Il Male - Parte Prima (1/5)

 Il Male
 
Parte Prima (1/5)

Premessa

Ho ritenuto utile ai lettori pubblicare una piccola parte della bozza inedita di 700 pagine della tesi di dottorato in teologia di Padre Tyn[1], dedicata ad un’accurata indagine metafisica circa la tremenda questione del male con riferimento alla natura, alle modalità di esecuzione, alla causa ed alle conseguenze del peccato in rapporto al libero arbitrio umano, nel suo aspetto morale e psicologico e come atto voluto dall’uomo e permesso da Dio, atto la cui malizia dipende dalla malizia della volontà umana, ma il cui aspetto fisico ed ontologico dipende dalla mozione della Causa prima, senza che Dio abbia alcuna parte nella colpa del peccato, che è da addebitarsi esclusivamente all’uomo.

Spesso oggi si minimizza la malizia del peccato e l’essenza della colpa riducendole semplicisticamente ed illusoriamente alla categoria della fragilità, della debolezza o dell’involontario o addirittura della semplice «diversità». È la maniera di legittimare il lassismo morale, di far passare il male per bene, di cancellare quel senso di responsabilità e timor di Dio, che stimola la volontà alla conversione dal male al bene e alla correzione della propria cattiva condotta.

Grave fraintendimento sarebbe se qualcuno interpretasse le parole di Padre Tomas come non so quale rigidità, o incomprensione o benché minima offesa alla misericordia, o negazione della funzione dell’ignoranza incolpevole o delle attenuanti della colpa morale.

Tutt’al contrario, il richiamo alla responsabilità ed alla natura della colpa ci illumina con chiarezza circa le circostanze nelle quali è sacro dovere dell’educatore o del pastore l’intervenire con misericordia e comprensione a favore di chi, come dice l’Apostolo, riconosce umilmente:

 «c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. … Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 7, 21-25).

Seguire i ragionamenti di Padre Tomas, strutturati secondo il rigore e la precisione della concettualità scolastica non è cosa di tutto riposo, ma vale la pena di questa fatica, per l’abbondante luce che questa ardua lettura procura alla nostra coscienza morale e il conforto alla nostra volontà nel cammino verso il regno di Dio, per il quale, com’è noto, occorre «entrare per la porta stretta» (Mt 7,13).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 Gennaio 2023

 

Un testo di Padre Toms Tyn

Pubblico un brano tratto dalla bozza della tesi di laurea dedicata al problema della giustificazione del peccatore. In questo brano PadreTomas parla del problema del male, ed avendo come punto di ruferimwnto il peccato dal quale è liberato il preccatore giustificato, comprendiamo che il brano inizi ex abrupto parlando di quel male che è il peccato.

Le note mie sono contrassegnate dal segno +

Il mistero del male

 

Il male è privazione del bene.

          Il peccato è un male ed è causa di altri mali. Qual è la sua realtà, quella realtà che poi sarà oggetto della remissione nella giustificazione? San Tommaso confronta il male con l’ente e dice che non è né ente né non-ente, ma dista ugualmente dall’uno e dall’altro, perché non è né un abito né una semplice negazione, ma una privazione[1]. Si può dire che non è né presenza né assenza ma l’assenza in una presenza. Il male, preso in se stesso, è privazione, e perciò non esiste indipendentemente[2], ma solo in collegamento con un ente reale in cui si trova.

          Ogni ente in quanto ente è oggetto della volontà secondo una certa conformità e perciò si dice che ogni ente è un bene[3]. Per conseguenza il male può essere soltanto un non-ente, una privazione dell’ente e quindi una privazione del bene. Ma la privazione non è una semplice negazione come pura assenza, ma è l’assenza di qualcosa in una realtà presente e perciò la privazione dell’ente è in un ente e la privazione del bene che è il male è in un bene. Il bene poi, che è reale, è presupposto al male, che è una privazione, e perciò si deve dire che naturalmente il bene precede il male, in quanto il male è appunto la privazione di un bene in un bene[4] e perciò si dice solo in riferimento al bene, di cui è la privazione e al bene in cui si trova come nel suo soggetto.

