Cosentino
colpisce ancora
Non restare in silenzio, Dio mio
Sal 28,1
Il
miracolo di un Dio impotente
Sebbene di recente su questo blog io abbia
dimostrato l’assurdità della tesi di Francesco Cosentino di un Dio debole e
sofferente, sventurato come noi, che non fa miracoli e non risponde alle nostre
domande, ma si limita a stare a fianco di un’umanità prostrata da una sorte
avversa, eccolo adesso commentare commosso nel
blog Settimana News del 4 aprile scorso
«“La barca in tempesta”, tra Ratzinger e Bergoglio» la preghiera del Papa fatta in piazza San
Pietro davanti al Crocifisso miracoloso della chiesa romana di San Marcello al
Corso, nell’ambito della quale preghiera il Papa ha commentato l’episodio
evangelico della tempesta sedata (Mt 5,23-27), che viene sedata appunto da un
evidente miracolo.
Quale sia la coerenza logica di questo
discorso di Cosentino è impossibile dirlo, perché essa manca totalmente, giacché,
come è noto e come ho mostrato nel mio precedente articolo, i miracoli si
spiegano con l’onnipotenza divina, per cui è assurdo, oltre che empio, credere
che un Dio privo di onnipotenza possa far miracoli.
Da una parte, infatti, Cosentino presenta un
«Dio debole e sconfitto, che non interviene dall’alto e dall’esterno, ma ci
salva inabissandosi nel nostro dolore e condividendolo con noi», ma dall’altra
riferisce con esattezza il miracolo compiuto da Gesù. Ci chiediamo: come fa un
Dio debole e sconfitto, che «non interviene dall’alto», a salvarci «inabissandosi
nel nostro dolore e condividendolo con noi». Che fa? Interviene dal basso?
Il discorso di Cosentino avrebbe senso se si riferisse
alle sofferenze di Cristo uomo. Ogni cristiano,
infatti, sa dal Catechismo che le sofferenze
di Cristo ci salvano perché sono assunte dal Figlio di Dio per espiare i nostri
peccati e dare soddisfazione al Padre per le offese che Gli arrechiamo, grazie
alla potenza salvifica del Figlio, per cui esse si trasformano da castigo del
peccato a strumenti di salvezza. Ma purtroppo dalle parole di Cosentino non
esce nulla di tutto questo.
Egli cita poi una Meditazione sulla Settimana Santa che Ratzinger insieme con Rahner
pubblicò nel 1967 e riferisce le parole di Ratzinger: «Dio sta a dormire mentre
le sue cose stanno per affondare. Non è questa l’esperienza della nostra
vita?». A me pare che una domanda del
genere, apprezzata da Cosentino, con tutto il rispetto di Ratzinger, allora
semplice giovane teologo, non sia ispirata da piena saggezza, ma rifletta una
certa presunzione. Siamo sicuri che Dio possa dormire? O forse piuttosto sta
operando in un modo per noi difficilmente comprensibile? Come dice Gesù? «Il
Padre mio opera sempre ed anch’io opero» (Gv 5,17).
Dio opera anche quando sembra non operare, non
intervenire, non ascoltare, non soccorrere, non aver forza. Se sappiamo metterci
in ascolto nell’intimo della coscienza, illuminati dalla Parola della Scrittura,
ci accorgiamo del suo operare. E che cosa fa col suo silenzio? Ci esorta alla
fiducia, all’attesa, alla penitenza, alla pazienza, alla speranza.
Viceversa, l’idea di un Dio sordo, muto, inattivo,
dormiente o impotente è un’idea grossolana, per non dire blasfema, del tutto
contraria ad una sana teologia e alla stessa fede. Dovrebbe essere chiaro altresì
che il sonno di Gesù sulla barca non è il sonno di Dio, sonno che in Dio non ha
senso, così come è assurda l’idea di un Dio debole, impotente o sofferente.
