Alla «Sorella nascosta»


Alla «Sorella nascosta»
Come comportarsi con Papa Francesco

Cara Sorella,
ho letto di recente nel blog di Aldo Maria Valli Duc in altum una sua accorata lettera, nella quale Ella manifesta la  sofferenza e il turbamento, che Le procura l’attuale Pontefice nella sua pastorale e nel suo governo della Chiesa. Oggi, infatti, se molti approvano, alcuni fino all’entusiasmo, l’operato del Papa, altrettanti ne sono scontenti ed alcuni quasi scandalizzati, al punto che rischiano, come i luterani, di perdere la fede nello stesso Papato, il che sarebbe pericolosissimo per la loro anima. 

Lei invece, ovviamente, da buona cattolica ed oltretutto monaca, onora e rispetta Papa Francesco come vero Papa. Per questo Lei è provata ma non vinta; amareggiata ma in fondo serena; smarrita, ma senza aver perso la via; disgustata ma che trova ancora il dolce; sofferente, eppure consolata; stanca, ma che si riprende con rinnovata  speranza; sull’orlo di cedere, ma ecco che si aggrappa a Cristo. 

Il problema dei problemi oggi è effettivamente Papa Francesco. La Chiesa sta soffrendo, mentre il mondo è contento. Occorre saper trovare in Francesco il positivo, innanzitutto come maestro della fede, dove non può sbagliare. Non mancano suoi documenti pregevoli, soprattutto le encicliche. Importante  è la Lettera Gaudete et exultate, soprattutto la condanna del pelagianesimo e dello gnosticismo. Ma anche la discussa Amoris laetitia, se ben interpretata, non presenta difficoltà dottrinali. Se la si legge con attenzione, in realtà non dà il permesso della Comunione ai divorziati risposati, ma lo pone solo come ipotesi alla nota 351. 

Occorre, con Papa Francesco, andare al di là della sua apparenza modernistica e relativista e scoprire il Vangelo che egli predica, seppur spesso in modo ambiguo ed equivoco. Inoltre ha il difetto di non dirlo tutto e non fa bene, perché dimostra rispetto umano. Sembra che abbia timore dei giudizi del mondo e delle critiche dei potenti della terra. Tralascia quelle parti del Vangelo che potrebbero dar loro fastidio.  

Accogliamo tuttavia con gratitudine gli aspetti positivi della sua pastorale e quelle parti del Vangelo che egli predica. Non possiamo accusarlo di falsificare il Vangelo, come fece Lutero con Leone X, perché passeremmo noi stessi dalla parte dell’eresia.  La sua non è eresia ma negligenza dettata da un eccessivo rispetto per il mondo e soggezione alle ideologie dominanti. 

Indubbiamente questa reticenza crea sconcerto e sofferenza presso quei cattolici che tengono alla dottrina e che hanno l’angosciosa impressione che alcune dottrine del Vangelo, quelle appunto taciute, o siano superate o non valgano più, magari in forza della moderna esegesi.

Tentiamo di fare un elenco di queste dottrine dimenticate o neglette: l’indipendenza di Dio dal mondo, l’immutabilità e l’impassibilità divine, l’identità del Dio severo dell’Antico Testamento con quello misericordioso del Nuovo Testamento; la necessità della giustizia accanto alla misericordia; la storicità del racconto biblico di Adamo ed Eva; l’ostilità della natura come castigo del peccato originale; la trasmissione per generazione della colpa originale; il valore soddisfattorio, espiativo e riparatore della redenzione di Cristo; la Messa come rinnovazione incruenta del sacrificio di Cristo; la transustanziazione eucaristica; l’effetto mortifero del peccato; l’importanza dell’ascesi; la nozione della verità; il rapporto della grazia col libero arbitrio; i meriti delle buone opere; la salvezza solo per chi osserva i comandamenti; la grazia offerta a tutti ma non data a tutti; il perdono solo per chi si pente; la distinzione fra male di colpa e male di pena; la fede come conoscenza intellettuale; l’immutabilità della verità dogmatica e della legge morale; il signifcato dell’eresia; la distinzione fra la fratellanza-figliolanza umana e la fratellanza-figliolanza cristiana; il dovere dei fratelli separati di entrare in comunione con la Chiesa cattolica; il primato del cristianesimo sulle altre religioni; l’evangelizzazione come fine del dialogo interreligioso; la distinzione fra la guerra giusta e la guerra ingiusta; la predestinazione degli eletti; il primato della Chiesa sul mondo e sullo Stato; le condizioni per appartenere alla Chiesa; l’ammonimento che ci viene dai dannati dell’inferno; il purgatorio; la condanna della sodomia, del comunismo, della massoneria, del modernismo, del rahnerismo; la retta interpretazione, non modernista o sessantottina, del Concilio Vaticano II.