          Il male è reale[5] soltanto in quanto è connesso con un bene e siccome la conoscibilità delle cose dipende dalla loro realtà, ne segue che lo stesso male è conoscibile solo per contrapposizione al bene come le tenebre si conoscono per mezzo della luce[6]. Direttamente si conosce il bene e solo indirettamente il male, che ne è la privazione. Secondo la realtà delle cose il male non è una realtà opposta al bene, ma è una privazione del bene. La stessa privazione però può diventare un opposto contrario rispetto al bene nella considerazione dell’intelletto e della conoscenza in genere[7].

            Così il male è un oggetto diverso dal bene se si riferisce alle facoltà conoscitive e alle facoltà appetitive corrispondenti. In questo senso si può dire che è diversa la tristezza riguardante il bene perduto e quella che si riferisce al male posseduto[8]. Secondo la realtà il male presente è solo la privazione di un bene, ma secondo la considerazione della ragione è differente il male che consiste nell’amissione di un bene posseduto dal male che consiste nella presenza di un male attualmente subìto. Evidentemente il male attualmente subito è a sua volta solo privazione dell’ente, del bene, ma la nostra conoscenza lo può considerare come una realtà attualmente presente. 

In qualche modo però il male ha anche una sua consistenza reale, non in quanto è considerato in se stesso, ma in quanto si riferisce al suo soggetto. La realtà del male nel mondo è innegabile essendo constatabile empiricamente. Il male però non esiste in se stesso; nessuna privazione infatti può avere un’esistenza indipendente, bensì in un soggetto reale e buono. Solo così la stessa privazione diventa in qualche modo “reale”. Si parla indistintamente del male riferendosi sia al soggetto della privazione, sia alla privazione stessa, ma nel primo caso il male è qualcosa, nell’altro caso invece non è qualcosa di reale.

Il male è privazione di un bene particolare (non del bene in assoluto) ed è perciò accidentale rispetto al soggetto della privazione. La privazione in se stessa non è qualcosa, ma il soggetto a cui conviene per accidens di essere alla base della privazione, è qualcosa. La privazione non è assoluta perché se lo fosse, il male sarebbe integro[9], il che è una contraddizione[10]. Si tratta quindi di una -privazione come ens rationis[11] esistente in un soggetto come ens reale. La cecità è una privazione, ma l’uomo cieco è una realtà[12].

          La privazione può essere un’“entità” non già come essenza, bensì come un’esistenza nel soggetto[13]. La privazione non è una cosa, una quiddità, ma è appunto l’assenza di essa. Se si intende però per ente non ciò che una cosa è (quid est), ma il fatto che è (an est), allora la privazione è una realtà perché esiste realmente, ma sempre in dipendenza dal suo soggetto. 

 

Il male e il suo soggetto.

          Abbiamo potuto constatare che, secondo San Tommaso, il male esiste realmente, in quanto si trova in un bene come nel suo soggetto. Il male infatti non può essere una privazione assoluta[14] e quindi la sua corruzione lascia sempre qualche realtà intatta nella sua bontà ed è questa realtà buona che è il soggetto del male. Così anche il peccato dovrà essere considerato come una privazione esistente in un soggetto. La privazione dell’ordine dovuto rispetto alla norma della moralità esiste nel peccato in un soggetto buono che è l’atto umano considerato nella sua entità. Così sarà possibile una distinzione tra il formale e il materiale del peccato, una distinzione di peso decisivo per la retta comprensione della causa del peccato da parte di Dio come causa prima[15] e della volontà umana come causa seconda, come anche per una giusta valutazione della sufficienza e dell’efficacia della grazia che Dio conferisce all’uomo per resistere alla tentazione e per evitare il peccato.

          San Tommaso prova che il soggetto del male è un bene partendo dalla concezione del male come di una privazione, che non è una semplice negazione. Se infatti fosse una negazione, allora il semplice non-ente dovrebbe essere un male e ogni cosa sarebbe “cattiva” per il solo fatto di non avere la perfezione di un’ altra cosa. Il Santo Dottore rivela ancora una volta il suo senso “aristotelico” per il proprium di ogni cosa. Ciascun ente reale è buono nel suo proprio ordine, è buono perché è quel che è e quel che deve essere e non perché è un’altra cosa dotata di un’altra perfezione.

