Le radici ideologiche del genderismo - Terza Parte (3/4)

Le radici ideologiche del genderismo

Terza Parte (3/4)

Le radici freudiane del genderismo

Il genderismo ha chiare radici freudiane. Il principio attivo del genderismo è il freudiano principio del piacere: non importa che sia eterosessuale; può essere anche omosessuale. Freud indubbiamente non si è occupato in modo speciale dell’omosessualità; tuttavia, stante la sua concezione dell’uomo come soggetto assoluto che pone se stesso, Freud non concepisce l’esser uomo e l’esser donna come dati naturali voluti da Dio, ma semplicemente come effetto della volontà umana.

Per questo, egli non ha nessuna preclusione alla prospettiva omosessuale di un orientamento sessuale di un sesso non verso il sesso opposto, ma verso un altro individuo dello stesso sesso, giacchè, come l’uomo è libero di scegliere l’altro sesso, altrettanto è libero di scegliere lo stesso sesso. L’uomo non deve render conto a nessun Dio, perché, secondo Freud, Dio non esiste.

 D’altra parte, se vogliamo scavare più a fondo alla ricerca delle radici prime del genderismo, ci accorgeremo che l’origine immediata, che abbiamo visto, è il misericordismo kasperiano[1], che deriva da Lutero; ma esso si può far risalire anche a Freud. Questo a sua volta deriva dall’antropologia di Freud, e questa deriva, alla fine, dalla gnoseologia e dall’antropologia di Lutero e di Cartesio. Essa ha dunque una duplice origine: cartesiana e luterana.

Cartesio fornisce la base gnoseologica, egologica e teoretica; Lutero, la base ontologica, emotivistica e pratica. Freud orienta l’uomo verso il piacere sessuale; ma è pienamente cosciente del potere dello spirito. In questo secondo senso è cartesiano; nel primo senso è luterano. Freud prende da Cartesio il concetto dell’io come puro io; da Lutero il concetto dell’io sessuato.

Il merito di Freud è stato quello di mostrare chiaramente che non si può avere un concetto di uomo e di condotta umana a prescindere dal sesso e che l’uomo è sempre comunque o maschio o femmina. Il suo errore è quello di avere accentuato tanto questo fatto, che ha finito col dimenticare la natura umana come tale astraendo dall’esser maschio e dall’esser femmina, finendo col confondere la spiritualità con la sessualità, il piacere spirituale col piacere sessuale, l’amore con la libido, la mistica con la lussuria.

Lo spiritualismo cartesiano, dal canto suo, a tutta prima, con la sua res cogitans schifiltosamente diffidente della res extensa, sembrerebbe avviare un ideale angelico e sessuofobo simile a quello dei Padri del deserto e di Origene. Invece è evidente il fondamento assicurato dal sensualismo luterano al sessismo freudiano. Eppure, se ci facciamo attenzione, anche l’antropologia cartesiana pone le premesse del pansessualismo di Freud.

In che modo? Basta riflettere al fatto che per Cartesio il corpo e quindi il sesso non è proprietà materiale del composto umano sostanziale di anima e corpo, ma è un soggetto a sé, per conto proprio, quindi praticamente un altro esser uomo, seppur clandestino, distinto da quell’esser uomo ufficiale e dichiarato che è la res cogitans.

Abbiamo qui due esser uomo, due antropologie, una ufficiale e l’altra sottobanco, come la moglie e l’amante; due possibilità, tra le quali possiamo scegliere: se vogliamo fare i farisei, abbiamo un’antropologia asessuata di tipo origenista; se invece siamo sadducei,  un’antropologia risolta nel sesso, ed questa è la scelta fatta da Freud, il quale però, al fine di mantenere una rispettabilità sociale, consiglia di aggiungere sapientemente alla scelta sadducea quella  farisaica, a seconda delle circostanze e delle convenienze. In tal modo vediamo come Cartesio e Lutero stanno assieme: Cartesio per una finta castità, Lutero per una concupiscenza a briglie sciolte.

Inoltre per Cartesio la sensibilità e l’affettività e quindi anche la sensibilità e l’affettività sessuali sono sensibilità e affettività pensate, sono ridotte a pensieri, secondo il metodo tipicamente idealista. Ma che succede? Si capovolge la situazione: se la sensibilità è pensiero, se il sesso è pensiero allora il pensiero diventa senso, diventa sesso, ed eccoti la gnoseologia freudiana.