In realtà, occorrerebbe una nuova S.Caterina, che richiamasse il Papa al compimento del suo dovere, come ella fece col terribile Urbano VI, che per la durezza della sua condotta verso i Cardinali provocò lo scisma d’Occidente. Come ad Urbano Caterina disse che dimenticava la misericordia in nome della giustizia, a Francesco Caterina direbbe che dimentica la giustizia in nome della misericordia. 

Caterina dice, anche rivolgendosi ad Urbano VI, che un vizio ricorrente nei Superiori è l’amor proprio, per il quale il Superiore, mancando di umiltà ed inebriato del suo potere, eccede nella sua tendenza a comandare, mentre d’altra parte è anche troppo permissivo, non riconosce i propri torti, non ascolta i dubbi, i reclami o i richiami, gli piace di essere adulato, non accetta critiche e disprezza gli avversari, mentre al contrario non corregge ma liscia i sudditi devianti per timore di perdere il loro favore e rinuncia a  far giustizia per non avere noie dai potenti. Credo che Caterina darebbe oggi a Francesco all’incirca gli stessi avvertimenti e farebbe le stesse esortazioni.

Caterina, inoltre, come fece con Urbano VI, che divise la Chiesa provocando lo scisma, inviterebbe Francesco, custode dell’unità della Chiesa, a fare opera di pacificazione all’interno della Chiesa e in particolare ad adoperarsi per la conciliazione fra lefevriani e modernisti, correggendo i difetti degli uni e degli altri, per mettere assieme le buone qualità di ciascuna delle due parti, così da unire conservazione e progresso, tradizione e rinnovamento, fedeltà e riforma.
 Ma per avere l’autorevolezza e la credibilità necessarie per raggiungere questo preziosismo obbiettivo, direbbe a Francesco che deve essere veramente al di sopra delle parti, custode irreprensibile ed incorruttibile dei valori comuni ed universali, nel rispetto delle diversità, giudice ed arbitro equo ed imparziale, padre di tutti e non di una sola parte. 

A tal fine, direbbe Caterina, occorre che Francesco smetta di maltrattare i lefevriani e di accarezzare i modernisti e li chiami tutti presso di sè come figli amati a vivere nella concordia e nella pace da buoni fratelli sotto l’unico padre. I lefevriani devono accettare le dottrine del Concilio e i modernisti devono interpretarle non come garba a loro, ma in conformità all’interpretazione della Chiesa e del Catechismo.

Inoltre Caterina supplicherebbe Francesco, sempre per moderare il suo protagonismo, di rinunciare a desideri di grandezza, a dar l’idea che voglia rifare la Chiesa daccapo, trascurando la tradizione, in una ricerca esagerata ed unilaterale del «nuovo», atteggiandosi  a Papa «rivoluzionario», iniziatore di una «svolta epocale». 

Gli ricorderebbe le parole del Signore, che chi vuole esser grande nella Chiesa, deve amare l’umiltà. Se vuol essere grande, e può esserlo, deve farsi piccolo, cioè umile, al servizio dei fratelli nella verità, anche a rischio della vita e non concentrarsi nella ricerca del successo personale.

Caterina gli proporrebbe esempi di Papi Santi, come S.Paolo VI e S.Giovanni Paolo II e comunque ottimi Predecessori, come Papa Benedetto XVI. Caterina certamente esorterebbe Papa Francesco a portare avanti, senza affatto rinunciare a scegliere una linea diversa e personale, la riforma promossa da quei Papi, invece di pensare a Lutero o al ‘68.