          Non vi è nessun dubbio che l’intelletto angelico è più perfetto di quello umano, ma l’uomo è buono e perfetto secondo la misura del suo intelletto, non secondo quella di un altro, anche se esso è più perfetto. In astratto quindi una perfezione può essere “più buona” di un’altra, ma in concreto la perfezione “migliore” di ogni cosa è quella che le è propria[16]. Non ha perciò nessun senso parlare di un “male metafisico” che sarebbe la finitezza delle cose create.

           Il limite di un ente creato può costituire la ragione remota della possibilità del suo male fisico o (se si tratta di un agente dotato di intelletto) del male di colpa. Dio infatti, essendo infinito nella pienezza dell’essere attuale, è assolutamente buono e indefettibile, ma lo stesso limite delle cose create in se stesso non è nessun male perché è privazione di una perfezione non dovuta e in quanto la limitatezza è propria delle cose create, essa non solo non è un male, ma è, nell’ordine degli enti creati, un bene[17].

          Perciò non ogni assenza di un bene è un male, ma solo l’assenza che è la privazione di un bene dovuto ad un tale ente determinato. Ora, San Tommaso fa notare che la forma e la sua privazione hanno lo stesso soggetto che è in potenza rispetto alla forma. La forma poi può essere la forma sostanziale e allora il soggetto sarà la materia prima oppure la forma accidentale e allora il soggetto sarà un ente semplicemente (per se) attuale e accidentalmente (secundum quid) potenziale. Ogni forma a sua volta è un ente e per conseguenza un bene. La perfezione di una cosa consiste infatti nella sua attuazione per mezzo della forma.

          L’essere attuale è quindi sempre buono e perfetto. Ma anche l’ente potenziale non è semplicemente un non-ente, ma un ente imperfetto ordinato alla perfezione dell’ente in atto. Così anche l’ente in potenza, in quanto è un ente, è un bene, perché è ordinato all’ente e al bene. A ogni ente corrisponde infatti un bene: a un ente attuale un bene in atto, a un ente potenziale un bene in potenza. Così il soggetto del male, essendo un ente in potenza, in quanto è un ente, è un bene[18]. La privazione di un ente attuale (forma) si trova quindi in un ente potenziale come nel suo soggetto. Ovviamente l’ente che è la forma è distinto dall’ente che è il soggetto della forma, come l’atto è realmente distinto dalla potenza. Perciò il non-ente si trova in un ente come nel suo soggetto, ma l’entità del soggetto non è quella della forma di cui il non-ente o il male è la privazione[19].

          Questo è possibile a causa della particolarità del bene tolto per mezzo del male. Il male distrugge l’ente, ma non può distruggerlo totalmente secondo la ragione universale dell’ente. Per conseguenza il male non si oppone all’ente come ente, ma a tale ente, non all’ente universale, ma all’ente particolare. Così ogni male lascia integra una parte del bene che distrugge e si innesta su di essa come sul suo soggetto.

            La forma tolta a causa del male può essere un’entità morale (male di colpa), ma allora rimane ancora il bene della natura (l’atto umano); può essere un’entità fisica (male di pena), ma allora rimane almeno la materia che è il soggetto della forma, alla quale il male si oppone come sua privazione. In ogni caso rimane un soggetto buono e solo esso può far sì che lo stesso male come privazione del bene possa avere un’esistenza reale.

          Il male si dice quindi sempre relativamente al bene. In primo luogo relativamente al bene di cui è la privazione, ma anche al bene in cui si trova come nel suo soggetto e che è un bene potenziale, diverso dal bene attuale della forma che lo perfeziona. Il male che è sempre la privazione di un bene particolare si oppone quindi al bene particolare di una perfezione attuale, lasciando integro e supponendo tale il soggetto della forma, che è identico allo stesso soggetto della privazione e che è costituito da un’entità potenziale rispetto alla forma distrutta dal male opposto.

