I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno - Quinta Parte (5/5)

 I Papi nostre guide nel confronto col mondo moderno

Quinta Parte (5/5) 

Ratzinger giovane teologo

L’impostazione filosofica e teologica del giovane Ratzinger non era di impronta tomistica ma agostiniano-cartesiana proveniente da Romano Guardini, per cui egli non intendeva la metafisica come scienza dell’ente sostanziale, ma dell’io-spirito che entra in relazione con l’altro e con se stesso. Da qui la sua concezione dell’ente non come sostanza ed accidenti, ma come azione o come  relazione sussistente[1].

Ciò lo portò a concordare per un certo tempo col trascendentalismo hegeliano-heideggeriano di Rahner. Accortosi tuttavia ad un certo momento dell’insidia, già dall’immediato post-concilio Ratzinger prese le distanze da Rahner, ma non riuscì ad abbandonare del tutto la visione buonistica, che era propria anche di Von Balthasar, del quale Ratzinger divenne amico e collaboratore alla rivista Communio.

Stupisce il fatto che Ratzinger da giovane teologo in Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2005, Brescia 2005, (pp.171-174)281 e successivamente in Che cos’è il cristianesimo, Edizioni Mondadori, Milano 2023 (pp.13-139), pubblicato postumo e scritto da Papa emerito, trattando del sacrificio di Cristo, affermi che immaginare che Dio abbia voluto ricevere dal Figlio soddisfazione vicaria per l’offesa del peccato dell’uomo, sarebbe concepire un Dio «crudele». Da qui il rifiuto di Ratzinger del concetto di sacrificio espiatorio e la tesi riecheggiante Lutero che Dio non ha voluto alcuna riparazione o alcun compenso per l’offesa arrecatagli dal peccato, ma lo ha puramente e semplicemente perdonato in tutti.

Il sacrificio di Cristo per Ratzinger è semplicemente la testimonianza del martire, è un sacrificio «d’amore» senza però che questo amore comporti alcun atto riparatorio o soddisfattorio. Il dovere al quale siamo tenuti di espiare le nostre colpe per ottenere perdono, sembra dunque scomparire. Non occorre alcuna sofferenza per la remissione della colpa, ma basta l’«amore».

Ora, bisogna dire con chiarezza che credere che il nostro amore per Dio non includa una riparazione vuol dire non sapere che cosa è il vero amore cristiano, al di là di tutte le belle parole sull’amore nelle quali Ratzinger si profonde. Un Dio adirato che vuole soddisfazione non è affatto un Dio pagano, falso e non biblico, ma è perfettamente conforme alla Scrittura, al Magistero della Chiesa e alla ragione.

L’ira non è di per sé crudeltà, se è giusta ira. Questo vale tanto nei rapporti umani quanto nei nostri rapporti con Dio. Dire dunque, come fa la liturgia della Messa, che il sacrificio divino placa l’ira divina è perfettamente conforme a quanto il sacrificio di Cristo ci ha ottenuto dal Padre e quindi ciò che ottiene da Dio il sacrificio della Messa.

Ma devo dire al riguardo con tutta franchezza che ho il sentore non infondato che tutto ciò ci rimandi a una questione gravissima, alla quale non mi pare che a tutt’oggi sia data ancora una sufficiente risposta, e cioè: quali sono le origini teoretiche della crudeltà nazista? Mi rendo conto che quanto sto per dire scandalizzerà i fratelli luterani, ma devo dirlo per il loro stesso bene: la crudeltà nazista, l’odio nazista per l’ebreo nasce dall’idea luterana della giustificazione, ossia di un Dio che non castiga ma accetta l’uomo crudele impenitente.

Invano quindi Lutero vuol sentire la dolcezza di un Dio benevolo confondendo il castigo divino con un atto di crudeltà. In realtà Lutero predicando la giustificazione senza espiazione dell’uomo crudele giustifica un Dio crudele che accetta l’uomo crudele. Dunque il nazista si sente giustificato nel dar sfogo al suo odio e alla sua crudeltà perché in ciò si sente giustificato da Dio stesso. Dunque il Dio buono che non castiga è in realtà il Dio crudele che giustifica l’odio e la crudeltà.

