenosi. Ognuno ha i suoi gusti: rispettiamoli.

Non bisogna scambiare per diversità una dottrina falsa, una condotta perversa e il rifiuto della comunione. Non esistono le «fedi», come esiste una pluralità di prodotti agricoli al mercato o una pluralità di opinioni politiche o giornalistiche. Parlare di una pluralità di fedi vuol dire non aver capito niente della serietà abissale della fede in qualunque religione, per la quale la fede non è un’opinione soggettiva, ma una verità assoluta, salvifica ed universale.

La fede religiosa, dunque, è una sola. Ci sono molte verità di fede nel senso che vi sono molte cose vere che toccano la religione. Ma il rapporto di verità del pensiero a una data cosa, è uno solo. L’adeguazione dell’intelletto a quel dato reale o c’è o non c’è. O una cosa è così o non è così - tertium non datur. Il tertium appartiene al diavolo, direbbe Cristo. Lealtà e onestà nel pensare e nel parlare. Occorre evitare la doppiezza, l’ambiguità, l’ipocrisia e l’opportunismo.

L’ecumenismo non è altro che è la fase terminale dell’evangelizzazione e dell’ingresso nella Chiesa cattolica: annunciare al fratello già in parziale comunione con noi ciò che ancora gli manca per la piena conoscenza del Vangelo e la piena comunione con la Chiesa cattolica liberandolo dalle lacune, dalle carenze e dagli ostacoli che si frappongono alla piena comunione, sicchè anch’egli con noi sia invitato al banchetto di nozze. Come dice Papa Francesco, non si tratta tanto di escludere, quanto piuttosto di integrare, aggiungendo ciò che manca.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 23 maggio 2021

 

La Chiesa, infatti, è una entità sussistente personale a due livelli di esistenza: un livello fondante e un livello fondato. (Ef 5,24-29). Fondamentalmente è una unità personale; ma un’unità che sostiene una moltitudine di persone; è una persona corporativa: fondatamente è una moltitudine di persone umane, è una comunità; è il «corpo di Cristo» (Ef 5, 23). L’anima della Chiesa è l’unità fondante, creata dallo Spirito Santo. Il corpo è la moltitudine dei fedeli, è l’aspetto umano sociale.

Le persone che sono definitivamente radicate nell’unità fondante, sono connesse indissolubilmente fra di loro ed inseparabili fra di loro e dall’unità fondante. Ciò avviene in cielo. Invece, i membri della Chiesa che vivono su questa terra, possono separarsi fra di loro e dalla Chiesa.

Occorre dunque usare non il paragone della tunica o dell’anfora o della semplice associazione umana, ma quello usato da Cristo stesso: il tralcio che si stacca dalla vite.

Immagine da internet: Basilica si San Vitale (Ravenna)


[1] Heribert Mühlen, Una mystica persona. Una persona in molte persone, Città Nuova, Roma 1968.

[2] Cf J.Maritain,L’Eglise du Christ. La personne de l’Eglise et son personnel, Desclée de Brouwer, Bruges 1970.

[3] Questo, purtroppo è l’infelice paragone usato da Papa Leone per significare lo scisma di Lutero, come se una metà della Chiesa sia rimasta con Roma e l’altra metà con Lutero. Ma le cose non stanno affatto così: il luteranesimo non aggiunge nulla a quanto il cattolicesimo già possiede, quasi fosse la metà di un tutto mancante dell’altra metà, che sarebbero i luterani, ma semmai sono i luterani che devono rimediare all’assenza di alcuni elementi essenziali – «carenze» e «lacune», dice il Concilio -. Quindi la soluzione del problema luterano è che i luterani recuperino quegli elementi di Chiesa che hanno abbandonato, mantenendo quelli che hanno conservato.

[4] Secondo Charles Journet (L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée de Brouwer, Bruges 1962, vol. II, 472-708) lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa, nel senso di potenza e vita divina animatrice trascendente. Ma la Chiesa è una persona creata spirito-corporea, che come tale ha bisogno di un’anima immanente, una forma sostanziale. Ebbene, questa forma è creata dallo Spirito, anima trascendente della Chiesa. Secondo lo Journet, l’anima della Chiesa è la carità. Ma siccome la Chiesa è un’entità ontologica e non morale, credo sia meglio dire che lo Spirito crea l’anima della Chiesa nella o per mezzo della carità. Ma la carità suppone Chiesa già esistente ed è atto della sua persona. 

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