Circa l’identità del popolo ebraico - Quarta Parte (4/4)

 

 Circa l’identità del popolo ebraico

Quarta Parte (4/4) 

Popolo messianico

Caratteristica della religione ebraica è la speranza in un Salvatore, «unto del Signore» o Messia, che liberi il popolo dai suoi peccati. È un uomo che rivendica e fa valere i diritti del popolo presso i suoi oppressori. Il Salvatore è chiamato goèl, che si può tradurre con «vendicatore». Vale anche la traduzione con «redentore», nel senso di colui che per liberare una persona prigioniera di un rapitore, persona che appartiene ad un’altra per un legame d’amore, strappa con la forza al rapitore il prigioniero e lo restituisce al proprietario pagando il riscatto alla persona alla quale il riscattato appartiene, onde risarcirla della perdita di colui che viene riacquistato dal redentore.

Ma la cosa importante da tenere presente è che dalle profezie bibliche risulta che il Messia sarà sì un uomo, ma siccome questo uomo emergerà da Israele, cioè sarà un ebreo, lo stesso popolo ebraico in quest’uomo è il popolo-Messia salvatore dell’umanità mediante il sacrificio sacerdotale di se stesso. Israele è un popolo di sacerdoti. Ecco perché Gesù dice che la salvezza viene dagli ebrei. Cioè: viene da me in quanto sono ebreo. Io rappresento il mio popolo. In me e attraverso di me l’ebreo salva l’umanità. Ecco perché Simeone prendendo in braccio Gesù bambino lo chiama «gloria d’Israele».

Avere capito, cari fratelli ebrei, qual è la vostra gloria? Ve ne rendete conto? Avete capito che cosa ha fatto per voi Gesù? Chi è per voi Gesù? Avete capito che cosa potete fare per l’umanità in Gesù, se voi vi ponete sotto la sua guida? Vi rendete conto? Avete capito che cosa significa che voi siete il popolo eletto? Vi rendete conto di che cosa potrebbe fare la Chiesa se voi entraste nella Chiesa?

La Chiesa l’avete fondata voi sotto la guida di Gesù: la Madonna, San Giuseppe, gli apostoli e gli evangelisti non erano dei vostri? I primi cristiani non erano una comunità ebraica? Successivamente, purtroppo, con l’ingresso di noi pagani, divenuti la maggioranza, abbiamo assunto verso di voi un atteggiamento spocchioso e intollerante, tanto da scoraggiarvi ad entrare nella Chiesa. Ma il primo posto nella Chiesa sarebbe spettato a voi. Voi eravate i primi invitati al banchetto dell’Agnello. E lo siete tuttora. Perché il Papa non potrebbe essere un ebreo come lo fu Pietro?

Ma a questo proposito del popolo di Dio e del popolo messianico occorre fare un’importante osservazione concernente la nozione di persona. Una delle nozioni più importanti della Bibbia ebraica è la nozione analogica di persona: Dio è persona, l’uomo e la donna sono persone, gli angeli sono persone, il popolo di Dio è una persona.

Ma allora, che cosa è per la Bibbia la persona? È una sostanza spirituale singola e irripetibile, con una propria natura individuale, che esercita l’intelletto e la volontà, per cui parla e comunica verbalmente e con gesti con altre persone, idee e contenuti concettuali, grazie ai quali può accordarsi ed entrare in comunione circa messaggi comprensibili dall’intelletto e praticabili dalla volontà.

In che senso per la Bibbia il popolo in generale e in particolare il popolo ebraico è una persona? Non è semplicemente un insieme di persone? Sì, ma questo insieme può essere talmente unito e concorde sotto la guida del capo, che può esprimersi nel suo capo e per mezzo di lui come se fosse un solo individuo: quello che pensa, dice, vuole e fa il capo è quello che pensa, dice, vuole fa il popolo. In questo senso il popolo è persona che pensa, dice, vuole e fa. In tal senno il popolo è persona. Ecco perchè la Chiesa è persona[1].

Ciò non toglie affatto che per la Bibbia il popolo resti una comunità o associazione di persone, su base etnica e nazionale, per esempio il popolo d’Israele, dotato di un proprio territorio con propri confini, persone, che assieme e vicendevolmente collegate per mezzo di un patto sociale fondativo dello Stato, convengono, in una pluralità di diverse opinioni, secondo una carta costituzionale e nel rispetto del diritto naturale, nel perseguimento concorde ed ordinato del bene comune temporale politico secondo la forma democratica, aristocratica o monarchica.

Per questo, San Paolo parla della Chiesa come «sposa» di Cristo. Per questo la Chiesa parla della Madonna o della donna come immagine e modello della Chiesa[2]. E la stessa Bibbia ebraica parla del popolo d’Israele sotto l’immagine della «figlia di Sion», sposa di Dio, che la ama e gode di lei come lo sposo gioisce per la sposa (Is 62, 1-5).

Il popolo ebraico è popolo messianico in quanto Figlio di Dio. Il concetto di Dio come Padre è già presente nell’Antico Testamento. Immaginare Dio come padre viene spontaneo alla persona pia e tale immagine si trova anche nel paganesimo, come è testimoniato anche dall’Inno di Cleante. Giove è il padre degli dèi e così per altre religioni. In Israele forte è poi la convinzione del primato del maschio sulla femmina, per cui in Israele non pare assolutamente conveniente rappresentare la divinità sotto immagini femminili.