A Freud interessa l’uomo non nella sua natura o essenza di composto sostanziale di anima e corpo, ma come soggetto concreto, come io cosciente di me e centro della realtà. A Freud, quindi, non interessa un ideale di perfezione morale realizzata mediante la messa in pratica di questo ideale. Per questo Freud ignora completante la differenza fra la situazione attuale difettosa dell’uomo e la piena realizzazione delle esigenze morali dell’uomo.

La visione freudiana dell’uomo è concentrata solo sull’attuale situazione di natura decaduta ed ignora completamente la prospettiva biblica protologica ed escatologica, in particolare nel rapporto uomo-donna.

È la stessa visione di Cartesio e di Lutero. È vero che questi si professavano teisti; ma, se facciamo attenzione, sia il Dio di Cartesio che quello di Lutero non è un Dio trascendente, ma un Dio immanente: un Dio-in-me e un Dio-per-me. Dio esiste, ma non esiste indipendentemente da me. Non potrebbe esistere senza di me. La sua esistenza non la deduco dall’esperienza di cose fuori di me, per cui io debba essere indotto a concludere che, se esistono queste cose indipendenti da me, dunque deve esistere un Dio indipendente da me che le ha create, ma la deduco al mio cogito.

Altri famosi momenti della psicologia freudiana a servizio del genderismo sono tre atti psichici che descrivono l’astuzia alla quale ricorre la libido per sopravvivere in un soggetto religioso, il quale nel suo superìo censura e reprime gli impulsi sessuali, che però ritornano mascherati da spiritualità. Questo meccanismo funziona sia negli etero che negli omosessuali. Si tratta della rimozione, del trasferimento (transfert) e della sublimazione.

Questi atti giocano nell’ambito della concezione freudiana dei tre livelli dell’io costruiti dall’io stesso l’uno sopra l’altro. L’io fondamentale è l’io inconscio (id), che nel contempo è preconscio, perché è presupposto all’io conscio (ego), che è semplicemente l’io di secondo livello.

Secondo Freud, l’io, che non ha coscienza di essere assoluto, ma si ritiene dipendente, si costruisce il terzo livello, il superìo (superego), che per Freud sarebbero i precetti della morale e della religione e l’idea stessa di Dio, come punitori del peccato.  Ma l’id, ossia l’io profondo e originario, che guida l’io conscio (ego) senza che ne abbia coscienza, avvia la libido in cerca di soddisfazione, e per ottenere lo scopo, sublima il desiderio trasformandolo da sessuale in spirituale.

Ma secondo Freud questa trasformazione (transfert) è impossibile perché il soggetto non sa che la religione è illusione, per cui ciò che realmente succede è che la libido si nasconde sotto il pretesto religioso e trova così ugualmente il modo di soddisfarsi. Ma lo fa in modo distorto, sì da causare la neurosi. A questo punto interviene Freud, il quale cura il malato facendogli prender coscienza che egli semplicemente ha bisogno di sesso. Ora è chiaro che questo metodo appare eccellente ed attraente soprattutto nella problematica della omosessualità, dove il soggetto è portato a negare fiducia al precetto della castità.

Detto questo, bisogna riconoscere che è vero che esiste una finta spiritualità, che nasconde e maschera impulsi libidinosi che il soggetto coltiva ma vuol farli apparire come sentimenti religiosi o mistici. Freud fa bene a smascherare questa ipocrisia con lo strumento della psicanalisi.

Per quanto riguarda la libertà del volere, Freud, come Lutero, nega il libero arbitrio, e ritiene che la nostra condotta quotidiana sia determinata da motivazioni  preconscie e non dai concetti con i quali la interpretiamo ed ammette, come Lutero, un’opzione fondamentale, soggetta alla nostra scelta: questa opzione, decisiva per tutto l’orientamento della nostra vita, nell’intento di Freud come di Lutero serve a liberarci dall’illusione per farci conoscere la verità sul senso della vita, ci libera dalla schiavitù per renderci liberi.

La differenza sta nel fatto che mentre per Lutero si tratta di scegliere fra il credere e il non credere, fra Cristo e Beliar, in vista di un’eterna beatitudine dopo la morte, per Freud è l’io che come io assoluto, libera se stesso dall’illusione e dalla schiavitù, che esso stesso pone da sé per la sua stessa essenza, che è opposizione radicale ed originaria di vita e di morte, di dolore e di piacere, di amore e di odio.