Anche nel peccato si suppone un bene come soggetto dello stesso male di colpa (male morale). Infatti l’atto fisico[20] del peccato che è come la sua materia rispetto alla forma, che è il disordine della colpa, è un ente e quindi un bene, un bonum naturae presupposto al bonum moris, ma anche alla sua privazione per mezzo della colpa.

Ora, ogni ente dipende nella sua entità da Dio e quindi anche il soggetto del peccato che è l’atto umano considerato non sotto l’aspetto morale, ma sotto l’aspetto strettamente “fisico”, sarà un bene naturale e quindi potrà essere causato direttamente da Dio, mentre l’aspetto strettamente morale della colpa (sia considerata da parte dell’allontanamento dal fine ultimo, sia da parte della conversione disordinata a beni particolari), non potrà dipendere in nessun modo da Dio, bensì dal disordine della volontà umana, la quale, in questo caso, svolge il ruolo di causa prima non efficiente (perché il suo effetto non è un ente reale), ma deficiente (perché termina ad un ente di ragione[21] che è il male di colpa come privazione dell’ordine morale dovuto).

          La dottrina tomista sul bene come soggetto del male pone quindi le premesse per la soluzione della questione molto difficile della causa del male e in un modo particolare della causa del peccato. Il male ha una causa che è un ente e un bene. Propriamente si tratta di una causa materiale, mentre non vi è una causa formale[22] e finale[23] e la causa efficiente è accidentale[24] essendo costituita sia nell’azione dal difetto dell’agente sia nella cosa stessa dalla corruzione di una forma, conseguente l’induzione di una forma nuova.

            Il difetto è accidentale perché non è un effetto dell’agente, ma piuttosto la mancanza di una perfezione nell’effetto e così anche la corruzione di una forma è accidentale perché l’agente intende di per sè di introdurre la forma nuova[25], non di distruggere la forma precedente.

          Il difetto si trova perciò sia nell’indisposizione di un principio operativo subordinato (non nella causa prima che è indefettibile) oppure nell’indisposizione della materia del soggetto[26]. Il difetto in un’azione è sempre accidentale rispetto alla causa propria dell’azione stessa, perché lo stesso fatto di essere deficiente si collega accidentalmente con il bene, al quale compete agire di per sè[27]).

           Così la causa del male è un bene e lo è accidentalmente anche in linea della causalità efficiente. Nel peccato San Tommaso distingue bene la stessa inordinazione della colpa e l’atto che è alla base del disordine. La privazione ha soltanto una causa per accidens[28], mentre l’atto ha una causa per se[29]. Ovviamente il disordine è legato all’atto come la privazione è legata al suo soggetto. Il difetto causato per accidens si deve ridurre alla causa per se dell’atto che è la volontà, la quale, essendo disordinata, produce per accidens il disordine anche nell’effetto[30].

          La distinzione tra l’atto del peccato (parte materiale) e il disordine (parte formale) permette però di far risalire la causalità dell’atto a Dio come causa prima, mentre la causalità del disordine (difetto) deve fermarsi alla deficienza dell’agente subordinato (volontà disordinata), il quale diventa così, rispetto alla ragione formale del peccato (malizia morale), la causa prima non efficiente, ma deficiente.

         Il problema della causa del male e in modo particolare della causa del peccato rispetto a Dio come agente primo ritornerà con tutto il suo peso in collegamento con la problematica della premozione fisica. Dio infatti non può essere in nessun modo causa del male di colpa, ma allo stesso tempo deve essere la causa di ogni realtà e quindi anche la causa del peccato è qualcosa di reale.

Fine Prima Parte (1/5)

A cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Fontanellato, 2 Gennaio 2023


San Tommaso prova che il soggetto del male è un bene partendo dalla concezione del male come di una privazione, che non è una semplice negazione. Se infatti fosse una negazione, allora il semplice non-ente dovrebbe essere un male e ogni cosa sarebbe “cattiva” per il solo fatto di non avere la perfezione di un’altra cosa. 