Se c’è Dio Padre, esistono per conseguenza figli di Dio: figlio di Dio è Israele, figli di Dio sono gli angeli, figlio di Dio è il re. Figlio di Dio è il Messia. Nel contempo resta la coscienza della differenza fra l’uomo e Dio. Viceversa, il modo col quale Gesù si presenta come Figlio di Dio suscita sorpresa e contrarietà, perché Gesù lascia trasparire di essere Figlio così da essere Dio a sua volta.

Ora effettivamente è vero che la divinità del Messia non appare con chiarezza nelle profezie messianiche, ma esse non la escludono neppure, purchè, come faranno i cristiani, si distingua, come abbiamo visto, il concetto di persona da quello di natura, dove ulteriormente si distingue la natura umana dalla natura divina. È vero che i profeti non annunciano un Messia che sia un Dio incarnato. Nessuno alla venuta di Gesù, attendeva un Messia così. Lo sapevano solo San Giuseppe e Maria Santissima. Ma comprendiamo che essi abbiano tenuta segreta la cosa. Chi li avrebbe creduti?

Avendo a lungo riflettuto sulle narrazioni evangeliche, e soprattutto sulle Lettere di San Paolo e San Giovanni, nonché sulla tradizione degli apostoli e le testimonianze dei santi e dei martiri, noi cristiani, dopo animate ed approfondite discussioni, siamo giunti alla conclusione, nel Concilio di Caledonia del 451, che Gesù è una persona divina in due nature, divina e umana. Infatti, da una parte egli non può non essere una sola persona. Ma d’altra parte, come spiegare il fatto che Gesù abbia compiuto sia azioni umane e sia azioni divine, se non fosse stato ad un tempo Dio e uomo? Se non avesse sia la natura umana che la natura divina?

Abbiamo allora capito che sì certamente la persona divina è distinta dalla persona umana, ma che in Gesù non ci sono e non possono esserci due persone. Gesù è una sola persona. Resta il problema: umana o divina? Dato che sarebbe assurdo che una persona umana sia di natura divina, allora abbiamo capito che Gesù è una persona divina e che in lui la sua natura umana non possiede una sua sussistenza umana, ma sussiste grazie alla sussistenza della persona divina del Figlio di Dio.

Quando S.an Giovanni dice che il Verbo è divenuto carne, non vuol dire che Dio abbia mutato la sua natura in una natura umana, ma che il Verbo ha assunto la natura umana di Gesù nell’unità della persona del Verbo[3]. Rimane salvo il principio della differenza fra natura umana e natura divina. Ma Gesù resta una sola persona, persona divina, pur manifestando atti propri sia di Dio che dell’uomo.

Il dibattito sull’identità del Messia

Ma la pietra d’inciampo riguardante la questione del Messia è sempre stata ed è la questione della divinità di Gesù. Gesù è l’uomo, che più di ogni altro suscita attorno alla sua identità discussioni a volte feroci e violente. Non lo fa con sua intenzione, perché Egli è solo venuto a portare la pace, ma ciò avviene a causa della litigiosità degli uomini.

Tuttavia, stante questa conflittualità, Gesù non la risolve immediatamente, ma afferma di essere venuto a portare una spada (Mt 10,34), perché appunto usando questa spada, che è la spada della Parola, vince il demonio e ci dona la pace. Per questo Isaia preannuncia che il Messia «con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio» (11,6).

 Gesù appare, pertanto, come dice il vecchio Simeone, segno di contraddizione (Lc 2,34). Egli però dichiara beato chi non si scandalizza di Lui (Mt 11,6). Egli compie miracoli per sua volontà e autorità, poteri che sono propri ed esclusivi di Dio. Alla samaritana dice senz’altro di essere Lui il Messia (Gv 4,26).  Afferma la propria onnipotenza così come la possiede Dio Padre (Gv 5,21). Chi ascolta la sua parola, ha la vita eterna (Gv 5,24).

Altro aspetto del Messia è che egli libera il popolo dai suoi peccati. Se fa penitenza, Dio lo perdona. Israele ha coscienza di essere un popolo peccatore. Nel contempo sa dalla Bibbia di essere figlio di Dio, popolo prediletto fra tutti gli altri. Sa che Dio lo castiga più severamente degli altri proprio perché lo ama di più degli altri e da lui esige di più perché può fare di più e quindi i suoi peccati suo più gravi di quelli degli altri, ma il premio che riceve se obbedisce è maggiore, appunto perché Dio gli dà la possibilità di fare di più.

Il Messia è anche un salvatore. Salvatore da che cosa? Salvatore dai suoi nemici che lo odiano, sono di lui invidiosi e vogliono sterminarlo. Israele sa di essere composto di uomini mortali. Eppure aspira alla vita, aspira ad essere col suo Dio. Il Messia lo fa risorgere da morte, ricompone le sue ossa inaridite e ridando carne alle ossa, fa rivivere Israele (cf Ez 37, 1-7).

Il Messia viene descritto sotto una duplice forma. È per un verso un uomo mite, umile, semplice, povero, che non dà in escandescenze, ma annuncia il diritto con fermezza; un uomo che ben comprende le sofferenze dei sofferenti, perché egli stesso maltrattato e angariato. Egli è un servo di Dio sofferente, un mite agnello che si lascia condurre al macello per riscattare i peccati del suo popolo (Is 53).