Caterina riconoscerebbe che uno dei segni più evidenti del cattivo governo ecclesiale di Francesco, è quello di non aver opposto un freno sufficiente al dilagare impressionante e sempre maggiore del malcostume sessuale e della  lussuria, in tutte le sue forme, anche le più abominevoli, coperte in modo inadeguato sotto l’appellativo di «clericalismo». 

Quello che probabilmente Caterina direbbe al Papa è di disapprovare una sua condanna della pedofilia, scompagnata da un’altrettanto doverosa ed energica  battaglia pastorale contro la sodomia. In realtà in teoria Papa Francesco l’ha condannata.  E non poteva non farlo, se non voleva cadere nell’eresia.  

Ma ciò che è gravemente riprovevole, è la sua dimestichezza con persone o ambienti sodomitici, nonchè  le conturbanti notizie che emergono sul suo conto dal memoriale di Mons.Viganò, notizie circa le quali tutta la Chiesa si sarebbe attesa una risposta o un commento da parte sua, mentre il distacco col quale Francesco ha trattato quel documento danno l’impressione di un animo imbarazzato, che vuol sorvolare, laddove gli si chiedono chiarezza e sincerità. Non faremo che stimarlo di più.

Alcuni, per giustificare Francesco, riconoscerebbe Caterina, citano l’esempio di Gesù che frequentava i peccatori. D’accordo. Ma Gesù li esortava poi alla conversione e alla penitenza; li rimproverava, li correggeva, li avvertiva, li minacciava. Ma Francesco che cosa fa? Un bel dialogo, una bella cordialità, l’apprezzamento delle «diversità» e poi tutto sembra essere come prima. I peccatori continuano allegramente la loro vita, come se niente fosse accaduto. Non è questo, avvertirebbe Caterina, l’esempio di Cristo, che, anzi, a volte, accettava di venir fuori dal «dialogo» maltrattato dagli avversari. E lei faceva lo stesso. 

Certamente Caterina riconoscerebbe che il Papa si trova a dover affrontare una situazione ecclesiale disastrata maturata in questi ultimi cinquant’anni. Per quanto riguarda il problema specifico dell’etica sessuale, si è verificata una serie di cedimenti morali nei moralisti cattolici, che hanno cominciato con l’ammissibilità della masturbazione e dei rapporti prematrimoniali alla fine degli anni ’60, passando all’ammissibilità degli anticoncezionali nel ’68. Negli anni ’70 il divorzio, l’aborto e la fecondazione artificiale. La diffusione delle convivenze negli anni ’80-‘90. L’utero in affitto negli anni ’90. Diffusione della pedofilia e della sodomia a partire dal 2000. Le «unioni civili» dal 2016 e i matrimoni gay oggi. E cos’altro ancora?

Il compito urgente è quello di proporre un concetto della sessualità umana più elevato di quello che si era avuto fino al Concilio, e che è stato proposto dalla «teologia del corpo» di S.Giovanni Paolo II, il quale allarga lo sguardo sul sesso umano al di là dell’attuale condizione di fragilità e miseria della natura decaduta e redenta, verso la condizione protologica di reciprocità («questa volta essa è carne della mia carne», Gen 2,23) e di unità o comunione («i due saranno una sola carne», Gen 2,24); e da questa verso la condizione escatologica della resurrezione.
In tal modo è finalmente superata, col Concilio e i suoi sviluppi nella dottrina di S.Giovanni Paolo II, l’antropologia platonica, che per millenni è stata al fondo dell’ideale della castità. Prima nel platonismo e poi nella sua versione cristiana, che fu l’origenismo, sostituita dall’antropologia aristotelica, più conforme all’antropologia biblica e armonizzabile col dogma della resurrezione, mentre ciò non avviene nel platonismo. Infatti in Platone è evidente il primato dello spirito sul corpo e quindi sul sesso; e quest’ordine corrisponde certamente alla verità della natura umana. 

Ma poi Platone intende il corpo e quindi il sesso come forza ostile o quanto meno estranea o incongrua allo spirito, in modo tale che il desiderio sessuale si oppone al desiderio di Dio. Da qui il voto di castità che, nell’astinenza sessuale, rende possibile l’unione con Dio. Il prezzo, tuttavia, di questa operazione, in Platone, è molto alto: il sesso dev’essere estinto. Ora, tutto ciò suppone la negazione della resurrezione del sesso, che invece appare del tutto chiara dagli insegnamenti di S.Giovanni Paolo II. 