L’animo tedesco oscilla fra la sensibilità remissiva, come vediamo nel romanticismo e la violenza crudele, come vediamo in Nietzsche. Stenta a trovare il medium virtutis, perché manca del senso del diritto, dove invece eccelle Roma: la congiunzione di iustitia e clementia. Il Gemüt dei Tedeschi è un intùito emotivo, che se ci prende, bene; ma se non ci prende, non c’è ragione che tenga per correggerlo, perché non è basato sul ragionamento, ma sul sentimento.

E per questo la Chiesa si è servita del diritto romano per formare il diritto canonico. L’animo tedesco si esprime eccellentemente nella musica. Ma la morale non si costruisce con le emozioni e gli stati d‘animo. Per la morale occorre il ragionamento. Non basta quindi il sentimento. Esso può rendere più persuasivo il ragionamento, ma non può sostituirlo. Ora, per avere il senso del diritto e della giustizia occorre la ragione. Per questo, anche i Tedeschi che si fanno cattolici assumono il diritto romano, indispensabile per interpretare la nozione biblica della giustizia e della legge.

Gioca a favore di Ratzinger il fatto che egli collaborò come Prefetto della CDF alla stesura della Fides et ratio di San Giovanni Paolo II, dove l’oggetto della metafisica è espresso nella sua vera natura, per cui appare chiaro come la metafisica introduce al realismo della fede, mentre una metafisica coscienzialista conduce al fideismo.

Ratzinger, prima di essere eletto Papa, svolse un importante lavoro come Prefetto della CDF, scelto da Giovanni Paolo II nel 1981 dopo che gli dette prova di una coraggiosa adesione al Magistero della Chiesa con una dura critica alla teologia di Rahner, di tendenza modernista, dalla quale si era lasciato influenzare durante i lavori del Concilio, ai quali entrambi avevano partecipato come periti.

Ratzinger da Prefetto della CDF lavorò alla stesura del Catechismo, del quale cito qui alcune parole riferite al sacrificio di Cristo, con le quali si respinge chiaramente la teoria che nega il sacrificio di Cristo. Esso

«è un dono dello stesso Dio Padre che consegna il Figlio per riconciliare noi con Lui. Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, offre la propria vita al Padre suo nello Spirito Santo per riparare alla nostra disobbedienza. … Con la sua obbedienza fino alla morte Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre “se stesso in espiazione”, mentre porta “il peccato di molti” e li giustifica addossandosi “la loro iniquità”. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati. È l’amore “sino alla fine” (Gv 13,1), che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo»[2] .

Benedetto XVI

Ratzinger, da Prefetto della CDF sotto la protezione di quel gigante che è stato Giovanni Paolo II, combatté valorosamente contro il modernismo per vent’anni. Ma, divenuto Papa ed appioppatagli immediatamente dai modernisti la nomea di «pastore tedesco», e già Panzerkardinal, si sentì subito in dovere di adottare uno stile di mitezza e dolcezza, che mantenne sempre per tutto il pontificato, mosso da un eccessivo timore di apparire troppo severo.

Benedetto da Papa scrisse tre importanti volumi su Gesù Cristo come dottore privato. In essi egli testimonia la sua fede nel Mistero di Cristo valendosi di una ricca preparazione esegetica.

Il Magistero di Benedetto si riassume nelle sue tre encicliche sul valore della carità, 'Deus caritas est'; sul valore della speranza 'Spe salvi'; e sulla giustizia sociale 'Caritas in veritate'. La dottrina di Benedetto si mantiene nel solco della Tradizione arricchita dagli apporti del Magistero e della teologia postconciliare.

Famoso è rimasto il suo discorso sull’Islam fatto a Ratisbona nel 2006, nel quale il Papa accusa il Corano di impostazione volontaristica offensiva della ragione. Il discorso suscitò irritazione nel mondo islamico, benché la critica fosse giusta. Forse il tono avrebbe potuto essere più sfumato.