Ma per un altro verso, del tutto opposto, egli è il re d’Israele, figlio di Davide, che fa trionfare Israele sui suoi nemici (Sal 110). È il figlio dell’uomo, figlio d’Israele, del quale parla Daniele (c.7), destinato da Dio a governare in eterno tutti popoli.

Come si sa, la difficoltà che sempre molti in Israele hanno incontrato ed incontrano a tutt’oggi ad accettare Gesù come Messia, è data dal fatto che Gesù non è apparso ai loro occhi come quel trionfatore del quale parlano le Scritture, trionfatore, ma come uno condannato a morte dalle autorità come bestemmiatore. Non riescono a congiungere i due aspetti del Messia, che pure sono entrambi presenti nella Bibbia. Vorrebbero un Messia misericordioso, liberatore, rivoluzionario, subito trionfante con la forza contro gli oppressori, non un Messia che chiede rinunce, vogliono un Messia per un regno di Dio nell’al di qua e non dell’al di là.

Questi ebrei non hanno capito che la Bibbia non inganna nel preannunciare il Messia trionfante. Hanno ragione nello sperare nell’avvento di un tale Messia. Solo che l’Antico Testamento non chiarisce che la venuta del Messia sarebbe avvenuta in due tempi della storia: un primo tempo, che è stato 2000 anni fa con la storia di Gesù di Nazaret narrata dai Vangeli, e un secondo tempo, in un futuro indeterminato e definitivo, descritto dall’Apocalisse, nel quale il Messia trionfatore apparirà in tutta la sua gloria e mostrerà il primato d’Israele su tutti i popoli: i 144000 del c.14 dell’Apocalisse.

Gesù insomma si presenta come un uomo che mette in gioco il nostro destino eterno, cosa che solo Dio può fare: «chi non è con me, è contro di me e chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23). Avverte che chi non crede che Egli È, muore nei propri peccati (Gv 8, 24). Dichiara di essere il «Figlio di Dio» (Gv 10, 36) ed anzi di essere «una cosa sola col Padre» (egò kai o Patèr en esmen, Gv 10,30).

Ora, queste sono tutte cose e tutti poteri che convengono solo a Dio, cose che solo Dio può dire di sé. Come la mettiamo? Gesù è un impostore o è veramente Dio? Ma come è possibile che un uomo sia Dio? Non è folle presunzione credere di essere Dio? Sì, ma se un uomo rivela segreti divini, dice parole divine e compie opere divine, che dice il principio di causalità? Che conclusioni si devono ragionevolmente trarre? Non siamo obbligati a credergli?

D’altra parte, Gesù, uomo così saggio, leale, equilibrato, affidabile, veritiero, umile, misericordioso, virtuoso, benefico, giusto, lo si può considerare un esaltato? Un megalomane? Un uomo che opera dei miracoli può essere soltanto un uomo?

Uno dei pregi della Bibbia ebraica, dal Genesi fino ai libri sapienziali, è la chiarissima distinzione che pone fra natura umana e natura divina. Benchè uomo e Dio siano entrambi persone e l’uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio, sì che tra di loro può esistere un dialogo, tuttavia gli attributi dell’uno e dell’altro sono opposti: Dio esiste ab aeterno ed in eterno, è lo stesso Essere per se sussistente, è il creatore del cielo e della terra, infinito, altissimo, immutabile, impassibile, perfettissimo, purissimo spirito, sapientissimo, onnipotente, innocentissimo, fedelissimo, infinitamente giusto e misericordioso.

L’uomo è una semplice creatura, composta di spirito e corpo, esistente nel tempo e nello spazio, fragile peccatore, mutevole, passibile, mortale. Ma d’altra parte Gesù è un uomo che dà prova di possedere non solo proprietà umane, ma anche proprietà divine. D’altra parte, è chiaro che la persona umana è distinta dalla persona divina. D’altra parte sarebbe assurdo immaginare Gesù come composto di due persone. È chiaro che Gesù è una sola persona. Ma persona come? Umana o divina? Bisogna scegliere.

Paolo e Giovanni in modo speciale si sono accorti che Gesù, pur essendo uomo, aveva una natura divina. Paolo lo dice chiaro e tondo: Gesù era di «natura divina» (en morfè theù yparcon, Fil 2,5), per cui era «uguale a Dio» (isa Theù, ibid.). Quanto a Giovanni, egli chiama Gesù Logos, evidentemente logos divino, traducendo così il dabar ebraico, parola, sapienza, concetto, idea. Gesù è Figlio di Dio in modo simile al quale il concetto è concepito dalla mente. È generato dal Padre in modo simile al quale la mente genera il pensiero o il pensante proferisce la parola.

Successivamente noi cristiani, quindi, indagando sul mistero di Gesù, nel 325, nel Concilio di Nicea, siamo giunti ad una prima conclusione direttamente ricavata da San Paolo e San Giovanni: la Chiesa ha definito che Gesù è della stessa sostanza o natura del Padre (omoùsios to Patrì). Restava però adesso un altro problema: se Gesù è di natura divina ed evidentemente è anche di natura umana, dunque ha due nature. Ma d’altra parte, alla persona corrisponde normalmente una natura. dunque Gesù sono due persone? Assurdo! Abbiamo allora capito che la nozione di persona non è la stessa che quella di natura.