Freud sa benissimo che il sesso ha a che fare con la vita. Ma egli sottrae a Dio, il Dio della vita, la dinamica della sessualità, che in lui non è spinta da una volontà soggetta alla legge divina, ma da quella che egli chiama libido, parola che egli prende dal latino, e che significa capriccio, sensualità, dissolutezza, lascivia, piacere smodato, sfrenatezza sessuale. In tal modo la libido in Freud non è una volontà perversa, ma la normale attività vitale dell’uomo. A Freud, nato ed educato in un ambiante cristiano da 1800 anni, manca evidentemente quel senso morale che troviamo già negli antichi Romani.

Freud sa che la libido non è orientata a procurare la vita, ma la morte. L’istinto sessuale di per sé, così come Dio lo ha voluto, è un’energia vitale al servizio della vita. Invece nella natura umana decaduta l’uomo, a causa della concupiscenza, è portato ad usare il sesso a danno della vita. Per questo il fondamento del VI Comandamento è il V: Non uccidere. Il lussurioso è, almeno riduttivamente, un omicida, perché la sua ricerca del piacere non è motivata né dal vero amore né da una volontà procreativa.

La pratica dell’aborto entra formalmente nella categoria dell’omicidio, ma è evidente che essa è strettamente conseguente al vizio della lussuria, in quanto la coppia lussuriosa sa che con la sua unione sessuale sarà concepito un uomo, ma pur di soddisfare il piacere, è disposta a sopprimere il figlio concepito nell’unione.

Freud, che conosceva benissimo la dinamica della lussuria, pone tra gli orientamenti fondamentali dell’uomo quello che egli chiama «istinto di morte», ma ciò non gl’impedisce di considerare la lussuria cosa normale, tanto da concepire la libido, quella che nel linguaggio tradizionale si chiama concupiscenza della carne (I Gv 2,16) non come una perversione, ma come la spinta fondamentale dell’agire umano.

Ciò non gl’impedisce di apprezzare il valore dell’astinenza sessuale e della castità, ma lo fa solo con riserva, come pratica esteriore finalizzata soltanto ad assicurare al soggetto il favore dell’ambiente sociale, non certo perché ritenga che il soggetto possa avere motivazioni personali, indipendenti dal consenso sociale, giacchè in privato al soggetto è lecito dar libero sfogo all’istinto. Anzi Freud, come Lutero, disapprova lo sforzo ascetico e la repressione della passione, perché secondo lui sarebbe causa di nevrosi. La sua opinione è del tutto contraria alla norma dell’ascetica tradizionale, per la quale la soddisfazione della concupiscenza rende il soggetto ancor più schiavo del vizio. Invece per Freud la soddisfazione della libido è espressione di libertà e favorisce la libertà. Naturalmente, come in Lutero, non si tratta del libero arbitrio ma dell’opzione fondamentale del senso della vita, della quale ho parlato sopra[2] .

Resta comunque vero che una repressione violenta dell’istinto non ottiene affatto la sua estinzione, ma il suo mascheramento sotto apparenze spirituali, senza procurare alcuna pace interiore, ma angosciosi sensi di colpa. È quello che capitò a Lutero, il quale per liberarsi, credette bene di violare il suo voto di castità.

Freud ha compreso le conseguenze dannose di un’ascetica violenta, ma non ha capito che il soggetto trova la pace non nell’accontentare la concupiscenza, ma nel moderare saggiamente il piacere così da renderlo espressione della vita spirituale ed incentivo alla vita spirituale.

La scoperta fondamentale di Freud è stata quella di capire che il sesso influisce sullo spirito e lo spirito influisce sul sesso. L’errore è stato quello di non capire che lo spirito è più importante del sesso e che l’uomo non è fatto anzitutto per il piacere sessuale, ma per quello spirituale. Il piacere sessuale non va escluso, anche se non è finalizzato alla procreazione; deve semplicemente stare al suo posto al di sotto e al servizio dello spirito.

E questo non deve servire al sesso, ma deve servire a se stesso, perché è lo spirito e non il sesso ad essere l’assoluto. Nella visione di Freud è chiaro che il sesso svolge quelle funzioni dell’assoluto che sono riservate allo spirito. E qui sta il dramma del nostro tempo, sedotto e ad un tempo tormentato dalla lussuria, ossessionato dal culto del sesso come fosse Dio. Certo il sesso è sacro, perché è dono di Dio, è immagine dello Spirito Santo, ed è il custode dell’amore e della vita.