Benedetto si è impegnato nell’opera di mediazione e conciliazione fra lefevriani e modernisti. Dotato di un alto senso della liturgia appreso alla scuola di Romano Guardini, ha voluto riconoscere il valore del rito vetus ordo amato dai lefevriani emanando il motu proprio Summorum Pontificum, che liberalizzava la celebrazione di questo rito rispetto alle restrizioni imposte dai Papi precedenti.

È accaduto invece purtroppo che i lefevriani, sotto il pontificato di Papa Francesco, si sono serviti di questa concessione per attaccare il Concilio Vaticano II, il novus ordo e l’autorità pontificia, cosa che ha provocato l’intervento di Francesco, il quale, col motu proprio Traditionis custodes ha annullato la liberalizzazione fatta dal suo Predecessore, imponendo a tutti come lex orandi il novus ordo, senza per questo proibire del tutto il vetus ordo.

Circa la questione dello scisma lefevriano importantissime sono le parole rivolte ai lefevriani quando il Papa ha detto che se essi vogliono essere in piena comunione con la Chiesa, devono accettare le dottrine del Concilio, mentre le sue disposizioni pastorali possono essere discusse. Papa Benedetto è stato il primo Papa a distinguere nel Concilio un insegnamento pastorale accanto ad uno dottrinale e ad ammettere la liceità di criticare la parte pastorale. Inoltre, è stato il Papa che con maggior chiarezza ha distinto la retta interpretazione del Concilio, fatta dal Magistero, da una falsa interpretazione ad opera dei modernisti e lefevriani.

Benedetto aveva in animo di indire il 2013 come Anno della Fede, ma non attuò il suo progetto per aver dato le dimissioni. Il suo Successore, comunque, Francesco ebbe cura di scrivere un’enciclica sulla fede Lumen fidei, che redasse assieme al Papa emerito.

Tutti ci ha sorpreso l’annuncio improvviso dato da Benedetto delle sue dimissioni, benché io sospetti che i suoi nemici tramassero nell’ombra per metterlo nelle condizioni di non riuscire a governare, ma forse neppure loro si aspettavano la mossa di Benedetto, che comunque hanno certamente accettato con malcelata soddisfazione.

Perché Benedetto ha dato le dimissioni? Per umiltà o per viltà? Perchè ha accettato la croce o perché ha voluto scansarla? Perché ha avuto fiducia nell’aiuto di Cristo o perchè non ne ha avuta abbastanza? Un Papa non può perdere la fede nel sacrificio espiatorio di Cristo, ma al momento di esser chiamato da Dio a riprodurlo in se stesso, può a tutta prima tentennare. Può sapere teoricamente che l’amore comporta l’espiazione delle colpe e la soddisfazione data a Dio per i propri peccati, ma quando arriva l’occasione per amare in questo modo e per accettare da Dio questo modo di amare, può fare resistenza, accettare la sofferenza senza sapere il perchè, con una fede immersa nell’oscurità. Benedetto ha continuato a subìre umiliazioni dei suoi spietati nemici, le cui voci ha definito «assassine». Di fatto Dio lo ha purificato come l’argento nel crogiolo. Affidiamolo dunque alla misericordia di Dio, di quel Dio qui satisfecit pro nobis.  

Forse che a Benedetto è capitata una simile disgrazia? Non sarà che nel subconscio del Tedesco dopo Auschwitz è rimasto, irrisolto, il nodo spaventoso di un Dio d’amore che ha permesso lo sterminio di sei milioni di Ebrei? Non ci sarà un bisogno disperato ed irrazionale di spiegazione accompagnato dall’odio per un Dio adirato che vuole essere rimborsato?

Benedetto, prima di lasciare il ministero petrino, ci ha illuminati, come canto del cigno, col suo carisma papale, circa l’essenza del Papato emerito, precisando, nella sua Dichiarazione di dimissioni, che egli conservava il munus papale, ma non il ministerium, ossia restava Papa, ma passava il governo della Chiesa al suo Successore. Mai avevamo udito una cosa del genere. Benedetto ci ha illuminati su di un aspetto del carisma petrino finora del tutto sconosciuto: la distinzione fra l’essere Papa e il fare il Papa. Il Papa dimissionario o emerito resta Papa, ma non fa più il Papa. Come c’è il tu es sacerdos in aeternum, così c’è il tu es Papa in aeternum, anche se dovesse abbandonare il governo della Chiesa.