Il Santo Dottore rivela ancora una volta il suo senso “aristotelico” per il proprium di ogni cosa. Ciascun ente reale è buono nel suo proprio ordine, è buono perché è quel che è e quel che deve essere e non perché è un’altra cosa dotata di un’altra perfezione.

Immagine da Internet: Volti (Narciso, Caravaggio)


[1]  Summa Theologiae I, q.48, a.2 ad 1: “malum distat et ab ente simpliciter, et non ente simpliciter: quia neque est sicuthabitus, neque sicut pura negatio, sed sicut privatio”.

[2] Per conto proprio, da sé, come fosse una sostanza+.

[3] In quanto la nozione di bene dice appunto conformità con l’appetito del bene stesso+.

[4] Summa Theologiae I-II, q.25, a. 2 c.a.: “Naturaliter autem est prius bonum malo: eo quod malum est privatio boni”.

[5] Dire che il male è reale non vuol dire che sia una realtà, una cosa, una sostanza, ma significa che esiste veramente o realmente. Esiste nella realtà. Ma non è una realtà. E tuttavia dobbiamo pensarlo come se fosse una realtà, perché il reale è l’oggetto del pensiero ecosì tutto che pensiamo, anche se non esiste, dobbiamo pensarlo come fose essere.  Così similmente possiamo dire che il male è un non essere; tuttavia esiste. Il che vuol dire che l’esistere non coincide con l’essere. L’essere è un esistere, ma l’esistere non è ancora un essere. L’essere è atto, è perfezione; invece l’esistere è semplicemente l’esser fuori della cusa, l’attuarsi di una possibilità.  Il male lo avvertiamo con certezza, ma come carenza o mancanza di bene. Stando così le cose bisogna dire che Dio non crea il male ma solo il bene+.

[6] Summa Theologiae I, q.14, a.10 c.a.: “Sic autem est cognoscibile unumquodque, secundum quod est. Unde, cum hoc sit esse mali, quod est privatio boni, per hoc ipsum quod Deus conoscit bona, cognoscit etiam mala; sicut per lucem cognoscuntur tenebrae”.  

[7] La concezione di ciò che è male è opera dell’intelletto, il quale, se è l’intelletto umano, è capace anche di concepre intenzioni cattive. Questo intende dire Padre Tomas quando parla della considerazione dell’intelletto, vale a dire il male pensato e progettato, ciò che la Bibbia chiama il “cuore indurito o malvagio”+.

[8]  Summa Theologiae I-II, q.36, a.1 c.a.: “Malum … est privatio boni: privatio autem, in rerum natura, nihil est aliud quam carentia oppositi habitus: secundum hoc ergo, idem esset tristari de bono ammisso, et de malo habito. Sed tristitia  est motus appetitus apprehensionem sequentis. In apprehensione autem ipsa privatio habet rationem cuiusdam entis: unde dicitur ens rationis. Et sic malum, cum sit privatio, se habet per modum contrarii”.

[9] In un malato terminale, per esempio, il male cresce fino a che esso distrugge il soggetto. A questo punto io non direi che il male diventa “integro”, benché aumenti e giunga al culmine. Ma proprio in questo momento in cui il male sembra vincere il malato, il male toglie se stesso o scompare proprio perché il malato muore. Il male non può essere completo, perché non è un’imperfezione che possa crescere fino alla completezza, come il bene. Esso tuttavia ha un limite, che non può oltrepassare. E questo limite è dato o dal peristere o dall’annullamento del soggetto. Il cancro, er esempio, scompare nel momento in cui uccide il malato. Invece la pena dell’inferno ha un limite nella sussistenza stessa del dannat+.

[10] Il male è per essenza imperfezione. Se fosse completo sarebbe un’imperfezione perfetta, il che è evidentemte contradditorio+.

[11] L’ens rationis o ente di ragione è un ente non reale ma intramentale prodotto dalla ragione, funzionale a vari scopi: per concepire enti immaginari, come le creazioni dell’arte, o non esistenti, come l’assurdo, il nulla e il male o astratti, come gli enti logici e matematici, o intenzionali o rappresentativi, come gli atti del conoscere+.