Se Dio
non interviene ad aiutarci, a sollevarci dalla sventura o a togliere la nostra
sofferenza o addirittura a impedire che moriamo, Egli che è onnipotenza,
misericordia e bontà infinita, deve avere un motivo saggio che a noi sfugge,
come capì molto bene Giobbe. Dunque accettiamo con fiducia quello Dio che sta
facendo. Un giorno capiremo. Non dobbiamo giudicare il comportamento di Dio come
se non facesse il suo dovere e come se avessimo il diritto di richiamarlo al
suo dovere o come se sapessimo meglio di Lui che cosa dovrebbe fare. E se non ci
esaudisce, che facciamo? Ci adiriamo con Lui? Lo rimproveriamo? Ci rivolgiamo ad
altri dèi? A Pachamama?
Non sta a noi dire a Dio che cosa deve fare
Prosegue Ratzinger, citato con approvazione
da Cosentino: «E tuttavia, o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te,
Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi che
affondiamo?[1] Destati,
non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo, lascia cadere un
raggio di Pasqua anche sui nostri giorni».
Non sta noi scuotere Dio, ma sta a Lui
scuotere noi dal nostro torpore, dal nostro sonno, dalla nostra apatia, dalla nostra
sordità, dalla nostra pigrizia, dalla nostra durezza di cuore, dalla nostra
miopia mentale. Se Dio non ci ascolta o ci lascia nella sofferenza, non
dobbiamo assumere un tono seccato, imperativo o quasi di rimprovero, come se
fossimo autorizzati a richiamarlo al suo dovere, come se sollecitassimo il
barista che tarda nel portarci la coca-cola. Dio sa molto meglio di noi qual è
il suo dovere, per cui dobbiamo aver fiducia che qualunque cosa faccia o
permetta, anche se non lo capiamo o ci urta, è per il nostro bene o per
correggerci o per provarci o per migliorarci.
Anche se siamo sicuri che quello che
chiediamo è il nostro bene, come ne erano certi i discepoli sulla barca,
dobbiamo chiedere sempre con umiltà, pronti ad accettare ciò che Egli vorrà,
anche se non coincide con le nostre richieste, perché Dio è abituato a negarci
quanto ci fa male e a concederci di più di quanto Gli chiediamo. La pretesa di
scuotere Dio perché ci accontenti rappresenta una brutta mancanza di rispetto e
una pericolosa tendenza alla magia, per la quale il mago sollecita o pungola la
divinità come farebbe un mandriano col suo cavallo.
Ma, come sappiamo, la magia è una grave
corruzione della religione, per la quale, siccome al mago ripugna accettare con
fiducia la volontà divina, crede di
avere il potere di obbligare Dio a fare quello che vuole lui. Ma
possiamo star certi che in questi casi non si tratta di Dio, ma del demonio.
Si può insistere nel chiedere a Dio con
umiltà ciò che crediamo bene per noi o per altri. Ma se non si tratta di beni, dei
quali siamo certi che sono necessari alla nostra salvezza, non dobbiamo chiedere
in modo assoluto o incondizionato, ma sotto condizione, ossia purché ciò che
chiediamo sia volontà di Dio. Può essere infatti che in questo caso Dio
giudichi bene non accontentarci.
L’intervento dei discepoli nel racconto
evangelico della tempesta sedata, secondo il Vangelo di Marco (4,38), comporta
una domanda che sa di rimprovero a Gesù, quasi che egli non si curi del pericolo
di vita dei discepoli: «Maestro, non t’importa che moriamo?». Negli altri due
Sinottici invece troviamo due intonazioni diverse. Matteo esprime una semplice
invocazione: «Signore, salvaci, siamo perduti!» (8,26), mentre Luca esprime la
semplice informazione, seppure, come possiamo immaginare, allarmata: «Maestro,
maestro, siamo perduti!» (8,24). È possibile che si tratti di tutti interventi
realmente accaduti, dato che c’erano più persone.