Invano alcuni hanno obbiettato che la figura del Papa emerito non esiste nel diritto canonico. Ma non esiste semplicemente perchè l’ha scoperta Benedetto, per cui tale figura dovrà essere inserita nel Codice. Non è il Codice che modera l’agire del Papa, ma è il Papa che modera la legge del Codice.

Francesco

L’elezione di Papa Francesco è stata salutata dai modernisti con gli accenti della lode adulatoria più sperticata, dove si è capito benissimo il loro tentativo di strumentalizzare il Papa a loro favore. Francesco purtroppo non ha avuto sempre quella lucidità di discernimento e quella chiarezza di linguaggio che sarebbero stati necessari per impedire tale sfacciata strumentalizzazione.

Ma negli ultimi tempi il Papa, accortosi della macchinazione, ha assunto un atteggiamento di equidistanza tra gli opposti estremismi dei modernisti e dei lefevriani, mantenendo la sua legittima opzione progressista in quanto impegnato nel portare avanti la riforma conciliare. I modernisti, delusi nelle loro aspettative, hanno abbassato la cresta, anche se tuttora non demordono. L‘opposizione lefevriana, invece, alla quale si aggiunge quella sedevacantista di coloro che sostengono che il vero Papa fu Benedetto fino alla sua morte, si è fatta più velenosa, per cui occorre fare ogni sforzo nella volontà di ammansirla riconoscendo quella parte di ragione che essa ha nelle sue lamentele.

Documenti importanti di Papa Francesco sono l’Evangelii gaudium del 2013, sulla gioia dell’evangelizzazione, la Laudato si’ del 2015 sui nostri doveri nei confronti della natura da coltivare con l’occhio rivolto al bene del prossimo, soprattutto dei più poveri, la Gaudete et exsultate del 2018, dedicata alla conquista della santità, contenente una poderosa condanna di quelle false forme di perfezione umana, che sono lo gnosticismo e il pelagianesimo. Mai era successo che un Papa condannasse lo gnosticismo, che oggi si nasconde invece nel modernismo, nel rahnerismo, nella massoneria e nell’induismo.

Gesto di portata storica di Papa Francesco, che chiude un tristissimo plurisecolare sanguinoso confronto tra cristianità ed Islam, è stata la convenzione di Abu Dhabi col Grande Imam del Cairo Al-Fayyed, anche se ci arreca dolore la persecuzione di cristiani ad opera di musulmani in altri paesi del mondo. Tuttavia è notevolissima questa dichiarazione comune, che peraltro non pare abbia suscitato significative reazioni di protesta nel mondo islamico, tra un Papa e un alto dignitario dell’Islam, rappresentante tutti i paesi islamici moderati, documento nel quale per la prima volta un musulmano riconosce il concetto di fratellanza universale, fino ad ora limitato dai musulmani ai soli correligionari.

La Civiltà Cattolica del 3/17 aprile 2021 ha pubblicato alcuni appunti di metafisica di Jorge Mario Bergoglio redatti in occasione dei suoi studi in Germania, che ho commentato nel mio blog. In essi appare il suo netto orientamento realistico.

Il Papa ha recentemente richiamato tutti alla partecipazione della Messa novus ordo, come gesto di comunione e riconciliazione fraterna e col Papa, disapprovando sia gli abusi modernistici come lo scisma dei passatisti. Ha ammonito che chi non accetta il Concilio non può appartenere alla Chiesa. È severo anche con coloro che si rifiutano di riconoscere la validità del suo ministero, favorendo la scomunica. Anche per i mafiosi, finti cattolici, uomini sanguinari e crudeli taglieggiatori della povera gente, Papa Francesco non fa sentire la misericordia, ma la giustizia, con l’irrogazione della scomunica.

Un fenomeno frequente oggi nel campo della cristologia è il ritorno delle antiche eresie cristologiche precedenti i Concili di Nicea o di Efeso di Calcedonia e la negazione del dogma della redenzione[3] così come è stato definito dal Concilio di Trento. Papa Francesco non entra nel merito di queste eresie, già più volte condannate dalla Chiesa, ma si limita ad esporre la dottrina cattolica.