Anche una persona umana può avere in qualche modo due nature. Per esempio una medesima persona può essere medico e pittore. Abbiamo allora capito due cose: prima, che Gesù non poteva essere una semplice persona umana, benché a tutta prima potesse sembrare tale, perché sennò non poteva essere una persona divina. Ora era ormai certa la sua divinità di Figlio divino dal Padre. Così nel 451 giungemmo al Concilio di Calcedonia, nel quale la Chiesa dichiarò che Gesù è una persona divina in due nature, non due nature accidentali, come nell’esempio che ho portato sopra, ma due nature sostanziali. Peraltro per indicare la natura la Chiesa usò il termine greco fysis.   

Che senso ha alla luce della fede lo sterminio nazista degli ebrei?

Per l’iniquità dei suoi guadagni mi sono adirato.

L’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato;

 eppure egli, voltandosi, se n’è andato

 per le strade del suo cuore.

 Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo,

 guidarlo e offrirgli consolazioni.

                          Is 57, 17-18

Siamo in molti, da molti anni a chiederci come un popolo così civile come il popolo tedesco, con una storia di cristianesimo iniziata nel sec. VIII e un passato ricco di santità, abbia potuto essere sedotto da una forza diabolica come quella del nazismo a scatenare la seconda guerra mondiale e lo sterminio di 6 milioni di ebrei.

Eppure è successo in precedenza qualcosa di simile, benché da parte di un popolo pagano. Infatti, gli Egiziani erano una civiltà avanzatissima, come è testimoniato dalla lunghissima durata del loro regno, dagli imponenti antichissimi stupendi monumenti, dalla loro cultura e della loro arte, che sfidano i millenni. Eppure il faraone ebbe la scellerata idea di voler distruggere Israele, che si salvò per un miracoloso intervento della divina misericordia, col famoso passaggio del Mar Rosso, tuttora ricordato nella liturgia ebraica, evento memorando, che è all’origine della Pasqua cristiana.

E così la Bibbia ci narra delle numerose infedeltà di Israele all’alleanza, degli interventi punitivi di Dio, del pentimento e ritorno a Dio di Israele. Ma con l’avvento del Messia 2000 anni fa questa volta Israele, non nella sua totalità, ma nella sua grande maggioranza, si è comportato veramente male, respingendo il suo Salvatore e Redentore. Dio ha castigato più severamente, quanto più grave è il peccato del suo figlio prediletto Israele, perché sa che, avendo maggior conoscenza, ha maggior colpa.

Si potrebbe pensare che la shoah sia stato da una parte un segno dei dolori del Messia e dall’altra un forte richiamo alla conversione a quella parte di Israele che non ha accolto il Messia. Infatti, al suo avvento ci fu una piccolissima parte che lo accolse e dalla quale, sotto la guida di Cristo, va il merito di aver fondato la Chiesa come nuovo Israele dello Spirito, che accoglie non solo Israele, ma anche tutti i popoli a partecipare delle promesse fatte da Dio a Israele.

Possiamo tuttavia, inorriditi ed increduli davanti alle imprese dei nazisti, domandarci quali mai idee perverse possano essere state, quelle che hanno ingannato, ottenebrato ed avvelenato, in occasione delle elezioni di Hitler, la mente di decine di milioni di persone a volere un regime politico, il quale, per quanto crudelmente persecutore nei confronti degli oppositori, fu pur sempre voluto da libere elezioni.

Io, che studio l’idealismo tedesco da 60 anni, non fatico eccessivamente a rintracciare in esso le radici ideologiche del nazismo, nel suo panteismo dialettico, dove essere e non essere, il sì e il no, il vero e il falso, vita e morte, il bene e il male, si intrecciano e si richiamano fra di loro con tale ferrea necessità, da non poter esistere l’uno senza l’altro.

Si aggiunga a ciò il secolare nazionalismo religioso luterano, che fa del tedesco il popolo eletto da Dio per la diffusione nel mondo del vero Vangelo contro il papismo romano e la nazione ebraica deicida. Il Maritain[4], con sottile intuito di uomo di fede, vede nell’odio nazista antiebraico l’invidia del tedesco luterano-idealista per il vero popolo eletto, quello ebraico, e si sa che laddove uno vuol dominare incontrastato, non sopporta la coesistenza di alcun rivale.

Lo sterminio degli ebrei operato dai nazisti viene indicato dagli storici con due nomi, uno, di assonanza laica, shoah, che significa distruzione, quindi il puro e semplice fatto materiale; e l’altro, olah, olocausto, di assonanza religiosa, ossia sacrificio totale, che nella religione ebraica comporta la combustione totale della vittima.

Ciò richiama l’idea del sacrificio di Cristo[5]. Ci chiediamo, però: potettero le povere vittime dei nazisti essere morte con questo sentimento? Difficile saperlo. Non lo si può escludere. Se è così, esse sono state accolte da Cristo in cielo. Comprensibilmente gli ebrei osservanti o non credenti non accettano questa interpretazione che facciamo noi cristiani e che fece, per esempio, l’ebrea convertita Teresa Benedetta della Croce, martire, come è noto, ad Auschwitz.