Freud aveva capito che l’ideale della vita non può consistere nel semplice esercizio della genitalità, ossia nel semplice uso metodico degli organi sessuali in senso etero od omosessuale; tuttavia non è riuscito ad emanciparsi del tutto da questo vano miraggio erotico, per cui ha distinto genitalità da sessualità, una distinzione, per verità, di lana caprina di squisita doppiezza: il bene sommo dell’uomo non starebbe nella genitalità, ma nella sessualità. Solo che Freud non si è accorto in tal modo, con questa farisaica distinzione, di far rientrare dalla finestra ciò che aveva cacciato dalla porta.

L’antico Israele, giustamente preoccupato di tenere il sesso al suo posto, non ha compreso quanto poteva essere accettabile nelle religioni falliche, quelli che chiamava con disprezzo i «pali sacri». Lo stesso dicasi per le deliziose statuette femminili con mammelle enormi.

Benchè avesse conosciuto la descrizione dello stato edenico, l’autore sacro veterotestamentario è stato poi successivamente preso, sperimentando la forza e l’astuzia della concupiscenza, da un’esagerata coscienza delle conseguenze del peccato originale, da una eccessiva paura di peccare  e da un esagerato senso del pudore, collegato alla disistima per la donna, le cui peculiarità spirituali non erano ancora note, ma che era vista quasi solamente come infida tentatrice ed utile solo alla procreazione.

Il c.2 del Genesi, che presenta la reciprocità uomo-donna senza parlare di procreazione, nell’Antico Testamento è accantonato. Il riferimento è solo al c.1, del «crescete e moltiplicatevi». Abbiamo dovuto aspettare San Giovanni Paolo II perché la Chiesa potesse finalmente mostrarci senza falsi pudori e con luminosa chiarezza la peculiarità e l’originalità dell’insegnamento del c.2 rispetto all’1, mostrarci cioè il fatto che l’unione uomo-donna può esprimere l’amore anche senza la procreazione.

Naturalmente deve trattarsi dell’amore vero, come espressione dello spirito e non dell’amore lussurioso della fornicazione e del concubinaggio connesso all’uso di preservativi o anticoncezionali o comunque mezzi artificiali o innaturali per impedire o distruggere la procreazione.

Sorge inoltre già nell’Antico Testamento la figura della prostituta, la quale gode bensì di uno statuto legale, ma la cui femminilità era considerata semplicemente come occasione di piacere per chi non riesce a trattenersi, mentre il significato del piacere sessuale, privo di ogni riferimento allo spirito, era confinato come puro istinto animalesco, nell’orizzonte del rapporto con la prostituta, oppure al rapporto con la concubina.

Notiamo inoltre che la stessa pratica della poligamia e l’istituto del divorzio nell’Antico Testamento che cosa significavano, se non un cedimento alla carne accompagnato dal disprezzo per la donna e alla totale ignoranza della sua spiritualità? È chiaro che la donna era sfruttata e trattata senza misericordia, come semplice amministratrice della casa e fattore di riproduzione della specie. L’uomo poteva permettersi le scappatelle, ma con la donna si era inesorabili e crudeli.

D’altra parte, eccitato da un’invincibile concupiscenza, l’uomo veterotestamentario non riusciva a vedere nella donna nulla di spirituale. Si chiedeva infatti: come può un corpo così attraente per i sensi, essere animato da uno spirito o elevare lo spirito? Che cosa hanno a che vedere con lo spirito quelle belle forme, che fanno dimenticare lo spirito ed eccitano la carne? È qui che si arena l’uomo dell’Antico Testamento.

È evidentissimo pertanto perchè nell’Antico Testamento la poligamia è ammessa mentre è proibita la poliandria: perché la donna è considerata solo come riproduttrice della specie. Non c’è via di mezzo: o la madre di famiglia o la meretrice. La stessa verginità, come sappiamo, non era ben vista, anzi la si considerava una vergogna, perché la si vedeva come un albero che non dà frutto. Sarà la Beata Vergine Maria a porre fine a questa grave umiliazione della donna mostrando che la donna può realizzarsi eccellentemente anche nella verginità.