Altra eresia oggi diffusa è quella del buonismo, che nega l’esistenza di dannati. Anche su questo punto il Papa non interviene direttamente ed esplicitamente, limitandosi a ribadire in forma implicita ed indiretta la dottrina tradizionale.

Per quanto riguarda il problema dei divorziati risposati, ricorda che anch’essi possono essere in grazia ed appartenere alla Chiesa, purchè pentiti dei loro peccati, si dedichino alle opere buone confidando nella divina misericordia.

Anche per quanto riguarda il problema della sodomia, il Papa, pur condannando ovviamente il peccato, promuove uno stile pastorale di accompagnamento, di confronto e di dialogo, utile alla resipiscenza del peccatore e alla vittoria sul suo vizio.

Il Papa si sforza di adottare una linea di imparzialità nel tristissimo dissidio che da 60 anni divide lefevriani e modernisti, nella speranza che possano giungere alla conciliazione e alla pace. I rahneriani hanno premuto in vari modi fino a data recente per averlo dalla loro parte, ma il Papa, con gesto coraggioso e repentino, com’è nel suo stile, nella linea dei suoi predecessori da otto secoli a questa parte, ha raccomandato S.Tommaso come Doctor communis Ecclesiae, titolo che non era più stato citato dai Papi dai tempi di Pio XI.

Per quanto riguarda il problema della massoneria, il Papa preferisce non parlare della massoneria, e tuttavia lascia ben capire il suo pensiero quando cita l’ideale della scienza, della ragione, dei diritti umani, della fraternità, dell’uguaglianza e della libertà in unione con quello della figliolanza divina e della carità cristiana, quando parla di Cristo salvatore dell’umanità e della Chiesa necessaria alla salvezza di tutti.

Un problema delicato e discusso è quali possono essere i rapporti di Papa Francesco con la massoneria. Sappiamo come la pubblicazione dell’enciclica Fratelli tutti ha ricevuto parole di consenso da parte della massoneria. Il Papa non le ha commentate. Certamente egli conosce bene il magistero pontificio su questo argomento. Tuttavia sappiamo come il Concilio abbia promosso il dialogo con i non credenti. Possiamo pensare che il Papa, in linea con questa direttiva conciliare tenti di riconoscere certi valori che noi stessi possiamo verificare leggendo le dichiarazioni delle famose Costituzioni di Anderson del 1723:

«Un Muratore è tenuto, per la sua condizione, ad obbedire alla legge morale; e se egli intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della Religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando ad essi le loro particolari opinioni; ossia, essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore e di onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti».

Quello che possiamo notare è l’ambizione di essere fattore supremo d’unione fra gli uomini al di là delle religioni, che come tali lascerebbero l’umanità in contrasti irresolubili. È misconosciuto quindi il superiore ruolo pacificatore del cristianesimo, relegato ad un’opinione o setta religiosa fra le altre. Ma a parte questo errore, non si può far a meno di apprezzare il riconoscimento di «quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono», che è la religione naturale, effetto della norma della ragion pratica. Quello che purtroppo rende inaccettabile per un cattolico la massoneria è il fatto che essa si chiude nella religione naturale e non ammette neppure la possibilità di una religione rivelata a causa della sua concezione razionalistico-kantiana della divinità.

Il punto d’incontro fra cristianesimo e massoneria è tuttavia il concetto di ragione, anche se nella massoneria la ragione è intesa in due sensi: un senso essoterico e un senso esoterico. Dal punto di vista essoterico è possibile una coincidenza della ragione massonica con la ragione naturale del cristianesimo, laddove la massoneria riconosce una religione naturale: «quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono». 

Ma la massoneria si riserva il possesso privilegiato di un livello supremo di ragione, che essa chiama «scienza» o «gnosi»[4], rispetto al quale i dogmi delle diverse religioni non sono che opinioni relative. Per cui essa, ritenendosi in possesso del vero sapere assoluto ed universale, si pone come «centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti».