[12]  De malo q.1, a.1 c.a.: “malum uno modo potest intelligi id quod est subiectum mali et hoc aliquid est: alio modo potest intelligi ipsum malum, et hoc non est aliquid, sed est ipsa privatio alicuius particularis boni … id quod est malum non est aliquid; sed id cui accidit esse malum, est aliquid, in quantum malum privat nonnisi aliquod particulare bonum; sicut et hoc ipsum quod est caecum esse, non est aliquid; sed id cui accidit caecum esse, est aliquid”.

[13] 76) Summa Theologiae I, q.48, a.2 ad 2: “ens dupliciter dicitur. Uno modo, secundum quod significat entitatem rei, prout dividitur per decem praedicamenta: et sic convertitur cum re. Et hoc modo nulla privatio est ens: unde nec malum. Alio modo dicitur ens, quod significat veritatem propositionis, quae in compositione consistit, cuius nota est hoc verbum est: et hoc est ens quo respondetur ad questionem an est. Et sic caecitatem dicimus esse in oculo, vel quamcumque aliam privationem. Et hoc modo etiam malum dicitur ens. Propter huius autem distinctionis ignorantiam, aliqui, considerantes quod aliquae res dicuntur malae, vel quod malum dicitur esse in rebus, crediderunt quod malum esset res quaedam”. Cfr. Contra Gentes III, 9, n.1933: “Ens enim dupliciter dicitur … Uno modo, secundum quod significat essentiam rei, et dividitur per decem praedicamenta: et sic nulla privatio potest dici ens. Alio modo, secundum quod significat veritatem compositionis: et sic malum et privatio dicitur ens, in quantum privatione dicitur aliquid esse privatum”.

[14] È una privazione relativa a un soggetto, che è il soggetto del male. E’ relativa nel senso che toglie parte del soggetto. Sarebbe assoluta se lo togliesse tutto. Ma, come abbiamo visto, nel momento in cui il male toglie il soggetto, toglie se stesso+.

[15] Dio è causa prima del peccato non in quanto peccato, ma in quanto il peccato è soggettato in un ente psicologico, che è la volontà del peccatore, la quale, ontologicamente è mossa da Dio, mentre, in quanto malvagia, è mossa dalla cattiva intenzione del peccatore. Ontologicamente o psicologicamente ogni volontà è buona e creata da Dio. Invece moralmente può essere cattiva, in quanto usata o mossa dall’uomo per fini cattivi o con cattiva intenzione+.

[17] Tuttavia, come ha detto Padre Tomas, il limite della creatura è la condizione della possibilità che essa faccia o subisca il male. Infatti per quanto concerne il patire, la creatura può patire male di pena, perché ha nel suo essere la potenzialità, essendo composta di atto epotenza. Per quanto riguarda invece il fare il male, ossia il peccato, il limite riguarda la volontà. Il fatto di essere limitata nelle sue possiblità comporta la possiblità di scegliere o fare qualcosa che non è al livello di ciò che dovrebbe essere e ciò suppone appunto dalla limitatezza dell’agente, in quanto il limite  è una discesa dall’illimitato. Per questo, se il limite in se stesso non è male, però lo rende possibile. Si può parlare anche di un certo annullamento compiuto dal peccato, nel senso che il peccato non costruisce, ma distrugge, non pone ma nega, non è una causa efficiente, ma è una causa deficiente ossia che fa deficere, venir meno. Ciò dipende dal fatto che il finito confina col non-essere, e il male entra nella categoria del non-essere in quanto privazione+

[18]  L’intelletto angelico corrisponde ad una perfezione ontologica superiore a quella dell’intelletto umano. E tuttavia per questo intelletto è meglio essere umano che essere angelico+.

18 Cfr. Summa Theologiae I, q.48, a.3 c. a.: “Subiectum autem privationis et formae est unum et idem, scilicet ens in potentia … Manifestum est autem quod forma per quam aliquid est actu, perfectio quaedam est, et bonum quoddam: et sic omne ens in actu, bonum quoddam est, secundum quod habet ordinem ad bonum: sicut enim est ens in potentia, ita et bonum in potentia. Relinquitur ergo quod subiectum mali sit bonum”.