La stessa vita monastica, come sappiamo, è ignorata dall’Antico Testamento. Non che l’uomo biblico non abbia l’amore per la contemplazione; solo che non riesce ancora a concepire una vita intera dedicata alla contemplazione nella pratica dei voti religiosi. Sarà Gesù nel Vangelo a proporla.

Non si concepisce ancora un’amicizia uomo-donna sulla base della vita monastica. E questo perchè nell’Antico Testamento non c’è ancora la percezione della reciprocità spirituale uomo-donna né nell’uomo né nella donna. È Cristo che mostra questa reciprocità nel suo stesso trattare con le donne.

Tornando a parlare della poligamia veterotestamentaria, possiamo osservare che il marito è paragonato al signore (baal) con i suoi sudditi[3]. La donna non sta affatto alla pari del marito per completarne l’esistenza, come pure era suggerito dal Genesi (2, 18). La poliandria è esclusa perché allorchè la donna è incinta non può accostarsi all’uomo, mentre il maschio può fecondare un’altra moglie mentre la prima è incinta.

L’uomo veterotestamentario non si accontenta di una sola donna per il motivo che non riesce ad apprezzarne la spiritualità, e la donna, dal canto suo, ancora non la manifesta. Per questo all’uomo piace aver rapporti sessuali con più donne come oggi apprezziamo la varietà dei cibi o delle esperienze turistiche.

Un Davide o un Salomone hanno certamente la preoccupazione di perpetuare e irrobustire la propria casa, ma ritengono non disdicevole di poter soddisfare a questa esigenza con una ricca collezione di esperienze sessuali così come un vacanziere che cambia i luoghi di villeggiatura o un amante della pittura che gira per le gallerie d’arte, dove trova il nudo di Botticelli o quello di Rembrandt o quello di Goya o quello di Modigliani o quello di Michelangelo.

Il precetto di Cristo dell’indissolubilità del matrimonio rappresenta un forte richiamo a riconoscere il valore della spiritualità femminile, come del resto si avrebbe potuto apprendere leggendo il racconto della creazione.

Osserviamo comunque che l’Antico Testamento ha faticato a comprendere che il sesso è un simbolo di quel Dio che lo ha creato.  Una eccezione è stata il Cantico dei Cantici, che però ci si è affrettati ad interpretare in senso mistico, accantonando con cura tutto quello che poteva sapere di unione sessuale. Questo esagerato puritanesimo, pur così contrario all’ideale del paradiso terrestre, protrattosi per millenni fino ad oggi, ha esasperato il cuore di molti anche benintenzionati e ha fatto esplodere, per reazione, la spaventosa corruzione dei nostri giorni.

Per uscire da questa atmosfera ammorbante, che ci contamina tutti, occorre, come vedremo meglio alla fine di questo articolo, fare tre cose:

1.Bisogna purificare una certa idea corrente di Dio, di origine luterana, che col pretesto dell’Incarnazione e del Dio-per-me, ha perso di vista che Dio è puro spirito. Occorre pertanto recuperare la comprensione, l’apprezzamento e il gusto per il puro spirito. Occorre recuperare l’interesse per i valori assoluti eterni, invisibili, universali, permanenti, inviolabili, trascendenti, per la metafisica e l’ontologia. Dio non è sintesi di spirito e corpo, di materia e forma, di essere e divenire, di Dio e mondo, di Dio e uomo.

2. Vedere il rapporto sessuale uomo-donna come espressione e incentivo della loro unione spirituale. Bisogna combinare la visione del rapporto nel piano di Dio con la constatazione della situazione di questo rapporto nella vita presente, ferita dalle conseguenze del peccato originale

3. Occorre recuperare gli elementi essenziali dell’ascetica tradizionale. Non abitiamo quaggiù nella caverna di platonica memoria, ma non siamo neppure nel paradiso terrestre o nella nuova terra della resurrezione. Questa terra non è solo una valle di lacrime, ma l’inizio dell’uomo nuovo nato dal battesimo. Possediamo il libero arbitrio, ma occorre rafforzarlo con la grazia. Nel dominio delle passioni possiamo vincere ma possiamo anche perdere. Non dobbiamo essere paurosi, ma neanche temerari.

Una certa mistica del «Mistero assoluto», apofatica e sentimentale, che vorrebbe sostenere l’incomprensibilità e l’ineffabilità di Dio, spregiatrice del dogma e del concetto, è un’impostura e sotto l’apparente stratosferica sublimità potrebbe nascondere i desideri della carne, confondendo spiritualità e sensualità. 