Come mai Gesù dormiva?
L’intervento dei discepoli, sul quale vorrei
fermarmi, è quello narrato da Marco. Tale intervento pare dettato non tanto dal
ragionamento, quanto piuttosto dal panico. Infatti, potevano mai immaginare ragionevolmente
i discepoli che con Gesù sulla barca, sarebbero affondati? O forse temevano che
sarebbero affondati lo stesso? Non è pensabile.
Ma d’altra parte, potevano immaginare che
Gesù avrebbe fatto un miracolo? Difficile saperlo. Comunque, il sonno
tranquillo di Gesù, forse perché stanco per fatiche precedenti, in un momento
così drammatico, avrebbe dovuto essere un motivo sufficiente almeno per farli stare
tranquilli che comunque Gesù avrebbe provveduto da par suo.
Il fatto che lo svegliano lascia supporre che
speravano od oscuramente intuivano che Gesù avrebbe fatto qualcosa. Sta di
fatto però che Gesù li rimprovera per la loro paura e per la loro poca fede.
Probabilmente si aspettava che essi lo avessero lasciato dormire con la fiducia
che egli avrebbe risolto la situazione.
Può
essere che Gesù si aspettasse che i discepoli attendessero che Gesù stesso prendesse
l’iniziativa, confidando nella sua saggezza e potenza. Dal rimprovero di Gesù si
capisce che essi avrebbero dovuto avere più fede. Ce l’avevano, altrimenti non gli
avrebbero chiesto aiuto. Ma non abbastanza, perché avrebbero dovuto fidarsi di
lui e lasciare a lui l’iniziativa. Gesù passa sopra all’indiscrezione del loro
intervento e compie il miracolo, perché i discepoli riflettessero sulla sua
identità. E difatti lo fanno.
Meraviglia che Gesù dormisse in una
situazione così drammatica. È possibile, come ho detto, che fosse stanco.
Oppure vuol metterli alla prova. In ogni caso non ha senso supporre un sonno di
Gesù come Dio per i motivi che ho detto sopra ed è evidente che era il normale
sonno di un uomo. Qui Gesù mostra un tratto squisito di umanità terrena. Il
fatto fa capire che Gesù, a differenza della grande preoccupazione dei
discepoli, non fosse affatto spaventato di quanto stava accadendo. Gesù dà
prova di eccezionale, anzi stupefacente autocontrollo.
«Convertitevi al Signore ed Egli si convertirà
a voi» Tb 13,2
Non è difficile paragonare questo episodio
alla situazione attuale della Chiesa, sbattuta dai marosi dei suoi nemici e
delle potenze mondane e diaboliche. Il sonno di Gesù potrebbe rappresentare la
difficoltà del Papa a dominare la situazione. Ma, volendo trovare paragoni
biblici più adatti, credo che occorra cercarli o laddove si parla di nemici interni,
per esempio, l’immagine della vite: «perché hai abbattuto la sua cinta e ogni
viandante ne fa vendemmia? La devasta il cinghiale del bosco e se ne pasce
l’animale selvatico» (Sal 80,13-14).
Oppure, di grande attualità risuonano anche le
parole del Signore sul pastore mercenario: «Il mercenario, che non è pastore e
al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e
fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gl’importa
delle pecore» (Gv 10,12-13). Purtroppo certi pastori il lupo non lo vedono
neppure venire, ma lo scambiano per un agnello. Così essi non fuggono affatto,
ma restano al loro posto come niente fosse e gli danno campo libero e neppure si
accorgono della strage delle pecore, ma a loro pare tutto normale. Un famoso Cardinale
alcuni anni fa ebbe a dire: «mai la Chiesa è andata così bene come oggi!».
Di attualità è anche il lamento del profeta Ezechiele
circa la cattiva condotta dei pastori del suo tempo: «Vi nutrite di latte, vi rivestite
di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete
reso la forza alle pecore più deboli, non avete curato le inferme. Non avete
fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca
delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore
si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate.
Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro
e se ne cura» (34, 3-6).
Naturalmente le immagini materiali sono simboli e
figure di vizi spirituali nei pastori e di disagi spirituali nel gregge. I
pastori sono preoccupati di ottenere vantaggi e rispetto dal mondo, ma non si
preoccupano di nutrire il gregge con la sana dottrina guidandolo verso il regno
di Dio. Non si preoccupano di eliminare il cibo avvelenato in circolazione, ossia
le eresie. Non si preoccupano di correggere le persone corrotte o scandalose
sanzionandole con severi provvedimenti. Non hanno misericordia per coloro che
giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Non si preoccupano di
condurre all’ovile i fratelli separati. Non si preoccupano di riconoscere e non
sanno neppure riconoscere le bestie selvatiche sotto la veste di pecore, ingannati
essi stessi dalla loro astuzia e dalla loro ipocrisia.
Questa pandemia è dunque un severo monito di
Nostro Signore a far pulizia nella Chiesa. È da cinquant’anni che si parla di
riforme della Chiesa. Abbiamo avuto un Concilio riformatore. Non c’è settore,
ambiente, istituzione, organismo o movimenti nella Chiesa che non si sia
sentito impegnato nella riforma. Gli stessi tradizionalisti, in fondo, vogliono
una riforma, nel senso di un ritorno alla tradizione.
Eppure raramente si sono fatte vere riforme. Il
Concilio è stato spesso frainteso e strumentalizzato da falsi riformatori, che
si spacciano per «progressisti», ma che in realtà si ispirano più a Lutero ed
al modernismo, che non alla vera tradizione riformatrice cattolica, operata dai
Santi. Sono cinquant’anni che molti buoni teologi e profeti stanno esortando i
pastori ad una vera realizzazione del Concilio, senza lasciarsi ingannare dai
modernisti. Vediamo se adesso ascolteranno la voce severa di Dio stesso.
Mi domando però con apprensione quanti personaggi
come Cosentino sapranno ascoltare e contribuiscono alla vera riforma della Chiesa,
voluta dal Concilio, e quanto lo stesso Cosentino, nonostante la sua cultura
teologica, si renda conto del danno che sta facendo, magari col lasciapassare di
qualche Vescovo compiacente, credendo forse di essere un «progressista»,
aggiornato sulla più moderna esegesi biblica.
E con lui, purtroppo, ci sono tanti altri soggetti
di questo genere. Essi dovrebbero capire il messaggio che Dio ci sta dando con
questa pandemia. Se non ci decidiamo a lavorare sul serio per la vera riforma,
ci penserà Dio in questo modo terribile, col quale ci dice: «Raddrizzate le vie
storte per i vostri passi» (Eb 12,13).
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 8 aprile 2020
[1] I Tedeschi, soprattutto filosofi e teologi,
invece di chiedersi angosciati come Dio abbia potuto permettere e non sia
intervenuto a fermare la strage nazista degli Ebrei, e invece di ricamarci su
con la teoria assurda del Dio «debole», farebbero bene a fare un profondo esame di
coscienza per chiedersi come mai abbiano potuto produrre un mostro come il
nazismo e soprattutto quali ne sono state
le prime radici ideologiche. Quanto al popolo ebraico, da parte sua, i pii
Ebrei hanno già fatto una lettura di fede dell’accaduto, rifacendosi ad
Is.53-54, dove sono profetizzati i dolori del Messia. La designazione
autenticamente ebraico-biblica, pertanto, della strage, non è quella volgare,
anche se maggiormente nota, di shoah,
che significa banalmente «distruzione», ma è quella liturgico-cultuale di «olocausto» (olah).
Grazie, padre Giovanni,
RispondiEliminaper la possibilità che ci offre per analizzare con spirito critico letture che, diversamente, passerebbero per speigazioni alternative e corrette.