 La ragione così intesa in senso esoterico non ammette un sapere soprannaturale di fede in una rivelazione divina. Oppure, se parla di soprannaturale[5] o di rivelazione[6] superiore alla ragione, si tratta di esperienza o autocoscienza apriorica o trascendentale. Per questo, nella massoneria, al di là dell’ammissione di un Dio proprio della ragione naturale, c’è un fondo sostanzialmente panteistico per il quale la ragione come io assoluto si identifica con la ragione divina. Da qui la gnosi e l’ostilità al cristianesimo, che la massoneria vede come antagonista nella conquista intellettuale e quindi morale dell’umanità.

Recentemente il Papa ci ha messo in guardia nei confronti del cosiddetto «transumanesimo», che viene oggi proposto dalla massoneria esoterica come edificazione di un’umanità superiore in forza del dominio magico sulla natura che promette la costruzione della macchina intelligente sulla base della riduzione dell’attività del pensiero ai dinamismi della fisiologia cerebrale. 

È un rinnovato tentativo dell’uomo di sostituirsi a Dio nel potere su se stesso e sulla natura che continua l’antichissima tradizione magica già denunciata dalla Bibbia nei confronti della magia egiziana nonché la magia proposta dalla Kabbala (il «golem»), ricomparsa nella magia rinascimentale culminante nell’ermetismo di Giordano Bruno ed ulteriormente sviluppata dall’idealismo tedesco nella nicciana volontà di potenza.

Un argomento che oggi attira molti è la tematica dell’Apocalisse e le profezie escatologiche di Cristo e di San Paolo. Alcuni mettendo in luce il diffondersi dell’apostasia dalla fede, e il diffondersi dell’ateismo e di costumi morali anticristiani  e la continua diminuzione delle strutture e degli aspetti visibili della Chiesa cattolica, ritengono che siamo ormai prossimi alla venuta dell’Anticristo.

Altri invece puntano l’attenzione sui progressi realizzati dalla riforma conciliare e si adoperano affinchè tale riforma sia portata avanti, affinchè la nuova Pentecoste promessa dal Concilio possa realizzarsi.  Ci stiamo avvicinando alla fine del mondo, alla resa dei conti o ad una nuova era aperta dal Concilio? La Chiesa sta crescendo, ha prospettive di espansione e di rinnovamento o sta andando verso la catastrofe finale ridotta al lumicino, ossia  ad un piccolo resto di scampati alla strage, circondati dalle potenze sataniche che la opprimono?

La posizione di Papa Francesco su questa questione è chiara. Egli propende per la seconda tesi. Si sbaglia? Ora dobbiamo ricordare che il Papa è colui che ci guida verso Cristo che viene. Spetterà dunque al Papa aiutarci ad interpretare i segni che Gesù annuncia della fine del mondo e della sua imminente venuta.

 Tutte le visioni di veggenti su questo tema sono pertanto pure opinioni private, prive di quell’attendibilità che solo le parole del Vicario di Cristo può avere. Ora, se Francesco non ci dice nulla su questo tema, vuol dire che i tempi non sono ancora maturi, mentre il compito dell’ora è la retta applicazione della riforma conciliare, pur nelle legittime critiche che possono essere mosse, come ha detto Benedetto XVI, alla parte pastorale.

Conclusione

Il messaggio che ci viene da questa sintesi storica di come i Papi nostri maestri nella fede si atteggiano nei confronti della modernità, è chiaro:  guai a chi volesse respingere come superati i Papi del preconcilio in nome di quelli del postconcilio e guai a chi volesse restare fermo ai Papi del preconcilio accusando quelli del postconcilio di aver tradito la Tradizione.

Occorre invece seguire i Papi di oggi nella loro proposta di incontro e di dialogo col mondo moderno e tener presente o recuperare gli insegnamenti perenni dei Papi di ieri che combattono gli errori della modernità. E ciò è del tutto logico e doveroso, perché la modernità non è né la pienezza della verità né un puro ammasso di errori, ma, come tutte le cose umane, è un vasto mondo di benefico e di nocivo, dove i Papi ci aiutano a discernere e noi riusciremo nell’impresa se li ascolteremo tutti: ciò che è ancora valido in quelli di ieri e ciò che c’è di buono un quelli di oggi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 giugno 2023


 

Il Magistero di Benedetto si riassume nelle sue tre encicliche sul valore della carità, 'Deus caritas est'; sul valore della speranza 'Spe salvi'; e sulla giustizia sociale 'Caritas in veritate'. La dottrina di Benedetto si mantiene nel solco della Tradizione arricchita dagli apporti del Magistero e della teologia postconciliare.