La prospettiva etica freudiana è una prospettiva di autoaffermazione dell’io, come io assoluto, che si libera dall’oppressione del superego creata dall’ego stesso, ingannato dall’illusione religiosa, che gli fa credere all’esistenza di un Tu superiore e legislatore, mentre in realtà è l’io stesso che si sovrappone a se stesso e che schiavizza se stesso autoobbligandosi ed autopunendosi per il senso di colpa da esso indotto.

Ci potremmo chiedere: ma Lutero e Cartesio erano teisti: da dove sbuca fuori l’ateismo freudiano? Come è possibile sostenere che Freud sviluppa princìpi e premesse luterane e cartesiane? Rispondiamo a questa domanda se ci domandiamo se il teismo di Lutero e di Cartesio è un vero teismo. In altre parole: Dio per loro può esistere senza di me o esiste perché è finalizzato a me? Esiste perché è finalizzato a se stesso o esiste perché serve a me? Chi dei due è il più importante? Lui o io?

Potremmo chiederci anche come può l’antropologia freudiana, schiettamente materialista, trarre origine da antropologie spiritualistiche, come furono, in fondo, quella di Lutero e di Cartesio? La risposta è che lo spiritualismo luterano e cartesiano hanno già nel loro modo d’essere un principio materialistico: Cartesio per la possibilità di confondere il corpo pensato col corpo; Lutero per la possibilità di confondere il credere col sentire.

Le radici prime del genderismo vanno dunque rintracciate nella gnoseologia idealista dell’io che pone se stesso e nella concezione luterana dell’io come io abitato da un Dio che esiste per l’io.

In Cartesio il pensante non incontra una cosa in sé fuori dal soggetto e indipendente dal soggetto, ma pone col suo stesso pensare il suo essere di pensante. In Lutero l’io sente nella fede di essere perdonato da un Dio misericordioso, un Dio nel quale l’attributo della misericordia non è legato alla creazione dell’uomo, ma è intrinseco alla stessa essenza divina, la quale viene così essenzialmente connessa con l’uomo, e quindi Dio non potrebbe esistere senza l’uomo.

Così il genderismo parte da questa concezione dell’io principio di se stesso e della realtà, autocoscienza come condizione di possibilità dell’esperienza, dunque spirito orientato alla materia, spirito che s’innalza nell’esaltazione di se stesso,  

Fine Terza Parte (3/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 luglio 2022

 

Potremmo chiederci come può l’antropologia freudiana, schiettamente materialista, trarre origine da antropologie spiritualistiche, come furono, in fondo, quella di Lutero e di Cartesio? 

La risposta è che lo spiritualismo luterano e cartesiano hanno già nel loro modo d’essere un principio materialistico: Cartesio per la possibilità di confondere il corpo pensato col corpo; Lutero per la possibilità di confondere il credere col sentire.

Le radici prime del genderismo vanno dunque rintracciate nella gnoseologia idealista dell’io che pone se stesso e nella concezione luterana dell’io come io abitato da un Dio che esiste per l’io.

 

In Cartesio il pensante non incontra una cosa in sé fuori dal soggetto e indipendente dal soggetto, ma pone col suo stesso pensare il suo essere di pensante.

 Immagini da Internet: 

- Sigmund Freud
- Gustave Caillebotte, Giovane uomo alla finestra


[1] Cf di Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2013.

[2] Questa opzione, ispirata all’etica luterana, è fatta propria da Rahner nel suo Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma 1978, pp.131-136.

[3] Per questo, l’immagine della suora come sposa di Cristo mette oggi a disagio, perché riflette uno schema del rapporto moglie-marito non più rispondente alla dignità attuale della donna e a quanto oggi insegna la Chiesa sull’argomento. La suora è certo suddita di Cristo Signore, ma perchè Cristo è Dio, non perché fa le veci di uno sposo, cioè di un uomo. A parte che l’idea dello sposalizio implica l’idea del piacere sessuale e non si vede che cosa c’entri il piacere sessuale con la verginità della suora. Se si deve usare un’immagine di sposo svuotata di senso, tanto vale non usarla. L’idea del dio sposo di una donna non è un’idea biblica, ma è propria delle teogonìe pagane.

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