Davanti alla tragedia di Auschwitz alcuni si chiedono: dov’ere Dio? Ora, non è proprio il caso di farsi una domanda del genere, ma piuttosto dovremmo chiederci: dov’era l’uomo? Dio era al suo posto. Era l’uomo ad essere fuori posto. Il processo dobbiamo farlo non a Dio, ma ai nazisti, come giustamente si è tentato di fare a Norimberga.

Non dobbiamo scaricare su Dio le nostre colpe. Ma i primi responsabili non sono neppure i nazisti. Essi non hanno fatto che mettere in pratica idee velenose, che già da secoli recavano danni in Germania. La prima responsabilità va a quelle false filosofie, che, partendo da Protagora, Eraclito, Ockham, Lutero e Cartesio, ci hanno dato Fichte, Hegel, Nietzsche, Marx, Gentile ed Heidegger. È in queste false idee che troviamo le fonti ispiratrici del nazismo.

Certo, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto impedire che sorgesse Auschwitz, avrebbe potuto impedire che sorgesse il nazismo, avrebbe potuto impedire che sorgessero quei personaggi o far sì che essi diventassero santi. Di questo passo potremmo anche aggiungere che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto impedire il peccato originale. Perchè non lo ha fatto? Chiediamoci, però: è, questa, una domanda da fare a Dio? Ha senso, è legittima una domanda del genere? No, perché è un domandare ciò che non possiamo sapere e che solo Egli sa in quanto Dio.

Hitler, nel suo famoso libro Mein Kampf, nel quale dichiarava il suo programma politico nel caso avesse potuto guidare la Germania, dichiarò apertamente il suo proposito di farsi promotore dello sterminio degli ebrei. Nel 1933, come è noto, andò al governo con regolari elezioni. Il popolo tedesco aveva letto bene che cosa diceva Hitler nel suo libro? Edith Stein scrisse allora immeditatamente al Papa per avvertirlo di che cosa Hitler stava preparando. Nessuna risposta. Come mai?

Sempre nel 1933 fu stipulato un Concordato fra la Santa Sede ed il governo tedesco capeggiato da Hitler. Ma subito dopo il governo nazista iniziò una persecuzione contro cristiani ed ebrei. Nel 1937 Pio XI, che già dal 1928 aveva condannato il razzismo che stava diffondendosi in Europa, denunciò con vigore nell’enciclica Mit brennender Sorge questa abominevole violazione del Concordato con le sue parole:

«Nei solchi, in cui Ci eravamo sforzati di gettare la semenza della vera pace, altri sparsero — come l’inimicus homo della Sacra Scrittura (3) — la zizzania della sfiducia, della discordia, dell’odio, della diffamazione, di un’avversione profonda, occulta e palese, contro Cristo e la sua Chiesa, scatenando una lotta che si alimentò in mille fonti diverse, e si servì di tutti i mezzi. Su di essi e solamente su di essi, e sui loro protettori, occulti o palesi, ricade la responsabilità se all’orizzonte della Germania apparisce, non l’arcobaleno della pace, ma il nembo minaccioso delle dissolvitrici lotte religiose» (c.1).

Il 13 aprile del 1938 Pio XI condannò di nuovo il razzismo in una Lettera indirizzata alla Congregazione dei Seminari e delle Università[6], dove si condanna il principio materialistico secondo il quale i valori morali e religiosi sono subordinati alla «legge della razza come bene supremo». Secondo Hitler, come riferisce Maritain[7], «di tutti i doveri che competono all’uomo, il più nobile e il più elevato consiste nel mantenere la razza che viene da Dio».

Nel 1939 salì al trono di Pietro, come è noto, Eugenio Pacelli, che in precedenza era stato Nunzio un Germania. Ma Pio XII evitò di biasimare il comportamento del governo tedesco. Come mai? Non entro qui nella dibattutissima questione relativa al giudizio da dare circa la condotta di Pio XII riguardo alla persecuzione nazista degli ebrei, soprattutto alla domanda che ci facciamo: ma il Papa non sapeva dei campi di sterminio tedeschi che cominciarono a funzionare nel 1941?

A questo punto conosciamo la risposta dei difensori del Papa: Pio XII tacque per non provocare Hitler ad una peggiore crudeltà. C’era infatti la lezione che veniva dall’episcopato olandese, residente in un’Olanda che era rimasta neutrale, il quale, dopo aver pubblicato una lettera collettiva di protesta per le persecuzioni naziste, dovette vedere la propria patria invasa dalle truppe tedesche in segno di rappresaglia. E tra l’altro fu questa la circostanza che rese possibile ai nazisti di rapire dal suo monastero Teresa Benedetta della Croce, al secondo Edith Stein, per condurla a morire nel famoso campo di Auschwitz nel 1942.

D’altra parte, Pio XII nel corso del suo pontificato dette molte prove di coraggio dando comunque aiuto nel corso della guerra a numerosissimi ebrei che cercarono rifugio presso di lui e presso gli istituti religiosi, anche a rischio della vita[8], ed opponendosi in antecedenza con acutezza di dottrina al rinascente modernismo che si nascondeva dietro la cosiddetta «théologie nouvelle», e costellando tutto il corso della sua saggia conduzione pastorale della Chiesa e del suo magistero di inequivocabili e solidissimi insegnamenti circa le fondamenta della morale, la verità oggettiva della legge e del diritto naturali, le basi essenziali della pari dignità dell’uomo e della donna, i doveri dell’individuo verso la società ed i rapporti dello Stato con la Chiesa.