Benedetto aveva in animo di indire il 2013 come Anno della Fede, ma non attuò il suo progetto per aver dato le dimissioni. Il suo Successore, comunque, Francesco ebbe cura di scrivere un’enciclica sulla fede Lumen fidei, che redasse assieme al Papa emerito.

Benedetto, prima di lasciare il ministero petrino, ci ha illuminati, come canto del cigno, col suo carisma papale, circa l’essenza del Papato emerito, precisando, nella sua Dichiarazione di dimissioni, che egli conservava il munus papale, ma non il ministerium, ossia restava Papa, ma passava il governo della Chiesa al suo Successore. Mai avevamo udito una cosa del genere. Benedetto ci ha illuminati su di un aspetto del carisma petrino finora del tutto sconosciuto: la distinzione fra l’essere Papa e il fare il Papa. Il Papa dimissionario o emerito resta Papa, ma non fa più il Papa. Come c’è il tu es sacerdos in aeternum, così c’è il tu es Papa in aeternum, anche se dovesse abbandonare il governo della Chiesa.

Immagine da Internet: Papa Benedetto XVI


[1] L’identificazione dell’ente con la relazione provoca una confusione fra l’unità (ente sostanza) e la Trinità (relazione sussistente) in Dio, mentre il rifiuto della distinzione fra sostanza e accidenti falsifica la comprensione del mistero eucaristico e conduce alla teoria luterana dell’impanazione.

[2] Nn.614,615,616.

[3] Denz. 1529

[4] Rudolf Steiner la chiama «chiaroveggenza».

[5] Come fa Rahner e sembra fare De Lubac

[6] Come fa Schelling.


11 commenti:

  1. "È accaduto invece purtroppo che i lefevriani, sotto il pontificato di Papa Francesco, si sono serviti di questa concessione per attaccare il Concilio Vaticano II, il novus ordo e l’autorità pontificia..."

    Tutto sembra indicare che non si tratta di una valutazione del tutto corretta: i lefebvriani non hanno iniziato ad attaccare il Novus Ordo, il Concilio Vaticano II ei Papi post-conciliari durante il pontificato di Francesco. I lefebvriani hanno attaccato il Novus Ordo, il Vaticano II e il magistero dei Papi post-conciliari, fin dalla loro origine, proprio come ha fatto Lefebvre.

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    1. Dal fatto che i lefebvriani, sotto il pontificato di papa Francesco, si siano serviti della concessione per attaccare il CVII, NON si deriva affatto che i lefebvriani attacchino il CVII DAL tempo del pontificato di Francesco. Non facciamo dire al testo quel che non vuole dire, per favore.

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    2. Mi scusi. Hai tutte le ragioni.

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    3. Caro Anonimo,
      lo sappiamo tutti che i lefevriani hanno respinto la Riforma Liturgica fin dal suo sorgere.
      Quello che mi premeva dire, e lo ripeto, è che essi hanno strumentalizzato in modo sleale il Motu Proprio di Benedetto XVI per rafforzare la loro ostilità al Concilio e alla Riforma Liturgica, nonché la loro disobbedienza al Papa.

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    4. Grazie, padre Cavalcoli, per la sua pazienza. l'ho capito bene.