Invece, per Aristotele, l’uomo è un animale ragionevole, per cui il sesso entra nella sua essenza umana, benché il primato spetti alla ragione, ossia allo spirito. A differenza allora da Platone, che concepisce l’uomo come uno spirito che guida accidentalmente un corpo, in vista di liberarsene, l’antropologia aristotelica concede pieno spazio alla resurrezione del corpo e quindi del sesso. Per questo la Chiesa in considerazione della resurrezione ha preferito, attraverso S.Tommaso d’Aquino, l’antropologia aristotelica a quella platonica.

L’etica sessuale che emerge dunque dall’insegnamento di S.Giovanni Paolo II è una più alta concezione della sessualità umana, un suo più stretto rapporto con Dio, una sua vera e propria finalizzazione a Dio: creata da Dio, è destinata alla resurrezione nell’eterna visione celeste di Dio dell’anima beata. Così il voto di castità non mira all’estinzione del sesso, ma al contrario ad una sua nobilitazione. Così, mediante un’opportuna ascesi e la pratica dell’astinenza sessuale, prepara il sesso della resurrezione.

Sono convinto che l’attuale diffusione della lussuria sia in gran parte dovuta ad una reazione impulsiva, irrazionale ed esagerata ad una pratica della castità improntata ad un’idea di concupiscenza, per la quale la giusta lotta contro la concupiscenza finiva per confondersi con una lotta contro il sesso, un bene umano in sé nobile e indispensabile, creato d Dio e destinato alla vita eterna. 

Da qui l’equivoco di combattere il sesso insieme con la concupiscenza, che ne è semplicemente  la corruzione: equivoco caratteristico dell’origenismo, che è stato bensì condannato dalla Chiesa, ma che comunque per lunghi secoli ha prodotto quel rigorismo dualista, che sopravvive qua e là ancor oggi, dopo il Concilio, e che occorre eliminare, senza per questo cadere nell’epicureismo freudiano dell’idolatria del sesso oggi imperante.

La differenza tra la castità e lussuria non sta nel fatto che la prima estingue il sesso e la seconda lo esalta, ma sta nel rapporto che si pone tra spirito e sesso: la castità pone lo spirito al di sopra del sesso; mentre la lussuria pone il sesso al di sopra dello spirito.

C’è a questo punto una grave questione, che sembra scoraggiarci in questo nostro lavoro di proporre al Papa la «cura Caterina». C’è infatti una grossa differenza tra l’atteggiamento di Urbano VI verso Caterina e quello dell’attuale Papa nei confronti di coloro, che, come per esempio noi, ispirandoci a Caterina, gli proponiamo una cura simile a quella che ella propose ad Urbano VI: che Papa Urbano desiderava sentire il parere della Santa, mentre Francesco sembra ascoltare piuttosto i modernisti. 

Che fare allora? È già cosa buona ed utile che coloro che sono scontenti chiariscano tra di loro con obbiettività che cosa non va nel Papa, evitando assolutamente ogni forma di rancore e, come Caterina, mossi solo dalla carità. Una volta chiarite queste cose, essi conosceranno la «cura Caterina», sempre che il Papa voglia ascoltare. 

E con ciò, cara Sorella, siamo giunti alla conclusione. Abbiamo visto ciò che probabilmente oggi S.Caterina direbbe a Papa Francesco. Apprezzo la sua ammirazione per la Santa Senese. Tuttavia, io credo che il Signore La chiami a vivere sempre meglio la sua bellissima vocazione monastica, la quale, come Lei sa meglio di me, non comporta tanto la predicazione, quanto piuttosto l’offerta generosa di sé per la Chiesa, per le anime e per il Papa, nel silenzio, nella liturgia, nella lectio divina, nella meditazione, nella contemplazione, nell’adorazione, nella preghiera, nella solitudine, nella penitenza, fedele alla Croce, mentre il mondo passa: Stat Crux, dum volvitur orbis.
P.Giovanni Cavalcoli, OP
Varazze, 22 marzo 2019

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