Conclusione

Cari fratelli ebrei, noi cristiani abbiamo sviluppato quell’eredità di dottrina che ci avere lasciato voi. Perché davanti al mistero di Gesù vi siete fermati? Ciò che può apparire scandaloso in lui può ricevere una spiegazione ragionevole. Le affermazioni che fa su se stesso, attentamente esaminate, per quanto a tutta prima possano sembrare blasfeme, corrispondono a verità, perché abbiamo capito che egli era veramente Dio e uomo.

Certi suoi insegnamenti sulla croce, sull’eucaristia, sullo Spirito come Persona divina mandata da lui e dal Padre, considerati nel loro vero significato, si presentano come originati da una divina sapienza, potenza ed infinito amore. Il suo porsi al di sopra di Mosè non è stata presunzione o ribellione alla Legge, ma al contrario Gesù ha confermato i dieci comandanti e ne ha resa più esigente e perfetto l’adempimento comandandoci di metterci a disposizione della mozione del suo Spirito di santità.

Con la fondazione della Chiesa Gesù non vi ha affatto messi in una posizione inferiore a quella di noi pagani convertiti, ma, come spiega benissimo San Paolo, ha confermato la vostra elezione. All’inizio la Chiesa l’avete guidata voi. Ma perché poi vi siete ritirati? Nella Chiesa spetta voi il primo posto, perché Gesù, fondando la Chiesa ha voluto innanzitutto raccogliere «le pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24). La sinagoga nella quale siete convocati è la Chiesa[9].

Vi sentite a disagio per il doloroso episodio della croce? Ma Gesù ha perdonato ai suoi crocifissori. E poi non può capitare un errore giudiziario? Dunque, coraggio, forse che noi pagani siamo infallibili? Venite, cari, venite con noi, come un giorno volemmo venire con voi. Vale ancora per noi quello che ha profetizzato di voi il profeta Zaccaria:

«Dice il Signore degli eserciti: “anche popoli e abitanti di numerose città si raduneranno e si diranno l’un l’altro: su, andiamo a supplicare il Signore, a trovare il Signore degli eserciti, ci vado anch’io. Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore”. Dice il Signore degli eserciti: “in quei giorni dieci uomini di tutte le lingue delle genti, afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi”» (Zc 8,23).

Padre Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 marzo 2023

Solennità di San Giuseppe

Uno dei pregi della Bibbia ebraica, dal Genesi fino ai libri sapienziali, è la chiarissima distinzione che pone fra natura umana e natura divina. Benchè uomo e Dio siano entrambi persone e l’uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio, sì che tra di loro può esistere un dialogo, tuttavia gli attributi dell’uno e dell’altro sono opposti: Dio esiste ab aeterno ed in eterno, è lo stesso Essere per se sussistente, è il creatore del cielo e della terra.

L’uomo è una semplice creatura, composta di spirito e corpo, esistente nel tempo e nello spazio, fragile peccatore, mutevole, passibile, mortale.

Ma d’altra parte Gesù è un uomo che dà prova di possedere non solo proprietà umane, ma anche proprietà divine. D’altra parte, è chiaro che la persona umana è distinta dalla persona divina. D’altra parte sarebbe assurdo immaginare Gesù come composto di due persone. È chiaro che Gesù è una sola persona. Ma persona come? Umana o divina? Bisogna scegliere.

Paolo e Giovanni in modo speciale si sono accorti che Gesù, pur essendo uomo, aveva una natura divina. Paolo lo dice chiaro e tondo: Gesù era di «natura divina» (en morfè theù yparcon, Fil 2,5), per cui era «uguale a Dio» (isa Theù, ibid.). Quanto a Giovanni, egli chiama Gesù Logos, evidentemente logos divino, traducendo così il dabar ebraico, parola, sapienza, concetto, idea. Gesù è Figlio di Dio in modo simile al quale il concetto è concepito dalla mente. È generato dal Padre in modo simile al quale la mente genera il pensiero o il pensante proferisce la parola.

Successivamente noi cristiani, quindi, indagando sul mistero di Gesù, nel 325, nel Concilio di Nicea, siamo giunti ad una prima conclusione direttamente ricavata da San Paolo e San Giovanni: la Chiesa ha definito che Gesù è della stessa sostanza o natura del Padre (omoùsios to Patrì). Restava però adesso un altro problema: se Gesù è di natura divina ed evidentemente è anche di natura umana, dunque ha due nature. Ma d’altra parte, alla persona corrisponde normalmente una natura. dunque Gesù sono due persone? Assurdo! Abbiamo allora capito che la nozione di persona non è la stessa che quella di natura.

Anche una persona umana può avere in qualche modo due nature. Per esempio una medesima persona può essere medico e pittore. Abbiamo allora capito due cose: prima, che Gesù non poteva essere una semplice persona umana, benché a tutta prima potesse sembrare tale, perché sennò non poteva essere una persona divina. Ora era ormai certa la sua divinità di Figlio divino dal Padre. Così nel 451 giungemmo al Concilio di Calcedonia, nel quale la Chiesa dichiarò che Gesù è una persona divina in due nature, non due nature accidentali, come nell’esempio che ho portato sopra, ma due nature sostanziali. Peraltro per indicare la natura la Chiesa usò il termine greco fysis.  