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  2. Caro Padre Cavalcoli,
    penso che lei abbia indicato una citazione (3), ma non c'è alcun riferimento ad essa.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    ho finalmente finito di leggere le cinque parti del suo bellissimo e ricchissimo resoconto del modo in cui i Papi si sono avvicinati ai valori e agli errori della modernità, e ho letto anche la sua risposta al mio modesto intervento (nella terza parte) .
    Penso di aver capito. E credo di capire che su certe questioni abbiamo la sensazione di fare solo paurosi passi in un terreno paludoso, con il rischio di sprofondare alla minima imprudenza. Me lo suggerisce la moderazione e la parsimonia della sua risposta.
    In ogni caso, dopo aver letto le ultime due parti del suo articolo, con la distinzione che fa tra tre periodi (Ratzinger teologo, papa Benedetto in carica, e papa Benedetto emerito) mi sembra che ci dia qualche spunto sulla questione che ho sollevato. Perché, se non ho capito male, ci sono errori teologici nel giovane Ratzinger e nel Ratzinger papa emerito; errori che, però, non sono apparsi nel Ratzinger Prefetto di San Giovanni Paolo II e in Benedetto XVI in carica.
    Tutto ciò, mi sembra, ci apre al mistero del carisma dell'infallibilità pontificia, e ci apre con fiducia alla certezza che Cristo accompagna infallibilmente il suo Vicario sulla terra nella predicazione del Vangelo.
    Grazie per il suo bellissimo articolo.

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    1. Caro Silvano,
      io credo che la Provvidenza ci abbia donato la singolarissima vicenda di Papa Ratzinger per confermarci nella fede nella infallibilità pontificia.
      Essa è stata una luce splendida, che Ratzinger acquistò diventando Papa e che trasmise a Francesco quando rinunciò all’ufficio petrino. Da quel momento Ratzinger discese al livello di un qualunque teologo, per quanto grande.
      Certo, questo episodio fa molto riflettere e ci presenta un margine di mistero, soprattutto se pensiamo al fatto che Ratzinger, da Prefetto della CDF, presiedette alla redazione del Catechismo ed è interessante notare che lì il tema del sacrificio espiatorio di Cristo è trattato, come si poteva immaginare, con perfetta ortodossia.

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    2. Caro Padre Cavalcoli,
      permettimi un'ultima domanda sull'argomento in questione, nata dal suo suggerimento in uno dei suoi precedenti commenti: "...potrei ricordare le importanti parole che Benedetto XVI disse ai lefevriani, e cioè che è lecito discutere alcuni punti della parte pastorale del Concilio, ma che devono accogliere le dottrine nuove del Concilio".
      Quello che voglio chiederli è quanto segue:
      Come nelle espressioni di un Papa (anche in alti documenti, tra cui un'enciclica) possiamo distinguere le sue espressioni di maestro della fede da quelle di teologo (opinionevole, pastorale), non accade lo stesso con quanto espresso da un Concilio (e ancor di più, con un Concilio "pastorale" come il Vaticano II)?
      Dunque, nell'affermazione di Benedetto XVI ai lefebvriani che dovrebbero accettare la parte dottrinale del Concilio, mentre la parte pastorale del Concilio può essere legittimamente discussa, allora: sono parte pastorale anche le mere affermazioni teologici del Concilio? E se sì, come distinguerli?
      Non è mia intenzione chiedervi una risposta a questi problemi, ma solo chiedervi se sia ragionevole sollevarli.

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    3. Caro Silvano,
      secondo me, quando Benedetto XVI permise ai lefevriani di discutere sulla parte pastorale del Concilio, non dava un permesso alla disobbedienza, ma semplicemente si riferiva, io credo, ad una certa tendenza buonistica ed ottimista che sembra sottovalutare le conseguenze del peccato originale e ritenere che le controversie oggi si possano risolvere in modo solo pacifico.
      La distinzione tra la parte dottrinale e la parte pastorale di un Concilio si fa in base alla materia trattata.
      Quando la Chiesa tratta di verità, che sono semplicemente da conoscere (per esempio la Santissima Trinità), allora si tratta di dottrina o addirittura di dogma. Quando invece la Chiesa parla di verità morali, che sono da mettere in pratica, se si tratta dei divini Comandamenti è chiaro che qui si tratta ancora di dottrina di fede; se invece si tratta di messa in opera dei Comandamenti relativamente ad un dato contesto storico, che può cambiare, o di livello morale generale della Chiesa del tempo (per esempio la pena di morte per gli eretici), si obbedisce non per motivi di fede, ma per motivi disciplinari, e qui si può parlare di rottura con un passato, che deve essere abolito e superato.

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