[19] 78) Contra Gentes III, 11, n.1957b: “Non est autem inconveniens ut non ens sit in ente sicut in subiecto: privatio enim quaelibet est non ens, et tamen subiectum eius est substantia, quae est ens aliquod. Non tamen non ens est in ente sibi opposito sicut in subiecto. Caecitas enim non est non ens universale, sed non ens hoc, quo scilicet tollitur visus: non est igitur in visu sicut in subiecto in bono sibi opposito, sed hoc per malum tollitur: sed in aliquo alio bono; sicut malum moris est in bono naturae; malum autem naturae quod est privatio formae, est in materia, quae est bonum sicut ens in potentia”.

[20] Psicologico+.

[21] Il male come male, come ho già detto, è un ente di ragione in quanto, pur apparetenendo alla categoria del non-essere, è concepito come se fosse essere. Quindi, dire che la volontà fà il male vuol dire, come dice Padre Tomas, che l’effetto intellegibile della volontà peccatrice è un ente di ragione, prodotto solo da noi, dove la mente divina non c’entra per nulla. E per questo siamo solo noi gli inventori e gli autori dei nostri peccati, mentre Dio è totalmente innocente del male. Infatti è solo il nostro intelletto finito che produce l’ente di ragione a causa della sua stessa finitezza, che lo obbliga a sostituire l’essere a lui esterno con una sua intentezione o rappresentazione da lui prodotte, che sono appunto l’essere ideale o di ragione+.

[22] Il peccato propriamte non dà forma, ma deforma l’atto e il suo oggetto. La forma è la bellezza. Il peccato è un atto brutto che imbruttisce ciò che esso colpisce e di conseguenza imbruttisce il peccatore+.

[23] Il fine perfeziona l’azione. Ma il peccato non perfeziona, ma distrugge. Esistono sì finalità malvage, ma si tratta di fini peccaminosi, fuori dell’ordine morale+.

[24] Il peccato non produce un effetto buono di per sé, ma solo accidentalmente e quindi un falso bene o bene solo apparente. Il peccatore tende di per sé a un bene, perché la volontà non può non volere un bene. Solo che nel caso del peccato il bene è solo apparente e quindi lo è solo in modo accidentale e non sostanziale.

[25] Che però non è quella giusta o doverosa+. Oppure può esserci un errore di battitura e trattarsi di «materia dell’oggetto» del peccato+.

[26] Probabilmte qui Padre Tomas intende riferirsi al fatto che il soggetto del peccato o causa del pccato è di fatto volontarimante indisposto a ompere una buona azione.

[27] 79) Cfr. Summa Theologiae I, q.49, a.1 c.a.: “Sed et hoc ipsum quod est esse deficiens, accidit bono, cui per se competit agere. Unde verum est quod malum secundum nullum modum habet causam nisi per accidens. Sic autem bonum est causa mali”.

[28] La privazione non è intenzionata come tale, perché la volontà non può volere il non-essere+.

[29] L’atto peccaminoso ha una causa per sé, perchè è ciò che è voluto dl peccatore, altrimenti l’agente non avrebbe colpa.

[30] Cfr Summa Theologiae I-II, q.75, a.1 c.a.: “peccatum est quidam actus inordinatus. Ex parte igitur actus potest habere per se causam, sicut et quilibet alius actus; ex parte autem inordinationis habet causam eo modo quo negatio vel privatio potest habere causam … Cum igitur peccatum ex parte inordinationis habeat causam agentem per se, sequitur quod inordinatio peccati consequatur ex ipsa causa actus. Sic igitur voluntas carens directione regulae rationis et legis divinae, intendens aliquod bonum commutabile, causat actum quidem peccati per se, sed inordinationem actus per accidens, et praeter intentionem; provenit enim defectus ordinis in actu ex defectu directionis in voluntate”.



[1] http://www.arpato.org/ - http://www.arpato.org/bibliografia.htm :
► V - TESI DI P. TOMAS TYN, OP , n. 4 e 5

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