Immagini da Internet:
- Volto di Gesù, Sindone, Torino
- Volto di Gesù, Pantocratore, Monreale


[1] Cf J. Maritain, De l’Eglise du Christ. La personne de l’Eglise et son personnel, Desclée deBrouwer, Bruges 1970.

[2] Cf il mio articolo MARIA MODELLO DELLA CHIESA E DELLA DONNA, Sacra Doctrina, 6, 1993, pp.866-925.

[3] Cf il mio libro Il mistero dell’Incarnazione del Verbo, Edizioni ESD, Bologna 2003; E.Hugon, Le mystère de l’Incarnation, Téqui, Paris 1940.

[4] Vedi il suo libro Il mistero d’Israele e altri saggi, Morcelliana, Brescia 1964, pp.123-125.

[5] Cf Ruggero Biagi, Cultualità, sacramentalità, mediazione, efficacia del sacrificio di Cristo, in Sacra Doctrina, 5, 1985, pp.388-396.

[6] Citata da Maritain ne Il mistero d’Israele, op.cit, pp.125-126.

[7] Ibid., p.127.

[8] Come si sa, egli aveva messo in conto anche di essere fatto prigioniero da Hitler ed aveva dato disposizioni per un eventuale suo Vicario.

[9] Cf il mio articolo LA CHIESA E LA SINAGOGA in Sacra Doctrina, 1, 1996, pp.76-118.

4 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    La ringrazio innanzitutto per questa silloge di articoli sul popolo ebraico: oltre a rendermi più chiara la grandezza di questo popolo, proprio ciò ha favorito ad estirpare in me alcune note di disprezzo nei suoi confronti che, aihmè, avevo appreso inconsapevolmente da alcuni schiamazzi antisemiti, sempre rigogliosi ad ogni tornante negativo dell'economia mondiale. Scrivo approfittando del suo accenno finale all'idealismo, che, non so se ricorda un mio commento di qualche settimana fa, sto combattendo piano a piano grazie a Gesù e ad Aristotele. In questa battaglia, oltre al necessario smascheramento della falsità intrinseca di detta dottrina, credo che sia utile rendersi conto delle origini psicologiche e delle circostanze pratiche che favoriscono l'adesione dell'intelletto ad essa: è proprio circa quest'ultime, ovvero le circostanze pratiche, che vorrei chiederLe lumi. Certamente, come Lei sostiene, eventi storici anche terribili come l'olocausto hanno come responsabile l'infiltrazione nella mente degli uomini di certe affermazioni errate, ma è anche vero che molte posizioni (sia affermazioni che negazioni) nella storia dell'umanità e dei singoli si formano per il proporsi di circostanze effettive e concrete, nei rispetti delle quelle l'animo umano, quasi sentendosi impotente, è portato ad assumere alcune posizioni, nel nostro caso l'idealismo, per farsi, come dire, quadrare le cose, per farsi "ritornare i conti". Con questa premessa, di cui credo si condivida la verità e che di certo non vuole giustificare alcunché, ma piuttosto esporre una dinamica dello spirito, vorrei esporLe quelle che credo essere le circostanze storiche che, se non hanno sancito la nascita di posizioni protoidealistiche (a mio avviso anche un Petrarca potrebbe essere detto idealista in senso depotenziato: un mondo fatto di lettere è un mondo del soggetto) e idealistiche, ne hanno permesso l'attecchimento e il pieno sviluppo.

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    1. La tesi credo non sia originalissima ed è la seguente: con le guerre di religione del '600 gli animi europei hanno cercato di dire basta a tutta quella violenza cercando da una parte di recidere quella che credevano la causa delle violenze, ovvero l'intervento dello spirito religioso nelle cose politiche e terrene (nel mondo della cultura ciò è visibile grazie a opere come il Leviatano o utopie di stampo razionalistico) e dall'altro levando sempre più spazio al potere aristocratico cercando di trasformare l'Europa da terreno di guerre a "tranquillo" terreno dove potesse fiorire quella che sarà poi l'attività principe dei nuovi secoli, ovvero il commercio. Perché indico proprio questo crocevia storico (che naturalmente risente di echi che vanno ben più addietro, ma di cui si può qui tacere)? Perché sembra che in un colpo solo l'uomo europeo abbia ancor più sviluppato l'allontanamento dalla Chiesa, si sia munito di una mentalità razionalistica vista come unico collante sociale degli uomini ed infine abbia posto al centro l'attività del commercio. In particolare quest'ultima se considerata come attività preminente mi sembra l'autentica radice pratica dell'idealismo europeo (e oggi mondiale) come "posizione esistenziale": il commerciante e l'industriale non sopportando un potere politico di gestione aristocratico-familiare (tant'è che è così che sono nati i vari Stati nazionali) e non presentando quella suprema virtù del realismo che è la virtù dell'adeguazione, non riescono ad inquadrare la loro attività in quadro aristotelico-tomista ed eccoli quindi rifugiarsi nell'Io assoluto che, se non è professato apertamente in un trattato ben tornito, consiste comunque in un basso continuo, profondo e inconsapevole di quelle esistenze. Questa mia posizione sembra essere confermata anche dal fatto che l'idealismo si presenta in forme sempre più forti e dirompenti all'aumentare nella storia del mondo della preminenza di questa attività. Se posso permettermi un'aggiunta sull'attualismo alla luce di queste considerazioni, si può ragionevolmente dire alla luce delle considerazioni appena esposte che in uno spirito contadino e "provincialotto" come quello di un siciliano dei tempi di Gentile sia stata proprio la scossa dell'industrializzazione e delle vedute nazionalistiche (conosciute durante i suoi anni di studi a Pisa) ad aver portato quell'uomo ad elaborare la forma più radicale del cogito cartesiano. Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte su Severino.
      Le chiedo lumi, per quanto esposte sommariamente, circa queste mie affermazioni: le crede fondate o del tutto erronee? Crede che necessitino di integrazioni? Grazie mille.

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    2. Caro Anonimo,
      concordo sostanzialmente con la sua analisi. La figura del Petrarca si inserisce nella cristianità medievale. Si potrebbe dire che ha una punta di idealismo nell’idealizzazione che fa della figura di Laura, ma, a parte questo punto, egli non riveste alcuna importanza per quanto riguarda la nascita dell’idealismo avviato da Cartesio.
      Per quanto riguarda la cultura del ‘600, sono pienamente d’accordo nel riconoscere che, soprattutto nei Paesi protestanti, pensiamo per esempio a Leibnitz, nacque un forte bisogno di unità dell’Europa nella convinzione, dopo le terribili guerre di religione, che ormai la religione cristiana non fosse più sufficiente a garantire l’unità europea e che bisognasse creare un fondamento nella forza della ragione.
      Nel contempo la cultura europea, allontanandosi dall’orientamento contemplativo del cristianesimo, dà al pensiero un orientamento pratico. Questa cosa si nota già in Cartesio, per il quale lo scopo della metafisica non è la teoresi, ma la prassi e il dominio sulla natura.
      Abbiamo quindi i primi germi di quella che sarà la massoneria, nata a Londra nel 1717, con lo scopo di fondare l’unità dell’Europa sulla ragione e sulla scienza, con un chiaro orientamento all’attività del commercio e dell’economia.
      Nello stesso tempo, come è noto, la massoneria è una forma di gnosticismo, che ha la pretesa di sostituirsi alla Chiesa Cattolica nel garantire l’unità del genere umano.
      Ora, possiamo dire francamente che la valorizzazione della ragione naturale, di marca tomistica, corrisponde all’ideale della fratellanza universale, il quale, passando dalla Rivoluzione francese, è oggi stato liberato dal suo razionalismo grazie alla predicazione di Papa Francesco, il quale collega l’ideale della fratellanza universale alla figliolanza divina, per cui vengono poste le basi di una ricostruzione della cultura europea aperta alla luce del Vangelo e per giunta in contatto con la cultura islamica, che Papa Francesco è riuscito ad avvicinare all’ideale della fratellanza universale, ideale che finora era stato escluso dall’islamismo, il quale era stato finora chiuso in un concetto di fraternità limitato ai credenti nel Corano.
      Per quanto riguarda Severino, è un uomo di grande cultura, per cui egli, oltre a scritti filosofici, ha anche interessanti scritti relativi alla problematica politica e civile dell’Occidente, che egli peraltro considera corrotto rispetto alla cultura dell’Oriente, che egli collega al buonismo idealistico di Parmenide.
      A proposito di Severino si potrebbe fare un interessante collegamento con il filosofo russo Dugin, che attualmente in Russia è molto seguito e ha un rapporto sia con Putin che col Patriarca Cirillo. Questo Dugin è una persona coltissima, che pone la cultura orientale di marca idealistica-panteista al di sopra di quella occidentale, considerata come corrotta e in via di dissoluzione.

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  2. Dopo una pregevole analisi, nelle conclusioni sembra trasparire una sorta di richiamo al 'politicamente corretto' .

    "Ecco perché Gesù dice che la salvezza viene dagli ebrei. Cioè: viene da me in quanto sono ebreo. Io rappresento il mio popolo. In me e attraverso di me l’ebreo salva l’umanità" ??

    La salvezza viene dagli ebrei perchè da loro nascerà il Salvatore. Gesù salva perchè è Dio non perchè è ebreo.

    L'ebraismo post-biblico rinuncia a questa possibilità e si espone ad adorare un altro "paraclito" sebbene la verità sia sempre stata davanti a loro.

    E in effetti molti rabbini si sono posti storicamente la questione.
    Quando ad es. Neusner dialoga con Benedetto XVI sul fatto che Gesù abbia trasgredito il comandamento del Sabato, resta della sua idea, cioè non abbandona certo l'ebraismo, ma ammette che potrebbe considerare accettabile questa cosa solo in un caso:
    Che colui che trasgredisce il sabato sia Egli stesso Dio.

    "Successivamente, purtroppo, con l’ingresso di noi pagani, divenuti la maggioranza, abbiamo assunto verso di voi un atteggiamento spocchioso e intollerante, tanto da scoraggiarvi ad entrare nella Chiesa" ??

    Se si analizza senza pregiudizi bisogna riconoscere che l'atteggiamento cattolico non è mai stato di preclusione. La famosa preghiera del Venerdì Santo non aveva intento offensivo anche se la traduzione poteva dar luogo ad equivoci.

    I papi stessi hanno sempre avuto un doppia premura nel trattare col popolo eletto. Da un lato hanno inteso sì proteggere i cristiani , ma al tempo stesso hanno ribadito che ad essi non dovesse essere fatto alcun male poichè , depositari dell'antica promessa.





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